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Autore: Italianulare    27/05/2013    2 recensioni
«Ti capita mai di sentirti una merda? Ma così tanto merda da non riconoscerti neanche?» sospirò Dafne premendo le mani sul volante.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non mi chiederai permesso


Marco era andato a prenderla mentre usciva dalla casa della sua migliore amica, alle due di notte, quando lui aveva appena finito di riprendersi dal suo concerto, e l’aveva trovata in condizioni non proprio ottimali. Visto e considerato che Dafne non era mai uscita tanto presto da quella casa e che non aveva mai quell’aria affranta, ma, al contrario, un’aria sollevata, come se ogni suo problema, una volta dentro a quella casa, si annullasse e lasciasse spazio solo a quella leggerezza.
Ma quella sera no. Quella sera si sentiva solo appesantita, lo si capiva dal suo sguardo, i suoi occhi non brillavano e non guardava verso il cielo, come al solito. Guardavano la ghiaia scomparire sotto le suole delle sue All Star che, come amava far notare, “parlavano” per quanto erano usate.
Quando alzò gli occhi e lo vide appoggiato alla sua Opel azzurra-attira-macchie, come la chiamava, una scintilla attraversò i suoi occhi e nulla al mondo poteva impedirle di sorridere come le era mancato fare quella sera.
«Cosa ci fai qui?» gli chiese talmente piano che a malapena Marco la sentì.
«Passavo da queste parti..» rimase sul vago con un mezzo sorriso sul viso e una sigaretta stretta tra le dita
«Certo perché l’Arcimboldi è qui dietro!» lo schernì la rossa avvicinandosi ancora a lui che cercava l’accendino nelle sue tasche della felpa.
«Se te da fastidio posso anche andarmene» le sue parole uscivano distorte a causa della sigaretta che teneva stretta tra le labbra per cercare con entrambe le mani l’oggetto dei suoi desideri.
Quando l’ebbe trovato Dafne stava sorridendo «E con cosa? Dai, Sali.» lo invitò facendo il giro dell’auto e posizionandosi alla guida.
Marco prese un’abboccata di “sano” fumo e si accomodò sul sedile del passeggero, com’era ormai abituato a fare con chiunque, visto che non possedeva una macchina in quel paese che lo ospitava.
«Allora? Come ci sei arrivato qui, Brontolo?» domandò la ragazza girando la chiave nel quadro.
«A piedi, Biancaneve.» amava darle dei nomignoli anche se gli aveva causato un po’ di problemi pochi giorni prima.
 
«Sai chi me sembri? La sirenetta!» la schernì Marco prendendole una ciocca di capelli che ancora odoravano dell’inebriante profumo della tinta.
«Ariel? E tu chi saresti? Flander?» stette al gioco lei sorridendogli.
«Chi?» chiese allora lui frastornato. Non se ne intendeva di cartoni animati, conosceva a malapena i titoli e il nome di qualche personaggio famoso di questi, ma nella sua vita ne aveva visti davvero pochi. Il suo genere era ben altro!
«Mi stai dicendo che non hai mai visto la sirenetta?» lo accusò allora Dafne indignata alzandosi dal divano di casa sua con fare drammatico.
«Eh no.. lo sai che io i cartoni non li guardo..» tentò di giustificarsi il moro portandosi una mano sul petto.
«Ma non è questione di gusti! È qualcosa che devi conoscere! Come il numero dei pianeti, il numero dei sette nani, i nomi dei sette re di Roma, le tabelline, chi era Manzoni e chi ha scritto “Mattino”! Ci sono cose nella vita che bisogna aver visto. Questa è una di quelle cose!» concluse il suo monologo con il fiatone.
«La sirenetta?» chiese chiarimento il ragazzo con l’aria di chi crede di essere finito in un mondo parallelo.
Lei non gli aveva risposto, aveva sorriso e aveva cominciato a canticchiare un motivetto contagioso avvicinandosi alla sua specialissima videoteca, aveva infilato un dvd e, con gli occhi di una bambina, si era seduta euforica sul divano cantando ogni canzone, imitando ogni voce e piangendo sul finale.
E forse era questo che l’aveva fatto infatuare in quel modo così irruente.
 
La guardò mentre prestava attenzione alla strada alle loro spalle per evitare incidenti andando in retromarcia, e sorrise. «Ti ha portato Marta, vero?»
Lui abbassò il capo, sgamato. «Ebbene..» le sorrise ed attese un po’ prima di cominciare con l’interrogatorio. La osservava guidare notando che si mordeva l’interno della bocca quando doveva partire e che si leccava le labbra mettendo in terza. Erano notti che sognava sempre la stessa cosa ed ogni mattina si svegliava, andava allo specchio, si lavava il viso e si comportava come se nulla fosse, come se quella sua cottarella passeggera non contasse nulla, perché lui era Marco Mengoni. Marco Mengoni non si innamorava, Marco Mengoni non guardava le ragazze. Marco Mengoni doveva essere sempre criptico. Marco Mengoni non poteva permettersi una storia che lo rendesse felice. Marco Mengoni doveva essere triste, fumare e fare compagnia alle ragazze depresse tramite i loro iPod. Marco Mengoni non poteva essere semplicemente Marco.
Per questo ogni giorno, quando la vedeva prima di andare a lavoro, la salutava come faceva con tutte quante anche se avrebbe voluto chiederle come stava, approfondire i discorsi che nascevano. Non voleva sempre dover fingere di avere qualche impegno importante e scappare subito. Non voleva doversi sempre controllare e trattenere. Voleva poter godere di quella libertà che si era sempre vantato di possedere, quella libertà che, diceva, solo i ragazzi soli e indipendenti possiedono.
Voleva semplicemente sedersi a bere un caffè con lei. Voleva chiederle se preferiva il te al limone o quello alla pesca. Voleva intavolare discussioni sulla pace nel mondo o anche semplicemente sul colore di occhiali che preferiva indossare.
Voleva chiederle perché, ogni tanto, aveva quell’espressione persa nei suoi pensieri e non faceva entrare nessuno. Voleva chiederle se, anche lei, non dormiva per un turbine di emozioni senza nome che le girava in corpo. Se quelle occhiaie erano da stress e che cosa glielo provocava. Se le piaceva l’odore delle margherite, perché secondo lui non era così e se quel profumo era suo naturale o lo aveva comprato da qualche stregone.
Marco voleva solo passare del tempo con Dafne, più tempo possibile. Perché solo con lei Marco era semplicemente e felicemente Marco. E perché lei era genuina e lo faceva ridere. Gli faceva ridere il fatto che odiasse farsi la coda, ma alle volte lo trovasse indispensabile. Gli faceva ridere come avesse qualcosa da appuntare ad ogni persona vivente al mondo e gli faceva ridere come poco dopo si desse dell’acida stronza inguaribile. Gli faceva ridere come correva in punta di piedi perché suo padre le aveva detto, da bambina, che così facendo sarebbe andata più veloce e lo faceva ridere la sua risata cristallina.
Nonostante i buoni propositi molte volte ci cascava e, inconsapevolmente, si ritrovava sotto casa sua e si faceva invitare a bere un caffè. Si sentiva un barbone in cerca di attenzioni nel momento in cui premeva il campanello, ma quando lei si affacciava alla finestra e gli sorrideva radiosa capiva che non le pesava poi così tanto.
Così era successo anche quella volta in cui aveva suonato sotto casa sua.
 
«Marco! Ciao! – l’accolse lei dal balcone, come al solito – Ti va se oggi andiamo al bar di Max?»
«Ogni suo desiderio è un ordine» scherzò lui estraendo una Marlboro per mostrarle che avrebbe potuto prepararsi con comodo e lui l’avrebbe aspettata.
Quando fu pronta arrivò come un tornado e lo prese sotto braccio guidandolo per le strade di Milano, rendendole un turbine di colori.
«Come mai da queste parti?» gli chiese continuando a tenerlo stretto per il braccio.
«Facevo un giro e, quando ho sentito voglia di caffè, mi trovavo sotto casa tua.» le sorrise.
«Tu guarda il caso, eh!» scherzò lei e lo condusse nel piccolo bar in una stradina fuori dagli occhi noiosi e grigi del centro della città.
Il bar in cui si erano conosciuti.
Dafne lavorava in radio, in un programma che andava in onda dalle 8.00 alle 9.00 e ogni mattina alle 7.30 si recava in quel piccolo bar per comprare il caffè al resto dello staff. Diceva che non le pesava, che era una cosa che le rendeva il risveglio più facile da affrontare, ma che soprattutto la spingeva ad alzarsi. Ed è proprio lì che aveva incontrato Marta quel giorno in cui aveva deciso di andare a comprare le brioches per tutti in quel bar dove lavorava quel suo amico di vecchia data. Vecchia data sua, ma nuova data per Dafne.
Questo Max le aveva fatte conoscere e diventare anche buone amiche, tant’è che da quella mattina Marta aveva portato brioches ai suoi colleghi più spesso del solito.
Fondamentalmente Dafne era così: una droga. Dopo la prima volta che la incontravi avevi bisogno di rivederla, e forse era questo che aveva ridotto Marco alla goccia.
Quel giorno al bar si erano spinti oltre alle stupide cose da dire davanti a un caffè, erano uscite, seppur a piccole dosi, paure, angosce e insoddisfazioni quotidiane.
Ed erano arrivati al punto di non ritorno. Non potevano più addormentarsi senza prima pensare l’uno all’altra.
 
«Dai, sputa il rospo. Che succede?» esordì Marco cominciando a scrutare il grigio panorama fuori dal finestrino, incapace di guardarla.
«Rospo?» fece un tentativo Dafne.
«Non fare la finta tonta, penso di aver capito che c’è qualcosa che non va.» riprovò allora il moro rigirandosi l’anello tra le dita, nervoso.
Non ottenne nessuna risposta, solo un respiro un po’ più accelerato del solito. Così provò un’ultima volta.
«Vedila così, non sono qui per farti il terzo grado. Solo che ormai credo di esserti amico e noto che c’è qualcosa che non va, che ultimamente non dormi e che questa sera c’è qualcosa che ti tormenta. Io non sono una pettegola che vuole sapere cos’hai solo per fare “la confidente”, Dafne. Se poi non me ne vuoi parlare è un altro discorso, ma non dirmi che non c’è niente.» concluse trattenendo il fiato.
«Ti capita mai di sentirti una merda? Ma così tanto merda da non riconoscerti neanche?» sospirò premendo le mani sul volante.
«Molto più spesso di quanto tu creda..» sussurrò lui guardandola e attendendo che trovasse le parole per sfogarsi. Sapeva che qualcosa si era mosso, doveva solo aspettare, darle il tempo giusto per riordinare le idee.
«La mia migliore amica ha il ragazzo. È felice, ed io non riesco ad esserlo per lei. Mi infastidisce la sua presenza, vorrei solo stare sola perché sola è più facile. Non devi stare con persone più felici di te, ci sei solo tu e la tua merdosissima solitudine e tutto è più rassicurante.»prese un lungo respiro mentre lui pesava le sue parole e si rendeva conto che erano esattamente la sua realtà. La realtà in cui si era costretto a vivere.
Tutte quelle puttanate che raccontava alle tv sulla dimensione non deprimente della solitudine, ma il bello del “ritrovare se stessi” grazie a questa, erano tutte cazzate per nascondere l’evidenza. Soli si sta meglio solo perché non si è costretti a sentir vacillare le proprie certezze. Ritrovarsi sputata addosso sotto forma di confidenze la vera natura delle sue parole non era di certo qualcosa di rassicurante. Vedere davanti ai suoi occhi spiattellate le sue bugie che spacciavo per valori assoluti, dogmi intoccabili era destabilizzante per Marco.
«E io odio essere così egoista! Perché vorrei essere come le protagoniste di Fan Fiction che sono assetate di dettagli porno su ogni cosa! Perché io non ci riesco? Come posso essere così stronza?» Dafne si stava sfogando con colui che ultimamente era il protagonista dei suoi pensieri e del suo iPod. Sapeva che non doveva farlo, che così facendo di sarebbero legati ancora di più e non era giusto, non doveva succedere. Lei non poteva permetterselo.
Si era legata sempre troppo a persone che aveva creduto diverse e che alla fine non volevano niente da lei. Si era sempre fatta troppi film mentali e aveva associato troppi volti a troppe canzoni immeritate. Adesso non sarebbe dovuto succedere perché in ballo non c’era una storiella, c’era molto di più.
Lui era Marco Mengoni. Cantante amato da ogni donna etero sulla faccia della terra che faceva scoppiare gli ormoni semplicemente cantando le sigle dei cartoni animati. Lui era quello che andava in giro vantandosi di essere libero e impossibile a innamorarsi. Bello e impossibile, come la storia vuole.
E lei chi era? Una normalissima amica della sua manager che qualche volta usciva con lui a bere un caffè. Niente di più.
Non doveva pensare che fosse niente di più anche se la sua vicinanza la rendeva nervosa e non era ancora troppo brava a fingere di non provare il minimo interesse.
«E poi, lo so che è stupido, ma il sabato era il nostro giorno. Il nostro giorno anche se ci annoiavamo a morte il più delle volte. Era solo per trovarci e non fare nulla, poltrire semplicemente sul divano! E ora lei è con lui. Quasi sempre.» Le parole le uscivano a fiotti, senza un’apparente logica, seguiva solo il flusso dei suoi pensieri, ma Marco riusciva a capirla, perché anche lui si era sentito in quel mondo moltissime volte e per questo era diventato così stronzo, come la gente mormorava, per evitare di stare sempre male come un coglione.
Annuiva mentre la vedeva trattenere le lacrime mentre continuava ad confessare forse per la prima volta ciò che le passava per la testa.
«E sai che cosa mi fa più vomitare? Che lei mi racconta le cose perché sono la sua migliore amica e l’unica alla quale non vede l’ora di dirle. E io cosa faccio? Vedo solo la mia sconfinata solitudine e non riesco ad aprire gli occhi e a sforzarmi almeno di essere felice per lei. Sai che ha detto oggi? – Domandò retorica sistemandosi sul sedile regalandogli una veloce occhiata – Ha detto che non voleva continuare a parlare del suo fidanzato perché magari a me avrebbe dato fastidio. Ora, non so se mi ha fatto più incazzare che mi consideri una gattara isterica e velenosa o il fatto che io lo sia davvero.» esclamò esasperata individuando in lontananza la via dove abitava Marco e azionando la freccia a sinistra.
«E il fatto che ne sto parlando a te lo conferma.» sconfitta dalle sue stesse parole mise in folle e si accasciò sul sedile improvvisamente spolpata, prosciugata da ogni energia.
E fu in quel momento che Marco la guardò e osservò i suoi lineamenti tesi e le occhiaie sotto agli occhi e improvvisamente capì di aver realizzato un suo desiderio, quello di scoprire cosa la facesse stare male. In quel momento Marco capì che lui non aveva mai desiderato nient’altro con quell’intensità e non era normale. Non era normale voler, ad ogni costo, conoscere le pene che tormentavano una povera normalissima ragazza. Non era normale neanche il fatto che, in quel momento lui avesse in corpo almeno mille tipi di emozioni diverse. Frustrazione, rabbia, felicità, paura, adrenalina, agitazione.. potevano starci in un solo ragazzo quelle e molte altre?
Ma soprattutto, poteva una sola persona avere nello stesso istante dei pensieri così contrastanti? Sì, perché se da un lato, il moro, voleva andarsene e lasciarsi ogni cosa alle spalle prima che diventasse qualcosa che non poteva reggere, dall’altro voleva solo portarla con se e rassicurarla anche per il resto dei suoi giorni, se sarebbe servito.
Il problema era che non poteva fare nessuna delle due cose, quindi cosa poteva dirle?
Fece un respiro e diede aria alla bocca con le prime cose che gli vennero in mente «Non sei una gattara isterica. Sei solo stanca.»
Quelle poche parole che si era sentito di dire, Marco, la destarono dal suo silenzio mentale e la costrinsero ad aprire gli occhi verso di lui.
«Marco, non è che perché adesso ti ho detto questa cosa che devi compatirmi.» si spiegò per evitare parole che avrebbe dovuto convincere la sua mente a cancellare poi.
«Guarda che io dico la verità. Sei solo stanca di stare sola, non sei una stronza come vuoi far credere.»
Colpita e affondata. Come vuoi far credere. Quattro parole erano bastate a sbriciolarle lo scudo che si creava con chiunque al di fuori di pochi eletti.
Marco, in poco tempo, aveva capito la verità. E la verità era che Dafne si nascondeva dietro all’involucro della stronza per proteggere una parte di lei che solo pochi avevano l’onore di conoscere, solo chi lo meritava davvero. Era la parte di lei sensibile e fragile, tremendamente fragile. Talmente tanto fragile da dover essere protetta da una scorza durissima, impenetrabile.
L’immagine di copertina che dava Dafne era alla stregua di un feroce drago che sorvegliava un castello in cui stava rinchiusa una principessa. Per questo molti avevano gettato la spugna impauriti dall’aspetto della belva, nessuno aveva intravisto, tra le fiamme, il cuore puro di quella ragazza.
Marco no.
«Che poi frequento un sacco di gente fidanzata da anni e non mi sono mai fatta di questi problemi, un po’ di depressione c’è, certamente, ma a questi livelli patologici è proprio inspiegabile!» Indecisa sulla risposta da dare che sembrasse più appropriata optò per un ritorno all’argomento iniziale, parlando così velocemente da stordire il povero ragazzo.
«Beh certamente.. – concordò lui trattenendo un sorriso – Lei è la tua migliore amica, è come se ci fosse un patto tra voi due.»
«Già» abbassò lo sguardo sulle sue mani poco curate e sospirò affranta.
«Però cioè è normale! – Tentò Marco - È la tua migliore amica, è chiaro che c’è una specie di regolamento non scritto per cui starete sempre insieme e tutte queste cose..» parlò modificando la sua voce, facendola diventare simile a quella di uno stilista aristocratico come faceva spesso, si vantava che gli venisse benissimo.
In effetti non aveva tutti i torti, Dafne gli sorrideva, quasi per compassione, ma gli sorrideva.
«Che poi a chette serve avere un ragazzo? Non vorrai mica schiacciare brufoli sulla schiena per il resto dei tuoi giorni!» riportò ciò che, quel giorno al bar, la rossa gli aveva rivelato dei discorsi delle sue colleghe sposate che si vantavano di schiacciare i brufoli sulla schiena dei loro mariti, avevano riso per parecchio tempo davanti a quel caffè. E anche in quel momento Dafne scoppiò definitivamente a ridere, dimenticandosi delle lacrime che si stavano asciugando sulla sua guancia, come se non servisse fare nient’altro in quel momento. Solo ascoltare il suono delle loro risate liberatorie. 
«Seriamente – continuò il moro tra le risate – io ti capisco, forse più di chiunque altro. Non sai quante volte ho dovuto fare da supporto (e spesso da Cupido) ai miei amici. Poi si fidanzavano e sparivano per un po’, poi tornavano. Quelli veri, soprattutto, c’erano un po’ meno, ma c’erano comunque. Voglio dire che so come ci si sente a non riuscire ad essere felici per qualcuno perché tu dentro senti come un vuoto, ti senti come se la tua vita non servisse a un ca.. Cioè, hai capito che ti sto dicendo? Non voglio che credi che te sto a fa’ ‘a predica, voglio che tu capisca che io ti parlo come persona che vive quotidianamente tutte le tue frustrazioni, non sei sola.»
E di nuovo, Dafne sentì la corazza abbassarsi, e un improvviso caldo nel petto non  le lasciò scampo, riprese a piangere, il più silenziosamente possibile per evitare di essere vista.
Intuendo ciò che stava accadendo, Marco continuò a parlare, come se, improvvisamente, sentisse il bisogno di dirle quello che gli passava per la testa e come se tutto d’un tratto parlare fosse diventata la cosa che sapeva fare meglio.
Si slacciò la cintura e si voltò meglio verso di lei che, con la testa girata verso il suo finestrino si sfogava bagnandosi la maglietta. «Ti dirò una cosa che non ho mai detto a nessuno perché credevo non ce ne fosse bisogno.» sussurrò e attirò la sua attenzione.
«Avevo un amico, una volta. Molto amico. Era forse il migliore amico che io abbia mai avuto. Beh, questo, poco dopo che mi ero lasciato con Claudia, si è trovato la ragazza. Puoi immaginarti la tragedia. Io che sono proprio poco drammatico me la sono presa come non mai con lui che, poretto, non c’entrava niente. Ma oh, niente da fare! Lui aveva la fidanzata e si era dimenticato de sto sfigato col cuore spezzato. Che poi, a ‘na certa dici anche basta, no? Vojo dì, ok tutto il dolore del mondo, ma fino a un certo punto, non è che puoi star male tutta la vita per la stessa persona.
Beh fatto stà che con Gianluca non ho più parlato perché mi ero legato al dito sta cosa dell’amicizia vera che non si mette da parte per una storia d’amore che, probabilmente, finirà. Alla fine lui si è sposato co’ questa tra l’altro. Lo stronzo sono stato io che l’ho allontanato ancora prima che succedesse qualcosa.
Ma sai che te dico? Ho capito una cosa grazie a Gianluca: che siamo persone con sentimenti e per quanto ci sforziamo di mettere l’altro prima di noi, ogni tanto cadiamo e ce la prendiamo per cose che, oggettivamente, reputiamo stupide, ma che nella realtà dei fatti non riusciamo ad allontanare da noi. E così con la tua amica! Tu vorresti starle vicino, ma non ci riesci perché il tuo malessere e la tua frustrazione, sono troppo potenti per permetterti di vivere serenamente la sua felicità. Non sei stronza, sei solo umana.» concluse colpendola nel profondo e scoprendosi molto più del dovuto. Perché raccontando quell’episodio, non solo aveva svelato di aver sofferto come un cane anche troppo, ma si era spogliato davanti a lei, lasciandole vedere chiare le sue insicurezze di sempre.
In più aveva trovato un modo per dare un consiglio a una come Dafne che i consigli li aveva sempre odiati.
«Perché lo fai?» chiese lei, dopo infiniti minuti di silenzio.
«Perché lo faccio, cosa?» domandò in risposta.
«Perché mi racconti queste cose, perché stai qui a parlare con me quando potresti essere a festeggiare, dormire o che ne so io?» chiese esasperata. Senza capire cosa volesse sentirsi dire in risposta, senza capire che cosa volesse da Marco e sentendo solo un’enorme confusione in testa.
Il moro se ne stava in silenzio guardando dritto davanti a sé con lo sguardo assente. Poi, all’improvviso, parlò. E ciò che disse non era nelle aspettative.
«Il fatto è che ne ho bisogno. Ho bisogno di parlare con te. – Deglutì e prese un enorme respiro. Se prima gli riusciva naturale, ora, per continuare a parlare, doveva raccogliere ogni briciolo di coraggio che aveva in corpo e mescolarlo ai pochi residui di calma che possedeva. – Il problema, Dafne, è che sei entrata nella mia vita senza chiedere nemmeno permesso e mi hai stravolto la quotidianità. Perché prima mai e poi mai mi sarei sognato di fare le passeggiate a piedi, voglio dire, hai presente dove abiti? A chilometri da casa mia! Prima credi che avrei mai mosso così tanto il culo per fare una semplice “passeggiata”? E la cosa frustrante è che ne ho bisogno. Ho bisogno di vederti perché, incredibilmente solo con te riesco ad essere semplicemente Marco. Nessuna fama, nessun concerto, nessun fotografo, nessuna intervista. Posso dire quello che mi pare, posso stare come mi pare e posso comportarmi come cazzo mi pare. E se da un lato è fantastico dall’altro è limitante. È brutto poter essere se stessi con una persona sola al mondo. Con te.»
«Perché, che ho che non va?» Dafne sputò subito ciò che le era appena passato per la testa, la domanda spontanea, senza filtri che era comparsa come un fulmine, dopo aver trattenuto il fiato fino a quel momento.
«Tu nulla. È il mio mestiere che non mi permette di creare relazioni.» il suo tono non era più quello esasperato di poco prima, era calmo, quasi rassegnato. Le si strinse il cuore nel vedere che, anche lui, quello che dava l’idea di essere uno che aveva solo bisogno di una sigaretta per stare sereno, in fondo, soffriva la sua situazione, ma la reputava – come lei – troppo inutile da esprimere.
«Non è detto. Il futuro non è mica scritto.» si sforzò di sorridere lei per tornare a godere del suo sorriso.
«Dici?» si voltò a guardarla con occhi complici, quasi a chiedere il permesso di guardare dentro la sua anima per capire quali fossero le sue intenzioni, i suoi pensieri, i suoi desideri.
«Dico. Il destino non esiste. Noi scriviamo la nostra storia.» sorrise lei incurante del brivido che percorse le loro schiene contemporaneamente mentre quella frase veniva pronunciata.
«In fondo – continuò – Avevo un amico che non credeva che sarebbe riuscito a fare così tanti chilometri solo per passeggiare. Ed io non credevo esistesse al mondo qualcosa in grado di darmi un motivo per considerare ogni giornata stupenda.» concluse sentendo il suo cuore uscirle dalla gola.
Marco sorrise finalmente leggero. E fu come se il suo sorriso fosse l’estensione di quello di Dafne che non riusciva a chiudere le labbra, paralizzata.
 

Spazio me.
Devo innanzitutto scusarmi con chiunque stia leggendo qualcosa di incompiuto di mio, ma l'ispirazione manca e il tempo per scrivere pure, quindi sorry.
Arrivo con questa OneShot che è spuntata così dal nulla una sera a mezzanotte ed è stata conclusa alle 3, quindi scusate per ogni eventuale errore troviate.
Se state leggendo questa noia di spazio autrice vuol dire che avete letto anche tutto il resto e vi ringrazio infinitamente.
Perciò, basta. Grazie a tutti!!
PS: Non può mancare il grazie a Emma che mi sopporta in ogni luogo. GRAZIE.

  
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