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Autore: Sky_Star    13/12/2007    5 recensioni
“Il più forte distrugge il più debole, ricordatelo sempre, Vegeta, o non sarai mai un vero Re per i Saiyan…”
[ Seguito della fanfiction "Black Black Heart" ]
Genere: Azione, Avventura, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chichi, Gohan, Goku, Nuovo personaggio, Vegeta
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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In lontananza un puntino luminoso si avvicinava a gran velocità e il rumore che emetteva si faceva sempre più forte e spaventoso. Su qualunque pianeta un simile chiasso avrebbe destato gli abitanti e seminato il panico ovunque; in quel luogo desolato, invece, le uniche creature terrorizzate dalla novità furono i pochi animali che misero il muso fuori dalle loro tane e che, vedendo la navicella avvicinarsi sempre di più, tornarono a nascondersi nei loro rifugi sicuri.

D’un tratto si levò un gran vento che scosse i rami secchi degli alberi su cui non cresceva più alcuna foglia o frutto, e le tende che sporgevano dai resti di quella che un tempo doveva essere una casa cominciarono a muoversi freneticamente.
In mezzo a quel paesaggio che non rappresentava altro che morte e distruzione, una navicella atterrò con un gran tonfo.


“Vegeta, riesci a reggerti in piedi?” una voce ansiosa rimbombò tra quei ruderi coperti di sangue e polvere, mentre due piccole figure avanzavano sorreggendosi l’un l’altra.

“Sto bene, Gohan. Io sto bene.” Il piccolo Principe sembrava voler rassicurare più sé stesso che il compagno. Alzò lo sguardo e osservò freddamente la casa distrutta, i rami scheletrici e bruciacchiati che ondeggiavano e picchiavano con forza contro una finestra ancora intatta sulla quale erano ben visibili schizzi di sangue scuro.
“Guarda Gohan! Questo è il pianeta in cui i miei genitori hanno combattuto assieme a tuo padre, il pianeta che hanno conquistato tanti anni fa! Sono stati loro a distruggere tutto!” Il suo tono lasciava trasparire tutta la sua ammirazione per il lavoro compiuto dai soldati su quel popolo che il Re giudicava inferiore e l'eccitazione di trovarsi lì a contemplare le rovine, simbolo della vittoria dei Saiyan.

“Questo è il pianeta su cui viveva mia madre” pensò Gohan amaramente. “Il pianeta per cui ha versato tante lacrime, dove ha perso i suoi genitori, i suoi fratelli… il pianeta dove il suo popolo è stato sterminato.” Il figlio di Goku era turbato dalla visione dei ruderi e disgustato dal tono del Principe: possibile che non avesse un minimo di sensibilità, che non pensasse che quello era il pianeta di Chichi? Gohan decise però di non ribattere e rimase in silenzio.

Vegeta si divincolò dalla presa dell’amico e, a piccoli passi, avanzò sofferente fino alla casa. Con evidente disgusto si addentrò tra quelle poche mura che rimanevano e notò qualcosa vicino a un lungo tavolo. Si avvicinò per osservare meglio: un uomo, o meglio, lo scheletro di un uomo. I vestiti che aveva addosso erano lacerati e coperti di sangue, il cranio era leggermente piegato a sinistra; tra le mani appoggiate sul pavimento c’era ancora un lungo coltello affilato, ormai coperto dalla polvere, che la vittima probabilmente aveva impugnato in un estremo tentativo di difesa.

La sua attenzione fu poi catturata da un altro scheletro posto su un sudicio divano a fiori, poco lontano dal tavolo: apparteneva a una donna adulta, il cui cranio era stato violentemente percosso. Non indossava vestiti, ma Vegeta trovò un lungo abito blu buttato lì accanto, macchiato di liquido che sembrava nero; capì subito quale trattamento doveva aver subito la terrestre prima di morire.

Avanzò barcollando per le stanze vuote, dove non trovò altro che vetri in frantumi, ceramiche rotte e pezzi di legno scheggiati. Spinse una porta socchiusa e trovò il terzo scheletro: più piccolo degli altri, doveva appartenere a un ragazzo poco più grande di lui; era ripiegato su sé stesso, la testa poggiata sul pavimento sudicio, le ossa del braccio destro ridotte in frantumi, parecchie costole rotte. Secche macchie scure ornavano i brandelli di vestiti che aveva ancora indosso.

Vegeta tornò indietro e imboccò un piccolo corridoio: aveva trovato un padre, una madre, un figlio. C’era forse qualche altro membro della famiglia?
Spinse rudemente una porticina di legno scuro e entrò in una piccola stanzetta buia. L’invadeva un odore nauseabondo, pestilenziale che entrò nelle narici del Principe causandogli un conato di vomito. Sentì qualcosa di caldo percorrere il suo braccio e scivolare lungo le dita: il suo braccio sanguinava nonostante l’accurata fasciatura di Gohan.
Avrebbe voluto abbandonare quella lugubre camera, ma qualcosa l’attirava. Gli sembrava di vedere qualcosa in fondo che luccicava. Gemendo di dolore, mosse un passo dopo l’altro verso il fondo della stanza; il suo piede urtò qualcosa di morbido, forse un cuscino scagliato a terra. Con un calcio lo lanciò contro la parete e continuò a muoversi, tenendo stretto l’arto sanguinante con la mano libera.

Scostò una spessa ragnatela e la brillante luce delle stelle che entrava prepotentemente nella stanza priva di soffitto, gli mostrò l’oggetto luccicante,
Un piccolo scheletro avvolto in un immacolato mantello bianco era sdraiato su un lettino di ottone polveroso. Le coperte azzurro cielo erano sbiadite e cadevano per terra; attorno al collo di quella che doveva essere la figlia minore brillava una sottile collana argentata che non sembrava essere coperta dalla polvere come il resto della casa.
Vegeta tremò davanti a quel cadavere, sentì il fiato mancare, cadde pesantemente in ginocchio con gli occhi sbarrati.

Un’immacolata creatura dai lunghi capelli scuri vestita di bianco, bella come la luna splendente, giaceva senza vita tra le braccia di un guerriero dalla strana capigliatura, che la abbracciava disperato, forse credendo che il suo dolore potesse riportarla in vita.
Le forti mani stringevano la sottile vita di quella ninfa esangue, il cui braccio ricadeva pesantemente verso il basso. Il Re si era avvicinato abbastanza perché le dita della Regina sfiorassero il viso del Principe e si bagnassero dei lievi rivoli che scorrevano lungo le guance del piccolo Vegeta, il quale aveva ormai ben compreso la situazione.
Al Principe sembrò di rivivere quei tragici momenti, quasi gli parve di sentire le mani di Chichi sollevarlo e stringerlo convulsamente a sé tra le lacrime, la sentì sussurrargli dolci parole di conforto di cui però non sembrava convinta neanche lei.

“Vegeta!”

La mani che gli stringevano il petto erano quelle di Gohan, che aveva trovato l’amico accasciato sul pavimento e cercava di rimetterlo in piedi. Uscì dalla trance e cercò di respirare: l’aria che entrò nel suo corpo era intrisa dell’odore di morte emanato dal piccolo cadavere e gli causò un altro conato.
Gohan fece appello a tutta la forza che gli rimaneva per sollevare il Principe e alzarsi in volo con lui, trasportandolo al di fuori della casa.

Appena toccato il suolo si lasciò cadere in ginocchio e respirò la fredda aria pulita; gli occhi di Vegeta erano ancora vuoti e rabbrividì quando udì la sua voce, quasi ultraterrena, mormorare: “Mia madre.”
Fissò intensamente il compagno senza sentire il bisogno di fargli domande. Era piccolo, ma anche lui si ricordava della morte di Faith.

“Io… rivoglio mia madre…”

Questo sussurro disperato sconvolse Gohan più di quanto non avesse fatto la vista della casa distrutta e la consapevolezza di essere sul pianeta sul quale il popolo di suo padre aveva annientato quello di sua madre.
Non sapeva cosa dire, sapeva che non poteva comprendere il dolore e il senso di solitudine che stava provando il suo migliore amico, l’erede al trono di Vegeta-Sei.
Gohan aveva una madre che lo accudiva da dodici anni, aveva un padre che lo amava e che era sempre pronto a dargli coraggio quando ne aveva bisogno.

E Vegeta invece? Il Principe, che lui aveva spesso invidiato perché era rispettato tra i soldati adulti che prendevano anche ordini da lui, di cui era geloso perché avrebbe governato il pianeta, cosa aveva?
Un padre vivo e una madre morta.

Un padre, il Re, fiero, orgoglioso, testardo: non aveva tempo di occuparsi di suo figlio, e sembrava quasi non preoccuparsene per niente. Se lo vedeva combattere invece di incoraggiarlo lo derideva, ad alta voce si chiedeva com’era possibile che suo figlio fosse una tale femminuccia. Sembrava non lo amarlo, e dalla morte della Regina, pareva che la sua indifferenza si fosse trasformata in disprezzo. Lo zittiva quando parlava, gli passava davanti senza degnarlo di uno sguardo come se fosse un semplice soldato di ultimo livello e se si trovavano nella stessa stanza, lo congedava rudemente o usciva voltandogli le spalle.

Una madre, la Regina, fiera e orgogliosa del Principe che aveva messo al mondo. Aveva rischiato la vita per quella creaturina che era cresciuta nel suo ventre e che era diventata la luce dei suoi occhi. Era l’unica a conoscere veramente il Re, l’unica che osasse contraddirlo senza tremare, l’unica capace di imporre la propria volontà sempre e comunque.
Con lei vicino, il Re si trasformava. Se il Principe combinava qualche marachella, la Regina rideva di gusto e persino sul viso del consorte appariva un leggero sorriso. Lei aveva deciso di allevare il piccolo Vegeta col solo aiuto di Chichi, gli raccontava le gloriose imprese dei Saiyan e gli insegnava i primi rudimenti del combattimento.
Era una grande guerriera, figlia di un grande generale, un fedele servitore della corona.
Si diceva che aveva intenzione di mettere presto al mondo una Principessa.
Era morta all’alba di un grigio mattino a causa di una misteriosa malattia che aveva colpito per la prima volta il suo cuore proprio mentre era lì sulla Terra, in missione.

Gohan si vergognò di aver provato invidia per Vegeta, con il quale la sorte era stata assai crudele: l’unica persona che l’amava non c’era più, suo padre gli concedeva solo il suo disprezzo: restavano le figure di Goku e Chichi come surrogato di genitori.

“Vegeta… è morta… non può…” Le parole di Gohan erano vuote e rimbombavano confuse nella sua mente.


Con uno scatto rabbioso gli occhi di Vegeta si fecero di fuoco e riuscì a rimettersi in piedi.

“Ci deve essere un modo!” urlò disperato. “Deve esserci!”

Si accasciò di nuovo al suolo, fissando le sue mani sporche di sangue, ogni sua cellula sapeva che tanto non era possibile…

“C’è un modo.”

La voce di Gohan lo trafisse come una freccia acuminata. Alzò la testa e vide che lo sguardo dell’amico si era fatto cupo e pensieroso.

“C’è un modo? Quale? QUALE?!” Si alzò in piedi, la speranza e l’eccitazione sembravano averlo rinvigorito. Cominciò a scuotere violentemente Gohan per indurlo a rispondere.

Gli occhi di Gohan fissarono il vuoto prima di incontrare quelli del Principe. Sospirò pesantemente e mormorò:

“Dobbiamo andare in un posto… al Palazzo del Supremo.”









Sono imperdonabile, lo so. Non mi sono fatta viva per tantissimo tempo e ammetto di aver quasi lasciato nel dimenticatoio questa fic. Mea culpa, mea maxima culpa.
Ora spero di riprendere a postare capitoli con più frequenza.
Ringrazio chi ha commentato il capitolo precedente e chi commenterà questo.
Ditemi se vale la pena continuare questa storia.
Baci a tutti e grazie dell’attenzione.

La Sky
  
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