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Autore: shadow_sea    28/05/2013    5 recensioni
Il seguito di "Come ai vecchi tempi".
Questa volta le avventure del comandante Trinity Shepard fanno riferimento agli eventi narrati in Mass Effect 3.
Come nella storia precedente, la mia intenzione è quella di scrivere storie che traggano spunto dal gioco originale e se ne discostino allo stesso tempo, sempre attente a non stravolgere la trama o i personaggi. Le storie che troverete qui sono frutto di considerazioni ed emozioni personali, sono frutto del mio amore appassionato per questa trilogia e per Shepard ma, soprattutto, per Garrus Vakarian.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Garrus Vakarian, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shepard e Vakarian'
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MEMORIALE


Adagio for Strings



Appena Shepard rientrò sulla Normandy, al ritorno dalla visita all’ospedale della Cittadella, ordinò a Joker di impostare la rotta verso Rannoch, poi chiese a IDA di far risuonare su tutti i ponti della nave la sirena elettronica che segnalava la perdita di un membro dell’equipaggio.
Era quello il primo atto compiuto da uno dei superstiti della squadra da sbarco, quando il gruppo non tornava al completo. In pochi istanti tutto l’equipaggio, allertato da quel lugubre segnale acustico, avrebbe saputo quale compagno aveva perso la vita, perché su una nave spaziale le notizie viaggiavano almeno alla velocità della luce.
Quella volta l’equipaggio si scambiò sguardi perplessi e ansiosi. Nessuno capì immediatamente il senso di quel segnale, con la nave ancora attraccata all’hangar D24.
IDA venne subissata dalla domanda - Chi ha fatto suonare la sirena? - formulata in contemporanea da ogni postazione della Normandy.
La risposta che era stato il comandante in persona a dare quell’ordine, fece intuire quale nome avrebbe fatto la comparsa sulla lastra antistante l’ascensore sul ponte 3.

Shepard aveva adottato un rito particolare, molto diverso da quello in vigore sulle navi dell’Alleanza o di qualunque altra organizzazione, militare o civile che fosse: il ricordo del compagno caduto non avveniva mai davanti al memoriale, ma prima, durante un pranzo o una cena, di solito diverse ore dopo la perdita, o perfino il giorno successivo, per dare il tempo a chi aveva combattuto, e aveva visto il compagno morire, di superare i momenti più dolorosi.
In quel modo si affrontava meglio il dolore. In genere il pasto si apriva con il racconto della missione, soffermandosi sull’azione che aveva decretato la morte di quel membro dell’equipaggio che nessuno avrebbe più avuto modo di incontrare a bordo. I discorsi iniziavano sempre in tono triste e dimesso, ma poi diventavano più lievi, via via che qualcuno trovava la forza di passare al racconto di qualche episodio particolare, di un aneddoto, di una barzelletta, di una notizia curiosa.
Una volta terminato il pasto, la persona a cui era stata affidata la targa si avviava verso il memoriale, seguita da chiunque volesse partecipare all’ultimo atto di quella cerimonia.
La lamina sottile veniva apposta sulla colonna di sinistra o di destra, nel primo posto libero, e poi si restava in silenzio lì davanti. Qualcuno tornava subito alla propria postazione, qualcuno si tratteneva lì a lungo. Nessuno diceva mai una parola, non ce ne era bisogno.

Nel caso di Mordin, era stato il comandante stesso a tenere al suo fianco la targa durante la cena e ad aggiungerla poi alla lunga serie di nomi presenti sulla lastra commemorativa.
Anche in quel caso sarebbe stata Shepard ad apporre la sottile lamina di metallo con sopra inciso Thane Krios a quella lista che stava diventando troppo lunga, pensò Garrus che, una volta immaginata l’identità della nuova vittima, aveva emesso solo un lungo respiro doloroso.
Non aveva mai parlato con quel drell, ma ricordava quante volte avessero combattuto insieme, accomunati dall’onore di essere reputati i migliori compagni di squadra per lo stile di combattimento del loro comandante.
L’ultima battaglia a cui avevano partecipato entrambi era stata una delle più gloriose mai combattute, coronata da una vittoria insperata, al di là del portale di Omega 4, e dalla sopravvivenza di ogni membro dell’equipaggio. Era stato un risultato che aveva fatto gridare al miracolo, ma i miracoli, si sa, non si ripetono.
La guerra contro i Razziatori era completamente diversa da quella combattuta contro i Collettori. Era una guerra devastante. I morti erano innumerevoli ovunque, sulla Terra, Palaven, Tuchanka, su tantissime colonie sparse ovunque nella galassia e perfino fra l’equipaggio della Normandy.

Thane non era morto per un attacco diretto dei Razziatori, ma per Cerberus. L’assalto alla Cittadella aveva portato vittime inaspettate in una delle poche oasi ancora apparentemente torpide e rilassate, in una regione dello spazio reputata sicura fino a quel momento. Ma proprio quell’attacco poteva aver dato un contributo decisivo alle forze alleate. Adesso sulla Cittadella era arrivata la brutalità della guerra e la paura, quella paura che avrebbe smosso la gente apatica che ancora si rifiutava di comprendere il pericolo che la galassia doveva fronteggiare.
Era un pensiero cinico, si rese conto Garrus, mentre si sedeva su una sedia nella batteria primaria, appoggiando la fronte contro i palmi delle mani aperte, ma quella dannata guerra poteva essere combattuta solo da veri soldati, capaci di reagire con freddezza, di dimenticare la pietà e di usare il dolore per tramutarlo nel proprio punto di forza.

Era esattamente quello che faceva Shepard, fin dal primo giorno in cui l’aveva incontrata.
Nelle sempre più rare notti in cui gli chiedeva di restare a dormire con lei, Garrus si svegliava spesso per i gemiti che lei emetteva in sogno e più di una volta aveva avvertito delle lacrime scorrere sul braccio su cui lei appoggiava la guancia. Quando la stringeva fra le braccia, ogni volta in cui lei si girava e lo cercava, avvertiva il profilo sempre più evidente delle costole.
Garrus era certo che quella sera lei non avrebbe mangiato quasi nulla, come accadeva sempre più frequentemente. Ma quella sera si sarebbe almeno seduta con l’equipaggio, per ricordare Thane.
Poi sarebbe rimasta a lungo davanti al memoriale, a fissare quei nomi e a ricordare volti e parole. E da quel dolore che si rinnovava invariato, perché lei era incapace di imparare ad accettare il tributo necessario da versare ad ogni scontro di quella guerra impari, avrebbe tratto l’energia per continuare a combattere con vigore immutato.

Da quella fonte di dolore lei attingeva energia, coraggio, risolutezza.
Se Garrus avesse avuto nozioni di alchimia e di leggende terrestri avrebbe definito il memoriale la pietra filosofale che lei utilizzava per tramutare il vile metallo, il dolore arido, improduttivo e nocivo, in oro. Era quell’oro trasfigurato a donarle l’energia di trascinare con sé interi popoli.
Solo lui conosceva le lacrime segrete del comandante e il suo dolore e solo lui sapeva quanto la ferissero. Sapeva di non poterla aiutarla a diminuire la pena, ma di poterla invece aiutare a sfruttarla.
Il suo visore gli rammentava in ogni momento quanto bene lui stesso conoscesse quella sublimazione del dolore: la lista dei membri della sua squadra su Omega e la lista dei membri dell’equipaggio delle due navi spaziali guidate dal comandante. Liste diverse solo nei suoni dei nomi.

Quella sera, dopo la cena in cui avevano ricordato il drell, senza che nessuno riuscisse a trovare un solo aneddoto dolce o divertente, capace di levigare il dolore spigoloso di quella nuova perdita, il comandante restò davanti al memoriale, trattenendosi a lungo, dopo che ogni altro compagno era tornato alla propria postazione.
Garrus si era fermato al suo fianco, sperando di riuscire a convincerla ad andare a dormire. Sapeva che molte delle notti in cui non lo cercava, Shepard le trascorreva in bianco, a porsi troppe domande di cui non poteva conoscere la risposta. Gli occhi cerchiati del giorno successivo testimoniavano il suo strazio notturno.
- Ti accompagno nel tuo alloggio? - le chiese, appoggiandole una mano sulla spalla.
- Non ancora - rispose lei, mentre rifletteva su quell’ultima commemorazione, tanto diversa dalle altre.

Durante i mesi che aveva passato a bordo, Thane aveva parlato solo con lei, raccontandole pian piano, con il crescere della fiducia, buona parte della sua vita e la pena per errori che non avrebbe mai potuto dimenticare. Tutti i particolari di ogni sua azione erano rimasti intatti nella memoria come nell’istante stesso in cui ogni singola azione era stata compiuta. Era una maledizione e un dono a cui nessun drell poteva sottrarsi.
Da quei ricordi Thane aveva tratto la forza che lo aveva animato fino a quell’ultimo gesto generoso, come Garrus l’aveva tratta dal suo visore, quando lottava su Omega, e Shepard dal memoriale che aveva davanti.
Ma durante l’ultima cena il comandante non aveva potuto partecipare ad altri la storia di Thane. Sarebbe stato un gesto sconveniente: quel drell si era confidato solo con lei e Shepard voleva serbare i suoi segreti, come gemme pregiate e misteriose. Eppure quel dolore non condivisibile le pesava addosso, si sommava a tante altre sofferenze incise sulla lastra e le attanagliava lo stomaco in una morsa.

Corse improvvisamente dentro i servizi femminili davanti allo sguardo stupito di Garrus, che si ritrovò da solo, nel corridoio, ad ascoltare rumori inquietanti che non sapeva come interpretare. Dopo pochi secondi venne raggiunto dalla Chakwas, che teneva in mano una siringa.
Il turian la fissò con uno sguardo interrogativo fino a quando la dottoressa spiegò che Shepard era in preda a una crisi di vomito.
- Ma non ha mangiato nulla a cena... - osservò lui perplesso.
- Succhi gastrici. Sintomo di stress acuto. Per questo sono qui - fece in tempo a chiarire lei, con una diagnosi scarna, prima che Shepard uscisse dai bagni.
- Che fai? Mi fai spiare da IDA? - sibilò il comandante guardando con rancore la dottoressa. Poi aggiunse - Non provarci neppure - dopo aver lanciato un’occhiata eloquente alla siringa.
- Sono un ufficiale medico, comandante, e prendo i provvedimenti che reputo opportuni per la salute dell’equipaggio - rispose in tono secco la dottoressa, mentre Garrus assisteva stupito a quella discussione.
- Sei sotto osservazione da giorni e ci resterai - concluse la Chakwas con fermezza.

- Che roba è? - chiese Shepard, arrendendosi di fronte alle norme del regolamento militare, ma continuando a fissare la siringa con aria sospettosa.
- Antiemetico... - rispose la dottoressa, iniettandoglielo.
- ... allungato con sedativo - aggiunse, mentre sosteneva il corpo di Shepard che le si stava afflosciando fra le braccia.
- Portala in cabina, Garrus - ordinò poi la Chakwas, con un insolito tono deciso di comando.
Il turian prese in braccio quel corpo inerte, lo portò nell’alloggio e lo sistemò sul letto, nella posizione che lei assumeva quando si rannicchiava fra le sue braccia, ma non si stese al suo fianco, preferendo uscire immediatamente.

- Sono preoccupato dalle condizioni di Shepard - dichiarò poco dopo, entrando nell’infermeria.
- Non mollerà, Garrus, lo sai anche tu - lo rassicurò la Chakwas - La tensione nervosa che la anima la spingerà a continuare a lottare là dove qualsiasi altra persona si arrenderebbe.
- Questo lo so, ma non riesco a liberarmi dall’idea che possa crollare fisicamente.
- No. Non credo - lo rassicurò la Chakwas, sicura che ammettere quanto lei stessa fosse preoccupata avrebbe solo peggiorato la situazione.
- Forse, a guerra finita, potrebbe subire le conseguenze di tutto questo lungo periodo di stress - aggiunse con tono professionale, augurandosi di aver ragione - Ma fino a quando gli scontri continueranno, potremo contare su di lei.
- C’è qualche buon consiglio che puoi darmi, dottoressa?
- No - rispose lei, dopo un attimo di riflessione - Potrei dirti che anche tu presenti chiari sintomi di affaticamento - dichiarò dopo aver consultato le letture del suo factotum - ma visto il periodo che stiamo attraversando una reazione diversa sarebbe solo inquietante - concluse la Chakwas.

Garrus uscì dall’infermeria poco convinto, sapendo che non sarebbe riuscito ad addormentarsi. Avrebbe voluto passare qualche ora al bar, ma l’idea di poter incontrare Kaidan, da poco tornato a bordo, non lo attirava affatto. Prima o poi sarebbe necessariamente capitato, ma quella la sera non si sentiva pronto ad affrontare un colloquio probabilmente imbarazzante.
Alla fine si diresse verso la sala tattica, curioso di vedere a quanto ammontasse attualmente la forza su cui Hackett poteva contare.
Rimase piacevolmente stupito dai numeri. Dall’ultima volta che aveva consultato quel terminale, all’epoca della morte di Mordin, si erano unite tutte le forze superstiti dei batarian, diversi scienziati ex Cerberus, i Rachni, un buon quantitativo di nuove forze krogan oltre a contingenti asari e salarian. Figuravano amici che non vedeva da tempo, quali Grunt, Kasumi, Jacob Taylor e Samara, ma anche strane figure che mai si sarebbe aspettato di trovare.
Si chiese come diamine il comandante fosse riuscito a procurarsi tutti quegli alleati, stupito dalla presenza di Balak, uno dei suoi nemici più acerrimi, e si sentì rassicurato che le sue previsioni un po’ azzardate su Asari e Salarian si fossero alla fine avverate.

- Tu pensi che abbiamo davvero qualche possibilità? - fu la domanda che lo sorprese mentre stava spegnendo il terminale.
- Un mio pensiero potrebbe rassicurarti? - chiese a sua volta, lanciando uno sguardo in tralice a Kaidan.
- Tu li hai visti all’opera, su Palaven.
- So solo che se lei non riuscirà, nessun’altro avrebbe potuto. Mi basta. A te serve altro?
- Non lo so. Non ho le tue certezze.
- Leggiti la lista dei nostri alleati. Rimarrai sorpreso - tagliò corto Garrus, avviandosi verso l’uscita per dirigersi verso la batteria primaria.
- Aspetta - lo fermò la voce del maggiore - Non riesco a dormire. Ti va di bere qualcosa?

- Non hai mai avuto dubbi sul comandante? - gli chiese Kaidan porgendogli una bottiglia, mentre si sedeva su una morbida poltrona in pelle davanti al turian, nel salone della Normandy.
- Quando aveva indosso la divisa di Cerberus? - chiese a sua volta Garrus, fissandolo incerto - No - replicò poi, in risposta al breve cenno di assenso di Kaidan.
- Già, immaginavo... - commentò lui con aria pensosa, accavallando le gambe - Ho sbagliato su Horizon e ho continuato a sbagliare su Marte. Quando ho smesso di sbagliare era troppo tardi - ammise con tono afflitto.
- Cosa vuoi da me, Kaidan? - domandò il turian, tenendogli addosso il suo sguardo celeste, assolutamente privo di simpatia e comprensione.
- Sono preoccupato - confessò l’umano, decidendo di essere sincero, mentre beveva un lungo sorso dalla bottiglia di birra che teneva in mano.
- Per Shepard?
- Sì. A occhio ha perso almeno cinque chili di peso dall’ultima volta che l’ho vista. Quegli occhi verdi sono diventati troppo grandi e troppo scavati...
- Cosa vuoi? - ripeté Garrus, seccato di dover constatare quanto Kaidan amasse ancora il comandante.
- Che la aiuti, porca miseria! Cosa fa un maledetto turian con la sua donna? E tu? - lo accusò con rabbia - Tu cosa fai?
- ‘fanculo Kaidan - gli urlò Garrus di rimando, alzandosi e uscendo dalla porta, dopo aver lanciato la bottiglia ancora mezza piena contro il muro, usando un gesto e un’espressione che non gli appartenevano.

Quando entrambi si ritrovarono la mattina dopo davanti alla navetta di sbarco, si fissarono con una tale espressione di reciproca sorpresa che mise in chiaro come nessuno di loro avesse parlato con il comandante della discussione avuta nel salone.
Eppure, con un tempismo sorprendente, Shepard aveva deciso di farsi accompagnare proprio da Kaidan e da Garrus, in linea con il suo abituale comportamento, ogni volta che sospettava che fra i membri del suo equipaggio esistesse un qualche attrito che avrebbe finito con il danneggiare il buon andamento della missione.

°°°°°

Nel periodo che Shepard trascorse nel consenso Geth, i due uomini rimasero silenziosi di fronte alla capsula, senza aver voglia di scambiarsi neppure un’occhiata, ma nella missione successiva, volta a salvare l’ammiraglio Koris, furono costretti a interagire fra di loro.
Formavano una buona squadra, dovettero rendersi conto controvoglia, e la necessaria attenzione alle mosse del compagno, e soprattutto alle cariche improvvise di Shepard, finì per smussare l’attrito esistente fra quei due uomini così diversi per carattere, ma così simili per il sentimento che li legava al proprio comandante. Si rilassarono perfino, notando come Shepard sembrasse la stessa di sempre.
L’avevano vista arrabbiarsi contro Legion alla conclusione della prima missione, quando si era resa conto che il Geth non l’aveva informata del progetto di persuadere alcuni degli eretici a unirsi a loro. Era stata una mossa davvero azzardata, che avrebbe potuto annullare tutti gli sforzi del comandante per ottenere l’appoggio congiunto dei geth e dei quarian.
Avevano condiviso la sua comprensibile rabbia, che le aveva alterato i lineamenti in un’espressione che entrambi conoscevano bene, sollevati nel riconoscere il loro comandante di sempre, rassicurati nel sentirsi certi che quella donna, apparentemente così provata nel fisico, era ancora in grado di guidarli con determinazione.
E di nuovo si stupirono di fronte alla durezza con cui il comandante trattò l’ammiraglio Koris, appellandosi al dovere di un militare, per scuoterlo dall’angoscia in cui il quarian era piombato, di fronte alle tanti morti civili a cui aveva dovuto assistere, per gli errori commessi da altri ammiragli della Flotta Migrante.

Le bastavano poche frasi, pronunciate in tono duro oppure con tutta la comprensione di cui un essere vivente poteva essere capace, per farsi seguire da chiunque. Donava generosamente il suo aiuto, pronta al sacrificio di se stessa e della sua squadra, ma in cambio si aspettava che la gente capisse cosa la animava e che fosse pronta a seguirla. Perché le missioni che le venivano affidate miravano alla sopravvivenza della vita nella galassia e ogni cosa era sacrificabile per un obiettivo come quello.

Tornarono a bordo con l’animo sollevato, lieti che per quel giorno la sirena sarebbe rimasta muta.
Durante la cena fu Joker a trovare la battuta che fece sentire tutti orgogliosi di far parte dell’equipaggio posto sotto il comando di Shepard.
- Così i Geth e i Quarian hanno smesso di massacrarsi fra di loro? Adesso mancherebbe solo porre fine all’eterno dissidio fra krogan, turian e salarian... - dichiarò il pilota, incrociando le braccia dietro la nuca e appoggiandosi contro lo schienale della sedia.
- Ah, no... dimenticavo... quello lo hai già fatto. E’ storia vecchia ormai... - rettificò con la sua solita risata beffarda, mentre il resto dell’equipaggio sorrideva.
- L’accordo fra Quarian e Geth non è ancora raggiunto, ma la distruzione della base dei Razziatori potrebbe compiere questo miracolo - rettificò Shepard fissando gli occhi su Tali, che rimase in silenzio, abbassando lo sguardo sul piatto che aveva di fronte.
- Vai a dormire, Tali’Zorah vas Normandy - si raccomandò poi il comandante, alzandosi per primo dal tavolo - domani sarà uno scontro duro e ti voglio al mio fianco - dichiarò posandole una mano sulla spalla.
- Grazie, Shepard - rispose lei, grata.

- Volevo solo augurarti la buonanotte e chiederti se potevo fare qualcosa per te - dichiarò Garrus una mezzora dopo la fine della cena, quando la porta della cabina sul ponte uno si aperse, lasciando vedere la figura di Shepard.
- Sì, grazie - rispose lei, prendendo dal ripiano il fucile di precisione e porgendoglielo.
- C’è altro? - gli chiese, vedendo che il turian era rimasto sull’uscio, con il fucile stretto nella mano destra.
- E’ che... beh, sono contento. E’ stata una bella giornata...
- Sì - concordò lei, fissandolo - Speriamo che domani sia anche migliore...
Garrus sorrise nervosamente e passò il fucile nella mano sinistra, per farle una carezza con le dita della destra mentre notava - Finalmente stasera hai anche mangiato qualcosa, per cena.
- E’ solo un altro aspetto della missione che mi è stata affidata - osservò lei, scansandosi istintivamente, mentre ripensava con irritazione al colloquio aspro che aveva avuto con la Chakwas la mattina di quello stesso giorno, appena sveglia.
- Non ho capito.
- Non ne voglio parlare, Garrus. Vorrei restare sola, se non ti spiace.
- Te lo restituisco domani? - chiese il turian guardando il fucile che aveva ancora nella mano sinistra, leggermente turbato dal comportamento ritroso di Shepard e da quella frase strana, che non comprendeva.
- Quando vuoi, ma prima della mia partenza: domani non verrai con me - gli annunciò lei in tono piatto.
- Porti Kaidan?
- Dannazione, Garrus! Non farmi casino - lo rimproverò Shepard guardandolo male, trasferendo sul turian l’irritazione che provava per la dottoressa - Verrà IDA - chiarì seccamente, prima di allontanarsi dalla porta che le si chiuse dietro le spalle.

“Tali e IDA” meditò il turian, mentre aspettava che le porte dell’ascensore si aprissero “Trattandosi di affrontare squadre di Geth è questa la scelta più logica” realizzò facilmente. Eppure non riusciva a liberarsi da un senso di inquietudine vaga per l’inusuale comportamento di Shepard e per la strana frase che aveva pronunciato.
  
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