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Autore: Miss BloodyFangs    29/05/2013    0 recensioni
"Per uno strano scherzo del destino sentì di appartenere più al freddo del Signor Ponte che a casa sua, al caldo.
Le piaceva l’ululare del vento, le folate taglienti e gelate sul viso, quando si sporgeva per avere sempre più libertà, per sentirsi sempre più parte di quel posto.
Di tanto in tanto prendeva una coperta, la stendeva sul praticello accanto al ponte e rimaneva lì a fare i compiti, a fare la merenda."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aurore’s bridge

 

 

Quando i bambini sono piccoli si raccontano loro favole e fiabe per farli addormentare, per far si che si crogiolino nel loro sonno con un sorriso sulle labbra e le fossette sulle guance; ancora piccoli ed innocenti.

È risaputo, inoltre, che cresciamo tutti con la nostra storia speciale, quella che abbiamo fatto leggere ai nostri genitori così tante volte che ormai l’avevamo imparata a memoria, eppure gliela facevamo leggere di nuovo.

Biancaneve, Cenerentola… chi non ama i classici?

Eppure c’è chi, nel buio della sera, racconta ben altro alla propria bambina.

Una bambina piccola, lei non è particolare, ma la storia che la sorella maggiore le racconta ogni sera lo è.

Parla di una bambina, proprio come lei.

Bassa, tanto bassa, con grandi occhi verdi e lunghissimi capelli neri.

La storia racconta di questa bambina… Aurore.

La mamma l’aveva chiamata così: Aurore. Perché era bella come l’aurora boreale. Bastasse un nome a far di una bambina la perfezione!

Lei era gentile, lei era docile e obbediente. Tutti la prendevano ad esempio, era la gioia della famiglia.

I genitori di Aurore sono sempre state persone troppo impegnate con gli affari per portare la figlia a scuola.

“E’ qui vicino tanto, basta attraversare il ponte, pochi passi e sei arrivata!” diceva la mamma.

E Aurore li contava, quei passi.

Uno, due, tre, quattro… dieci, undici, dodici… ventuno, ventidue… trentasei…

A quarantadue ancora non erano finiti.

- devi essere paziente – si rimproverava – arriverai a scuola, vedrai!- che i passi di mamma e papà fossero più lunghi dei suoi? Forse addirittura tre dei suoi passi sarebbero potuti essere uno dei loro!

E al centesimo passo era a scuola.

Man mano che cresceva, Aurore cominciava a giocare con quei passi.

Un salto e un passo, i vari punti di riferimento ad un tot di passi…

E poi il ponte.

Una cosa strana e buffa che Aurore notò ben presto fu che al cinquantesimo passo era proprio al centro spaccato del ponte, del suo intero percorso.

Più volte la bambina si era fermata, all’uscita di scuola, a guardare giù dal ponte, così, per schiribizzo.

Le era sempre piaciuto quel ponte: era ad un buon venti metri dal suolo, e sotto le macchine sfrecciavano. Quante macchine!

Originariamente era probabilmente un bel ponte di legno, fiero, spesso e capace di resistere ad ogni cosa – ecco come se lo immaginava Aurore.

Ma con il passare degli anni era evidentemente invecchiato, diventando un Signor Ponte, uno di quelli con il legno marcio e muffito, capace di sostenere solo le persone e tutto cigolante.

Il comune l’avrebbe probabilmente buttato giù a momenti.

Quando Aurore aveva solo sette anni il ponte era capace di traballare, quando il vento sferzava da nord.

In quei momenti la bambina rideva a crepapelle, le piaceva quella giostra.

La sua giostra, il suo Signor Ponte.

Con il passare del tempo, Aurore crebbe sempre di più. I suoi genitori si fecero sempre più assenti, sempre più disinteressati.

Non era più la bambina dalle rosee guance, tutta fossette e sorrisini adorabili.

Ormai aveva quasi quattordici anni.

Per uno strano scherzo del destino sentì di appartenere più al freddo del Signor Ponte che a casa sua, al caldo.

Le piaceva l’ululare del vento, le folate taglienti e gelate sul viso, quando si sporgeva per avere sempre più libertà, per sentirsi sempre più parte di quel posto.

Di tanto in tanto prendeva una coperta, la stendeva sul praticello accanto al ponte e rimaneva lì a fare i compiti, a fare la merenda.

Aurore non aveva amici, era troppo diversa.

Lei preferiva stare lì, a chiacchierare con le intemperie.

Una volta era rimasta fuori con la tosse, a prendere la neve sul ponte.

Nessuno l’aveva sgridata, perché non importava a nessuno, tanto meno a lei.

Ma quel muffito ponte di legno aveva un richiamo speciale, per lei.

Un richiamo che raggiungeva debolmente tutti i passanti, che rimanevano solo con un interrogatorio nei recessi della mente, troppo occupati a pensare ad altro per pensare al ponte che stavano calpestando.

E quel richiamo spingeva Aurore sempre più in là, sempre più oltre il vecchio parapetto.

La voce del vento le sussurrava alle orecchie le parole del ponte.

Buttati, Aurore, buttati.

La ragazza di volta in volta si sentiva sempre più esaltata.

Le parole crebbero, si insinuarono dentro le orecchie e ben presto si mischiarono al corso dei pensieri nella sua mente.

Non ci volle molto prima che i pensieri di Aurore cominciassero a ruotare unicamente attorno al richiamo del ponte.

All’idea di cadere e prendere il volto, di assaporare la rapida discesa, di godersi il suo urlo di gioia prima di…

…di cosa? Cosa le sarebbe potuto succedere? A questo Aurore non aveva mai pensato.

Continua a chiedersi, incuriosita, come sarebbe stato buttarsi di sotto.

In silenzio o urlando non aveva importanza, l’importante era farlo.

Un giorno invernale, quel lontano 1993, Aurore aveva sedici anni.

La ragazza era appoggiata al parapetto marcio del ponte, il caro vecchio Signor Ponte.

E la voce la chiamò di nuovo, per l’ultima volta.

Buttati, Aurore, buttati.

E per la prima volta in vita sua, Aurore ebbe le vertigini guardando giù dal quel suo storico amico.

E cadde.

Aurore si lasciò librare in avanti e chiuse gli occhi.

Si era spinta più in là, aveva chiesto la sua libertà, quella che tanto agognava, quella che significava andare oltre: incontro al vento che tanto la faceva vivere.

E per la prima volta in tutta la sua vita, Aurore si esaudì.

 

- Bloody’s corner-

Scrivere quest’FF mi ha particolarmente elettrizzata, non so se avete presente.. quando vi scorrono le dita sulla tastiera, quasi da sole, per l’eccitazione delle parole che arrivano da sole.

MissBloodyFangs

  
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