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Autore: LouVelessy    27/05/2013    3 recensioni
Quando ti chiami Harry Styles, ma tutti ti chiamano "il cieco", perchè tutto quello che vedono di te è solo un paio di occhiali da sole ed un bastone che ti aiuta a muoverti, costretto ad ascoltare i loro commenti cattivi, è difficile mostrarsi per quello che sei realmente.
Quando ti chiami Louis Tomlinson, ma tutti ti chiamano "il Tommo", attenti ad evitarti quando incontrano il tuo sguardo, quasi impauriti da quello che potresti fargli solo perchè ti guardano, è facile lasciarli fare per evitare rogne.
Tutti indossano una maschera, e nessuno si mostra per quel che è.
Fidarsi è la cosa più difficile da fare. Sempre.
{ Harry è un ragazzo di 16 anni, ipovedente. Louis potrebbe essere definito per semplificazione un bullo. }
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nonostante la campanella avvisasse della fine dell’ora di pranzo, Harry rimase seduto allo stesso posto che aveva conquistato dopo il breve incontro con Zayn. Sentiva gli altri studenti affollare l’uscita, riversandosi prima nel corridoio e poi nelle varie aule. Una volta rimasto solo, o quantomeno senza più quella gran calca intorno, tirò fuori dalla tasca dei jeans il proprio cellulare, che non aveva nulla a che fare con uno smartphone di ultima generazione. Piuttosto avrebbe ricordato uno di quegli apparecchi telefonici in stile anni novanta, tasti abbastanza grandi e i numeri scritti in braille. Davvero nulla di decisamente carino o alla moda. Gli bastò premere il tasto 3 ed inviare la chiamata, che automaticamente si compose il numero di Gemma prima di partire la telefonata.

“Harry! Che succede?”

“Devi venirmi a prendere Gem… Sono in mensa. Non sto bene..”

Aveva il cuore in gola, le gambe molli e una strana sensazione di impotenza alla bocca dello stomaco. Le mani gli tremavano, nonostante si fosse impegnato a mantenere la calma il più possibile. Ma il corpo del ragazzo aveva reazioni quasi sempre spropositate per alcuni particolari avvenimenti, come il sentirsi minacciato da qualcuno che non solo non conosceva, ma che gli aveva anche messo le mani alla gola. Mantenere la calma in un momento come quello gli sembrò la cosa più difficile da fare al mondo, pur considerando tutto l’impegno che potesse metterci.

La sorella non attese alcuna spiegazione, né tantomeno chiese dettagli o particolari sull’entità del malore di Harry. Semplicemente riagganciò, dopo aver aggiunto un breve “arrivo”. Non aveva bisogno di capire, almeno non al momento. Solo il fatto che il ragazzo avesse chiamato la preoccupava, poiché il riccio era sempre stato abbastanza sicuro nel voler fare tutto da solo. Rimase immobile, con il cellulare in mano, gli occhi aperti, coperti dalle lenti scure, il bastone nell’altra mano. In uno stato quasi di shock, come se non arrivasse abbastanza sangue al cervello. Non aveva nemmeno le idee chiare, nonostante l’unica cosa alla quale riusciva a pensare era una costante autoaccusa riguardo al livello di pateticità che stava raggiungendo, solo con il fatto di aver chiamato la sorella per farsi aiutare.

Passarono diversi minuti, prima che sentisse dei passi, qualcuno che entrava nella mensa. Ma era proprio impossibile che si trattasse già di Gemma. E poi, i passi della sorella li avrebbe sempre riconosciuti, qualsiasi sarebbe stata la superficie che ricopriva il pavimento o il particolare paio di calzature da lei indossate. Era la cadenza, il ritmo dei passi, la cosa che riconosceva.

“Va tutto bene?” si irrigidì quando quegli stessi passi si fermarono, a poca distanza da lui, ma semplicemente perché il tavolo che occupava era davvero vicinissimo all’ingresso. Annuì, anche se in maniera quasi goffa, data la tensione dei propri muscoli. Inoltre aveva riconosciuto la voce che gli parlava, il che non gli dava sicurezza alcuna. Si trattava di quel Tommo, c’avrebbe scommesso.

“Ti serve una mano?” la distanza tra lui ed il suo interlocutore non diminuì affatto. Restavano entrambi nelle proprie posizioni.

“Non ho bisogno di nessuna mano. Non mi serve niente. Ce la faccio da solo.” Il tono di Harry risuonò come irato, misto però a quell’ansia che si era oramai impossessata di lui.

“Non ti scaldare!” mise a tacere il riccio, interrompendo il fiotto di parole che stava uscendo dalle sue labbra. “Zayn è un imbecille, e non sei stato tanto furbo a pungolarlo, permettimelo.” aggiunse stizzito l’altro, cominciando a rumoreggiare con i vassoi impilati di fianco all’ingresso.

“Non ho pungolato nessuno, è stato lui ad offendere la mia amica senza una ragione. Cosa avrei dovuto fare? Lasciarlo continuare a riempirla di cattiverie? No grazie.”

“Sarebbe stata un’idea. Si sarebbe stancato se lei non avesse continuato a dargli corda, errore che commette chiunque venga preso di mira, e non capisco il motivo. Sarebbe finito tutto lì, con qualche battutina.” Continuava ad accatastare vassoi, ed il rumore di plastica procurava un certo fastidio ad Harry, essendo un fascio di nervi, ma lasciò correre. “Dovreste imparare ad aver a che fare con persone come Zayn. Basta evitarci. Vivreste meglio.”

Evitarci. Era ancora più chiaro il fatto che quel Tommo facesse parte della gag di Zayn, probabilmente catalogabili come i bulli della scuola, considerando l’atteggiamento del secondo più che del primo. Ed il fatto che Zayn sia stato ad ascoltare quello che gli veniva chiesto dal ragazzo, ovvero di lasciar perdere, gli rendeva chiaro che erano su due gradini differenti. Era come se facessero parte di una scala sociale, e Zayn era ad almeno un gradino più in basso del Tommo.

"Non mi sembravi come lui..." sussurrò appena. Ma l'altro si limitò ad armeggiare ancora di più con i vassoi in plastica, come se il rumore provocato dalla plastica potesse coprire le parole di Harry. “Comunque non sono abituato ad aver paura delle persone, sai com’è. Di solito sono loro che lasciano perdere me.” Il riccio non sembrava voler lasciar perdere la storia, spinto forse dal fatto che Gemma sarebbe arrivata presto, e di sicuro l’avrebbe difeso in caso di necessità. O forse semplicemente perché il discorso non gli filava, e cocciuto come al solito non gli bastava lo spavento appena preso, che ancora gli faceva tremare le gambe.

“Ah si? E perché? Cos’hai di diverso dagli altri?” domandò, sbeffeggiandolo quasi, senza fermarsi dal riordinare i vassoi, creando ancora quel rumore di plastica.

Harry rimase in silenzio, allargando semplicemente le braccia, come a volergli mostrare tutto sé stesso. No, non si sentiva diverso per molti aspetti, ma in certi casi la differenza era evidente. Non poteva difendersi dagli spintoni a sorpresa, ad esempio. O non poteva prevedere quando gli si attaccavano le mani alla gola. Era di sicuro da considerarsi una posizione di svantaggio! Il Tommo si fermò, ed Harry sapeva che i suoi occhi lo stavano studiando. Era come se sentisse il peso di quello sguardo su di sé. Ma poco dopo ricominciò il rumore di vassoi.

“E allora?” aggiunse semplicemente, con sufficienza, come se quello che il riccio gli aveva mostrato non gli bastasse.

“E allora?!” domandò Harry, stizzito. “Secondo te è bello prendersela con un ipovedente? Chiaramente non posso difendermi!” e nel momento stesso in cui quelle parole uscirono dalla sua bocca, si stupì. Non era per nulla d’accordo con quello che aveva appena detto, anzi. Era sempre stato deciso nell’affermare il contrario, soprattutto nelle discussioni avute con la madre iperprotettiva.

“Ma per favore!” rispose il Tommo. “Sei patetico. Vai in giro con un bastone sempre pronto a colpire qualcuno nelle palle e ti reputi indifeso?” sbuffò, passandogli vicinissimo, con la voce sotto sforzo. Probabilmente portando quei pesanti vassoi. “Fossi stato in te non c’avrei pensato due volte a colpirlo. Il problema non è che non ci vedi, fidati!”

“E quale sarebbe allora il problema?” anche il tono del riccio si fece più deciso, rispetto a qualche battuta precedente.

“Ah non lo so, ma non è di sicuro quello che credi. Se tirassi fuori le palle ogni tanto, ti rispetterebbero per quello che sei e non perché sei un povero cieco come vuoi far pensare, perché sostanzialmente ti conviene.”

“Non voglio far pensare a nessuno che sono un povero cieco, anche perché non mi ci reputo. Quindi, hai sbagliato persona.”

“Non sono stato io a riferirmi al fatto che sei ipovedente nel giustificare il motivo per il quale bisognerebbe lasciarti perdere. Chiarisciti le idee, ne hai bisogno.”

Se c’era una cosa, tra le tante, che mandava in bestia Harry in qualsiasi circostanza si trovasse, era proprio il fatto di non riuscire a spiegarsi, ad aver ragione come credeva sempre d’avere in fin dei conti. E spesso, anche quando c’era da ammettere che la ragione non era dalla propria nemmeno a sé stesso, rischiava di intavolare lunghe discussioni in cui rigirava le parole, per finire sempre con la ragione dalla propria. Bene, il Tommo l’aveva appena fregato tagliando il discorso prima ancora che potesse cominciarlo. Fu costretto a rimanere in silenzio, sentendo i passi dell’altro allontanarsi fino alla parte alta della sala mensa. Pochi attimi e quelli che percepì erano decisamente i passi della sorella.

“Harry!” aveva un leggero fiatone, ma più che altro era sorpresa, forse dal fatto di trovarselo in piedi, ancora a braccia aperte, immobilizzato così dalle parole del Tommo che l’avevano praticamente freddato. “Che diamine succede? Che hai?” gli passò una mano sul braccio, leggera, per fargli sentire la propria presenza. Poteva farlo. Era una delle poche persone che potevano toccarlo senza preavviso. Questione di fiducia.

“Sto bene…” biascicò lui.

“Stai bene e mi hai chiamato? Che succede. Siediti.”

“No davvero, sto bene. Ce la faccio.”

“Mi prendi in giro?!” domandò stizzita. “Mi sono catapultata qui e ora stai bene?!”

I passi del Tommo tornarono indietro, verso l’uscita e quindi il tavolo di fianco ad Harry, che urlò quasi “Sto bene ti ho detto!” per farsi sentire da lui, come se dovesse dimostrargli qualche cosa. Solo quando sentì i passi dell’altro uscire dalla sala ed allontanarsi, tirò un sospiro, indietreggiando fino a sentire la panca dietro le ginocchia, mettendosi a sedere.

“Cos’è successo con quel ragazzo?” Lo conosceva. Conosceva il fratello così bene da sapere che c’entrava qualche cosa quello che era appena passato. E poi, era così chiaro.

“Ho preso parte ad una specie di rissa oggi…” nonostante Gemma non rispose, percepì il suo stupore. “Un ragazzo s’è messo ad offendere Bridget e mi sono messo in mezzo, senza pensarci… e m’ha preso per il collo e…”

“Quel ragazzo che è appena passato?” se Harry non l’avesse fermata, probabilmente due attimi dopo già avrebbe tirato un paio di pugni in faccia al Tommo.

“Non lui, un altro. Lui ha fatto in modo che mi lasciasse andare. Mi sono spaventato, Gem.” Aggiunse in poco più che un sussurro.

“Quante volte devo ripeterti che devi evitare i casini Harry. Le teste calde non sono proprio il massimo per te.”

“E quindi avrei dovuto starmene da parte mentre offendevano Bridget?”

“Non mi sorprenderei se lo facessero.” Concluse semplicemente.

“Gemma!” aggiunse Harry infastidito, sbottando.

“Al liceo è normale Harry! Avrà una trentina di chili in più del dovuto! E’ un soggetto facile da puntare! Non sto dicendo che facciano bene e che sia giusto, solo che è quasi normale. Anche io al liceo era presa di mira per l’apparecchio. Purtroppo è una realtà, c’è poco da fare. E tu sicuramente puoi fare meno degli altri.”

Poggiò leggera una mano sulla spalla del fratello, passando il pollice a carezzarla, cosa che sapeva dargli una certa pace. Recuperarono le poche cose che ancora aveva in giro, e dopo aver avvisato Miss Sophie con un semplice messaggio da parte di Gemma, si avviarono verso casa. La voglia di continuare l’ultima lezione pomeridiana era propria assente. Ed in certi casi è meglio perdere tempo, piuttosto che forzarsi a seguire una lezione dalla quale non si apprenderebbe nulla per via dello stato d’animo negativo.

“Non dire nulla alla mamma, Gem.”

“E tu non metterti nei guai.”



 

***



 

Nel pomeriggio, mentre era intento a trascrivere in braille, con l’apposita macchina da scrivere, alcune audiocassette registrate in classe l’anno precedente, riguardo lezioni che aveva bisogno di ripassare, la madre lo chiamò dal piano di sotto. C’erano visite per lui. E quando gli si prospettava la possibilità di visite in casa, l’unica persona che andava liberamente a visitarlo era una. Niall. Lasciò perdere gli appunti, e si precipitò letteralmente al piano di sotto, anche se l’idea del precipitarsi di Harry era parecchio diversa dal normale. Ci mise la metà del tempo solito, ma comunque non fu velocissimo ecco, per ovvi motivi. Aveva bisogno di alcuni tempi tecnici, alla quale però tutti quelli che lo conoscevano bene erano abituati. Compreso Niall.

“Passavo di qua…” si giustificò, accogliendolo con un mezzo abbraccio una volta che l’amico si ritrovò giù dall’ultimo gradino. Abbraccio che il riccio apprezzò parecchio. Anche Niall rientrava nella schiera di quelli che potevano liberamente avere un contatto fisico con Harry. Anzi, era l’unico ad eccezion fatta dei genitori e della sorella.

“Hai fatto benissimo a fermarti! Che mi racconti? Ricominciato i corsi?” si spostarono in salone, e senza perdere tempo entrambi presero posto sull’enorme divano a forma di L che li accoglieva comodamente entrambi.

“Si, ieri. Tu che mi dici? Hai sempre quella strafiga di insegnante che ti segue ovunque?”

“Non proprio ovunque Niall.” Lo corresse Harry, sghignazzando. “Comunque si, sempre lei per fortuna. Ho conosciuto una ragazza anche!” sembrava entusiasta nel tono.

“Addirittura hai conosciuto una ragazza?! E dimmi di lei allora! Voglio sapere ogni cosa!” Niall gongolava.

“Abbiamo scambiato due chiacchiere, niente di che. Ma almeno non m’ha chiesto le solite cose che odio, sai. Vuoi una mano? Ti porto la cartella?” e sbuffò, stanco solo all’idea di dover affrontare sempre situazioni del genere. “E in più oggi ho avuto un incontro ravvicinato con un ragazzo…”

“Styles!” quasi stupito Niall gli si fece più vicino. “Ravvicinato in che senso? Ho sempre avuto un certo dubbio ma non credevo che già al secondo giorno…”

“Di cosa cazzo parli Horan!” Harry scoppiò a ridere “Non quel genere di incontro! Uno s’è messo ad offendere Bridget e io l’ho affrontato! E lui m’ha preso per il collo. Ma è durato poco, perché gli ho tirato un colpo nelle palle.” Aggiunse con fierezza, raccontando così non proprio la verità.

“Veramente non è andata proprio così…” il riccio si irrigidì nel sentire provenire dall’ingresso la voce di Bridget. “Gemma mi ha fatta entrare, ho preso il tuo indirizzo in segreteria. Ma continua a raccontare al tuo amico come hai fatto l’eroe oggi…” aveva un certo tono di sfida.

“Niall, lei è Bridget, la ragazza che ho conosciuto ieri. Lui è Niall, il mio miglior amico.” I due si salutarono, restando fermi ai propri posti. Bridget sulla porta e Niall sul divano.

“E quindi l’hai colpito con un calcio rotante?” comprendendo la situazione, l’amico non tardò a prenderlo in giro.

“E va bene, m’ha preso per il collo.” Tagliò a corto, voltandosi in direzione di Bridget. “Perché sei qui?”

“Volevo scusarmi. Ho reagito male oggi, ma perché non sono abituata a certe cose. So difendermi da sola. Quindi la prossima volta evita di fare l’eroe, anche perché non ti viene benissimo…” lo punzecchiò non solo con le parole, ma anche con il tono.

“Vorrà dire che la prossima volta me ne starò sulle mie, che è quelo che ho sempre fatto, evitando così di finire strozzato in sala mensa! Grazie per il consiglio!”

“Non c’è di che!” aggiunse lei, sempre sulla porta.

“Trattami bene Styles sah.” Il tono di Niall non era per nulla minaccioso, anzi. “Non ci sa fare con le ragazze, povera stella…”

“Niall.” Harry non sembrava entusiasta dell’argomento intavolato. Dal rossore che era improvvisamente comparso sulle sue gote, era chiarissimo il fatto che il riccio sapeva poco e nulla di quel genere di cose. A sedici anni non aveva nemmeno mai baciato qualcuno. Era difficile per lui, più che per gli altri, in quanto la difficoltà che provava nel contatto fisico era una delle cose che proprio non riusciva a superare. Lo psicologo che di tanto in tanto lo seguiva, soprattutto nei primi anni, quando la vista peggiorò drasticamente, gli suggerì di prenderla con calma, perché era una fase. Sarebbe passato. Eppure fidarsi delle persone era sempre più difficile, man mano che cresceva.

“C’avrei scommesso!” commentò Bridget, sghignazzando.

“E’ una congiura?” commentò il riccio, mettendosi a sedere, per far posto alla ragazza probabilmente. “Ce l’avete con me e la mia mascolinità?”

“La tua mascolinità, si… quando la trovi, chiamami eh!” il biondo sembrava divertirsi nel prendersi gioco dell’amico.

“Ho più mascolinità io di te, Harry. Mi spiace deluderti…” e anche a Bridget non sembrava affatto dispiacere.

“E va bene! Va bene, discorso chiuso!” Harry allargò entrambe le braccia, con fare  colpevole. “Volete qualche cosa da bere, vero?”

Chiamò a rapporto la sorella, costringendola a fare da cameriera per lui. C’erano sempre degli aspetti positivi nella condizione in cui si trovava a vivere. Portare un vassoio con dei bicchieri pieni di soda dalla cucina alla sala? Una missione impossibile. Cominciarono a chiacchierare come chiunque avrebbe comunemente fatto, soprattutto Bridget e Niall, lasciando il riccio un po’ in disparte, forse troppo perso in qualche strano pensiero, molto più probabilmente tra le parole di Gemma riguardo l’altra ragazza. Almeno fino a quando il telefono di Niall, puntuale quasi, non gli squillò in tasca, e fu costretto ad allontanarsi appena per rispondere. Aveva qualche cosa da nascondere probabilmente, ma Harry sapeva bene di chi potesse trattarsi. Juliette, la sua ragazza da un’eternità di tempo. Sarebbero finiti con lo sposarsi, come minimo. Anche se a lei, per chissà quale motivo, non andava molto a genio l’amico ipovedente di Niall.

Il silenzio che piombò in sala era quasi assordante. Per come la immaginava il riccio, Bridget si guardava intorno imbarazzata. “Posso chiederti una cosa Harry?” evidentemente non stava facendo quello che immaginava. Si limitò ad annuire, attendendo in silenzio, senza alcuna idea.

“Da oggi mi eviterai?” sul volto del ragazzo comparve una smorfia perplessa. “Hai capito a cosa mi riferisco su, non fare quella faccia.”

“Veramente no, non ho capito a cosa ti riferisci. Perché dovrei evitarti?”

“Per quello che ti ha di sicuro detto tua sorella, e ti dirà il tuo amico appena vado via.”

“Ovvero?” faceva fatica a seguire il filo del discorso.

Bridget sbuffò, infastidita. “A come sono fatta, Styles.” Sbottò subito dopo.

“E come sei fatta?” ma non attese alcuna risposta da parte della ragazza. Non le diede nemmeno il tempo di farlo, perché continuò il proprio discorso. “Non so se te ne sei reso conto, ma l’aspetto fisico delle persone non rientra tra i miei interessi. Non me ne faccio molto, del resto. A meno che tu non stia pressocchè immobile al buio, ma anche lì ci sono pochissime probabilità che la cosa possa interessarmi, credimi.” Bridget continuava a stare in silenzio, limitandosi a sospirare alla fine del discorso del riccio.

“Dici davvero?” aggiunse, dopo diversi attimi, quasi avesse avuto bisogno di immagazzinare le parole di Harry, che quasi incredulo le si avvicinò, mettendosi a sedere più vicino alla ragazza, provando a passarle un braccio dietro alle spalle, in quel modo goffo che però riusciva a trasformare con simpatia, essendo una persona prevalentemente positiva ed allegra.

“Dico davvero Bridget… Stai tranquilla.”

Rimasero così, per diversi momenti. Immobili. Il braccio di Harry circondava le spalle di Bridget, e per la prima volta, con calma, poteva rendersi conto della presenza fisica della ragazza. Lei, dal canto suo, stava ferma a guardarlo, memorizzando probabilmente ogni minimo dettaglio del suo viso, considerando la loro vicinanza. Nessuno dei due sembrava mostrare segni di imbarazzo. Avevano trovato una sorta di linea d’equilibrio, dove entrambi sembravano sentirsi al sicuro. Almeno fino a quando entrò Niall, e la sua presenza, improvvisamente, spezzò quel che di magico.






________________________________________________note_autore___

Salve, sempre me.
La storia procede, e sono contenta che c'è chi la segue.
Così come sono contenta del fatto che suscita la curiosi-
tà di qualcuno. Quando mi fate domande al riguardo,
mi sento davvero felice. Come sempre, potete scrivermi
anche messaggi privati o su twitter (mi trovate come
@LouVelessy) per qualsiasi curiosità :)
E se volete essere avvertite all'uscita del prossimo capitolo,
basterà aggiungere la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Grazie sempre di ogni cosa,
non posterei la storia se non fosse per voi che la seguite :)
Un bacio,
Giulia.

  
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