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Autore: lifetimestuckinsilence    29/05/2013    3 recensioni
Aushchwitz. Seconda guerra mondiale, già. Rachel Jonhson perde tutto ciò che ha, là. Famiglia, onore, felicità, e l'unico amore della sua vita. Chi si ricorderà di lui, Niall James Horan? Dei suoi gesti coraggiosi, l'amore che provava per lei? Nessuno avrebbe mai detto che di quei due sarebbe rimasto solo un vecchio diario. Leggendolo, torneranno alla mente tanti ricordi. Ma quel diario non è tutto ciò che ha tuttora Rachel. L'amore non morirà mai, la fiamma arderà sempre nel suo enorme cuore.
LA STORIA NON E' PARTICOLARMENTE VIOLENTA, MA CI SONO PARTI IN CUI SI RACCONTA LA 'VITA DI GUERRA'.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Prologo.

 

Quella mattina mi svegliai di buonora. Non che ammassi farlo: per me era veramente stressante alzarmi prima che il sole facesse capolino. Ciononostante, adoravo passeggiare sui marciapiedi della città, guardando la gente formare colonne di traffico sulla statale per arrivare al lavoro. Oppure, i bambini che mano nella mano della madre, correvano tenendo il loro zainetto saldo sulle piccole spalle, verso la scuola. I proprietari dei negozi proprio a quest’ora aprivano e giravano il comune cartello con scritto ‘OPEN’. Dopo essermi preparata alla buona, afferrai la mia borsa e mi chiusi il portone alle spalle.
Nonostante avessi ben 84 anni, desideravo sempre passeggiare per le vie dell’affollata Londra. Ogni giorno, andavo a prendere il pane fresco al panificio nel centro, e 
scappava sempre qualche chiacchierata con la commessa, o con qualche amica incontrata in giro. Mi fermai davanti all’edicola, volevo prendere un quotidiano.

«Signora Rachel, buongiorno!» esclamò il giornalaio, non appena la campanella sopra la porta trillò, e lo fece sobbalzare. Sorrisi e lo salutai con un cenno del capo. A passi lenti, arrivai quasi davanti a lui. «Vuole il solito?» mi chiese retorico, tirando fuori da un cassetto una copia del giornale che ero solita acquistare. Annuii, prendendo fra le mie dita piuttosto rugose la rivista. Mi sorrise sorpreso, quando gli lasciai qualche spicciolo in più nella sua mano. «Servono più a te che a me..» spiegai, mentre aprivo il mio giornale fresco di stampa.


 

RITROVATO DIARIO RISALENTE AI TEMPI DELLA GUERRA,

INIZIATE LE RICERCHE PER SCOPRIRE IL PROPRIETARIO.


I miei occhi scrutavano sconvolti il titolo della prima pagina. Assottigliai lo sguardo, come se le parole stampate con tutto quell’inchiostro corvino fossero potute cambiare. Ma niente, ancora c’era quel titolo che mi faceva sentire tanto a disagio.
«Tutto bene, signora?» mi si avvicinò ancora l’uomo e mi sfiorò un braccio. Sollevai lo sguardo, ma poco dopo mi girò vorticosamente la testa, e barcollai un istante. «Si sieda» disse a voce alta, facendomi accomodare lentamente su uno sgabello. «Posso.. fare qualcosa per lei?» mi chiese.
Indugiai qualche istante, poi presi un grosso respiro, prima di parlare. «Potrebbe leggere l’articolo per me?». Indicai il grosso titolo sul giornale che avevo ancora in mano, poi glielo porsi. Lui annuì e, indossati dei buffi occhiali da vista, si schiarì la voce.
«E’ stato trovato proprio ieri, sepolto sotto alcune delle macerie in una città rimasta distrutta in guerra, un diario. Il diario, ha un lucchetto, al suo esterno, perciò prima di arrivare ad eventuali rotture di una parte del documento, gli storici preferiscono cercare di trovare il proprietario. Sulla copertina di pelle rossa, ci sono incise due iniziali: R J..»
Alla pronuncia delle due lettere, mi saltò il cuore fuori dal petto, non ci potevo credere. Strappai il giornale dalle mani del giornalaio e continuai a leggere da sola. I miei occhi scorrevano così velocemente sulle parole stampate, che in neanche venti secondi avevo finito. Spalancai la bocca e ripiegai il giornale su sé stesso. Con un breve cenno della mano salutai l’uomo poi uscii di fretta, malgrado le mie gambe non fossero più poi così tanto veloci, dal negozio.
Arrivai a casa. Avevo il fiatone, ma ancora il giornale stretto fra le dita. Buttai borsa e cappotto su una sedia. Mi sedetti sul letto, scrutando ancora quella pagina di giornale. In verità non stavo prestando attenzione ad essa, ero ancora sovrappensiero. Non poteva essere.
In fondo all’articolo notai un numero di telefono. 08-56743. Composi immediatamente. Squillava..



 


«Chi è lei, scusi?» chiese la giovane ragazza, storcendo il naso alla mia vista. «M-mi han detto di venire qui, ho-ho chiamato il numer-» fui interrotta da un suo colpo secco di tosse. Sussultai leggermente, poi la guardai arrabbiata. Notò il mio sguardo, dato che alzò la cornetta del telefono, e, premuto un tasto e bofonchiato qualcosa, disse: «Terza porta a destra di quel corridoio» indicando con il mignolo ossuto il corridoio alle sue spalle. Cercai di sorridere, ma uscì solo una smorfia. 

«Rachel Jonhson?» chiese un uomo alto e robusto, con un leggero pizzetto brizzolato e calvo. Indossava un paio di pantaloni di velluto neri, stretti con una cintura di pelle. Una camicia a righe bianca e blu, e una cravatta di seta.
Lo scrutai qualche istante, poi iniziò lui a parlare ancora, penso ch’ebbe inteso che ero io.
«Lei dice di essere la proprietaria del diario, -disse- è vero?»
Probabilmente la mia telefonata non gli era bastata, voleva le prove. Lo guardai leggermente sorpresa, ma poi aprii la cerniera della borsa di pelle che tenevo a tracolla, ed estrassi la piccola chiave arrugginita.
«Sono passati proprio oggi settant’anni, da quando quel maledetto treno delle SS mi ha portata via dalla mia vita e mi ha tolto tutto. Dopo la liberazione, tutto ciò che mi rimane è questa maledetta chiave di ferro che aspetta solo di tornare a ruotare nel lucchetto. La prego, mi faccia vedere il mio diario da sedicenne.» lo implorai con la mia solita voce tremolante. Lo sguardo dell’uomo si posò sulla chiave che stavo tenendo fra pollice e indice, vicino al mio viso.
Pensavo che fosse felice, che avessi la chiave, che non fossi un’impostora e che non avrebbe dovuto rovinare il mio diario. Ma la sua espressione cambiò poco dopo. Un ghigno sospettoso si fece spazio sul suo viso, e io non feci altro che essere allibita.
«Allora, non le fa piacere che io sia qui?» chiesi. Scosse la testa.
Mi scortò fino ad un lungo tavolo di legno, con ordinate intorno ad esso, più di una decina di sedie. Mi guardai intorno, era tutto così insolito per me. Tutti i dipendenti presenti nella sala mi stavano fissando da minuti, ed è inutile dire che ero enormemente a disagio.
«Mi scusi, per la mia espressione, ma vede, prima dobbiamo provare la chiave, poi le crederò. La gente falsa in giro c’è, e anche se lei mi sembra sincera, devo rispettare le regole.» si spiegò. Annuii debolmente, capendo le sue intenzioni.

In cinque minuti mi trovavo accerchiata da altri uomini giovanissimi che erano irrefrenabilmente curiosi di sapere cosa diamine avevo scritto nel mio vecchio diario.
L’uomo che mi aveva accolto (che scoprii si chiamasse Ronald), infilò delicatamente la chiave nella minuscola serratura del lucchetto. Stridette un po’, ma dopo un solo giro scattò e si aprì lentamente. Ronald lasciò che aprissi io il diario. Ero agitata, e il cuore mi batteva in gola. Subito al tatto della pelle rovinata e sporca, mi tornarono alla mente tanti ricordi: il giorno in cui nonna Rose me lo regalò, il giorno del mio Bat Mitzvah, la mia poca cura di quel regalo che poi si rivelò l’unica cosa a me più cara rimasta, la prima volta che ci scrissi, tutte le volte che pensai che mia nonna mi avesse fatto un regalo inutile, il giorno della sua morte, le lacrime che ho versato mentre scrivevo nel diario, le pagine bagnate che ho strappato.. Sospirai, e girai la pagina della copertina. Emanava un odore molto particolare, che associai a quello della muffa, ma molto più forte e nauseante. Sembrava che il mio diario volesse lasciare il segno in tutti i modi possibili.

Le pagine di carta spessa erano ingiallite, macchiate e qualcuna anche stropicciata.

Gli uomini intorno a me si avvicinarono sempre di più, tanto che Ronald dovette costringerli a staccarsi. Un’ondata di malinconia mi travolse, quando vidi la breve dedica della mia nonnina, scritta con la sua calligrafia stretta e estremamente perfetta.

 

 

Rachel, tesoro.

So che quando hai realizzato che il mio regalo era un diario, non ti è piaciuto.

Sei una bambina così dolce e graziosa, ma per ora non puoi capire. Non sai quanto ti voglio bene, e dammi retta, fra qualche anno il tuo diario sarà quasi un oggetto indispensabile.

 

Nonna Rose.

 

Sembrava quasi di sentire la voce rauca di nonna, la stessa che da piccola mi aveva raccontato le storie, mi aveva letto le preghiere, che mi sgridava quando a farlo non c’era mamma, che cantava con me le canzoni più belle che conosceva e che mi rassicurava e consolava quando cadevo a terra e mi scorticavo le mie piccole ginocchia. Feci un breve sorriso, poi tornai ad accarezzare quella pagina rovinata dal tempo. Tutti erano impazienti di vedere il resto, ma io volevo fermarmi lì, non volevo ricordare tutti quegli eventi orribili, ciò che ho provato, lui..

«Signora, tutti qui sappiamo la storia di Niall Horan, lei ne sa qualcosa?» mi chiese Ronald. Un ennesimo balzo, mi fece saltare il cuore. «Sì, io sono la cosiddetta ‘causa’, secondo molti..» sussurrai lentamente. «Ma non è vero!» urlò un ragazzo moro alzatosi di colpo. Sorrisi delicatamente, poi tornai a scrutare il mio diario. «Posso..intervistarla?-chiese un altro,tirando fuori dalla tasca un piccolo registratore.- Intendo.. mentre leggerà tutto il diario e ci racconterà..» continuò imbarazzato.

Girai anche la pagina con la dedica, e passai più volte il dito sui resti delle pagine strappate, almeno una decina di frattaglie.

Ed ecco il primo giorno, quel maledetto giorno..

 

 

 

 

 

 

 

Hola, babies.

Questa è la mia prima storia.

L’idea mi frullava nella testa da mesi, ma oggi mi sono decisa e ho scritto il prologo. Che ne pensate? Ho voluto mettere come tema la seconda guerra mondiale. Se in questo capitolo non sentite poi molto parlare dei oned, è perché appariranno fra un po’..nel 1943, credo. Bene, ditemi che che pensate, a presto.

  
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