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Autore: sonsimo    14/12/2007    4 recensioni
In una fredda notte d’inverno, un uomo stava inginocchiato sull’erba bagnata e gelida, incurante del vento sferzante che faceva ondeggiare i suoi capelli più scuri di quel cielo che del tutto indifferente lo osservava, incurante delle gocce di pioggia che scivolavano lentamente lungo il suo volto dai tratti tanto duri da sembrare scolpiti nel marmo. Un giovane Severus in preda allo sconforto.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Marchiato

 

 

In una fredda notte d’inverno, un uomo stava inginocchiato sull’erba bagnata e gelida, incurante del vento sferzante che faceva ondeggiare i suoi capelli più scuri di quel cielo che del tutto indifferente lo osservava, incurante delle gocce di pioggia che scivolavano lentamente lungo il suo volto dai tratti tanto duri da sembrare scolpiti nel marmo. A vederlo la sua età non si sarebbe mai potuta indovinare, poiché quell’espressione così truce poteva facilmente trarre in inganno anche il più perspicace degli osservatori.

Sembrava un uomo fatto, quel ragazzino che in ginocchio sull’erba sentiva il proprio cuore trafitto da mille lame.

Un uomo talmente maturo e vissuto da essere già pronto a morire, a mollare tutto e cadere nell’oblio.

Ma aveva poco più di vent’anni.

La sua pelle pallida appariva quasi spettrale al chiarore della luna, i suoi occhi come due profondi pozzi neri senza fine, sgranati, osservavano senza vederlo il tronco spezzato di un albero a pochi centimetri dal suo viso.

Era corso fuori dal castello e si era gettato in ginocchio lì, poco lontano dalla Foresta Proibita, aveva strappato con le mani dalle lunghe dita nodose alcuni fili d’erba, con rabbia, perché ancora una volta, nel cuore della notte, l’amarezza e il senso di colpa lo avevano assalito prepotentemente.

Adesso pareva attendere chissà che cosa, le labbra strette in una fessura sottile, la schiena dritta e tesa, solo i capelli mossi dalla brezza notturna spegnevano l’incanto di tanta immobilità.

Tutto il resto era fermo, dentro e fuori di lui.

Spento, freddo, morto.

Proprio come lei.

Lei, la cui risata fresca e cristallina era echeggiata proprio lì, in quel luogo colmo di magia, soltanto qualche anno prima.

Al giovane Severus sembrava però che fossero trascorsi decenni e decenni dall’ultima volta che aveva udito quel suono meraviglioso. Quel suono che adesso non sarebbe giunto alle sue orecchie mai più, non v’era alcuna speranza, né in quella vita né tantomeno in una futura improbabile vita eterna, non per chi aveva commesso così tanti peccati in vent’anni da essere destinato a bruciare all’Inferno per l’Eternità.

E ad un’anima dannata non sarebbe stata concessa l’opportunità di ascoltare la risata del più bell’angelo del Paradiso, di questo Severus era certo.

Lei era perduta per sempre, e di conseguenza, lui era perduto per sempre, in ogni senso umanamente e divinamente possibile.

Inutile agitarsi, strepitare, tentare una qualunque forma di ribellione. Nessuno se ne sarebbe curato.

Nemmeno lei.

La notte del 31 Ottobre 1981 Lily Evans era stata assassinata e Severus Piton era diventato un fantasma.

Aveva sempre vissuto nell’ombra, ma mai ne era stato grato come in quel momento della sua vita, nel quale, per quanto gli riguardava, il mondo poteva pure smettere di girare, non gliene importava niente.

Il gesto più opportuno, l’unico che ormai valesse la pena compiere, non gli era concesso. Silente era convinto che ci fosse ancora qualcosa che lui dovesse fare, che la sua vita avesse ancora uno scopo, che esistesse una possibilità di riscatto, e che tale possibilità altri non fosse che il simbolo definitivo della sua sconfitta, della sua irrevocabile perdita di Lily.

Il figlio di James Potter.

Silente aveva detto che il bambino aveva gli stessi, identici occhi di Lily, nel colore e nella forma. Era bastato questo a convincerlo, a fargli accettare di proteggere quel bambino che non aveva mai visto.

Che avrebbe disprezzato, con tutto se stesso, al primo sguardo.

Severus Piton chiuse gli occhi e per l’ennesima volta da quando Lily era stata uccisa dal Signore Oscuro concentrò tutte le proprie energie nel tentativo di udire la sua voce, di lasciarsi pervadere dai ricordi completamente, fino a dimenticare ed escludere del tutto il mondo che lo circondava, isolandosi nel calore di un altro, dorato mondo, in cui Lily sorrideva radiosa, sempre e soltanto per lui. In fondo non era poi così difficile, Lily gli aveva sorriso così tante volte quand’erano bambini, che Severus era certo che mai avrebbe potuto sbiadirsi quell’immagine che gelosamente custodiva dentro di sé.

Ma non era così semplice, nulla era semplice per un’anima dannata che nemmeno nei ricordi poteva trovare pace. L’idillio durava solo qualche istante e poi, spietata, un’altra immagine si sovrapponeva a quella di Lily sorridente, nascondendola e offuscandola, strappandola all’animo agonizzante di un uomo che solo una volta nella sua vita aveva amato e che mai più lo avrebbe fatto.

Un istante, e il sorriso veniva sostituito da una smorfia di rabbia, gli occhi dolci e rassicuranti divenivano scintillanti per l’ira, offesi, furiosi. E senza nemmeno rendersene conto, senza poterlo in alcun modo impedire, Severus si ritrovava catapultato nel peggiore dei suoi ricordi, a quindici anni, quand’era stato stupido al punto tale da allontanare proprio lei, l’unica tessera intatta in un mosaico colmo di difetti ed imperfezioni. Forse non si sarebbe mai sbiadita, quell’immagine, ma di certo Severus non avrebbe mai avuto la possibilità di perdersi a contemplarla con l’animo in pace, perché mai sarebbe stato in pace il suo animo. Mai, nella vita come nella morte.

Con rabbia, Severus sollevò le braccia e battè i pugni contro il terreno. Le maniche si scostarono e sollevarono a causa del movimento, il tatuaggio nero sull’avambraccio sinistro attirò l’attenzione dell’uomo, che sollevò del tutto la stoffa e lo osservò.

Nitido contro la pelle pallida del braccio, il Marchio Nero pareva tingersi di tutte le sfumature del cielo della notte, facendosi beffe degli occhi che lo fissavano con tanto disgusto.

Fu troppo, per il giovane ventenne.

La rabbia che fino ad allora era stata trattenuta esplose improvvisa, incontrollabile, manifestandosi in un urlo che era quasi un ringhio, il ringhio di una bestia in trappola, affamata, furiosa.

Severus sollevò il braccio ancora di più, lasciò che la pioggia lo bagnasse e prese a sfregarlo, a graffiarlo, affondando le unghie nella carne, facendo scorrere il sangue che si mischiava con l’acqua piovana ma non con il colore nero intenso di quell’orribile teschio, che le unghie non riuscivano comunque a scalfire, per quanto andassero a fondo, per quanto tentassero di strappare la pelle.

Intento com’era nel suo impossibile compito, il giovane mago non si accorse del leggero e tiepido peso sulla sua spalla finché non udì una voce placida provenire da dietro di sé:

“Non viene via, Severus. Non in questo modo”.

Severus si alzò con uno scatto improvviso e si voltò, per ritrovarsi di fronte Silente, che gli si era avvicinato silenziosamente e gli aveva poggiato una mano sulla spalla. Il volto del mago più anziano era calmo, per nulla intimorito dalla furia che emanava dal corpo del più giovane. Quella quiete, quella serenità, fece venire a Severus la voglia di aggredirlo, di urlare, di scatenare senza controllo la propria rabbia. Ma Severus non era affatto un uomo privo di controllo. Lo scatto dell’istante precedente non aveva certo valore, se paragonato alla fredda indifferenza sempre mostrata in pubblico. Eppure la sua voce tremò, quando con sguardo cupo e tono sarcastico parlò al Preside di Hogwarts:

“E come, Silente? Come può venir via?”

“Dedizione. Sacrificio”.

Un ghigno sarcastico sul volto di Piton.

“Niente di tutto ciò sarà sufficiente. Niente di tutto ciò potrà cancellarlo”.

“Non fisicamente, no. Non dalla pelle. Ma dall’animo, c’è qualcosa che può cancellarlo”.

Adesso il volto di Severus non appariva più beffardo, ma semplicemente rassegnato, come se già sapesse esattamente che parole aspettarsi dal vecchio mago, e con eguale certezza sapesse che quelle parole non avevano alcun valore per lui.

“Che cosa, Albus?” chiese in un sussurro.

“Amore, Severus. Amore”.

Severus diede le spalle a Silente e cominciò ad avviarsi verso Hogwarts, la sconfitta nello sguardo.

“Allora lascia che ti dica una cosa, Albus. Se è questo che occorre, non c’è alcuna speranza. Non per me. Sono marchiato per sempre”.

“Certo che c’è speranza. Hai commesso un errore, ma puoi riparare. Puoi espiare. Lo stai già facendo”.

Ma Severus non udì tale replica.

Immerso nel buio della notte, sia dentro che fuori, l’uomo marchiato era ormai troppo lontano.

 

 

FINE

 

 

 

 Nota dell’autrice: una breve one-shot, perché è più forte di me, non posso stare troppo tempo senza scrivere su Piton, quell’uomo esercita un potere troppo forte nei miei confronti, altro che Marchio Nero. La dedico a Cinzia, perché l’ispirazione mi è venuta guardando lo splendido disegno che ha fatto per me, che è appeso sulla parete della mia cameretta da studentessa universitaria proprio sopra al computer!

Spero vi sia piaciuta, attendo le vostre opinioni.

Sonsimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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