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Autore: dilpa93    28/05/2013    5 recensioni
Solo allora, sentendo il suo nome, la donna alzò la testa incrociando lo sguardo del nuovo arrivato.
Lui la scrutò a fondo. Nei suoi occhi verdi aveva trovato più di quanto potesse immaginare, aveva trovato la pace.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Si alzarono lentamente, tenendo ancora le mani unite.
Beckett odiava non sapere cosa stesse accadendo, ma sapeva anche che arrivato il momento gliene avrebbe parlato.
Rientrati avevano trovato un nuovo caso ad aspettarli alle loro scrivanie.
Con una scusa banale Rick entrò nell’ufficio del capitano; si schiarì la voce porgendogli poi una busta che teneva in tasca da un paio di giorni, e che, prima di ricevere quella chiamata, aveva sperato di non dover consegnare.
“Di cosa si tratta Richard?”
“Preferisco che tu la legga. Ti prego solo di non farne parola con nessuno, soprattutto con Beckett. Roy, so quello che faccio, e quando l’avrai letta non cercare di dissuadermi. Non cambierò idea.” Lo redarguì prima che potesse dire qualcosa.
Montgomery si passò la mano lungo il mento ispido. Lo conosceva da anni, le sue scelte e decisioni, solitamente ponderate, delle volte erano state avventate, ma aveva imparato a non mettersi in mezzo. Quando si metteva in testa una cosa nessuno poteva fermarlo. Era un tornado, che fino adesso, però, aveva avuto la sfortuna di distruggere solo la sua vita.
“Molto bene. C’è altro?”
“Veramente si... domani potrei avere il pomeriggio libero?”
“Scommetto che oltre a te dovrei darlo anche a Katherine, dico bene?”
“So che c’è un caso da risolvere, ma Ryan ed Esposito sono un grande team anche senza noi due.”
“Non so ancora cosa tu abbia in mente…” accennò alla lettera sventolandola in aria, “ma va bene, in fondo è solo per un pomeriggio.”
Chinò il capo rispettoso sibilando un grazie, tornando al lavoro.
“Ehi, è tutto a posto?”
“Si, non potrebbe andare meglio” le prese la mano baciandole il palmo andando poi alla scrivania.
Lei fissò la sua schiena e le sue spalle possenti costrette dentro la camicia blu. Aveva visto di nuovo quella ruga in mezzo la sua fronte.
Di nuovo una bugia.
Sperò solo di sbagliarsi.
 
La mattina dopo Rick si era svegliato presto; lo aveva sentito trafficare nell’armadio, ma aveva fatto finta di nulla, restando ancora un po’ sotto le coperte, con gli occhi chiusi, aspettando che la sveglia suonasse.
La spense subito dopo un primo trillo e, voltandosi, lo vide fissarla sorridente con in mano un caffè fumante.
“Buongiorno bellissima.”
“A cosa devo tutta questa allegria stamattina?” Chiese mettendosi seduta.
“Ho una sorpresa per te”, ammise porgendole la tazza, “so che le odi, ma questa ti piacerà, ci scommetto.”
“E dove sarebbe questa sorpresa?” Domandò curiosa sorseggiando la bevanda calda e rigenerante.
“Niente fretta, arriverà in tarda mattinata.” Non aggiunse altro, lasciando la donna con l’amaro in bocca, e di certo non era dovuto al caffè.
 
Tuttavia, ora che si stavano godendo un pomeriggio di sano relax, fu contenta di quella segretezza e riservatezza a riguardo mantenuta da Richard.
Ancora non capiva come fosse riuscito a convincere il capitano a dare mezza giornata libera ad entrambi, ma era uno di quei tanti misteri che rendevano ciò che stavano facendo ancora più speciale.
Si erano lasciati casa alle spalle e, avvolti nell’abbraccio dell’altro, avevano passeggiato fino al parco.
Avevano steso un asciugamano sull’erba fresca, appena sotto le fronde di un grande albero. Si erano stuzzicati lasciandosi andare a piccole effusioni. Come sfiorarsi le labbra in un caldo bacio, far intrecciare le loro gambe, od incastonare le dita delle loro mani. Rotolarsi sulla coperta in una dolce lotta fino a che non si ritrovavano tra gli alti fili d’erba, annaspanti e desiderosi di appartenersi.
Kate, ora, se ne stava sdraiata perpendicolare al corpo del detective. Le gambe piegate erano accavallate l’una sull’altra, mentre con la mano teneva poggiato il libro sul suo ventre piatto. La testa aveva trovato la sua collocazione perfetta sulla schiena del suo uomo e si muoveva a ritmo del suo respiro che sentiva farsi più pesante ogni secondo che passava.
 
Verso l’imbrunire il cielo aveva scatenato la sua ira e, con la coperta a coprirgli la testa, erano corsi verso il loro appartamento più in fretta che poterono.
Appena chiuse la porta, Kate non ebbe il tempo di mettere a fuoco il suo viso, che si ritrovò contro la parete sentendo le sue labbra premere con prepotenza sulle sue.
Le mani di Castle viaggiavano sul suo corpo quasi a volerlo consumare.
Rispose fremente al bacio.
Si spogliarono delle cose futili, lasciate sul pavimento a simboleggiare il loro passaggio.
 
Non si era mai sentita così.
 
Il modo in cui la toccava, in cui, esperte, le sue dita sfioravano la sua figura in ogni punto, fino ad arrivare al più sensibile. Quando tornò in sé, in un attimo di lucidità, si accorse che erano arrivati in camera da letto, poteva sentire il morbido materasso sotto il suo corpo.
I suoi sensi erano piacevolmente allettati dai giochi dell’uomo. Ogni suo gesto era diverso, e lei si era lasciata coinvolgere all’estremo. La provocava, poi si fermava e cominciava quella tortura da capo. Prima il collo, poi i seni. La schiena e il ventre piatto, le gambe, le caviglie sottili, fino ad arrivare alla sua intimità.
Dolce, amorevole, e allo stesso tempo bruto e passionale. Era stata una lotta che aveva lasciato il segno, un segno che non avrebbe mai voluto vedere andar via.
I loro corpi si erano fusi e i loro profumi mischiati; l’aveva posseduta come mai aveva fatto prima d’ora. Si erano appartenuti come se quella sarebbe dovuta essere la loro ultima notte.
 
Ed in fondo era così, solo che lei ancora ne era all’oscuro.
 
La guardò dormire sfinita; i capelli le ricadevano sulla pelle madida. Con l’indice tracciò il profilo del suo corpo senza svegliarla, le carezzò l’incavo della schiena nuda lasciandole poi un bacio sulla spalla. Si alzò attento a non fare rumore e andò in salone. Da sotto il divano prese il borsone che vi aveva nascosto quella mattina; ne tirò fuori una piccola scatolina in velluto blu, e una busta bianca dove la sua calligrafia precisa e pulita risaltava in quell’unica parola ‘Katherine’.
Senza più voltarsi, aprì cauto la porta e uscì.
Le lacrime cominciarono a rigargli il volto, ma quella era la scelta giusta. Non voleva metterla in pericolo, e con lui accanto, almeno fino a che Peter sarebbe stato libero, non sarebbe stata al sicuro.
Prese un bel respiro e scese le scale.
Aveva ancora una lettera da consegnare, e pregò che sua madre, una volta letta, capisse perché non aveva avuto la forza di dirglielo di persona.
 
 
Si era svegliata notando la sua assenza al suo fianco. Il suo lato era freddo come l’aria che, prorompente, apre la finestra lasciando entrare il vento invernale. Si stiracchiò allungandosi, convinta che lui stesse preparando la colazione, o che, conoscendolo, si fosse alzato in piena notte colto da un’improvvisa folgorazione e si fosse messo a lavorare al caso. Andò a farsi una doccia, pensando di poter fare un remake della nottata appena trascorsa provocandolo presentandosi da lui con solo un asciugamano a coprirle il corpo. Il getto d’acqua le carezzò la pelle, e la schiuma le donò quell’aroma alla ciliegia che Rick trovava tanto afrodisiaco. I capelli gocciolanti le ricaddero stanchi sulle spalle, l’asciugamano bianco era chiuso con un nodo all’altezza del seno. A passi leggeri si diresse in cucina trovandola deserta.
“Rick” chiamò, “Rick!” ripeté più forte non avendo ottenuto risposta. Arrivò nel soggiorno; una piccola goccia partì dal basso ventre scendendole lenta lungo la gamba.
Il divano era lievemente spostato. Se ne accorse immediatamente. Gli occhi si spostarono sul pavimento cercando i loro vestiti che dovevano ricoprirlo vicino all’ingresso. I suoi erano ancora nel punto in cui se ne era sbarazzata, quelli dell’uomo erano scomparsi. Gli occhi viaggiarono frenetici, fino a fermarsi sul tavolino in legno lì accanto, posandosi sulla busta.
La goccia scivolò tranquilla sul suo polpaccio fino ad arrivare alla sua caviglia.
Strinse la lettera tra le sue mani e, quasi come un manichino, con movimenti plastici, si lasciò cadere sul divano.
 
“Non ho avuto il coraggio di dirtelo. Di svegliarti per salutarti. Sono stato un codardo, lo riconosco.
Odio me stesso per quello che ho fatto, ma non avevo altra scelta. Con il lavoro che facciamo questa frase l’abbiamo sentita mille volte, ma questa volta è la verità, e spero che tu decida di credermi.
Sono grato che tu mi abbia dato la possibilità di conoscerti; sono grato che tu mi abbia fatto entrare nella tua vita e che tu sia entrata nella mia. Grazie a te sono riuscito a superare il dolore, grazie a te ho trasformato quel dolore nella mia forza, e tu sei parte di questa. Mi hai dato speranza quando sembrava non essercene, mi hai dato luce quando intorno vedevo solo il buio. Spero di essere riuscito a darti anche solo una misera parte di quello che tu hai dato a me.
In questi anni passati insieme mi hai dato la possibilità di farti conoscere il vero me, di fartene scoprire ogni lato. Nessuno ci era più riuscito da tanto, e con questo sto cercando di dirti quanto tu sia straordinaria e speciale.
Sono certo che, guardandola di sottecchi, ti starai chiedendo cosa c’è dentro quella scatolina, e sono altrettanto certo che tu ne abbia già un’idea.
Te lo avrei chiesto a breve, ormai credo lo avessi capito.
È giorni che me lo portavo in tasca aspettando il momento giusto.
Avrei davvero voluto vederti avanzare verso di me all’altare, lungo la navata, in quell’abito bianco che sicuramente avrei voluto toglierti subito.
Ti amo così tanto, e so di non avere il diritto di scrivertelo in questo momento, ma devo, voglio che tu lo sappia.
Vorrei dirti che tutto finirà velocemente, che tornerò presto, che ogni cosa tornerà a posto. Vorrei chiederti di aspettarmi, ma sarei solo un’egoista.
Spero solo che tu un giorno, quando ci rincontreremo, quando ti avrò raccontato tutto,  possa capirmi, e mi dispiace di non poterti dire nulla, ma lo faccio per te, per tenerti al sicuro.
Ti amo, non dimenticarlo mai.
Sempre tuo, Rick”.
 
 
Gli occhi cominciarono a bruciare. Non era rabbia, non era disperazione, non era tristezza, era solo impotenza davanti a quella situazione. Ma era sicura che le altre emozioni l’avrebbero invasa di lì  a poco.
Si obbligò ad alzarsi; raggiunse la camera da letto cominciando a rovistare nel cassettone sotto l’armadio alla ricerca di qualcosa da indossare.
In un primo momento non ci fece caso, ma poi notò le sue camicie, i suoi maglioni, i suoi classici calzini neri. Era ancora tutto lì, beh, quasi tutto.
 
Lasciando il seno libero dalle costrizioni del reggiseno, si infilò una delle magliette che lui aveva lasciato.
Chiuse le imposte e si rannicchiò sul letto; le gambe raggomitolate contro il corpo lasciavano intravedere le culottes nere.
Tirò il bordo della maglia fin sopra il naso inspirando a fondo. Nonostante si sentisse tradita, lui le mancava già, terribilmente, e, in cerca del suo odore, cominciò a ripescare le immagini dei momenti trascorsi insieme, fino ad arrivare alle ultime parole che si erano sussurrati quella notte.
 
“Ti amo Kate. Ti amo, ti amo, ti amo” aveva bisbigliato tra un bacio e l’altro lasciato vicino all’orecchio solleticandole il collo.
“Anche io” aveva ridacchiato.
Aveva intrappolato tra le mani i suoi polsi sottili, bloccandole le braccia all’altezza del viso sul cuscino, mentre lentamente si metteva a cavalcioni su di lei, avvolto unicamente dal lenzuolo bianco “No, voglio sentirtelo dire.”
“Perché?” aveva chiesto sempre col sorriso ad illuminarle il volto.
“Perché mi piace quando lo dici. Perché sentirlo mi rende di buon umore. Perché non lo dici spesso, e questa è la notte giusta per farlo.”
Aveva ridacchiato ancora, maliziosa e persa nei suoi occhi blu. “Ti amo” aveva detto improvvisamente seria sporgendosi poi per baciarlo, inarcando la schiena verso il corpo del suo uomo riuscendo a sentirne nuovamente l’eccitazione.
 
Si diede della stupida per non averci pensato subito, per non aver trovato strana l’insistenza di Richard nel volerle sentir pronunciare quelle due parole. Era vero, non lo diceva spesso. Lui era sempre il primo, e lei si limitava a mormorare un timido ‘anche io’, oppure a baciarlo con dolcezza e trasporto sulle labbra in un tacito assenso. Ma in quel momento non vi aveva visto nulla di strano.
 
Le dita affusolate si fecero strada tremanti tra i capelli ancora umidi, arrivando poi a sfiorale il viso appena sotto gli occhi. Tirò la pelle facendola arrossare, la torturò sotto il tocco dei suoi polpastrelli cercando la forza per smettere di piangere, per smettere, anche solo per un istante, di pensare a lui. Cercando una forza che, però, non aveva.
Ascoltando il silenzio improvviso della casa, si sentì morire, e tutto il dolore, che scavava nella profondità del suo animo e che avrebbe voluto gridare al mondo, rimase racchiuso in quelle lacrime che le sfiorarono silenziose il viso.




Diletta's coroner:

Siamo quasi alla fine... nel prossimo si ritorna nel presente.

Cosa dite che succederà quando si aprirà quella porta a cui Castle ha bussato dopo 4 anni?

Buona serata a tutti
  
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