Lovebird
Finito
il tour, finalmente i ragazzi potevano tornare alle loro case per
passare quel piccolo spazio di tempo fra un viaggio in aereo e
l'altro con le loro famiglie. Liam, Louis e Harry erano tornati a
Londra, Niall a Mullingar e Zayn a Bradford. Erano fisicamente
lontani, ma continuavano a sentirsi perché ormai erano
abituati a
passare il tempo insieme, scherzando e ridendo.
Quell'ultimo
tour era stato stremante, i ragazzi erano stanchi e affaticati,
avevano necessariamente bisogno di una pausa per sentirsi ancora
normali, per non uscire dalla realtà. Inoltre, volevano
sentirsi di
nuovo a casa, non soli in stanze che non conoscevano, circondati da
persone che non rappresentavano niente per loro.
L'unica
cosa che mancava erano le fan, che sempre gentili e amorevoli, li
seguivano e li amavano da lontano, dal piccolo della propria casa o
del proprio computer, dalla parete o dalla tv. Molte di loro non li
avevano mai visti, ma continuavano a sperare che un giorno sarebbero
state loro le fortunate. I ragazzi ne ammiravano la forza e la
passione, non smettendo di ringraziarle per aver fatto in modo che il
loro più grande sogno si avverasse.
Ma
in quel momento erano tornati alla vita quotidiana di tre anni prima,
quasi, quando le persone che li conoscevano si potevano contare su
una mano e dove l'affetto più grande che ricevevano
proveniva dalle
loro famiglie.
Quella
sera, infatti, erano dei ragazzi come gli altri.
“Harry,
ti prego, cambia canale.” Louis era annoiato; fuori pioveva e
soffiava un vento gelido che lo faceva rabbrividire. Pensare che
appena una settimana prima erano stati in Spagna, dove il sole
brillava caldo e lucente, l'aria era salmastra e i colori brillanti.
Adesso
Londra gli sembrava banale, scolorita, grigia. Cos'era al confronto
di New York? Los Angeles? Tokyo? Vi era sempre freddo, il cielo era
perennemente triste e nessuno rideva.
Non
vi era niente di magico, lì.
“Non
c'è altro di interessante.” rispose Harry, seguito
da uno
sbadiglio rumoroso che tentò di bloccare con una mano,
invano.
“Davvero
credi che un programma di cucina giapponese lo sia? Non capisco
nemmeno quello che sta dicendo.” e indicò il
televisore accesso,
l'unica fonte di luce della stanza.
Harry
ridacchiò e si voltò, cercando gli occhi
dell'amico. “Almeno
impariamo una nuova lingua.”
Louis
ammutolì di fronte alla sua genialità lampante e
non sapendo che
altro fare, ricambiò con altrettanta stupidità,
tirandogli con uno
scatto repentino un cuscino dritto in faccia.
Harry
si bloccò per qualche secondo, non avendo ben capito cosa
fosse
appena successo. Alzò le mani e spostò il cuscino
dal suo viso, che
aveva scompigliato i suoi ricci e adesso si erano afflosciati sulla
sua fronte, come una strana frangetta.
“Stai
benissimo.” disse Louis, alzando il pollice sinistro e
sorridendo
sornione.
Il
riccio, offeso e divertito, si sistemò il ciuffo facendolo
tornare
alla sua forma perfetta. “Grazie mille Lou, sei davvero
gentile
oggi.” gli disse, mettendo un finto broncio.
“Uh,
Harreh, non essere permaloso.” lo canzonò,
iniziando ad
accarezzargli i capelli, spostando le ciocche e trasformandoli in un
cespuglio castano.
“Sta'
fermo!” Il riccio prese i polsi dell'amico, tentando di
fermare il
disastro che stava combinando, ma che ormai era irreparabile.
Li
strinse, dato che Louis stava opponendo resistenza, ridendo come un
cretino, e si ritrovò a qualche centimetro dal suo viso.
Sentì
qualcosa nello stomaco, come una voragine che lentamente e
dolorosamente, stava scavando e stava facendo scomparire tutto. Non
riusciva a muoversi, a staccarsi da lui, a lasciare la presa e
tornare lontano, perché con quel tocco si sentiva a casa, si
sentiva
completo.
Eppure,
gli sembrava troppo strano che potesse sentire tutto quel caos per
lui. Aveva provato tutto ciò altre volte, per colpa di un
unico
sentimento folle, ma era impossibile che quella stretta accendesse
tutti i suoi muscoli e il suo cuore, che liberandosi dal buio,
iniziava a battere rumoroso, facendo risuonare la sua musica in tutto
il suo corpo, con uno strano ritmo.
Poi
Louis non sembrava nemmeno ricambiare. Era completamente
indifferente.
“Credo
che tieni più ai tuoi capelli che alla tua stessa vita,
Harold.”
sentenziò Louis, abbassando le mani, con ancora quelle di
Harry
ancorate alle sue.
Il
riccio destò la sua attenzione, le ritirò
scioccato e le poggiò
sulle sue gambe.
“Hai
ragione.” disse, ma non aveva nemmeno capito cosa lui avesse
detto.
“E
se prendessimo un frullato?”
Era
passata quasi una settimana, ma loro erano ancora insieme, seduti
nella macchina di Harry, una delle tante. Il sole, forse per grazia
divina, aveva deciso di fare capolino. Gli uccellini cantavano,
l'erba era più verde che mai, Londra aveva preso un po' di
colore.
“Ci
sto.” rispose Louis, sorridendo ad Harry, che sapeva sempre
di cosa
lui avesse bisogno.
“Perfetto.”
disse e mise in moto.
La
strada per la gelateria dove andavano fin dalla fine di x-factor era
breve e tranquilla.
Non
erano preoccupati che qualcuno potesse riconoscerli, conoscevano il
gestore che gli riservava sempre un tavolo solitario, nella parte
posteriore del locale, dove potevano mescolarsi agli altri.
Una
volta posteggiata la macchina sul retro, inforcati momentaneamente
gli occhiali da sole e indossati i capelli, uscirono e si
incamminarono verso l'entrata segreta.
Presto
si ritrovarono comodamente seduti, uno di fronte all'altro, con
davanti due bicchieri stracolmi di frappè al cioccolato, il
loro
preferito.
“Credo
di guardare il Paradiso.” disse Harry, con gli occhi che gli
brillavano.
“E'
meglio della tua Ferrari, senza offesa amico.” rispose Louis,
iniziando a bere e sentendosi subito meglio.
Harry
ridacchiò e in seguito fece lo stesso.
Finirono
in due secondi.
“Ho
vinto.” disse Louis, rendendosi conto di essere stato il
primo a
finire.
“Solo
perché hai iniziato prima!” rispose l'altro,
indicandolo con
l'indice.
“Peggio
per te che ti sei fatto distrarre dalla mia battuta.”
“Sei
scorretto.”
“Non
è vero.”
“Sì.”
“No.”
“Sì.”
“No.”
“Sì.”
“N..
Non continuare senza di me, mi è arrivato un
messaggio.” disse
Louis, bloccando quella conversazione puerile. Prese il cellulare,
sul quale schermo lampeggiava la scritta 'El'.
Harry
percepì la solita strana sensazione – quella che
provava ogni
volta che si trattava di lei- e perse tutta la sua allegria,
iniziando a giocherellare con la cannuccia colorata. Era a righe.
Louis
sbloccò il cellulare e lesse il messaggio 'Ci
vediamo stasera?
xx'
Non l'aveva vista da quando
era tornato, ma non sentiva la sua mancanza. Anzi, si era quasi
dimenticato di lei e si era infastidito quando aveva letto il nome
sul display.
Scrisse che era impegnato
con Harry, nessun 'come stai?' o 'mi manchi'. Bloccò il
cellulare e
lo poggiò sul tavolino, ritornando a sorridere.
“Allora,
dove eravamo
rim... Tutto bene?” Notò che Harry era strano,
come se avesse
cambiato maschera.
Non sorrideva, teneva lo
sguardo basso e le fossette agli angoli della sua bocca erano
scomparse.
“Sì,
tutto okay.”
rispose frettolosamente. “Andiamo, mi sono ricordato che ho
un
impegno importante.” disse, senza nemmeno rivolgergli uno
sguardo e
alzandosi, lasciandolo seduto e solo.
Louis si sentì triste,
triste quasi quanto Harry, e fece ciò che lui aveva detto.
Si alzò, prese il cellulare
che mise in tasca, e lo seguì, confuso e anche un po'
arrabbiato.
Ma soprattutto deluso.
Erano
passati due giorni,
che lenti e inesorabili erano stati vuoti e spenti.
Non si vedevano da quella
giornata, nessuno dei due si era fatto vivo, uno troppo orgoglioso e
l'altro troppo confuso da ciò che sentiva.
Louis era appena tornato a
casa, aveva passato la giornata con Liam. Erano andati in centro,
erano stati inseguiti da un'orda di fan, avevano corso come due pazzi
e poi, quasi non credendoci, si erano chiusi la porta alle spalle, al
sicuro, e avevano giocato alla play per tre ore.
Era stanco ma si era
divertito e ne era valsa la pena: aveano percorso quasi tutta Oxford
Street correndo, dando spallate in giro, saltando per non calpestare
i chihuahua che si trovavano fra i piedi e ridendo rumorosamente.
Si buttò sul divano e
accese la tv, non sapendo che altro fare.
Avrebbe voluto chiamare
Harry, ma era ancora scottato dal suo comportamento -che fra
virgolette non aveva capito- e non voleva essere il primo a cercarlo.
Okay, sembrava una cosa
stile cotte strampalate fra quattordicenni, ma per lui suonava in
modo diverso.
Stava guardando un episodio
random della seconda stagione di Skins, quando suonò il suo
cellulare, due volte.
Erano arrivati due messaggi,
uno da parte di lui, uno da lei.
Louis compose il numero e
disse che sarebbe arrivato fra dieci minuti.
Suonò
la sveglia, facendolo
ritornare alla realtà.
Alzò il braccio destro, ma
non trovò un mobile liscio e freddo, bensì un
corpo caldo e soffice
al suo tocco.
Aprì un occhio, notando che
quella non era la sua stanza e ricordandosi ciò che era
successo la
notte precedente.
Era accaduto tutto così
repentinamente che quasi aveva dimenticato.
Si girò sul fianco sinistro
per guardare quella figura che, beata, dormiva al suo fianco.
I suoi capelli castani, le
lunghe ciglia socchiuse, la bocca semiaperta.
Sembrava un angelo, ma lui
non provava niente: amore, stupore, rabbia, dolore, desiderio.
Niente.
Come se fosse da solo fra le
coperte o se fosse tutto un sogno.
Si mise seduto, coprendo il
basso con il lenzuolo, prima di raccattare i boxer da terra con il
braccio sinistro.
Lanciò ancora un sguardo,
trovando sempre il nulla.
Si alzò e, ancora un po'
addormentato, andò in cucina per preparare la colazione ad
entrambi.
Harry
si risvegliò da solo
in quella grande casa vuota.
Il giorno prima era andato a
letto presto e infatti, anche se erano le sette di mattina ed era
domenica, era sufficientemente riposato.
Sentiva un odore familiare e
buono sulle lenzuola, ricordandosi di chi fosse.
Era Lou.
Una volta era rimasto a
dormire da lui e quella sera si erano divertiti un sacco. Avevano
guardato la maratona della loro serie tv preferita, si erano lanciati
popcorn e avevano bevuto litri di Coca-Cola. Si erano svegliati
sorridenti, felici come non lo erano mai stati e avevano fatto
colazione insieme, per poi passare il resto della giornata con la
compagnia dell'altro.
Invece, in quel momento, con
l'unico rumore della pioggia sui vetri, vi era il nulla.
Attorno e dentro di lui.
Gli mancava tremendamente,
ma sapeva che Louis non provava lo stesso.
Doveva imparare a reprimere
quel sentimento, continuare ad accrescerlo sarebbe stato doloroso.
E impossibile, perché lui
non lo avrebbe aiutato.
Si alzò e spalancò la
finestra per far cambiare l'aria, per lasciare che il vento gli
schiarisse le idee. Il contrasto fra il fresco e il calore della sua
pelle era forte, ma a lui non importava.
Rimase a contemplare lo
spazio vuoto, immaginando che fosse pieno di lui.
Ma ricevendo in cambio
soltanto il silenzio.
“Pronto?”
“Sono
io.”
“Lo
so.”
“Come
va?”
“Tutto
bene. A te?”
“Bene.”
Una pausa.
“Sicuro?”
“Sì.”
“Okay.”
Un'altra strana pausa.
“Louis?”
“Harry,
tu non stai bene,
vero?”
“No...”
“Perché
hai chiamato?”
“Senti...
Cosa si prende
per far abbassare la temperatura?”
“Quale temperatura?”
“Ho
la febbre, genio.”
“E'
alta?”
“Nah,
solo 38.”
“Sei
stupido?”
“No.”
“Come
hai fatto a fartela
venire?”
“Ieri ho aperto la finestra in camera e sono stato un
po' a pensare sul davanzale.”
“Ma
cos'hai in testa?
Criceti?”
“Divertente,
Lou.”
“Sei
da solo?”
“Sì,
ma non è...”
“Sto
arrivando.”
“No,
io sto..”
“Sta'
zitto e inizia ad
alzarti per venirmi ad aprire.”
E chiuse la telefonata.
“Fortuna
che avevi la
tachipirina, se no la febbre non si sarebbe abbassata mai.”
disse
Lou, controllando il termometro e notando che la temperatura si era
abbassata.
“Sei
davvero un cretino.
Come si fa a stare due ore davanti a una finestra aperta quando fuori
c'è la tormenta?!”
Harry sbuffò per la
centesima volta. “Ti ho già detto che mi ero
imbambolato.”
“Davvero,
non capisco.
Poteva anche esserci stato un uragano, tu saresti stato lì
in attesa
che ti risucchiasse.”
Posò il termometro sul
comodino accant0 al divano e si sedette, con un tonfo, sulla
poltrona.
“Non
sono così
deficiente.” rispose offeso il riccio, accoccolato fra gli
strati
di coperte che Louis gli aveva messo di sopra per non fargli prendere
freddo, ma avendo l'effetto contrario. “Lou, sto squagliando
qui
sotto, tra poco mi trasformerò in una pozzanghera.”
Louis si girò verso il
ragazzo. “Fai quello che ti dico e vedi che la febbre
passerà
presto. Saresti ancora agonizzante sul pavimento se non fosse stato
per me.”
Harry uscì un braccio dal
cumulo di stoffa. “Non ero agonizzante sul
pavimento.”
Louis ridacchiò, alzandosi
e sistemandosi vicino a lui. Prese un lembo della prima coperta e lo
alzò, per incontrare gli occhi verdi e vivi dell'amico.
“Invece
di continuare a
dire cavolate, perché non ti riposi un po'?”
Harry lo guardò, notando
ancora più da vicino quanto fosse bello.
“Sì.”
disse, stampando
la sua immagine nella mente e addormentandosi con il suo ricordo.
Dormiva
da due ore,
tranquillo e finalmente in pace.
Louis aveva controllato la
temperatura poggiandogli una mano sulla fronte e non scottava
più,
nemmeno le sue guance erano più incandescenti.
Non poteva fare a meno di
sorridere: Harry si era addormentato con un braccio piegato dietro la
testa, la bocca socchiusa, i capelli arruffati su un lato e lisci
dall'altro, un piede che poggiava a terra e l'altro attorcigliato in
una morsa assassina con le coperte.
Lo stava guardando da un po'
di tempo ormai, quasi spiando. Non poteva farlo spesso, non lo vedeva
da giorni e gli era mancato terribilmente, ma non come manca un
semplice amico.
Quando era arrivato a casa e
l'aveva visto in quello stato, si era sentito in dovere di aiutarlo.
Era un bisogno naturale fare
in modo che stesse bene, non gli importava di altro che di lui.
E, in quel momento, così
vicino al suo viso da poter sentire il suo respiro calmo e caldo
sulla sua pelle, si sentiva bene.
Ma non bene come quando non
hai niente da dire, bensì come quando tutti i tasselli del
puzzle
sono al loro posto e senti gli uccellini cantare ovunque.
Nemmeno la notizia di una
Terza Guerra Mondiale potrebbe farti stare male.
Carezzò ancora una volta le
sue guance, la sua fronte e i suoi capelli, soffermandosi a quel
tocco proibito e rubato.
Nessuno avrebbe potuto
comprendere i suoi sentimenti e perciò era meglio vivere di
momenti
come quelli, di cui non era fiero, ma che poteva fare riemergere
quando si sentiva triste.
Aveva capito che non voleva
Eleanor, non voleva sentire il suo tocco sulla sua pelle, non
significava più niente passare la notte con lei, fra le sue
braccia
e assaporandola, quando il sapore che voleva sentire era di un altro.
Si sarebbe anche rassegnato
a una vita fatta di ricordi pur di potergli stare vicino.
Era una fame disperata la
sua, alimentata da un desiderio -unico- che non si sarebbe mai potuto
avverare.
Sopirò, capendo per la
prima volta la gravità della situazione.
Sfiorò il viso di Harry
un'altra volta, sentendo la pelle candida e profumata a contatto con
le sue dita.
Era perfetto.
Si avvicinò ancora di
qualche millimetro, voleva conoscere tutto di quella pelle.
Avrebbe quasi potuto
sfiorare le sue labbra.
Ma non voleva e non poteva,
perché sapeva che quel tocco avrebbe richiesto sempre di
più. Aveva
una fame che non poteva essere saziata da un piccolo assaggio.
Alzò il mento e arrivò sfiorare la sua fronte,
dove lasciò un piccolo bacio e riuscì a
sentire il sapore di Harry.
Si sentì incredibilmente
felice e triste allo stesso momento.
Era un amore che non poteva
trovare rimedio, di quelli che si vivono da soli.
Il
riccio aprì gli occhi,
sentendo un odore familiare.
Non si sentiva più male,
stava bene e nemmeno la gola bruciava più.
In più, era stato con Louis
e sembrava che avessero fatto pace.
Era felice e non riusciva a
smettere di sorridere.
Un sorriso che divenne
ancora più grosso quando notò che l'amico si era
appisolato sul suo
petto.
Aveva la testa quasi
nell'incavo del suo collo, mentre la sua mano sfiorava la sua.
Inspirò, tentando di
imprimere il profumo nella sua mente e sperando che il suo corpo
emanasse lo stesso.
Alzò un braccio e,
delicatamente, mise una mano fra i capelli di Louis, lisci e morbidi.
Come si era ritrovato ad
immaginarli.
Alzò l'altro braccio e lo
posò sulla sua spalla, tentando di scostarlo un po' per
potersi
mettere dritto.
Adesso teneva Louis fra le
braccia.
Aveva il mondo stretto a sé.
Ma durò poco, perché un
cellulare -che Harry ebbe l'impulso di lanciare fuori dalla famosa
finestra- squillò e Louis si svegliò
immediatamente.
Ritrovandosi ancora
vicinissimo ad Harry, che questa volta era sveglio.
Entrambi abbassarono lo
sguardo e Louis si alzò per rispondere.
“Lou
sono passata da
casa tua ma non c'eri. Dove sei?”
“Sono
da Harry, sta male e
mi sono occupato di lui.”
“A
volte penso che tu
stia con lui e non con me.”
“Non
dire sciocchezze.”
“Hai
ragione.”
rise “Oggi ci vediamo? L'altro giorno te
ne sei andato
presto, sembrava quasi che dovessi scappare da me.”
“El
cos'hai?” era
infastidito.
“Scusami
Lou... Ma
ultimamente non ci vediamo mai. Prima eri in tour, ma adesso che sei
qui è come se non fosse cambiato niente.”
“Mi
dispiace.”
“Dispiace
anche a me,
mi manchi.” sospirò “Che
ne dici se stasera mangiamo una
pizza insieme?”
Non ne aveva affatto voglia.
“Sì, va bene. Ti passo a prendere alle sette in
punto.”
“Perfetto.
Non vedo
l'ora. Ti amo.”
“Anche
io... Adesso devo
andare, a dopo.” chiuse la chiamata.
E il vuoto tornò a scavare.
“Senti,
Louis... Io sto
bene, puoi andare.” disse Harry, che si era alzato ed era
davanti a
lui.
Lui non voleva andare.
“No,
potresti avere una
ricaduta...” tentò.
“Te
lo ripeto: sto bene.
Vai e grazie per quello che hai fatto.” insistette.
Era come se volesse a tutti
i costi che andasse via.
“Figurati.”
disse
stizzito, girandosi e andando in cucina per prendere il giubbotto e
lo zaino che aveva lasciato lì.
Harry si sedette sul divano.
Il sogno era finito e si era portato via la sensazione che Louis
provasse qualcosa per lui, perché Eleanor ne era la certezza.
Louis ricomparve sulla
soglia della porta, con una strana smorfia al posto del solito
sorriso.
“Credo
che non dovremmo
più essere amici.” sussurrò, senza
avere il coraggio di guardarlo
negli occhi.
Harry sentì il cuore andare
a pezzi, in mille pezzi, che finirono per tutta la casa. Non avrebbe
mai potuto raccoglierli.
“Insomma,
ultimamente non
è più lo stesso e...” questa
situazione mi fa soffrire, perché
non vorrei essere solo un tuo amico, ma non lo capirai mai..
“Ho
capito. Va bene, se è
quello che vuoi.” rispose l'altro con lo stesso tono piatto.
“Allora
è finita qui?”
Non riusciva a credervi, anche se era stato lui a dirlo per primo.
“Sì.”
“Okay.”
disse e il
riccio sentì una porta sbattere, portando via tutta la vita
che gli
era rimasta.
Era passato un mese, il mese più brutto che fosse mai capitato nella vita di Harry e Louis. Erano costretti a stare vicini per il loro lavoro, dato che avevano ricominciato a viaggiare per promuovere il disco, partecipare a programmi musicali o a qualche intervista.
Non si erano parlati più e tutti avevano notato che qualcosa si era rotta, frantumata dentro di loro, tranne che i diretti interessati. Si ostinavano a non vedere il dolore che provavano reciprocamente e che causavano giorno dopo giorno.
Louis stava ancora con Eleanor, la chiamava un sacco di volte al giorno, quando ne aveva possibilità passava del tempo con lei e parlava soltanto di lei. Era un attaccamento morboso, era solo una facciata. Un brutto modo per coprire il dolore e per farne nascere altro. Ogni volta che Harry lo sentita parlare era come se piccole parti del suo corpo si dissolvessero, smettessero di funzionare.
Era sicuro di sentire ancora il cuore battere e qualche neurone accendersi quando aveva fame o bisogno di andare al bagno.
Per il resto niente.
Tutti avevano provato ad aiutarlo ma nessuno vi era riuscito, perché la cura era una sola, ma nessuno sapeva quale fosse.
Così, il tempo scorreva portandosi via tanti ricordi e trasformando Harry e Louis in due macchine senza vita.
Era
Natale.
I ragazzi avevano finito di
registrare il nuovo album, di cui erano molto orgogliosi e stavano
iniziando a promuoverlo. Viaggiavano, conoscevano nuova gente e il
numero delle loro fan aumentava sempre di più, facendo in
modo che i
premi conseguiti si accumulassero sugli scaffali.
Liam e Zayn, quel giorno,
erano usciti per fare le ultime compere, Niall era con Ed a mangiare
fuori e gli unici che erano rimasti a casa, Harry e Louis -guarda il
caso- erano rinchiusi nelle loro stanze.
Harry stava ascoltando un
nuovo CD che gli avevano regalato, mentre Louis guardava un film con
il suo televisore al plasma, nuovo di zecca.
Avrebbero voluto annullare
la loro distanza, ma non ci riuscivano.
Sarebbe stato facile, forse
prima, ma adesso una semplice parete era più profonda di un
burrone.
Harry, dopo aver spento lo
stereo, ed essendosi ricordato di avere uno stomaco, scese
giù in
cucina per preparare qualcosa da mangiare.
Diciamo che però preparare
era una parola grossa.
Il massimo che riusciva a
fare -di commestibile- era un sandwich.
Prese tutto il necessario e
lo sistemò sul bancone: mise il pomodoro, il formaggio, la
lattuga,
i cetrioli, un po' di maionese e poi lo richiuse.
Si avvicinò al tostapane e
lo mise lì dentro, mettendo il timer e aspettando che si
cuocesse.
Stava per giungere l'ora,
quando suonò il telefono e fu costretto a rispondere,
dimenticandosi
del suo pranzo.
“SEI
UN EMERITO CRETINO!”
urlò Louis, quando Harry comparve sulla soglia della cucina.
Il bancone era ricoperto da
una schiuma bianca che puzzava di sintetico, mentre un odore di
bruciato si stava diffondendo per tutta la casa.
Harry fece due più due e si
preparò alla filippica di Louis.
-senza
accorgersi che il mure si era appena distrutto-
“Se
non ci fossi stato io ci sarebbe stato un incendio! Ti rendi
conto?”
continuò ad urlare, agitando le mani in aria come un pazzo.
“L'importante
è che non sia successo niente.” rispose calmo
Harry, facendo il
segno della pace con le dita.
“Sei
il solito bambino! Ma come fai, si può sapere?”
gli puntò un dito
al petto.
“Non
è colpa mia! Hanno chiamato mentre stava cucinando! Avevo
messo il
timer ma non l'ho sentito e...”
“Sarebbe
andato tutto a fuoco se non ci fossi stato io!”
continuò Louis,
scavalcando l'estintore che aveva usato per domare le fiamme.
“Era
solo un tostapane.”
“Poteva
diventare molto di più.”
“Esageri
sempre!” disse
sbuffando.
“Scherzi?
Sei tu quello
che non si prende mai le proprie responsabilità.”
“Quali
responsabilità? Ho
solo dimenticato il tostapane e non è morto nessuno, quindi
finiamo
questa discussione.”
“No.”
“Si.”
“No.”
“Si.”
“No.”
“Smettila
di
contraddirmi!”
“Smettila tu. Sei solo un bambino, Harold
Edward Styles!”
“Sai che odio quando mi chiami così!”
“Infatti
l'ho fatto apposta, stupido.”
“Non
fai altro che
insultarmi.”
“Sei
tu che me lo fai
fare.”
“Bene.”
“Bene.”
Harry si alzò e lasciò
Louis da solo in cucina.
Piombò di nuovo il
silenzio.
“Harry.”
Louis si
schiarì la voce e la sua sagoma comparve da dietro la porta.
“Che
c'è?” rispose
acido il riccio.
“Posso?”
chiese
timidamente l'altro.
“Te
lo concedo.”
“Divertente.”
disse
Louis, scavalcando un cumulo di vestiti abbandonato sul pavimento e
avvicinandosi al suo letto, sul quale si sedette.
“Sono
venuto qui per
chiederti scusa.” esordì, incrociando lo sguardo
di Harry dopo
tanto tempo e sentendo che quello che provava non era mutato.
“Okay.”
“Tutto
qui?” l'altro
alzò un sopracciglio, sorpreso.
“Sì.”
“Non
basta, vero?”
“Cosa
te lo fa pensare?”
si girò di nuovo, la sua faccia da schiaffi ben in vista.
Almeno Louis sapeva che
stava scherzando.
“Harry,
sai che potresti
pentirtene?” domandò, avvicinandosi lentamente
all'amico.
“Davvero
Louis? Davvero?”
rispose annoiato, ma con aria di sfida.
“Non
provocarmi, Edward.”
“Non
chiamarmi come quel
vampiro luccicante.”
“Intendi... Edward?” e
scandì
le lettere una dopo l'altra.
“Sei
proprio infantile.”
disse con aria si sufficienza.
“Dici...
Edward?”
continuò con lo stesso tono.
“Non
ride nessuno.”
“Non
è vero, Edward,
io mi sto divertendo.”
“Cretino.”
sussurrò.
“Che
hai detto?” chiese
Louis, avvicinando una mano all'orecchio.
“Io?
Pff, niente.” il
riccio fece spallucce.
“Harry.”
“Sì?”
“E' la tua
ultima possibilità.”
“Non
capisco.”
“L'hai
voluto tu...”
annullò la distanza e iniziò a fargli il
solletico, sapendo che
fosse il suo unico punto debole.
Risero per interi minuti,
lasciando che quel periodo di mutismo venisse totalmente cancellato e
tornando quelli che erano sempre stati.
Quando entrambi furono
esausti, si buttarono sul letto, su un fianco, per poter continuare a
guardarsi per recuperare il tempo perduto a non farlo.
Harry allungò una mano,
facendo la cosa più naturale che gli fosse venuta in mente,
senza
nemmeno riflettervi, e accarezzò la guancia arrossata di
Louis, che
schiuse la bocca.
Vi era silenzio.
Louis si alzò, seguito da
Harry.
Erano così felici che non
poterono fare altro.
Si baciarono.
Prima
dolcemente, poi
intensamente, scaricando desideri che avevano celato troppo a lungo.
Si staccavano per prendere
aria e sorridevano, mantenendo il contatto con gli occhi o
accarezzandosi le guance.
Erano nel loro piccolo
sogno.
Nel loro piccolo modo, dove
esisteva solo il loro grande amore.
E nessuno avrebbe potuto
fermarli, perché adesso che avevano conosciuto la pace
avrebbero
fatto in modo di averla sempre.
E fu così, perché l'amore
che provavano era indistruttibile, non si poteva scalfire.
Ad ogni ostacolo ritornava
più potente di prima.
Harry e Louis erano
destinati a stare insieme.
Da sempre e per sempre.
Fine.