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Autore: M4RT1    29/05/2013    6 recensioni
Neal è finito all'ospedale e dovrà restarci per ventuno giorni. Che succederà? Chi gli terrà compagnia? Ma soprattutto: riuscirà Neal a sopravvivere a ventun giorni con amici che tentano di tirarlo... su di morale?
**
La storia si comporrà di ventidue capitoli: il primo parla di come Neal è finito in ospedale, poi ce ne sarà uno per giorno. :))
Spero vi piaccia!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Burke, Mozzie-Dante Haversham, Neal Caffrey, Peter Burke, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Peter arrivò presto, il giorno dopo. La camera di Neal era ancora nella penombra dell’alba, ma il ragazzo era già sveglio:
-Buongiorno, Neal- salutò l’agente, entrando.
-Ciao, Peter- rispose l’altro, ancora assonnato.
-Come ti senti?
-Meglio, grazie… ieri sera ho provato a modellare la plastilina, sai?
Peter si mostrò più entusiasta del dovuto:
-Bene! Fai vedere!
Neal, attento all’ago ancora infilato nel suo braccio, si girò verso il comodino e prese il pezzetto di gomma celeste che aveva lavorato tutta la notte.
-E’ il tuo distintivo, o almeno dovrebbe.

Peter prese in mano la “scultura” del ragazzo, osservandola: non era nemmeno lontanamente precisa come quella che avrebbe potuto riprodurre con la mano sana, ma era comunque più di quanto lui, Peter, avrebbe mai potuto sperare di saper fare.

-Perché avresti riprodotto il mio distintivo?- domandò alla fine, poggiando la riproduzione sul comodino.
-Oh, non so… mi hai regalato tu la plastilina, così ho pensato a te quando dovevo decidere cosa fare.
-E il distintivo è la prima cosa che ti è venuta in mente?
-Cos’altro avrei dovuto fare, scusa?
Peter rise nel vedere l’espressione incuriosita dell’altro:
-Il mio ufficio, magari… o una mia statua, tipo quelle dei campioni olimpici che…
Neal scosse la testa, scacciando l’immagine di un Peter semivestito che lancia un giavellotto.
-No, non credo sarebbe stata una buona idea- mormorò, ristendendosi.

Peter finì di ridere e si sedette al suo fianco:
-Com’è andato ieri l’interrogatorio?- chiese, sulle spine.
-Perché me lo chiedi? Diana non ti ha detto nulla?
-Sì che mi ha parlato, Neal… ma voglio sentirlo da te- rispose Peter, fissandolo: -Com’è andata?
-Io… sono stato sincero, Peter, te lo giuro- farfugliò il ragazzo, ferito da quanto l’amico fosse sospettoso.
-Ti credo, Neal, non è questo che voglio chiederti- si affrettò a riparare l’altro, poi continuò: -E’ stato difficile parlarne?
-Non molto.
-Ma lo è stato.
-Un po’.
-Lo è stato.
Quella conversazione ne risvegliò un'altra, sommersa nella memoria di Neal.
-Devo smetterla di minimizzare le cose, tanto voi volete che la faccia tragica- mormorò, più a se stesso che a Peter.
-Cosa?
-Niente…

Peter si dimenò sul letto, inquieto.
-Neal… io ho letto il rapporto del tuo interrogatorio, stamattina- disse, fissando un punto imprecisato del muro: -Devo chiedertelo: vuoi che metta degli agenti a sorvegliare la stanza?
Neal sgranò gli occhi, ridacchiando:
-Per… per me? Per… proteggermi, Pete?- chiese.
-Certo che sì! E non chiamarmi Pete, Neal!- rispose l’altro, risentito: -Diana ha scritto che, parlando delle minacce, mostravi segni d’ansia, così…
-Certo che li mostravo, ma davvero non c’è bisogno di…
Peter fece una smorfia:
-Sapevo che sarebbe andata così, dopotutto- confessò, e l’amico sorrise:
-Allora perché l’hai chiesto?
-Mai dire mai, no? E comunque se cambiassi idea…
-Testardo, come sempre- lo interruppe il ragazzo, fissandolo.

 
***
 
-Buongiorno, Caffrey. Come va oggi?
L’infermiere –un uomo corpulento dai capelli brizzolati- interruppe sul più bello un monologo di Peter riguardo il baseball: l’altro ragazzo lo fissava, semplicemente, con aria assente e annoiata.
-Meglio, grazie. Sei nuovo?- chiese lui, sporgendosi per osservare l’addetto che, con l’aria annoiata di chi compie sempre gli stessi gesti, stava inserendo una nuova fiala nella flebo del paziente.
Peter si ritirò in un angolo, in disparte.
Quando l’uomo uscì, Neal si sistemò meglio sui cuscini, dritto, e lo fissò:
-Allora, a che eravamo?
Peter tornò accanto all’amico:
-Oh, beh, come ti dicevo…
-Non potremmo cambiare argomento, Peter?- lo implorò Neal, sbadigliando.
Peter si guardò intorno, in cerca di ispirazione, ma quando tornò a posare lo sguardo su Neal lo trovò semiaddormentato e con lo sguardo vacuo.
-Tutto bene, Neal?- gli domandò, incerto.

Il ragazzo scosse la testa per snebbiarsi la vista appannata:
-S-sì, Peter… è solo… solo un giramento di testa, credo- si giustificò, mettendosi nuovamente seduto: -Sono stanco.
-Stanco? È presto, no?
Neal annuì, lentamente. Si sentiva strano, oppresso, rallentato.
-Neal?
La voce di Peter gli sembrava lontana.
-Neal? Neal, tutto bene?
-Io credo di no, io… mi gira la testa…- biascicò il ragazzo, nel panico.

Quando tutto si fece buio, Peter era già corso a chiamare aiuto.

 
 

È stata inserita una dose doppia di medicinale nella flebo.
Non sappiamo come sia possibile, è stato un incidente…
Non rischia niente, ma dovrà stare a riposo per un po’.
Ora dorme, ma potete entrare a salutarlo.
Neal? Neal, tesoro, come stai?
Credi davvero sia stato un errore, Peter?
No, Sara, non credo.
Io non ne sarei così sicuro, sai? Gli incidenti ospedalieri sono cresciuti del…
Zitto, Mozzie!
 
Neal sbadigliò, stanco. Aprendo gli occhi, si rese conto di avere ancora la vista appannata, così li richiuse in attesa che tutto si sistemasse.
-Neal? Neal, come ti senti?
Era la voce di Sara.
Il ragazzo tentò di dire qualcosa, ma non riuscì ad emettere più di un sibilo, così annuì, piano. Riaprì gli occhi: davanti a lui c’erano tante persone, ma non tutte erano messe a fuoco; di sicuro quello in prima fila era Mozzie, pensò, e riusciva a vedere Sara, ma già Peter gli appariva sdoppiato e, in ultima fila, non distingueva chi fossero le tre figure. O erano quattro?
-Sara- riuscì a biascicare, un sapore amaro in bocca.
-Neal… come stai?
Alzò una mano, quella libera dalle flebo, e sentì le bende premere contro polso e dita; gli faceva male, ma la sentiva ancora.
-Tutto bene- fu l’unica cosa che gli venne in mente, anche se, con quel saporaccio tra le labbra e la testa pesante, non era totalmente vero.
Per qualche strana ragione, la donna rise, e con lei Peter.
-Bene?- ripetè la voce dell’agente, scherzosa: -Se lo dici tu…

C’era rumore, pensò Neal. Troppo rumore: voci, risate, respiri… la testa gli faceva male, ora, e tutta quella gente non aiutava. Pensò di dirlo a Peter, o a Sara, ma la voce sembrava nuovamente sparita, così si limitò a lanciare un’occhiata disperata in direzione di Mozzie, che capì al volo.
-Credo che Neal abbia bisogno di dormire, ora- urlò a pieni polmoni, la voce squillante che sovrastò il chiacchierio: -Ha appena terminato di smaltire due fiale di chissà che schifezza sintetica, quindi…

Peter si dette da fare per scortare fuori quella che, ora Neal riusciva a capire, era June; Diana e Jones tornarono al Bureau poco dopo ed Elizabeth, che Neal avrebbe voluto che restasse, corse ad un appuntamento con un ricco uomo d’affari alle prese con il compleanno di tre gemelli neodiciottenni. Alla fine, solo Sara e Mozzie restarono accanto a lui, entrambi impegnati a cercare di evitarsi.

-Che è successo?- chiese allora Neal,  cercando di sviare l’imbarazzo.
-L’infermiere ha sbagliato dose- gli spiegò gentilmente Sara, fissando di sbieco Mozzie: -Loro… loro dicono che si sia trattato solo di un incidente.
Il ragazzo annuì, gli occhi chiusi.
-Come ti senti?- ripetè lei, accarezzandogli i capelli.
-Non lo so… io credo di non sentirmi molto bene, ma non capisco perché- sussurrò lui, giocherellando con le lenzuola.
Sara sospirò:
-Non hai una bella faccia, sai?
-Non fate altro che ripetermi questa cosa- si lamentò lui, ma la sua voce tradiva una certa preoccupazione: -Sono davvero così… brutto?
Sara rise:
-Non brutto, Neal… sei solo tramortito.
-Tramortito?
-Sì… hai presente la faccia che avresti se ti avessi dato il manganello in testa? Ecco, più o meno così.
Neal cercò di figurarsi quell’immagine, ma non ci riuscì, così decise di cambiare argomento:
-Oggi c’era una mostra d’arte- borbottò.

Mozzie sembrò ridestarsi dalla trance in cui era caduto osservando la flebo:
-Una mostra sublime, sai? Credo che stasera…- cominciò, ma il ragazzo lo interruppe:
-Se hai intenzione di andare a vederla, non dirmelo, per favore- lo supplicò.
Sara sorrise:
-Avevi dei biglietti?- gli chiese, e il ragazzo annuì:
-Li avevo da mesi!- protestò ancora, adirato: -Io volevo… volevo portare anche te- terminò, la voce flebile.
Sara annuì, cercando di trovare una soluzione:
-Per quanti giorni ci sarà la mostra?
-Oggi e domani. Punto, stop, basta! Capisci?
-Sei ancora troppo debole, Neal, lo sai: Peter non ti permetterebbe mai di…
Neal la interruppe con un’occhiataccia, ma l’effetto fu guastato dal brivido che ebbe poco dopo e che, quasi a volergli fare un dispetto, confermò la tesi di tutti.
-Almeno vacci tu- si arrese lui con una smorfia: -Sai, ho comunque i biglietti, no?
Sara scosse la testa:
-No, Neal! Non voglio andarci da sola- rise, guardandolo tranquilla.
Neal fece spallucce, scosso da un altro brivido:
-Sicura?- mormorò.
-Sicura. Perché non li dai a Peter?

Il ragazzo annuì ancora, sospirando: Peter non avrebbe apprezzato quanto loro tre nella stanza:
-Grazie- aggiunse, lieto di non dover passare la serata a immaginarsi Moz e Sara alla mostra dove anche lui sarebbe dovuto essere.
-Di che?

 

 
Sara andò via dieci minuti più tardi, stanca. Mozzie restò altra mezz’ora a far compagnia a Neal, poi scappò via perché “doveva preparasi per andare a prendere June”.
Neal lo guardò allontanarsi, un po’ depresso, poi prese a modellare di nuovo la plastilina. Mentre si svolgeva le bende, però, squillò il cellulare: era Peter.
-Pronto?
-Neal! Come va?
Dai rumori in sottofondo, sembrava che l’uomo fosse in mezzo al traffico.
-Sara è andata a casa, Mozzie è andato a casa mia a prendere June per portarla alla mia mostra d’arte e io sono qui. Come credi che vada?
-Lo so, Neal. Prenditela con l’infermiere, non con me!- provò Peter, ma l’altro scosse il capo:
-Non mi avresti mandato nemmeno prima, lo so- replicò, funereo.
Peter sospirò:
-D’accordo, hai ragione. Senti, Neal… riguardo l’incidente del medicinale, insomma, dovrei parlarti.
Neal restò in silenzio, aspettando il resto.
-Sai… noi crediamo che…
-Non sia stato un incidente?- completò il ragazzo per lui.
-Sì, è così.
-Lo immaginavo.
-Ci hai sentiti parlare.
-Dormivo, non ero in coma.
-Giusto. La prossima volta ci allontaneremo.
Sorrise.
-Passi domani?
-Credo di sì.
-Senti… potresti portarmi una cosa?
Peter annuì, poi si rese conto che Neal non poteva vederlo, così rispose:
-Certo.
-Potresti portarmi un foglio e una penna. Io voglio provare… a scrivere.
-Perfetto, Neal. A domani!


N.d.A.: in ritardo, troppo lungo, logorrico... ma è qui U.U
  
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