Marchiato
In
una fredda notte d’inverno, un uomo stava inginocchiato sull’erba bagnata e
gelida, incurante del vento sferzante che faceva ondeggiare i suoi capelli più
scuri di quel cielo che del tutto indifferente lo osservava, incurante delle
gocce di pioggia che scivolavano lentamente lungo il suo volto dai tratti tanto
duri da sembrare scolpiti nel marmo. A vederlo la sua età non si sarebbe mai
potuta indovinare, poiché quell’espressione così truce poteva facilmente trarre
in inganno anche il più perspicace degli osservatori.
Sembrava un uomo fatto, quel ragazzino che in ginocchio sull’erba sentiva
il proprio cuore trafitto da mille lame.
Un
uomo talmente maturo e vissuto da essere già pronto a morire, a mollare tutto e
cadere nell’oblio.
Ma
aveva poco più di vent’anni.
La
sua pelle pallida appariva quasi spettrale al chiarore della luna, i suoi occhi
come due profondi pozzi neri senza fine, sgranati, osservavano senza vederlo il
tronco spezzato di un albero a pochi centimetri dal suo viso.
Era corso fuori dal castello e si era gettato in ginocchio lì, poco lontano dalla Foresta Proibita, aveva strappato con le mani dalle lunghe dita nodose alcuni
fili d’erba, con rabbia, perché ancora una volta, nel cuore della notte,
l’amarezza e il senso di colpa lo avevano assalito
prepotentemente.
Adesso pareva attendere chissà che cosa, le labbra strette in una fessura
sottile, la schiena dritta e tesa, solo i capelli mossi dalla brezza notturna
spegnevano l’incanto di tanta immobilità.
Tutto il resto era fermo, dentro e fuori di
lui.
Spento, freddo, morto.
Proprio come lei.
Lei, la cui risata fresca e cristallina era echeggiata proprio lì, in
quel luogo colmo di magia, soltanto qualche anno
prima.
Al
giovane Severus sembrava però che fossero trascorsi decenni e decenni
dall’ultima volta che aveva udito quel suono meraviglioso. Quel suono che adesso
non sarebbe giunto alle sue orecchie mai più, non v’era alcuna speranza, né in
quella vita né tantomeno in una futura improbabile vita eterna, non per chi
aveva commesso così tanti peccati in vent’anni da essere destinato a bruciare
all’Inferno per l’Eternità.
E
ad un’anima dannata non sarebbe stata concessa l’opportunità di ascoltare la
risata del più bell’angelo del Paradiso, di questo Severus era
certo.
Lei
era perduta per sempre, e di conseguenza, lui era perduto per sempre, in ogni
senso umanamente e divinamente possibile.
Inutile agitarsi, strepitare, tentare una qualunque forma di ribellione.
Nessuno se ne sarebbe curato.
Nemmeno lei.
La
notte del 31 Ottobre 1981 Lily Evans era stata assassinata e Severus Piton era
diventato un fantasma.
Aveva sempre vissuto nell’ombra, ma mai ne era stato grato come in quel
momento della sua vita, nel quale, per quanto gli riguardava, il mondo poteva
pure smettere di girare, non gliene importava
niente.
Il
gesto più opportuno, l’unico che ormai valesse la pena compiere, non gli era
concesso. Silente era convinto che ci fosse ancora qualcosa che lui dovesse
fare, che la sua vita avesse ancora uno scopo, che esistesse una possibilità di
riscatto, e che tale possibilità altri non fosse che il simbolo definitivo della
sua sconfitta, della sua irrevocabile perdita di Lily.
Il
figlio di James Potter.
Silente aveva detto che il bambino aveva gli stessi, identici occhi di
Lily, nel colore e nella forma. Era bastato questo a convincerlo, a fargli
accettare di proteggere quel bambino che non aveva mai
visto.
Che
avrebbe disprezzato, con tutto se stesso, al primo
sguardo.
Severus Piton chiuse gli occhi e per l’ennesima volta da quando Lily era
stata uccisa dal Signore Oscuro concentrò tutte le proprie energie nel tentativo
di udire la sua voce, di lasciarsi pervadere dai ricordi completamente, fino a
dimenticare ed escludere del tutto il mondo che lo circondava, isolandosi nel
calore di un altro, dorato mondo, in cui Lily sorrideva radiosa, sempre e
soltanto per lui. In fondo non era poi così difficile, Lily gli aveva sorriso
così tante volte quand’erano bambini, che Severus era certo che mai avrebbe
potuto sbiadirsi quell’immagine che gelosamente custodiva dentro di
sé.
Ma
non era così semplice, nulla era semplice per un’anima dannata che nemmeno nei
ricordi poteva trovare pace. L’idillio durava solo qualche istante e poi,
spietata, un’altra immagine si sovrapponeva a quella di Lily sorridente,
nascondendola e offuscandola, strappandola all’animo agonizzante di un uomo che
solo una volta nella sua vita aveva amato e che mai più lo avrebbe
fatto.
Un
istante, e il sorriso veniva sostituito da una smorfia di rabbia, gli occhi
dolci e rassicuranti divenivano scintillanti per l’ira, offesi, furiosi. E senza
nemmeno rendersene conto, senza poterlo in alcun modo impedire, Severus si
ritrovava catapultato nel peggiore dei suoi ricordi, a quindici anni, quand’era
stato stupido al punto tale da allontanare proprio lei, l’unica tessera intatta
in un mosaico colmo di difetti ed imperfezioni. Forse non si sarebbe mai
sbiadita, quell’immagine, ma di certo Severus non avrebbe mai avuto la
possibilità di perdersi a contemplarla con l’animo in pace, perché mai sarebbe
stato in pace il suo animo. Mai,
nella vita come nella morte.
Con
rabbia, Severus sollevò le braccia e battè i pugni contro il terreno. Le maniche
si scostarono e sollevarono a causa del movimento, il tatuaggio nero
sull’avambraccio sinistro attirò l’attenzione dell’uomo, che sollevò del tutto
la stoffa e lo osservò.
Nitido contro la pelle pallida del braccio, il Marchio Nero pareva
tingersi di tutte le sfumature del cielo della notte, facendosi beffe degli
occhi che lo fissavano con tanto disgusto.
Fu
troppo, per il giovane ventenne.
La
rabbia che fino ad allora era stata trattenuta esplose improvvisa,
incontrollabile, manifestandosi in un urlo che era quasi un ringhio, il ringhio
di una bestia in trappola, affamata, furiosa.
Severus sollevò il braccio ancora di più, lasciò che la pioggia lo
bagnasse e prese a sfregarlo, a graffiarlo, affondando le unghie nella carne,
facendo scorrere il sangue che si mischiava con l’acqua piovana ma non con il
colore nero intenso di quell’orribile teschio, che le unghie non riuscivano
comunque a scalfire, per quanto andassero a fondo, per quanto tentassero di
strappare la pelle.
Intento com’era nel suo impossibile compito, il giovane mago non si
accorse del leggero e tiepido peso sulla sua spalla finché non udì una voce
placida provenire da dietro di sé:
“Non viene via, Severus. Non in questo
modo”.
Severus si alzò con uno scatto improvviso e si voltò, per ritrovarsi di
fronte Silente, che gli si era avvicinato silenziosamente e gli aveva poggiato
una mano sulla spalla. Il volto del mago più anziano era calmo, per nulla
intimorito dalla furia che emanava dal corpo del più giovane. Quella quiete,
quella serenità, fece venire a Severus la voglia di aggredirlo, di urlare, di
scatenare senza controllo la propria rabbia. Ma Severus non era affatto un uomo
privo di controllo. Lo scatto dell’istante precedente non aveva certo valore, se
paragonato alla fredda indifferenza sempre mostrata in pubblico. Eppure la sua
voce tremò, quando con sguardo cupo e tono sarcastico parlò al Preside di
Hogwarts:
“E
come, Silente? Come può venir via?”
“Dedizione. Sacrificio”.
Un
ghigno sarcastico sul volto di Piton.
“Niente di tutto ciò sarà sufficiente. Niente di tutto ciò potrà
cancellarlo”.
“Non fisicamente, no. Non dalla pelle. Ma dall’animo, c’è qualcosa che
può cancellarlo”.
Adesso il volto di Severus non appariva più beffardo, ma semplicemente
rassegnato, come se già sapesse esattamente che parole aspettarsi dal vecchio
mago, e con eguale certezza sapesse che quelle parole non avevano alcun valore
per lui.
“Che cosa, Albus?” chiese in un sussurro.
“Amore, Severus. Amore”.
Severus diede le spalle a Silente e cominciò ad avviarsi verso Hogwarts,
la sconfitta nello sguardo.
“Allora lascia che ti dica una cosa, Albus. Se è questo che occorre, non
c’è alcuna speranza. Non per me. Sono marchiato per
sempre”.
“Certo che c’è speranza. Hai commesso un errore, ma puoi riparare. Puoi
espiare. Lo stai già facendo”.
Ma
Severus non udì tale replica.
Immerso nel buio della notte, sia dentro che fuori, l’uomo marchiato era
ormai troppo lontano.
FINE
Nota dell’autrice: una breve
one-shot, perché è più forte di me, non posso stare troppo tempo senza scrivere
su Piton, quell’uomo esercita un potere troppo forte nei miei confronti, altro
che Marchio Nero. La dedico a Cinzia, perché l’ispirazione mi è venuta guardando
lo splendido disegno che ha fatto per me, che è appeso sulla parete della mia
cameretta da studentessa universitaria proprio sopra al
computer!
Spero vi sia piaciuta, attendo le vostre
opinioni.
Sonsimo.
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