Cap. XII. Ricordando Kei
Trovò Rei ad attenderla sulla porta di casa: era abbastanza
agitato e nervoso.
-Ciao, Rei.
-Hilary! Sei tutta
intera, vero?- le chiese allarmato.
-Sì, certo. Sono andata dal nonno di Kei, non dall’uomo nero.
-La differenza è minima.
-Ti sbagli, Rei- continuò lei, aprendo la porta e facendogli
strada.
-Comunque non sono qui solo per sapere com’è andata.- Sbatté sul
tavolo un giornale, visibilmente scocciato. –Guarda se si può essere più
imbecilli di così: non è passato ancora un mese dalla sua morte.
Una foto di loro due campeggiava in prima pagina: qualcuno l’aveva
scattata il giorno in cui era svenuta nel parco.
Certo, quello scatto era abbastanza compromettente: sicuramente
non era stato difficile per il giornalista ricamarci sopra una storia. “IL
NUOVO AMORE DI HILARY TACHIBANA” diceva il titolo. L’articolo poi proseguiva
raccontando qualcosa di Rei e di una fantomatica relazione fra il blader cinese
e la fidanzata di Kei Hiwatari.
-Tutta robaccia- commentò, restituendoglielo.
-Dillo a Takao: quando lo ha visto si è attaccato al telefono
urlando di voler denunciare il giornalista, la testata…
-Sei preoccupato che possa capitare nelle mani di Mao?
Il rossore che imporporò il viso dell’amico fece sorridere
Hilary.
-No…- mormorò. –Non ci crederebbe mai. Però non hanno il diritto
di scrivere queste scemenze.
-È il loro lavoro, Rei. Vuoi un caffè, un the, qualcosa?
-Un the, grazie. Cosa facciamo?
-Niente.
-Niente?
-Niente. Credi che, ad esempio, la tua visita non generi
scandalo? Non possiamo farci nulla, se non ignorarli e proseguire la nostra
vita. Io so di avere la coscienza a posto, con me stessa e con Kei: non c’è
altro che mi importi. Kei mi metteva spesso sotto al naso articoli simili e ci
ridevamo sopra come matti: diceva che si attaccavano alla sua vita privata come
mosche al miele.
-Immagine divertente e azzeccata. Bhe, ora non sto più nella
pelle: raccontami cos’è successo alla Villa…
Max era finalmente riuscito a staccare il suo capitano dal
telefono. Stufo di sentirlo inveire contro chiunque lavorasse in quella casa
editrice, lo aveva preso di forza, trascinandolo in palestra e cacciandogli in
mano la spada da kendo.
-TIENI E SFOGATI!
Era chiuso lì dentro da ore: l’americano stava per andare a
controllarlo, quando vide Dragoon accostarsi a Draciel. Si volse verso l’amico.
-Ti sei calmato un po’?
-Sì. Senza di te sarei già in tribunale…
-No, probabilmente ti avrebbero già pestato.
-Sono stato eccessivo, vero?
-Abbastanza- rispose il biondino.
-Evviva la sincerità.
-Bhe, è la verità: mi sembravi un pazzo appena scappato dal
manicomio.
-Dov’è finito Rei?
-È andato da Hilary: non voleva che lo scoprisse in qualche
altro modo.
Takao annuì, richiamando il suo bey: guardando il Drago Azzurro
non riuscì a non pensare che quei due nascondessero qualcosa. Non credeva al
fatto che avessero una storia, ma di certo c’era sotto un mistero. Forse non
era niente di grave, eppure…
Sospirando, ripose Dragoon in tasca: non aveva senso farsi
rodere dalla gelosia. Avrebbero parlato prima o poi. Come sempre.
Sistemando una foto sul cassettone, il maggiordomo di Villa
Hiwatari ripensò alla sua vita in quella casa. Quelle pareti ne avevano viste
di cose, molte più di quelle che aveva visto lui nei suoi lunghi anni di
servizio in quella famiglia.
Ricordava il signor Sosuke: era solo un bambino quando Alfred
venne assunto, un simpatico monello dai capelli argentei e gli occhi grigio
fumo. Com’era cresciuto in fretta: in un istante era passato dai giochi
infantili alle domande di nozze. Quando presentò al padre Nadja, aveva solo
diciotto anni: una ragazza russa alta, bionda e con un paio di incredibili
occhi viola. La dolcezza di quella giovane entrò subito nel cuore del signor
Hiwatari.
La gioia del matrimonio venne allietata poco dopo dalla nascita
di Kei…poveretto, aveva solamente tre anni quando perse entrambi i genitori. In
viaggio per una ricerca sui bit-power, i coniugi erano rimasti coinvolti in un
terribile incidente.
Il signor Hiwatari non si era più ripreso da quel colpo: riversò
sul nipote tutto il suo odio per quelle creature, fondando la Borg e
trasformando Kei nel più micidiale dei cacciatori.
Ma il passato non lascia mai impuniti i nostri torti: la verità
colpì Kei come una pugnalata tra le scapole, costringendolo ad abbandonare per
sempre la Villa e suo nonno.
Fino a quel giorno…
“Per poco non gli prese un infarto nel vedere la figura ferma
nel vano della porta. Tre anni erano trascorsi, tre lunghissimi anni. Eppure il
tempo non l’aveva cambiato molto.
-Signorino Kei…
-Alfred, non ti aspettavi di rivedermi, vero?
-Mi sembra un miracolo. Lei…lei è tornato…
-Non esagerare. Per ora sono qui soltanto per parlare con lui.
-Davvero, signorino?
-Quante volte ti dovrò ripetere che odio sentirmi chiamare
così?- domandò il giovane con fare scherzoso.
-Ancora una, credo. Vado ad annunciarla.
-No, lascia stare. Preferisco fargli una sorpresa.”
Anche Hito stava rivivendo quel giorno. Seduto nella sua
poltrona preferita, sfogliava un album di fotografie, tuffandosi nei ricordi…
“-Alfred, cosa c’è?- chiese, sentendo la porta aprirsi.
-Buongiorno, nonno.
Quella voce lo obbligò ad alzare gli occhi di scatto dal
giornale, posandoli sul ragazzo che gli stava di fronte. Era proprio lui…dopo
tre anni…dopo la Russia. Nel suo sguardo leggeva l’astio, invariato nonostante
il tempo trascorso.
-Kei…ciao…
-Non sono venuto fin qui di mia iniziativa, voglio che tu lo
sappia.
-Mi fa comunque piacere. Ti trovo bene.
-Non posso lamentarmi.- Con un gesto nervoso, si passò la mano
fra i capelli. –Non è da me girare intorno agli argomenti, quindi…Hilary ha
insistito perché almeno provassi a parlare con te. E io non voglio deluderla.
La frecciata arrivò dritta al destinatario, che non fece una
piega.
-Perciò sono pronto: voglio sapere la verità. Perché mi hai
fatto diventare un cacciatore?
Aveva atteso tre anni quella domanda: in Russia, il nipote gli
aveva voltato le spalle, ferito, senza volere spiegazioni. Ne aveva abbastanza
di quello che aveva scoperto, abbastanza per decidere di ribellarsi.
Alla fine del racconto, il fuoco del rancore bruciava ancora nei
suoi occhi viola. Gli occhi di Nadja.
-E questo è tutto.
-Grazie. Finalmente so chi sono.
-Kei, io…
-Nonno, il tempo non si può cancellare, non riuscirò mai a
dimenticare l’addestramento della Borg e tutto quello che ho passato a causa di
ciò che sono: ho tradito i miei migliori amici, ho rischiato di perdere
l’Aquila Rossa…- Distolse lo sguardo, lasciandolo scorrere sul paesaggio oltre
il vetro della finestra. –Ma qualcosa te lo devo: senza di te, forse, non avrei
mai scoperto il beyblade e non avrei avuto un compagno come Dranzer.
-Tu mi odi, non è vero?
-No, forse non ti ho mai odiato. In un modo o nell’altro mi hai
cresciuto e ti sei preso cura di me: non riuscirei mai ad odiarti.
-Ora che conosci la verità, sparirai per altri tre anni?
-Hilary mi ha detto di invitarti a passare il Natale con noi.
Lei ci tiene molto a questa storia della famiglia: non vuole che mi penta di
aver rotto con te nel momento in cui magari è troppo tardi per rimediare.
-Quando parli di lei mi ricordi tuo padre.
-Come?
-Gli si illuminava il viso quando nominava tua madre; esattamente
come te quando pronunci il nome di Hilary.
Un lieve rossore colorò le gote di Kei, che si voltò,
imbarazzato da quell’attimo di sentimentalismo.
-Allora…ci vediamo, nonno. A Natale, spero.
-A Natale- confermò lui.”