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Autore: SororNoctis    29/05/2013    0 recensioni
In questa one shot ho voluto raccontare la storia di una persona con una malattia mentale, le sue sensazioni, il ritrovarsi a convivere con qualcosa che non conosce e con cui dovrà imparare a convivere.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, ho voluto postare questa roba come una sorta di sfogo, dovevo raccontare questo episodio e cosi ho fatto u.u.

 

Grazie in anticipo a tutti coloro che leggeranno. Lasciatemi una piccola recensione please, giusto per sapere se posso stringere amicizia anche con la scrittura.

 

Prima di iniziare con la “storia” vera e propria vorrei fare una piccola premessa.

 

Spesso le persone considerano malattia solamente le manifestazioni fisiche di qualcosa che ha smesso di funzionare bene nel nostro corpo, mentre il gruppo di esse che riguarda la mente viene spesso considerato un insieme di “balle”.

Io tengo a dire questo, le malattie mentali sono né più né meno alla pari di quelle fisiche e le persone che ne soffrono vanno trattate con il medesimo rispetto e cura. La depressione soprattutto è quella più demonizzata: se ne sei affetto, saranno subito tutti lì a dirti che ti devi dare una mossa, devi svegliarti, piantarla di piangerti addosso e alzarti dal letto. Ti diranno che stai facendo una messa in scena perché non hai più voglia di andare a scuola, o al lavoro, perché vuoi che qualcuno ti mantenga, insomma vuoi la vita facile.

Questo non è assolutamente vero, una persona affetta da depressione è malata, né più né meno di una col cancro, o qualsiasi altra patologia. Rivolgendole le frasi che ho citato prima, non si fa altro che peggiorare la sua situazione.

Bisogna imparare a convivere anche con queste persone e, armandosi di pazienza e affetto, aiutarle ad uscire da questo vortice.

 

Bene, ora dopo questo piccolo sfogo, posso iniziare con il racconto/storia/….insomma questa roba che voglio scrivere.

 

Nel vortice

 

Non sapresti dire esattamente quando tutto ha iniziato a cambiare, sono trascorsi degli anni dall’ inizio del tuo malessere, ma ricordi con esattezza il giorno in cui hai cominciato a precipitare nel vortice.

Non era una mattina diversa da tante altre, era il rientro a scuola dopo la pausa natalizia. Non volevi che quel momento arrivasse, perché ti sentivi stanca e non avevi nessuna voglia di iniziare la giornata con un maledetto tema. Tuttavia, soddisfatta dei tuoi stivali nuovi, sei scesa fino al piano terra per uscire ad aspettare il pullman; pullman su cui non sei mai salita. Non potevi uscire da quella porta, era troppo pesante da spostare, fuori c’erano cose che non eri in grado di affrontare; tuttavia, non potevi nemmeno tornare in casa, tua mamma avrebbe pensato… che cosa? Non te lo sei mai chiesto, forse temevi di non essere capita o accusata di fingere un malore inesistente.

Così sei andata nell’ unico posto dove potevi aspettare al sicuro che la casa si fosse liberata: nelle cantine. Intanto che pianificavi e decidevi di recarti dall’ unica persona che non avrebbe reagito male, la nonna, cercavi di capire cosa stava succedendo: perché quella porta era così grande e pesante? Perché tutto sembra così difficile e faticoso da fare? Perché alzarsi dal letto quella mattina era stato un tale strazio? Erano un paio d’ anni ormai che alzarsi dal letto era diventata una vera e propria impresa. Ti alzavi, vestivi e poi ti stendevi di nuovo fino a quando non dovevi uscire. Il tutto era una fatica terribile, sentivi ogni volta lo stomaco di piombo, i polmoni oppressi da una gabbia invisibile e gli arti deboli come gelatine.

Tuttavia, quella mattina era stato peggio del solito.

Quando non ne potevi più, ti sei avviata verso casa della nonna, nel gelo invernale, con la testa incassata tra le spalle in modo colpevole….ma colpevole di cosa?

Raccontare tutto alla nonna non è stato difficile, come previsto lei ha capito, ma la sorpresa più grande era stata il fatto che, una volta terminato il passaparola con la mamma, lei non si era arrabbiata e aveva deciso immediatamente di andare dal dottore.

Siete state indirizzate da una psichiatra molto brava e cordiale, che aveva iniziato a prescrivere dei farmaci per la depressione.

 

Nel frattempo, hai dovuto affrontare diverse sfide, come il fatto che alcuni tuoi parenti avessero ridotto tutto a un mero senso di pigrizia per cui non avevi più voglia di andare a scuola. Dicci cosa non va, dicevano, ma non lo sapevi nemmeno tu, quindi come potevi rispondere?

È stato l’ inverno più gelido della tua vita, il paesaggio era per come ti sentivi, grigio, vuoto, freddo, quasi senz’ anma e, soprattutto, solo. Ti hanno incolpata del tuo malessere, mentre  questo non faceva che peggiorare. Tuo padre è arrivato e dire che a cuasa di questo disturbo la tua vita sarebbe stata un disastro.

 

Ora alla depressione si aggiungevano momenti di estrema vitalità ed energia: ma era un’ energia malata, incontrollabile, ed è questa la cosa peggiore. Non avere più il controllo sulla propria mente. Tu sapevi che quello che stavi facendo era da esaltati, eppure non riuscivi a fermarti e ci voleva una semplice parola fuori posto per farti imbestialire ed aggredire chiunque. Facevi una marea di cose senza terminarne nessuna e riducevi il tuo fisico allo sfinimento.

In conclusione, non eri più padrona delle tue azioni e dei tuoi pensieri. Non eri più te stessa, manovrata dalla malattia.  

Nei momenti bui, i tuoi pensieri spaziavano sul campo della morte; alcune canzoni sembravano essere state scritte apposta per descrivere il tuo stato d’ animo. Perché il suicidio? Ti chiedevi. Perché quando capisci che non hai nessuno che ti capisce e che tenta di aiutarti non c’ è altro che puoi fare. Agli altri non importa di te e hai perso tutto: le tue mani, un tempo capaci di creare meraviglie con la matita, sono ridotte all’uso di chiodi e martello; il corpo, non c’ è mai stato e se prima non era granchè, ora è anche peggio; la tua mente, di cui andavi fiera, ormai vaga in regioni a te sconosciute e non è più in grado di carpire informazioni a velocità sorprendenti come prima. Vorresti studiare per tenerti al passo e superare l’ anno scolastico da privatista, ma come fai a capire le reazioni chimiche quando non comprendi nemmeno quello che ti sta accadendo? Cosa puoi trovare nel circolo vizioso e nel genio maligno di Cartesio se non una presa in giro al tuo circolo e al tuo maligno, di gran lunga più subdolo e meschino? Ma soprattutto, ti importa saper calcolare un logaritmo? O conoscere le opere di Orazio? No. Non ti importa di nulla, nemmeno di te stessa, non sei più niente. Il mondo fuori va avanti e tu resti nel limbo di casa tua, povera anima coscienza si sé.

 

Prima di dormire, ti vedi stesa sul tuo letto circondata da ali rosse: ali sanguigne, formate dalla fuoriuscita del liquido vitale dalle tue vene. Ti ricordi i versi di una canzone, “one cut to end it all, you want to die tonight” e “you’ re on the way to eternal silence, no one can hurt you there”. Esatto, là non soffriresti più.  Non hai in mente i taglietti orizzontali che certi ragazzini si fanno per moda, ma vedi le tue braccia squarciate in verticale, in modo da disperdere tutto il sangue velocemente; il viso diventerebbe più pallido di quanto già non sia, gli occhi si chiuderebbero, lasciando forse scappare una piccola lacrima. Non hai paura di quello che ti aspetta dopo. Il suicidio, peccato contro la vita e contro Dio, prevede la condanna all’ inferno, ma non ne hai paura, perché lo stai già vivendo. Poi ti addormenti, con quest’ altro verso nelle orecchie “sleep brings no joy to me”.

Ed ogni giorno, carico di sofferenza passa come un macigno che schiaccia un corpo già ridotto allo stremo.

 

Chi si preoccupa per te oltre alla mamma e alle nonne? Gli amici più leali, quelli che saranno sempre al tuo fianco, gli animali. Il micione dorme sempre sul tuo letto e finchè tu non ti alzi, lui rimane lì, immobile, a vegliare. Lui non sa parlare, ma quando ti guarda con quegli occhi di zaffiro, sai che non servono parole: lui sta dicendo “Io sono qui, non ti abbandonerò, puoi contare su di me. Non mi importa della tua malattia, io sono qui per farti guarire e per restarti accanto”.

Poi c’è la tua compagna di avventure, la tua cara cavallina. Il maneggio è chiuso, ma tu non la lasci due mesi da sola. Ogni fine settimana vai a trovarla e le porti le mele, le carote e i biscotti che le fanno profumare il respiro. Ti dispiace vederla lì fuori, tutta bagnata e sporca, ma appena ti vede arriva, ti conosce e tu vorresti portarla nel tondino e cavalcare un po’, ma non sei abbastanza esperta. Quello che non sopporti è che lei ti continui a seguire con lo sguardo finchè non sparisci alla sua vista, perché ti senti come se la stessi abbandonando. Quel momento è sempre una pugnalata nello stomaco. Ma tu sai che lei capisce, sai che ti vuole bene, perché vi siete trovate per caso, come due anime gemelle.

Sai che loro ci sono e che a modo loro ti stanno aiutando.

 

Poi c’è l’ unico amico che ti è rimasto, l’ unico che non è stato così codardo da sparire una volta che hai avuto la tua diagnosi : depressione bipolare. Ha un modo strano, che a volte nemmeno tu capisci il suo modo di starti vicino, però lo fa e ti sopporta nonostante i tuoi sbalzi d’ umore. A volte vorresti che fosse un po’ più chiaro, un po’ più confortante, ma evidentemente non è nella sua natura. Tuttavia lo ringrazio con tutto il cuore per non avermi lasciata da sola.

 

In seguito, l’ inverno aveva lasciato il posto alla primavera e pian piano stavi riemergendo da quel vortice in cui eri piombata. Le medicine funzionavano ed ora eri pronta per sostenere l’ esame che ti avrebbe garantito l’ accesso alla quinta. Devastata. Ecco come ne sei uscita, perché non sei passata. Eri disperata e arrabbiata, ma soprattutto spaventata, perché saresti dovuta andare in una classe di sconosciuti.

Mai capitò cosa migliore: integrazione in tempo record, persone bendisposte e simpatiche, una classe unita insomma. Alla fine, dico “grazie per avermi bocciata”.

Ora la malattia va con alti e bassi, forse sarà il caso di fare un piccolo ricovero, ma ne sei uscita tutta intera e alla grande. Questo ti fa tornare in mente le parole di un’ anziana signora che avevi conosciuto alle terme. Lei aveva avuto una vita difficile, aveva perso il padre perché aiutava partigiani ed ebrei durante la guerra, ma aveva detto “Tutte queste legnate che ci prendiamo durante la vita, ci rendono più forti”. Ovviamente avevi capito quelle parole, ma ora potevi dire di averle vissute.

Sei più forte e non hai intenzione di permettere a persone ignoranti di farti sentire una falsa malata. Imparerai a conveverci, perché questa esperienza ti ha anche insegnato chi sono le persone su cui puoi contare veramente. A tutte loro, è dedicata questa storia.

 

Fine.

 

 

Beh, che dire, era da un po’ che mi frullava l’ idea di pubblicarla e ora l’ ho fatto.

Vado a nascondermi.

Saluti a tutti coloro che hanno letto.

*scappa*

  
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