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Autore: mxm_november rain    28/05/2013    2 recensioni
Questa è la storia di due ragazzi che non hanno mai conosciuto l’amore. Che sono stati schiacciati dalla crudeltà del mondo e ridotti a misere ombre,scure ed erranti, perse in una notte vuota.
E di come, solo trovandosi, siano tornati a sorridere e a brillare, simili a stelle del cielo. E a scoprire l’amore.
Questa , è la vera storia di come si impara ad amare.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri personaggi, Matt, Mello | Coppie: Matt/Mello
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Matt

Lo fissava da più di dieci minuti, ormai. Era certo che il suo sguardo insistente risultasse alquanto fastidioso, ma non poteva farci nulla, c’erano solo loro due lì, e, nel silenzio, quella musichetta risultava incredibilmente orecchiabile, Matt era come ipnotizzato. Ogni tanto il ragazzino alzava gli occhi, distogliendo per un attimo l’attenzione dal gioco e scrutava Mail con sguardo minaccioso, poi ricominciava, imperterrito, a spingere i vari tasti ad una velocità sorprendente. Nel frattempo Matt, raggomitolato su una seggiola in quella stanza mai vista, (ma allo stesso tempo simile a tutte le altre stanze di orfanotrofi, i muri dipinti di un bianco vagamente affumicato) aspettava e, non sapendo bene cosa, seguitava ad osservare quel bambino (non era poi tanto più grande di lui), il quale sembrava totalmente impegnato nel fare qualcosa a cui Mail non trovava nome, ma che voleva assolutamente scoprire.                                                                                                                                                                                  Aveva cambiato nuovamente casa, ne era certo. Probabilmente pure città, ma anche se si trovasse in un altro stato, o mondo; beh, per lui non faceva davvero differenza. Era un po’ stanco, il piccolo Matt. Stanco di provare ad affezionarsi a qualcuno per poi vederselo strappare via subito dopo. In fondo non gli sembrava di domandare poi così tanto: solo una persona, una persona nel mondo che aspettasse lui e lui soltanto.                                               Nulla più di questo.                                   
“ Si può sapere che cosa vuoi?”  Una voce squillante lo distolse dai suoi drammi interiori e poiché quel bambino lo fissava imbronciato Matt sospettò fortemente di essersi incantato osservandolo.                                      
Poteva benissimo ignorarlo e far finta di niente, ma la noia lo attanagliava da molto ormai. Nuovamente solo e terribilmente annoiato. Tanto valeva chiederglielo: “ Cosa stai facendo?”                                                    
Quel ragazzino dai capelli neri ed arruffati lo contemplava con aria sempre più sorpresa: “ Cosa ti sembra stia facendo scusa? Gioco”. Brillante conclusione, infatti pareva alquanto soddisfatto della sua risposta poiché ricacciò subito il muso sullo schermo luminoso. Ma Matt non era intenzionato ad arrendersi. “ A cosa?” Il faccino proteso in avanti, occhi verdi brillanti di curiosità. Il ragazzo brontolò sommessamente. “ Uffa, non ci vedi per caso? È un game boy e sto cercando di giocarci”. Evidenziò con la voce quel “ sto cercando”, sperando che Matt ricevesse il messaggio; eppure la “O” di meraviglia che la sua bocca disegnava faceva intendere tutt’altro. Infatti Mail si alzò incespicando, colto finalmente da un vivo ed infantile interesse e si avvicinò all’altro bambino incurante del volere di quest’ ultimo. Poi quasi lo travolse, scavalcandolo con le manine, fino a quando una testa rosso pomodoro non andò ad oscurare del tutto il piccolo schermo quadrato.                    
“ Voglio vedere! Voglio vedere!”                                                                                   
“ Hey, stai attento! Mi farai perdere!”                                                                 
Matt era sempre più perplesso, in quella scatolina un omino si muoveva saltellando allegramente.
“ Come si gioca?”                                                                                                        
“ Sei solo un moccioso, non puoi capire! Ed ora levati” Lo cacciò via di malo garbo, appiopandogli un deciso spintone; Mail roteò un paio di volte le braccia, giusto per rimanere in equilibrio.                                                         
“ E poi, sei troppo piccolo” Aggiunse infine, come a giustificare ulteriormente il moto d’ira. Invece fu tutta una sorpresa la velocità con cui gli occhi di Matt si riempirono di lacrime ancora intatte che, miracolosamente, rimanevano intrappolate tra le palpebre e facevano luccicare lo sguardo triste del bimbo.                                      
Il ragazzino lo scrutò, allibito: “ Non ti metterai mica a frignare ora, spero!”                                                               
 Una prima grossa e calda lacrima solcò la guancia di Matt, lasciandosi alle spalle una striscia tremolante, per poi infrangersi sulla maglia a righe, dove inevitabilmente scomparì,
risucchiata.                                                                         
“ Sei solo un poppante! Se adesso ti metti ad urlare penseranno che ti ho picchiato!” Il ragazzino pareva più preoccupato che arrabbiato, anche perché ormai il viso dell’altro era bagnato da un pianto struggente, ma ancora abbastanza silenzioso, rotto solo da alcuni singhiozzi.                                                   
“ Ok! Ok! Ti faccio fare una partita se smetti di piagnucolare, mi sembri una bambina viziata”  Detto ciò gli porse in game boy bruscamente ma, per un attimo, rimase meravigliato da come ora Matt sorridesse felice, le mani protese verso di lui, totalmente dimentico del piagnisteo di poco prima.                  
Il ragazzo fece una smorfia, sdegnato. “ Tanto non sai neanche come si tiene. Questo non è un gioco per bambini, è per adulti. Pure io, che ho undici anni, non riesco a superare il quattordicesimo livello, e sono bravo sai?”  Matt comunque non aveva udito parola di quell’ultima predica, si era solo accucciato comodamente al suolo studiando il video-game. Il suo viso risultava totalmente concentrato adesso ( incredibile la quantità di emozioni che era riuscito ad esprimere in un tempo tanto breve) e la sua espressione così terribilmente seria che anche l’altro, nonostante lo squadrasse sempre con sufficienza, ne era rimasto incuriosito. Dopo poco gli si sedette affianco, riluttante. Era già pronto a ribadire le sue massime ma bastò un’occhiata per zittirlo e fargli dimenticare ogni forma di ostilità. Matt non solo aveva superato il famigerato quattordicesimo livello, ma si dirigeva ora verso il diciottesimo, con una naturalezza alquanto umiliante.                                                              
“ Wow! Come caspita ci sei riuscito?” Era sinceramente sorpreso, quasi ammirato.                                                                                                                
Matt non provò neppure a rispondergli, pareva assorto; per quei pochi e preziosi minuti si era dimenticato di un po’ di tutto e un po’ di tutti, i contorni perdevano nitidezza e si confondevano, restava solo quello schermo brillante, somigliante ad una piccola candela nelle tenebre.                                                  
Una voce amorevole gli fece alzare gli occhi di scatto, come se quello che aveva udito fosse stato uno sparo. 
“ Ecco, ora è tutto sistemato.  Se non fosse per questi documenti e moduli da firmare… oh, adesso non importa. Andiamo piccolo! Andiamo a casa”                                                                        
Per un momento Matt pensò che quella donna si stesse rivolgendo a lui, ma ovviamente si sbagliava. Vicino a lei un signore alto e pallido teneva sotto braccio varie pratiche, che sicuramente sentiva star per cadere e spargersi sul pavimento, vista la sua andatura impacciata. Eppure la mano era tesa e sicura verso di loro. 
“ Su Geremy! Saluta il tuo amico e vieni qui.”                                          
Geremy ( ecco svelato il suo nome) trotterellò docile docile verso quella strana coppia, senza degnare di un solo sguardo Matt, che stringeva ancora tra le mani il gameboy.                                                                                            
“ Hey, aspetta! Stai dimenticando questo!” Il suo era stato più un grido disperato, forse un modo per prendere tempo, come se volesse trattenere quel bambino sconosciuto ancora per un po’. Un’estrema richiesta di aiuto.   Geremy si voltò, regalandogli uno sguardo distratto e fuggevole.                         
“ Tienilo pure, tanto non ero neanche poi così bravo” Rise, una risata estremamente eccessiva. 
Ma ciò che la alimentava era ben altra gioia.     

Così Matt rimaneva solo ed osservava con uno sguardo indecifrabile quel ragazzino allontanarsi per sempre da lì, poiché era stato scelto. Compagno di una vita intera, probabilmente una vita felice. E mentre Geremy era stretto nel forte abbraccio di due genitori nuovi di zecca, lui percepiva tra le mani solo gli spigoli freddi del regalo che il destino gli aveva fatto.                                            
Non sapeva perché si trovasse lì, ne aveva fatto caso a come ci fosse arrivato, ma capiva che per il momento il suo compito era aspettare.               
Cosa? Forse l’attesa stessa.                                                                                   
Ma almeno ora avrebbe potuto ingannare la noia.  

Mello

Mihael giunse in Inghilterra nel tardo pomeriggio, ad ottobre inoltrato.                
Aveva iniziato a camminare subito, e svelto anche, ma poi si era fermato, giusto un attimo, solo per salutarlo. Non aveva ancora dimenticato le buone maniere, e infondo, se si trovava lì lo doveva in gran parte al sostanzioso aiuto di quel signore. Per questo lo ringraziò, e fu un grazie davvero sincero: un uomo anziano dalla barba bianca, era il capitano di un battello piuttosto malandato; lui stesso, piuttosto malandato, non aveva più neppure un dente,poverino. Eppure, era la prima persona veramente buona che Mihael incontrava in tutta la sua vita.                L’aspetto del bambino, poi, doveva essere altrettanto trascurato poiché il vecchio, mosso da chissà quale profonda compassione, si era anche offerto di tenerlo con lui, nonostante quel marmocchio non avesse proferito parola per tutto il viaggio, se non giusto qualche cenno da far capire che intendeva.                      
Chissà come sarebbe stata la sua vita con quell’uomo… se lo era chiesto, forse un paio di volte. Non era facile immaginarlo. Eppure Mihael aveva educatamente declinato l’offerta e, a quanto pare, era apparso convincente visto che aveva indotto il marinaio dai modi paterni a lasciare un bambino, probabilmente un orfano, tutto solo nel mondo vasto e selvaggio. Ma Mihael non aveva paura, e così camminava da molto, ormai. Un solo obbiettivo, e passo dopo passo, lo seguiva. Lasciatosi il porto alle spalle, teneva un'unica direzione, ed essa era sempre dritta davanti a lui, il mare si allontanava, riducendosi ad una fessura azzurra, le colline si gonfiavano e i campi gli sfilavano intorno come immensi oceani verdi.                                                                                                

Non poteva dire da quanto tempo fosse in viaggio, chissà, magari meno, di una settimana. Non sapeva neppure di preciso dove si trovasse e stentava a chiedere informazioni, e non più per la lingua, ma poiché quelle campagne parevano deserte. Aveva fatto di tutto per imparare almeno qualche parola di inglese ed i risultati non erano stati neppure troppo deludenti per aver avuto poche ore a disposizione; eppure non bastava. Un lungo viaggio largamente sottovalutato,e tuttavia, per non aver mai messo naso fuori prima di allora, era già un buon esito essere arrivati vivi sin là, nonostante tutto. Ma la situazione forse gli era un po’ scappata di mano, doveva ammetterlo; ora i suoi vestiti erano logori e i suoi capelli biondi più lunghi e scompigliati. Aveva una macchia di fuliggine sulla guancia destra, un ginocchio sbucciato. Fame; freddo. Iniziava a piovere, esattamente in quel momento.   
Eppure, non una volta gli era passata per l’anticamera del cervello l’idea di tornare indietro. Mai si era voltato, con sguardo malinconico, a scrutare la vita che aveva, volutamente, abbandonato.                                                    
La verità era che, nonostante la situazione fosse alquanto disperata, lui si sentiva finalmente libero, come non gli era capitato prima.                           
Per quel medesimo motivo ora respirava a pieni polmoni un’aria diversa, e non più quella putrida e stagnante della sua stanza. Poche, pochissime volte aveva ripensato a ciò che era stato in precedenza e, malgrado non fosse passato, obbiettivamente, poi così tanto tempo, i suoi giorni in Germania gli parevano straordinariamente lontani. 

Si fermò di colpo, osservandosi i piedi. Quello destro gli doleva appena, e comunque quel sottile tormento gli dava sui nervi. Qualche attimo dopo un paio di scarpe volava nell’aria, per poi atterrare scompostamente a terra. Poco più avanti c’era un calzino e dietro, subito un altro.                                        
Lo sentiva chiaramente, ora: la terra umida, l’erba fresca. Un’energia nuova che partiva dal basso per fluire poi in tutto il corpo. Passi sempre più svelti, divenuti in seguito corsa; Mihael guardava i suoi piedini muoversi prima con incertezza, incespicando; e poi vedeva la sua falcata prendere slancio e regolarità, diventare un galoppo possente. Correva con tutta la forza che aveva, il piccolo Mihael, nonostante fosse stremato, nonostante il vento gelido gli sferzasse il viso. Contro tutto e tutti, scappava ancora da una prigionia che lo aveva impedito per troppo tempo, come un’animale braccato che intende mettere più spazio possibile tra lui e i suoi aguzzini; Mihael in quel momento sentì che non vi era alcuna differenza tra lui e le nuvole o le montagne: era aria e terra, libero e immenso come tutto il cielo.                                                                                       
Una signora si affacciò dal balcone della sua casetta sperduta e, inizialmente sorpresa, rise di gusto vedendo in lontananza quel bimbetto scalzo che sgambettava lungo il sentiero. Si ricordò di quando era piccola e libera, e di come anche lei amasse giocare sotto la pioggia.                                                                      

  
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