Questa è la storia di
una ragazza.
Una sedicenne
dall’animo turbato… il suo nome era Bianca, anzi lo è
ancora.
Io, sono soltanto
un’altra anima che è riuscita a trovare la pace. Ebbene, io, che
amo voi esseri umani più di ogni altra cosa, vi voglio mostrare quanto
Bianca fosse importante per il mondo. Voglio farvi vedere l’amore che
hanno visto i miei occhi. Il mio nome sarà un eco, un sussurro, alla
fine di questa storia.
Capitolo primo. BIANCA SMITHERLEY
A quei tempi, vivevo con la
mia famiglia in quella meravigliosa città che era Innsbruck. Mi mancava
tuttavia la mia città natale, anzi, le mie città natali! Lincoln,
la città inglese di mio padre Frederik e la ricca Venezia, città
dove nacque mio nonno Umberto, che successivamente si trasferì a Parigi
dove nacque mia madre Claudia.
Innsbruck, tuttavia, mi
rasenerava. Ogni mattina, prima di seguire mia madre alla chiesa di Hofkiche,
guardavo le splendide montagne imbiancate che si innalzavano proprio sulla
valle dove stava la nostra città. Non eravamo ricchi, così io non
sapevo né leggere né scrivere, sapevo suonare il pianoforte,
pero! Mia madre aveva imparato dal curato del paese e suonava in chiesa la
domenica. Così mi insegnò. Mio padre era figlio di un agricoltore
e ora avevamo una fattoria sulla montagna, con tante capre, alcune mucche e
delle galline. Non bastavano ad arricchirci, soprattutto con le gelate di quel
periodo. Tuttavia eravamo felici. Avevo un fratello e una sorella più
grandi e uno più piccolo. Si chiamavano Oscar, Maria e Amadeo. E ci
volevamo molto bene. Oscar, lavorava con nostro padre nella fattoria e su nei
monti; Maria si era sposata da poco con un insegnante del paese. Io avevo quasi
quattordici anni e aiutavo mia madre ad occuparsi di Amadeo e della casa.
Vivevo semplicemente, come continuo a fare ora, a distanza di un anno.
Mi svegliai. Il sole era
appena sorto sulle montagne e le rendeva di uno stupendo colore perlato. Ero
l’unica sveglia nella mia stanza, che dividevo con i miei fratelli. Come
potevano essere così belle le montagne all’alba? Le adoravo. Mi
voltai a guardare Oscar che dormiva. Quanto era bello il mio fratello…
aveva gli stessi capelli biondi di nostro padre e gli occhi castani,
così vividi e lucenti. Aveva appena diciannove anni… Un vero
angelo, soprattutto quando dormiva. Mi vestii e andai a preparare la colazione
per il mio adorato fratello e per mio padre. Mia madre stava seduta sulla sedia
a dondolo di legno intagliato mentre cullava Amadeo.
“Bianca, sei già
sveglia?” mi disse dolcemente.
“Sì, madre, preparo
la colazione ad Oscar e al papà.” Risposi prendendo il latte dal
grosso recipiente di metallo e versandolo in sbeccate tazze di porcellana
ingrigita. Presi due uova dal cesto sotto il tavolo della tinozza, facendo
volare la gallina che ci stava seduta sopra e le misi a cuocere sul fuoco che
aveva appena acceso mia madre.
“Che brava figlia che
sei, Bianca… sono sicura che quando ti sposerai tuo marito sarà
orgoglioso di avere una moglie così!” disse sorridendomi e
abbracciandomi.
“ti ringrazio mamma, ti
voglio bene!” risposi.
Quella mattina andai su alla
fattoria con mio fratello Oscar, per prendere legna e latte.
Mentre salivamo sentii il
vento soffiare sul mio viso… Non so come ma non mi piaceva. Mi fermai.
“Bianca? Che fai? Su, cammina, non sarai stanca spero…” disse
Oscar facendomi riprendere il cammino. Era un brutto presentimento quello che
sentivo, ecco cosa era! Sarebbe successo qualcosa sulla montagna? Oscar
continuava a camminare e io, ancora spaventata, lo seguii.
La strada non era molto lunga,
ma quel vento continuava, insisteva, e la fattoria sembrava sempre più
lontana. Finalmente arrivammo. Era strano, poche ore prima non c’era una
nuvola in cielo ed ora? Quel vento stava portando nuvoloni così grossi
da oscurare il sole. Oscar guardò le nuvole. “Che strano”
disse “eppure stamattina non c’era tutto questo vento!” e
tornò a caricare la legna sul carretto. Io andai dentro la fattoria a
prendere un po’ di paglia.
Ci incamminammo quasi subito
per paura della pioggia, dato che le nuvole che si stavano avvicinando. A
metà strada, improvvisamente, sentimmo la terra tremare. “Un
terremoto!” urlai. Il rumore era assordante, non riuscivamo a parlarci.
Oscar mi disse urlando di correre a casa, che lui sarebbe rimasto con la legna
e il latte sul carretto. E così feci.
Corsi, corsi, corsi
finché arrivai a casa. Mia madre era sconvolta e in lacrime e mentre
Amadeo piangeva riuscì a dirmi che papà era rimasto su alla
fattoria, che ci aveva seguito.
“Ma non l’abbiamo
visto! Non era con noi!” risposi urlando. Non riuscivo a vederla
così sconvolta… continuava a piangere mentre raccoglieva tutto
ciò che cadeva dai pochi mobili che avevamo. Piatti, posate,
scatole…
Il terremoto continuava.
Guardai fuori dalla finestra. Guardai le mie adorate montagne. Tremavano…
o ero io che tremavo? Non so dirlo, so solo che vidi la nostra fattoria, un
piccola casetta da laggiù. Pochi secondi. Sentii un assordante rombo,
quasi un’esplosione. La fattoria non c’era più. Il fianco
della montagna era di un bianco acceso, la neve della valanga era arrivata come
una tormenta fino alle prime case della città. Trattenni il respiro per
qualche secondo continuando a fissare dove pochi minuti prima c’era la
nostra fattoria. La mia adorata montagna. Terribile, orrenda, adorata montagna.
Tutti erano per le strade. Li vidi urlare, piangere, correre verso la montagna.
Io non piangevo… “Potrebbero essere ancora vivi!” mi dissi
tra me. Impossibile. E anche se fosse ci sarebbero voluti giorni, forse
settimane per trovarli.
Trovai Maria di fronte alla
porta di casa “Bianca! Stai bene, grazie a Dio! Come stanno gli
altri?” chiese abbracciandomi, baciandomi e accarezzandomi i lunghi
boccoli neri. Indicai la porta. Non avevo voglia di parlare.
Passò tutta una
giornata, gli uomini salirono sulle montagne per le ricerche, la mamma
continuava a piangere, consolata dalle comari del paese. Amadeo dormiva
nell’altra stanza, come un piccolo angelo dalle guance arrossate dal
pianto; Maria preparava la cena mentre parlava sottovoce con suo marito Karl.
Io ero stufa di stare lì, non sopportavo mia madre piangere, né i
sussurri di Maria, né il respiro delicato di Amadeo che dormiva. Niente.
Così uscii. Nessuno se ne accorse. Era ormai sera.
Il tramonto illuminava la montagna di un
rosso sangue. Sangue. Chissà se papà e Oscar hanno
sofferto… “spero sia stata una morte veloce…” pensai.
Il mio sguardo tornò alla montagna… maledetta montagna.
“Sembri così immobile adesso… così bella, così
affascinante…e invece? Hai appena portato via metà della mia
famiglia…” pensai prima di girarmi e urlare
“Maledetta!” con tutta la forza che avevo in corpo. L’odio
era più forte della tristezza che avrei dovuto provare. Non riuscivo a
piangere, anche se avrei voluto…
Arrivai fino al centro della
città… alla piazza centrale. La fontana continuava a spruzzare
acqua gelida dalle grandi brocche tenute da tre piccoli angeli paffuti. Mi
sedetti sul bordo della vasca e guardai il mio riflesso sull’acqua…
ero orribile. I capelli erano spettinati, gli occhi inespressivi tradivano il
mio profondo turbamento. Gli angoli della bocca erano all’ingiù,
in una smorfia imbronciata… “Sono un mostro. Non ho pianto una
lacrima per mio padre e mio fratello. Non ho pianto… sono un
mostro.” Mi dissi guardandomi ancora nell’acqua. Rimasi con i miei
pensieri turbati fino a notte fonda, quando decisi di tornare a casa.
Maria mi aspettava sulla
porta, seduta sui gradini. Sembrava così matura pur avendo solo diciotto
anni, i suoi capelli biondi erano più luminosi dell’ultima volta
che l’avevo osservata attentamente… i suoi occhi azzurri,
così identici ai miei, erano lucidi e arrossati… “Finalmente
sei tornata… mi stavo preoccupando… pensavo ti fosse successo
qualcosa…” disse mentre mi sedevo a fianco a lei; la sua voce era
seria, pacata, non era veramente preoccupata: sapeva che sarei tornata.
“Sono andata a fare due passi…” risposi distratta. “Gli
uomini del paese sono tornati a casa. Non li hanno trovati…” disse
mentre guardavamo entrambe un pezzo di giornale che rotolava per la stradina
bagnata. “Non ti devi preoccupare… verrete a vivere da noi.
Troverò un piccolo lavoro all’osteria…” disse
mettendomi un braccio dietro le spalle. Era davvero questo che mi preoccupava?
Il futuro? La mia mente ripescò tutti i momenti passati insieme alla mia
famiglia… quando giocavo con i miei fratelli su alla fattoria, quando
papà ci portava alle feste alla città più vicina, quando
si sposò Maria e facemmo una grande festa con tutto il paese, il natale
in chiesa sino a mezzanotte… “Pensi che la mamma si
riprenderà?” chiesi mentre, ricordando come l’avevo
lasciata, mi si bagnavano gli occhi. Maria mi guardò “Spero di
sì…” disse. Piangemmo insieme per un po’, abbracciate,
pensando al futuro che ci aspettava.