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Autore: A li    13/12/2007    11 recensioni
Piansi perché non ero quello che desiderava mio padre.
Piansi perché avevo lasciato sola mia madre.
Piansi perché avevo amato Chiara con tutto me stesso ed ora, per colpa mia, l’avrebbero umiliata e messa in disparte.
Piansi perché, in questo mondo crudele, non c’è spazio per quelli come me.
E nemmeno per quelli che ci sono amici.
Finalmente avevo capito chi ero: ero un’anormalità, come mi definivano i giornalisti, ed ero una disgrazia. Per quelli che mi amavano. Ed ero soltanto un peso.
Ma, in un mondo dove non c’è spazio per altre disgrazie oltre quelle già presenti, ci può essere un raggio di luce.
Ed il mio fu un ragazzo.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a kikketta94 e a SweetPissy per le uniche 2 recensioni… sigh…

Grazie a kikketta94 e a SweetPissy per le uniche 2 recensioni… sigh…

Questo è il seguito, spero che vi piaccia…J

 

2. Amore?

- E così sei una rockstar… - sorrisi – che onore! -

La ragazza rispose al mio sorriso e indicò il treno che stava arrivando.

- Sono una rockstar dispersa. -

La fissai interrogativo.

Lei alzò le braccia. – Sono scappata. –

- Non ci credo. -

Fece l’offesa. – Guarda che è vero. –

Mi scappò una risatina.

- Ed ora cosa c’è da ridere? -

Mi ricomposi, serio, mentre la pelle si tendeva per sorridere. – Niente. –

Lei mi squadrò, quasi arrabbiata, poi sorrise a sua volta.

E mi sentii autorizzato a scoppiare in una risata liberatoria.

Non mi chiese perché lo facessi e fu un sollievo, dato che nemmeno io lo sapevo.

Quella ragazza mi ispirava davvero fiducia. Come Chiara.

Era discreta e assolutamente non invasiva. Si teneva in disparte dalle mie faccende private, evitava i discorsi che capiva essere dolorosi. Non mi aveva ancora interrogato su come fossi lì o da dove venissi, perché non fossi a scuola, come i miei coetanei.

E allo stesso modo io non avevo domandato niente di lei, nonostante fossi davvero curioso. Mi chiedevo perché, se era davvero una rockstar (e non ne ero affatto certo), fosse fuggita, cosa l’aveva spinta a farlo. Sentivo, nel suo inglese stentato, un forte accento tedesco, ma non mi sarei mai permesso di chiederle da dove venisse, perché sembrava che parlarne la facesse soffrire.

Nella stazione la gente ci passava davanti e si soffermava solo davanti a Nena. A volte qualcuno le chiedeva se si fossero già visti, ma lei negava con grande convinzione. Forse era davvero famosa.

Era carina: quella matita marcata, intorno agli occhi neri, le dava un aspetto maschile. Ma il viso era angelico, di una perfezione quasi sovrannaturale. La forma ovale era risaltata dalla sinuosità e dall’adattamento dei capelli neri, il naso arrotondato dava all’espressione un che di infantile e la forma delle labbra molto marcata, le permetteva un sorriso stupendo.

Ed il suo corpo era esile, risaltato dai vestiti attillati, anche se tipicamente maschili, come maglie con teschi o scritte fiammanti.

Era indubbiamente strana. Ma proprio per questo mi piaceva.

Era quasi tardo pomeriggio, quando mi chiese una cosa che mi incuriosì.

- Hai mai paura, Tom? -

Mi voltai verso di lei e vidi che teneva lo sguardo triste sul pavimento.

Aveva riso fino ad un attimo prima e questo cambiamento mi colse di sorpresa.

- I-io… -

Lei si voltò e i suoi occhi sembravano devastati da un grande dolore.

- Io… sì, Nena. -

Chiuse gli occhi.

- Di cosa? -

Mi sentii cogliere impreparato. Mi sentii stupido per aver pensato che quella ragazza fosse frivola, mentre era decisamente profonda.

- Di molte cose. – divenni serio. – Una più di tutte. -

Lei mi sorrise, me sempre tristemente.

- Ed è quella di non essere accettato. -

Improvvisamente il panico mi assalì: stavo per confessarle di essere una ragazza. Ma lei come avrebbe reagito?

- Perché? – mi chiese.

- Perché… perché, io… - sospirai. - … io sono una ragazza. -

Strinsi i denti, in attesa di qualsiasi cosa. Avevo fatto un grande passo, ma non avrei più resistito senza dirglielo.

Ma non successe niente.

Lei si limitò a ridere dolcemente e a bassa voce.

- Non mi crederai, ma ti capisco. -

Non potei tirarle fuori una parola in più. Ma neanche volevo. Mi aveva accettato. Mi aveva accettato per quello che ero e non avrei potuto chiedere di più.

- Sei la prima che lo dice. -

Lei mi puntò ancora addosso la sua tristezza.

La mia lingua agì prima del mio cervello. – Tu perché hai paura? –

Il suo sguardo tornò al pavimento.

- Ho paura di perderlo. -

Ancora una volta non mi trattenei.

- Chi? -

Lei sorrise amara, persa tra i suoi ricordi.

- Il mio fratellone. Sai, anche lui si chiama Tom. -

- Oh… - fu tutto quello che mi uscì.

- Lui era tutto per me. Lo amavo davvero. – interpretai quelle parole come amore fraterno, ma non sapevo quanto mi sbagliassi – Ma un giorno lui ha scoperto il mio segreto nascosto e non ha più voluto parlarmi. L’ho perso per sempre. -

Le ultime parole risuonarono nella mia mente fredde e taglienti.

Aveva perso un fratello e io avevo perso i miei genitori.

- Mi dispiace. – dissi, ma mi maledissi subito per come quelle parole suonassero fatte.

Lei mi guardò negli occhi questa volta e intravidi davvero il suo dolore.

Istintivamente l’abbracciai.

- Era mio fratello! – esclamò e scoppiò a piangere. – E l’ho perso perché ho deciso di essere me stesso! -

Ero talmente preso dai singhiozzi che la scuotevano, da non prestare attenzione alle sue parole. Non sapevo far altro che tenerla stretta a me e ascoltare il suo cuore battere, sperando che non si fermasse.

Ad un tratto si allontanò da me, mentre anch’io piangevo.

- Piangi? – sorrise con il viso arrossato.

- Sì… - risi – Ti faccio schifo? -

Fu il suo turno di ridere. – No… - sussurrò – sei perfetto così come sei. –

Prese il mio viso tra le mani e, avvicinandosi, mi sfiorò le labbra dolcemente, senza andare oltre.

- Grazie. -

Rimasi impalato dov’ero, non riuscendo a pensare ad altro che a quella ragazza magnifica che mi stava davanti. Lei appoggiò la testa al mio petto e chiuse gli occhi.

Passarono ore, ma non sentivo altro che il suono del suo respiro sulla mia maglia.

Si svegliò al tramonto, quando non era rimasto quasi nessuno in stazione.

- Buongiorno… - sussurrai.

Lei mi sorrise.

Arrivò un treno improvvisamente, rompendo la quiete che si era creata. Sembrava parecchio affollato, perché ne scese un sacco di gente.

Poi, quando erano quasi tutti usciti, un agente della sicurezza si avviò all’ultimo vagone e aprì le porte, facendo segno a qualcuno di scendere. Emersero prima due uomini in nero, con gli occhiali scuri a proteggerli, con il tipico atteggiamento da guardie del corpo. Poi, dietro di loro, tre ragazzini sui quindici anni o poco più. Uno, castano, coi capelli alle spalle, mossi; il secondo, biondissimo, con i capelli corti e un viso da bambino; il terzo, forse il più particolare, con rasta biondoscuro, un piercing al labbro e degli abiti xxl, evidentemente troppo grossi per lui.

Nena non li notò, perché stava guardando dall’altra parte, ma a me sembrò di riconoscere il ragazzo coi rasta, forse l’avevo visto da qualche parte.

Ma quei ragazzi si atteggiavano da vere star.

Li vidi camminare verso l’uscita della stazione, dove un camioncino nero, apparso dal nulla, li aspettava. Erano vistosamente provati dal viaggio, stanchissimi. Marciavano spinti dagli uomini in nero, quando il rastaro si voltò verso di me e spalancò gli occhi alla vista di Nena.

- Bill! – il suo grido squarciò l’aria.

Lo riconobbi: era un grido di felicità, dopo un lungo periodo di disperazione repressa.

Nena si voltò a quel richiamo, impallidendo.

Si alzò ed indietreggiò, inciampando nei suoi piedi, smarrita.

- Bill! –

Il rastaro lanciò un altro grido implorante verso la ragazza.

Non capivo più niente.

Il rastaro lasciò perdere la possibilità di essere ascoltato e si mise a correre in direzione di Nena, la quale scappò, riprendendosi improvvisamente.

Ma il suo inseguitore era chiaramente più veloce e la raggiunse in fretta.

La prese per un braccio, costringendola a voltarsi, si gettò tra le sue braccia e pianse.

Adesso Nena non cercava più di scappare, ma, come riscossa, ascoltava impassibile i singhiozzi del rastaro.

- Bill… Bill… -

Intanto gli altri due membri del gruppo lo avevano raggiunto e assistevano alla scena da una distanza di sicurezza.

Dopo un po’ il ragazzo biondoscuro sembrò riprendersi e si gettò ai piedi di Nena.

- Bill… ti prego, perdonami! -

Anch’io mi ero ripreso e, azionando il cervello, capii che Nena doveva essere in realtà Bill.

- Perdonami! – proseguì il rastaro – Io non capivo, non sapevo! Non mi rendevo conto di come fosse difficile per te convivere con il desiderio di amarmi! -

Bill lo fissava con le lacrime agli occhi. Si inginocchiò a sua volta a terra.

- Non capivo e credevo che odiandomi avresti cambiato idea! Per questo ho smesso di parlarti. Ma sono stato uno stupido! Ti prego fratellino, perdonami! Ti voglio bene, non andare via da me! -

Ora anche Bill piangeva. Tom si spinse avanti e lo abbracciò, attenuando i suoi singhiozzi.

Capii solo in quel momento: Bill era davvero una star. Ma era un ragazzo. Ed era il rastaro il suo fratellone. Lui lo amava, ma non era corrisposto e così era fuggito. Ma l’amore del fratello era troppo grande per lasciarlo andare.

Io non c’entravo niente in quella storia.

Ma non mi sentivo né tradito, né arrabbiato.

Infondo avevo imparato qualcosa da tutta questa storia. Lo avevamo fatto tutt’e due.

Bill avrebbe imparato a voler bene al fratello senza amarlo.

Ed io avevo imparato che non ero solo in questo mondo.

Alla fine io e Bill saremmo stati in qualche modo uguali. Forse saremmo stati accettati un giorno. Ma in fondo al cuore saremmo stati… diversi per sempre.

 

 

Allora?

Non è Twincest perché Bill non ama più il fratello, ma gli vuole solo bene e comunque è innamorato di Tom (Ele).

Non so come mi sia venuta fuori questa storia, ma ne sono abbastanza soddisfatta. Beh, i Tokio Hotel non sono proprio al centro della storia, ma ci sono!

Commentate, spero che vi sia piaciuta.

A presto!

 

Aki

 

 

 

   
 
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