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Autore: nightswimming    28/05/2013    2 recensioni
Raccolta di one-shot basate sul disco "Chaos And Creation In The Backyard" di Paul McCartney, prevalentemente a tema Johnlock, ma è garantita l'allegra partecipazione del resto della famiglia.
Tematiche e rating variabilissimi, dal fluff che caria i denti, agli arruffamenti di lenzuola, all'angst esistenziale e/o sentimentale dei nostri eroi.
(N°4: Una certa tristezza nel suo sorriso.)
Genere: Generale, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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A certain softness in his eyes
A kind of sadness in his smile
A touch of wildness in his style
Got me hooked
Surer than anything that’s sure
 
 
 
 
 
 
 
Di fianco all’ospedale in cui John faceva tirocinio quando aveva vent’anni c’era un teatro.
Verso l’ora di pranzo, la tavola calda in cui abitualmente mangiava veniva invasa da bambine in tutù e ragazzini in pantaloni da ginnastica che si avventavano sul cibo come locuste, ipercinetici e rumorosi.
John amava sentire il loro chiacchiericcio infantile, vedere quelle bocche piene di buchi fra i denti ridere e dire scherzi, assistere alle crisi di nervi dei loro insegnanti di danza che cercavano di nutrirli senza far distruggere il bar.
Quel fracasso gioioso era un balsamo per i suoi nervi. La sua vita al momento si divideva, in maniera vagamente noiosa, fra turni sfiancanti e notti in bianco a studiare per gli esami. Quelle classi di danza indemoniate erano un tocco di colore, una piacevole distrazione che interrompeva la calma piatta delle sue giornate sempre uguali.
Poi, un giorno, la calma piatta di John Watson venne interrotta in maniera più brusca del solito.
Era in canottiera e pantaloncini corti, ancora sudato, ancora pieno di energia nei piedi; riusciva a stento a farli star fermi mentre aspettava che arrivasse il suo panino, appoggiato con un gomito sul bancone, un sorriso fiero sulle labbra.
Aveva delle gambe snelle, ingannevolmente femminili: sotto la pelle liscia John riusciva a scorgere fasci sottili, ma elastici e vigorosi, di muscoli. Le spalle erano larghe, le dita quasi troppo lunghe e graziose per essere quelle di un ragazzo, gli occhi brillanti e quasi sfacciati, che non stavano mai fermi, ma gettavano occhiate curiose a qualunque cosa vedesse intorno a lui. Era alto, slanciato, elegante – inequivocabilmente uomo, virile, anche se in una strana maniera ibrida, che gli faceva irradiare forza e leggiadria allo stesso tempo.  
John scoprì di essere diventato duro sotto i pantaloni della divisa dell’ospedale. Il viso gli scottava e si trovò incapace di togliere gli occhi di dosso a quel ballerino, a quel bellissimo-
…Ragazzo. Non avrà più di quindici o sedici anni. Oh Cristo Watson, sei nei guai.
In quel momento John Hamish Watson capì che la sua posizione nella scala di Kinsey si era bruscamente riassestata. Capì anche che stava attraversando la sua crisi di identità sessuale in modo più che dignitoso, visto che la cosa che l’aveva disturbato di più era il divario d’età fra lui e quel giovane adone - e non il fatto di aver provato attrazione per un uomo.
C’è da dire che la folgorazione sulla via di Damasco si fermò lì. Per i successivi vent’anni John Watson buttò in giro uno sguardo apprezzativo ma distratto, notò quel che c’era di bello da notare in qualche corpo, sviluppo legami emotivi fortissimi dolorosamente caduchi con i suoi commilitoni maschi e fece poco altro. Non sentì mai più il bisogno di agire, di fare, di prendere, come l’aveva sentito quel giorno di due decenni prima, mentre risaliva con gli occhi lungo due cosce tornite lasciate scoperte da un paio di shorts da ginnastica.
Poi, un giorno, la calma piatta di John Watson venne interrotta di nuovo. E questa volta, l’impatto fu devastante come quello con un treno merci.
Sherlock Holmes era inequivocabilmente fuori di testa. Suonato come una campana. Folle, un ex-tossico con manie di protagonismo, uno stralunato completo, un pazzo scavezzacollo che se vedeva del possibile pericolo vitale vi ci gettava in pieno con un impeccabile tuffo di testa, un genio capriccioso che facendo i capricci e pestando i piedi aveva capito di poter ottenere tutto quello che voleva (specialmente da lui), un uomo coraggioso al punto da sviluppare un’insana dipendenza dai rischi mortali, il proprietario di due occhi che ti dissezionavano come un insetto e dopo, se risultavi abbastanza interessante, ti inchiodavano al suo sguardo a mo’ di bella farfalla in trappola, il padrone di un corpo che dannazione non aveva alcun diritto di risultare così attraente, perché era tutto pelle e osse, sghembo, zeppo di angoli nei posti sbagliati, come ad esempio la faccia e i fianchi e i polsi, e pieno di morbidezze che sarebbero dovute essere vietate per legge in luoghi insospettabili, vedi il sedere e-
Questi erano i pensieri sconnessi che gli erano precipitati addosso come una tonnellata di mattoni subito dopo il primo giorno, nel momento appena successivo a quella cosuccia da nulla che era stata sparare ad  un uomo e ucciderlo per salvare la vita del suddetto spocchioso, tronfio, splendido idiota.
Col passare del tempo, altre riflessioni avevano cominciato a scorrergli quietamente sotto pelle, come un rilassante fiumiciattolo scrosciante innegabili verità:
Il fatto che Sherlock considerasse il proprio corpo come mero trasporto, ma che al contempo spendesse montagne ore e soldi in giro a comprarsi i vestiti dai tessuti più lisci e pregiati, dal taglio più aderente, dai colori che più si intonavano alla pelle chiara e a quegli occhi quasi extra-terrestri, e che nessuno avrebbe saputo portare ottenendo quell’effetto fatta eccezione per lui – che ben lo sapeva, egocentrico pavone che non era altro;
il fatto che si definisse solo cervello, ma che andasse molto spesso dal barbiere senza nemmeno farsi tagliare i capelli (persino quando avrebbe dovuto) all’unico scopo di farsi massaggiare il cuoio capelluto, dove era sensibilissimo. John l’aveva scoperto un giorno per puro caso, quando gli aveva scherzosamente arruffato i capelli in un moto d’affetto e lui aveva emesso un gemito di puro piacere ed era quasi crollato in ginocchio per la forza della sensazione (inutile dire che John aveva successivamente trascorso parecchie notti a copincollare senza vergogna quel suono, e quelle gambe tremanti, nelle sue fantasie più esplicite).
il fatto che lo sguardo di Sherlock si fosse come annacquato, indebolito, rattristato quando lui aveva corretto il suo “amico” con quello stupido, stupido “collega”;
il fatto che avrebbe volentieri fatto ingoiare i denti a quel Sebastian quando, per la prima volta, Sherlock non aveva ribattuto – lui! Sherlock Holmes! Non! Aveva! Ribattuto! – nel momento in cui si era visto umiliato e dileggiato per il suo genio, come se d’improvviso ne avesse provato vergogna. E quell’indegno squalo della finanza – no, non squalo: serpe - si era pure permesso di colpirlo sotto la cintura, nei ricordi infelici di quando non era altro che un ragazzino ansioso di essere notato e rispettato. Viscido, lurido, perfido rettile, oh, perché non l’aveva preso a pugni;
il fatto che, se avesse potuto tornare indietro nel tempo, avrebbe comunque corretto Sebastian: avrebbe detto “compagno” o anche solo, semplicemente, “suo”. Il suo qualsiasi cosa Sherlock volesse che lui fosse;
il fatto che non voleva solo togliersi uno sfizio, baciarlo e toccarlo e accarezzarlo e venire dentro di lui o sotto di lui e non pensarci più; no, lui voleva tutto questo, e poi poterlo stringere in modo da non farlo andare più via. Fargli dimenticare per sempre il significato delle parole “freak” e “solitudine”. Stancarlo e guardarlo dormire, abbassare le difese, lasciarsi andare e non avere più paura. Amarlo.
Oh Cristo Watson, sei nei guai.
 
 
 
 
 
 
Note: forse cercavi: spudorata elegia di Sherlock Holmes. Dio, sono senza vergogna. XDDD Also: FLUFF! FLUFF IN THE DUNGEONS!
(Anche se John è venuto fuori veramente isterico. Povero tato ç_ç Prolonged exposure drove him insane).
Bonus a chi coglie il riferimento a una squisita persona di nostra conoscenza, e a una delle sue – a quanto pare – debolezze. *fans herself*
 

 

   
 
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