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Autore: Dyanna    12/12/2007    0 recensioni
1908: la vita di Bianca viene scossa da violente tragedie.... riuscirà a trovare la sua strada?riuscirà a trovare se stessa e a combattere i demoni del suo passato? un mondo sconosciuto le si rivela e le sue certezze crollano...
Genere: Romantico, Thriller, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Questa è la storia di una ragazza

Questa è la storia di una ragazza.

Una sedicenne dall’animo turbato… il suo nome era Bianca, anzi lo è ancora.

Io, sono soltanto un’altra anima che è riuscita a trovare la pace. Ebbene, io, che amo voi esseri umani più di ogni altra cosa, vi voglio mostrare quanto Bianca fosse importante per il mondo. Voglio farvi vedere l’amore che hanno visto i miei occhi. Il mio nome sarà un eco, un sussurro, alla fine di questa storia.

 

 

 

 

 

 

Capitolo primo. BIANCA SMITHERLEY

 

 

 

A quei tempi, vivevo con la mia famiglia in quella meravigliosa città che era Innsbruck. Mi mancava tuttavia la mia città natale, anzi, le mie città natali! Lincoln, la città inglese di mio padre Frederik e la ricca Venezia, città dove nacque mio nonno Umberto, che successivamente si trasferì a Parigi dove nacque mia madre Claudia.

Innsbruck, tuttavia, mi rasenerava. Ogni mattina, prima di seguire mia madre alla chiesa di Hofkiche, guardavo le splendide montagne imbiancate che si innalzavano proprio sulla valle dove stava la nostra città. Non eravamo ricchi, così io non sapevo né leggere né scrivere, sapevo suonare il pianoforte, pero! Mia madre aveva imparato dal curato del paese e suonava in chiesa la domenica. Così mi insegnò. Mio padre era figlio di un agricoltore e ora avevamo una fattoria sulla montagna, con tante capre, alcune mucche e delle galline. Non bastavano ad arricchirci, soprattutto con le gelate di quel periodo. Tuttavia eravamo felici. Avevo un fratello e una sorella più grandi e uno più piccolo. Si chiamavano Oscar, Maria e Amadeo. E ci volevamo molto bene. Oscar, lavorava con nostro padre nella fattoria e su nei monti; Maria si era sposata da poco con un insegnante del paese. Io avevo quasi quattordici anni e aiutavo mia madre ad occuparsi di Amadeo e della casa. Vivevo semplicemente, come continuo a fare ora, a distanza di un anno.

 

Mi svegliai. Il sole era appena sorto sulle montagne e le rendeva di uno stupendo colore perlato. Ero l’unica sveglia nella mia stanza, che dividevo con i miei fratelli. Come potevano essere così belle le montagne all’alba? Le adoravo. Mi voltai a guardare Oscar che dormiva. Quanto era bello il mio fratello… aveva gli stessi capelli biondi di nostro padre e gli occhi castani, così vividi e lucenti. Aveva appena diciannove anni… Un vero angelo, soprattutto quando dormiva. Mi vestii e andai a preparare la colazione per il mio adorato fratello e per mio padre. Mia madre stava seduta sulla sedia a dondolo di legno intagliato mentre cullava Amadeo.

“Bianca, sei già sveglia?” mi disse dolcemente.

“Sì, madre, preparo la colazione ad Oscar e al papà.” Risposi prendendo il latte dal grosso recipiente di metallo e versandolo in sbeccate tazze di porcellana ingrigita. Presi due uova dal cesto sotto il tavolo della tinozza, facendo volare la gallina che ci stava seduta sopra e le misi a cuocere sul fuoco che aveva appena acceso mia madre.

“Che brava figlia che sei, Bianca… sono sicura che quando ti sposerai tuo marito sarà orgoglioso di avere una moglie così!” disse sorridendomi e abbracciandomi.

“ti ringrazio mamma, ti voglio bene!” risposi.

Quella mattina andai su alla fattoria con mio fratello Oscar, per prendere legna e latte.

Mentre salivamo sentii il vento soffiare sul mio viso… Non so come ma non mi piaceva. Mi fermai. “Bianca? Che fai? Su, cammina, non sarai stanca spero…” disse Oscar facendomi riprendere il cammino. Era un brutto presentimento quello che sentivo, ecco cosa era! Sarebbe successo qualcosa sulla montagna? Oscar continuava a camminare e io, ancora spaventata, lo seguii.

La strada non era molto lunga, ma quel vento continuava, insisteva, e la fattoria sembrava sempre più lontana. Finalmente arrivammo. Era strano, poche ore prima non c’era una nuvola in cielo ed ora? Quel vento stava portando nuvoloni così grossi da oscurare il sole. Oscar guardò le nuvole. “Che strano” disse “eppure stamattina non c’era tutto questo vento!” e tornò a caricare la legna sul carretto. Io andai dentro la fattoria a prendere un po’ di paglia.

Ci incamminammo quasi subito per paura della pioggia, dato che le nuvole che si stavano avvicinando. A metà strada, improvvisamente, sentimmo la terra tremare. “Un terremoto!” urlai. Il rumore era assordante, non riuscivamo a parlarci. Oscar mi disse urlando di correre a casa, che lui sarebbe rimasto con la legna e il latte sul carretto. E così feci.

Corsi, corsi, corsi finché arrivai a casa. Mia madre era sconvolta e in lacrime e mentre Amadeo piangeva riuscì a dirmi che papà era rimasto su alla fattoria, che ci aveva seguito.

“Ma non l’abbiamo visto! Non era con noi!” risposi urlando. Non riuscivo a vederla così sconvolta… continuava a piangere mentre raccoglieva tutto ciò che cadeva dai pochi mobili che avevamo. Piatti, posate, scatole…

Il terremoto continuava. Guardai fuori dalla finestra. Guardai le mie adorate montagne. Tremavano… o ero io che tremavo? Non so dirlo, so solo che vidi la nostra fattoria, un piccola casetta da laggiù. Pochi secondi. Sentii un assordante rombo, quasi un’esplosione. La fattoria non c’era più. Il fianco della montagna era di un bianco acceso, la neve della valanga era arrivata come una tormenta fino alle prime case della città. Trattenni il respiro per qualche secondo continuando a fissare dove pochi minuti prima c’era la nostra fattoria. La mia adorata montagna. Terribile, orrenda, adorata montagna. Tutti erano per le strade. Li vidi urlare, piangere, correre verso la montagna. Io non piangevo… “Potrebbero essere ancora vivi!” mi dissi tra me. Impossibile. E anche se fosse ci sarebbero voluti giorni, forse settimane per trovarli.

Trovai Maria di fronte alla porta di casa “Bianca! Stai bene, grazie a Dio! Come stanno gli altri?” chiese abbracciandomi, baciandomi e accarezzandomi i lunghi boccoli neri. Indicai la porta. Non avevo voglia di parlare.

Passò tutta una giornata, gli uomini salirono sulle montagne per le ricerche, la mamma continuava a piangere, consolata dalle comari del paese. Amadeo dormiva nell’altra stanza, come un piccolo angelo dalle guance arrossate dal pianto; Maria preparava la cena mentre parlava sottovoce con suo marito Karl. Io ero stufa di stare lì, non sopportavo mia madre piangere, né i sussurri di Maria, né il respiro delicato di Amadeo che dormiva. Niente. Così uscii. Nessuno se ne accorse. Era ormai sera.

 Il tramonto illuminava la montagna di un rosso sangue. Sangue. Chissà se papà e Oscar hanno sofferto… “spero sia stata una morte veloce…” pensai. Il mio sguardo tornò alla montagna… maledetta montagna. “Sembri così immobile adesso… così bella, così affascinante…e invece? Hai appena portato via metà della mia famiglia…” pensai prima di girarmi e urlare “Maledetta!” con tutta la forza che avevo in corpo. L’odio era più forte della tristezza che avrei dovuto provare. Non riuscivo a piangere, anche se avrei voluto…

Arrivai fino al centro della città… alla piazza centrale. La fontana continuava a spruzzare acqua gelida dalle grandi brocche tenute da tre piccoli angeli paffuti. Mi sedetti sul bordo della vasca e guardai il mio riflesso sull’acqua… ero orribile. I capelli erano spettinati, gli occhi inespressivi tradivano il mio profondo turbamento. Gli angoli della bocca erano all’ingiù, in una smorfia imbronciata… “Sono un mostro. Non ho pianto una lacrima per mio padre e mio fratello. Non ho pianto… sono un mostro.” Mi dissi guardandomi ancora nell’acqua. Rimasi con i miei pensieri turbati fino a notte fonda, quando decisi di tornare a casa.

Maria mi aspettava sulla porta, seduta sui gradini. Sembrava così matura pur avendo solo diciotto anni, i suoi capelli biondi erano più luminosi dell’ultima volta che l’avevo osservata attentamente… i suoi occhi azzurri, così identici ai miei, erano lucidi e arrossati… “Finalmente sei tornata… mi stavo preoccupando… pensavo ti fosse successo qualcosa…” disse mentre mi sedevo a fianco a lei; la sua voce era seria, pacata, non era veramente preoccupata: sapeva che sarei tornata. “Sono andata a fare due passi…” risposi distratta. “Gli uomini del paese sono tornati a casa. Non li hanno trovati…” disse mentre guardavamo entrambe un pezzo di giornale che rotolava per la stradina bagnata. “Non ti devi preoccupare… verrete a vivere da noi. Troverò un piccolo lavoro all’osteria…” disse mettendomi un braccio dietro le spalle. Era davvero questo che mi preoccupava? Il futuro? La mia mente ripescò tutti i momenti passati insieme alla mia famiglia… quando giocavo con i miei fratelli su alla fattoria, quando papà ci portava alle feste alla città più vicina, quando si sposò Maria e facemmo una grande festa con tutto il paese, il natale in chiesa sino a mezzanotte… “Pensi che la mamma si riprenderà?” chiesi mentre, ricordando come l’avevo lasciata, mi si bagnavano gli occhi. Maria mi guardò “Spero di sì…” disse. Piangemmo insieme per un po’, abbracciate, pensando al futuro che ci aspettava.

 

 

 

  
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