Libri > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: Shh_S_IsReading    30/05/2013    3 recensioni
STORIA INCOMPLETA.
[Post CoLS, possibili spoiler.]
[Clace, Sizzy, Malec.]
~
Aisha Harris sapeva dell'esistenza dei Shadowhunters perchè possedeva la vista, come sua madre.
Quello che non credeva possibile era di esserlo, come Gabriel.
~
[Pubblicato il prologo e il sesto capitolo.]
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
A Fla, che mi sopporta e supporta e che è veramente un angelo.
Il mio. <3
Grazie, mia poetessa.




Un
Aisha ispirò, improvvisamente tutto sembrava più chiaro,
fottuto
non seppe come, ma si ritrovò a poco più di tre passi di distanza da
scherzo.
Gabriel, che la fissava spaventato.
La conosceva abbastanza bene da sapere che non l'avrebbe passata liscia, quindi non si sorprese quando si ritrovò un suo dito accusatore piantato nel mezzo del petto, che batteva evidenziando ogni singola parola.
«Fottuto scherzo?! Tu, sottospecie di merda rinsecchita, tu sei un fottuto scherzo, tre, tre!, anni a scriverti,chiamarti, inviarti stupidi messaggi e tu, tu, brutto cretino, mi dici, dopo tre anni, osi sperare che io sia uno scherzo?!»
Lui si limitò ad alzare le mani, come a dirsi innocente, e a bisbigliare un «posso spiegarti» nemmeno troppo convinto.
«Spiegarmi?! Spiegarmi cosa? Quanto io mi sia sentita stupida a sperare che il grande Cacciatore si ricordasse di me?»
Ora era Aisha a bisbigliare, come se si fosse ricordata solo in quel momento di avere un pubblico, dopo strinse gli occhi e la mascella e battè il palmo aperto della mano sul petto di Gabriel rivolgendogli uno «stronzo!» poco fine e girandogli le spalle, prendendo un respiro profondo.
Quando aprì gli occhi si ritrovò davanti Izzy e Jace sinceramente divertiti mentre Alec la guardava con un sopracciglio inarcato, vagamente preoccupato.
Gabriel le posò una mano sulla spalla.
Finì immediatamente nella lista delle cose da non fare, visto che si ritrovò inginocchiato a terra, il braccio ritorso dietro la schiena. Sapeva che era una persona manesca, ma lui era un Shadowhunter, per l'Angelo! Non si era mai ritrovato a terra a causa di un mond...
Aisha.
Istituto.
Di New York.
«Che ci fai qui?!» non provò a liberarsi, lei allentò la presa e gli rivolse epiteti poco educati, superando i fratelli Lightwood.
«Che gli stava dicendo in italiano, Jace?» chiese Izzy, curiosa, osservando la ragazza mora imboccare il corridoio che portava all'ascensore.
Starà andando da Magnus.
«Insulti. Tre quarti dei quali non so nemmeno che significhino. È preoccupante.»
«Mi sarei preoccupato io, invece, se la prima cosa che avessi chiesto è com'è che Aisha conosce uno Shadowhunter quando era la prima a non sapere di esserlo.» esordì Alec lentamente, passandosi una mano sul volto che andò ad arruffare i capelli neri, osservando il ragazzo italiano, ora in piedi.
«Lei... Cosa? Aisha è... No, non è possibile, voglio dire, come?! Me ne sarei accorto, sua madre...»
Izzy sbuffò -sorprendentemente non aveva nessuna voglia di perdere tempo con un ragazzo confuso- e indietreggiò di alcuni passi.
«Oh, quante cose ti sei perso. Fortunatamente per te, Alec e Jace saranno lieti di aggiornarti, a dopo!»
Si girò con innata eleganza e s'incamminò velocemente all'ascensore, le proteste di Alec smorzate dal ghigno di Jace lontane. Quando l'aria fredda di New York l'avvolse, tirò fuori il cellulare e digitò un breve messaggio la cui risposta non si fece attendere.
'Frappè di cioccolato e sangue al Taki?'
'Non aspettavo altro'
Con un inconsapevole sorriso sul viso, la ragazza prese a camminare a passo veloce -molto veloce- verso la propria destinazione.
 
All'ultimo secondo, Aisha al posto di imboccare l'ascensore aveva preso la volta delle scale ritrovandosi ansante nella propria stanza.
Lo sguardo le era immediatamente caduto sulla custodia del suo violino sulla poltrona all'angolo della stanza, non suonava da quel pomeriggio...
Con un sospiro e le mani tremanti, tirò fuori lo strumento e l'archetto, era lo stesso violino che aveva lasciato Marco, che l'aveva avvicinata alla musica.
Non ricordava quanti maestri aveva avuto da quando lui aveva deciso di andarsene ma si ricordava di Roberta Di Angelo, la madre di Gabriel.
Ricordava quando la madre l'aveva portata in quella villa che le era sembrata enorme, stringendo il violino un po' spaventata, ascoltando Naomi che le diceva che c'era una donna che l'avrebbe insegnato a suonare meravigliosamente.
Roberta le aveva accolte con un sorriso materno sul volto stanco -si vedeva già allora che era malata.
Aveva fatto vedere alla madre la casa, indicandole le stanze da pulire e alla fine del giro le aveva fatte accomodare nel suo studio, un'esplosione di libri, spartiti e strumenti di tutti i generi.
Aveva offerto loro del the e aveva iniziato a parlare con Naomi, rivolgendole a tratti sorrisi affetuosi.
Ricordava benissimo la propria inquietudine quando la madre si era rimboccata le maniche e aveva lasciato la stanza annunciando, con il suo accento inglese, che avrebbe iniziato a pulire le camere da letto.
Aveva avuto paura, sì, ma di non essere all'altezza, visto che Naomi le aveva chiesto di suonare qualcosa per «la cara signora Di Angelo».
Allora aveva imbracciato il violino insicura della breve e facile melodia insegnatagli da Marco, che con il passare dei giorni -degli anni- era diventata più complessa e veloce sotto le attenzioni di Roberta.
Gabriel le aveva insegnato i fondamenti del piano e con lui intrecciava le note dei due strumenti, mentre Roberta -sempre più stanca, sempre più debole- li ascoltava.
Roberta e Gabriel Di Angelo erano stati i suoi punti cardinali assieme alla figura della madre, non avrebbe mai immaginato di perderli a distanza di pochi anni e di ritrovarsi uno di questi davanti, dopo anni.
Gabriel era stato il suo unico amico, la madre l'aveva sempre fatta studiare a casa, come a volerla tenere nascosta -solo ora capiva.
Una nota bassa, lunga e mal tenuta, le mani le stavano tremando troppo e quella stanza non era la migliore, per il suono.
Spalancò la porta salì scale su scale, ritrovandosi in una stanza smessa vicino alla soffitta.
Gabriel era stato amico e fratello, avevano l'uno riempito la solitudine dell'altro, lei aveva continuato ad andare dai Di Angelo anche quando la madre aveva dato le dimissioni perchè aspettava Brian.
Avevano avuto un'infanzia felice, insieme.
Avevano affrontato qualunque sciocchezza, insieme.
Avevano pianto Roberta, insieme.
Dieci anni, così piccolo, per sopportare un dolore tanto grande, ma Aisha gli era stata accanto e quando il padre, Luca, aveva deciso di andarsene dall'Italia per visitare altri Istituti (per la formazione di Gabriel, diceva) dall'alto dei loro tredici anni, con un'amicizia di nove anni alle spalle avevano deciso, insieme, di continuare a sentirsi e scriversi.
Aveva funzionato per il primo anno, nel secondo si erano sentiti solo nei giorni di festa, le lettere erano diventate cartoline e le chiamate inesistenti, iniziato il terzo anno, Aisha non aveva avuto il coraggio di mandargli gli auguri per il compleanno, certa che non avrebbe avuto risposta.
Eppure aveva continuato a pensare a lui, nei momenti di felicità e nei momenti di difficoltà.
Aveva pensato a lui quando aveva trovato i corpi dei fratelli e quello dissanguato della madre, pensava a lui ogni volta che sentiva la melodia di un piano, pensava a lui ogni volta che vedeva dei bambini giocare, pensava a lui... Sempre.
 
Dopo l'uscita trionfale di Izzy, Jace si era buttato sul letto destinato al loro ospite, mentre Alec spiegava, coinciso e breve, come e perchè Aisha era lì.
Gabriel sentiva il bisogno di prendere a pugni qualcosa, si sarebbe preso volentieri a calci da solo.
Era colpa sua, pensò, stringendo i denti e affondando le mani nei capelli, se Aisha, aveva dovuto affrontare tutto da sola. 
 
Izzy dava le spalle al Taki, le braccia incrociate sotto al seno, si mordicchiava indispettita un labbro.
Come, come!, le era venuta la splendida idea di mandare un messaggio a quel disgraziato di un vampiro, che la stava pure facendo aspet-
«Izzy!» Simon, dopo aver percorso l'ultimo tratto con una leggera corsa, era accanto a lei, i capelli scompigliati dal vento che scoprivano la fronte ora liscia e vuota, gli occhi brillanti e un dolce sorriso ad abbellirgli le labbra.
Adorabile.
Isabelle scacciò con forza l'ultimo pensiero, lanciando un'occhiata al ragazzo, il sorriso ora incerto. «Sai da quando tempo ti sto aspettando?» chiese, il tono talmente freddo da sorprendere anche se stessa.
«Mh, tre minuti?»
«No. Una settimana.» Le parole le erano sfuggite dalla bocca prima di poterle fermare, il tono ora talmente basso da farle sperare che lui non avesse sentito niente.
Speranza vana.
«Cosa...? Ma lo sapevi, mia sorella... E dopo Clary mi ha detto che all'Istituto è arrivata questa nuova e credevo che fossi impegnata e...» Le parole gli morirono in gola, fermate da un'altra occhiata raggelante di Isabelle.
«Ah, con Clary hai tempo di sentirti, non è vero?»
Nella muta incredibilità di Izzy, Simon scoppiò a ridere.
«Ma cosa?! Ti faccio ridere, io?! Voglio vedere quanto riderai quando-»
Le sue amorevoli minacce furono fermate dal Nascosto, che mormorandole un «ma sta un po' zitta», ancora scosso dalle risate, la attirò tra le sue braccia, le proteste attuite contro il suo petto.

Aisha era rimasta ore in quella stanza, pizzicando le corde ma non riuscendo a creare vere e proprie melodie, lasciando che i suoni la circondassero e proteggessero, da cosa non lo sapeva neppure lei. Ora invece, si lasciava avvolgere dalle tranquille spire di polvere e silenzio attorno a lei, in quella stanza dimenticata.
Dietro il vetro sporco delle finestre il sole era tramontato placido, lasciando cadere i suoi ultimi raggi su Alec, che stava lasciando l'Istituto in quell'istante, e su un corridorio percoso da tre figure.
Jace, Gabriel e Alec erano stati raggiunti da un'inconsapevole Clary dopo una o due ore dalla "fuga" di Aisha e Izzy e dopo che Alec aveva deciso di andare da Magnus per recuperare una delle fuggitive (visto che era l'unica che non rispondeva a chiamate o messaggi), mentre il biondo e la rossa, tenendosi delicatamente per mano, stavano accompagnando l'italiano nell'unica stanza presente all'Istituto dedicata alla musica, decisamente perplessi da quest'ultima richiesta. Appena entrati, Jace disdegnò poltrone e sedie, lasciandosi cadere su un tappeto addossato al muro, apoggiando la schiena a questo. Accolse Clary tra le gambe, lasciando che il proprio petto combaciasse con la sua, di schiena, baciandole piano la spalla coperta dalla maglia che indossava, osservando poi Gabriel che, fermo al centro della stanza, osservava l'ambiente.
C'erano alcune chitarre in un angolo, violini, viole e violoncelli su vari mobili, vari strumenti a percussione e, a metà tra la porta e la finestra, c'era un pianoforte. Lucido, imponente, sembrava che aspettasse proprio lui, per sollevare la copertura e accarezzare i tasti.
Gabriel sentì le dita contrarsi e fremere.
«Sai suonare qualcosa?» la domanda era arrivata, chiara e schietta, da Clary, accoccolata su Jace. Gabriel le sorrise e, senza più esitazioni, si diresse verso il pianoforte, trovandolo scordato.
Imprecando piano e dolcemente, come se stesse inveendo contro un vecchio amico, iniziò a incordarlo.

Aisha era al centro della stanza, il violino in spalla e l'archetto in mano, gli occhi rapiti dai rapidi cambiamenti di colore del cielo, un imbrunirsi sempre più cupo. Chiuse gli occhi, lasciando che la tensione delle spalle si sciogliesse per dopo, con calma, raggiungere la porta e chiuderla alle proprie spalle, scendendo poi le scale adagio, lasciando che i piedi la guidassero da qualunque parte.
Si fermò in mezzo a un corridoio dimenticato, sentendo il dolce suono di un pianoforte. Le sembrava che qualcuno le avesse buttato un secchio d'acqua gelata addosso, si sentiva lucida come mai lo era stata, si diresse velocemente verso la fonte del suono, arrivando a una porta socchiusa nello stesso momento in cui Gabriel -ne era certa- componeva quegli accordi, quelli che piacevano tanto a Roberta, gli stessi che avevano suonato tanto assieme e ascoltato ancora di più, caricando e ricaricando quel povero carillon, la stessa melodia che aveva fatto da sottofondo al periodo più felice della sua vita.
Scivolò piano nella stanza, ignorando le due figure addossate al mure e raggiungendo tranquilla Gabriel, ora immobile e silenzioso.
«Ricordi quando tempo ci abbiamo messo, per mettere d'accordo piano e violino, tutta colpa di quel carillon, vero?» Gabriel si girò verso di lei e si limitò a riappoggiare le dita sulla tastiera, sussurrandole un «controlliamo se abbiamo combinato qualcosa di buono, allora» affondando le dita sui tasti e chiudendo gli occhi, sentendo poco dopo il suono vellutato del violino di Aisha accompagnarlo.
Sentì le labbra distendersi in un sorriso.
L'aveva perdonato.
O almeno ci sperava.

Alec stava camminando svelto, ma tranquillo, a dispetto del nervosismo che si sentiva crescere dentro, risalendogli dallo stomaco.
Se nelle ultime tre ore avesse ingerito qualcosa, probabilmente l'avrebbe vomitato, ma visto che aveva un autocontrollo di ferro e lo stomaco chiuso, non avrebbe sputato nemmeno l'acido.
Forse più per il secondo punto, che per il primo, ma dettagli.
Si ritrovò troppo presto davanti al familiare portone e con il cuore stretto nella familiare morsa quando, per abitudine, aveva cercato le chiavi e aveva trovato le tasche maledettamente vuote. Sospirò, affranto, mettendosi a fissare truce il bottoncino colorato d'argento accanto a "Supremo Stregone di Brooklyn", quasi lo potesse schiacciare con la forza del pensiero che con le dita.
Per fortuna o per sfortuna (dipende dai vari punti di vista) il portone si aprì, lasciando passare (per questo la questione di fortuna o sfortuna) il Supremo Stregone di Brooklyn e il suo sopracciglio alzato in persona.
Se Jace fosse stato lì e se avesse avuto la capacità di leggere nel pensiero, sarebbe rimasto profondamente scioccato del fatto che il parabatai conoscesse quasi più imprecazioni di lui.
Quasi.

Isabelle si ritrovò a ridacchiare, suo malgrado, all'ennesima battuta di Simon.
Le sembrava praticamente impossibile essere risoluta e fredda con lui, per questo adorava le sue innate doti d'attrice.
Se fosse stata normale, si sarebbe sicuramente data al cinema.
Se lo fosse stata.
Fortunatamente per le stelle di Hollywood, era troppo impegnata a spintonare, prendere in giro, ridere, farsi baciare e baciare un vampiro, non necessariamente in quest'ordine.
«Dai, sei ancora arrabiata? Sai che mi sei mancata, vero?» Simon la pizzicò giocosamente un fianco, esortandola a rispondere.
«Io non sono mai stata arrabbiata, ero infastidita e annoiata, e no, non sei così uhm... Importante? da mancarmi, caro.» Izzy costrinse le labbra in un sorriso impertinente, quando l'unica cosa che voleva era ridere di fronte all'espressione corruciata del ragazzo, che distolse lo sguardo puntandolo all'orologio al polso.
«Voi superbi Cacciatori non dovete mica mangiare come i comuni mortali?»
«Cosa...?»
«È ora di cena.»
Le chiarì Simon, tranquillo, notanto il cielo tingersi dei colori del tramonto.
«Allora andiamo a mangiare, che dici?» Izzy si alzò, ignorando il ragazzo che borbottava qualcosa riguardo all'essere terribilmente lunatici che si affrettò ad affiancarla.

La porta si chiuse con un piccolo schiocco, risvegliando i due ragazzi dal loro torpore, mentre le ultime note vibravano ancora nell'aria. Jace e Clary si saranno chiaramente sentiti di troppo o volevano lasciare loro il tempo di chiarirsi o...
«Se vuoi ucciderlo dimmelo adesso che voglio assistere!»
...come non detto.
Quella che doveva essere Clary riacciuffò la Torcia dalla maglia, chiudendo di nuovo la porta.
«Ehm... Non vuoi uccidermi, vero?»
Gabriel sembrava vagamente terrorizzato dall'idea, ma lei non ci diede peso, scuotendo leggermente la testa.
«Credo di doverti delle scuse, piuttosto della morte.» tirò fuori in un sospiro.
«Non è solo colpa tua se abbiamo smesso di sentirci, certo, eri te che rispondevi a una chiamata su un milione per dirmi "ci sentiamo dopo" ma tra i due sono io quella testarda che prova e riprova finchè non ci riesce, no?» chiarì, per le sopracciglie alzate di Gabriel, che ora aveva un'aria vagamente stupid- stupita.
Al posto di "no, è colpa mia, bla bla bla, scusa", Aisha si trovò, come arguta risposta, una risata quasi isterica e dovette -ancora- sopprimere i quasi sopiti istinti omicidi, con un grosso respiro, con il quale Gabriel (finalmente) finì di ridere.
«Scusa, mi aspettavo un violino in faccia, o qualcosa del genere, e sinceramente non mi dispiacciono le tue scuse, anche se non saresti te quella che deve farle, perchè beh, è veramente colpa mia, cioè, colpa di mio padre, più che altro.»
«Vuoi spiegarti o il violino lo vuoi in faccia sul serio?»
Gabriel soppresse l'ennesima risata (Aisha non sarebbe stata capace di rompere volontariamente il suo violino, ma era pericolosamente vicina ad una solida sedia di legno scuro).
«Non so se ti hanno raccontato quello che è successo negli ultimi tempi, ehm, la questione di Valentine e il Circolo, hai presente?»
«Grazie al cielo sì, anche volendo non saresti capace di spiegarmela meglio di Alec, nel senso, senza risate isteriche o altro.»
Gabriel represse un moto di stizza per il confronto, e ricominciò a parlare, quasi lei non avesse detto niente.
«Mio padre ha fatto parte del Circolo, cioè, stava per essere ammesso ufficialmente, ma mia... Mia mamma non era convinta, quasi l'obbligò a lasciar perdere.»
«Ma aveva amici nel Circolo, amici che ha perso nel tempo o nelle battaglie; quando Valentine aveva iniziato a riorganizzarsi, mio padre aveva subodorato qualcosa e, soprattutto nell'ultimo periodo, cioè, prima della caduta di Valentine, intendo, mi aveva pregato di non sentirmi troppo con te, per, sì, per proteggervi, io... Mi dispiace tantissimo, Sha.»
Tutt'e due non avevano spostato lo sguardo dalla tastiera del pianoforte, ed entrambi non sapevano a quale perdita il "mi dispiace tantissimo" si riferiva, a quella dell'amico o a quella della famiglia.
A tutt'e due, sospettava Aisha. Sospirò, le dita sottili che torturavano un ciuffo sfuggito alla crocchia disordinata nella quale aveva raccolto i lunghi capelli.
«Dispiace anche a me, Gabbe, dispiace anche a me.»















Angolo "autrice"
Ehilà!
...
C'èancora qualcuno?
Okay, scusate il ritardo e ringraziate che sto male e che quindi ho tempo per pubblicare (anche se ho un mal di testa che mi sta uccidendo lentamente. <3)
Quindi, ta-dà!
Adoro Aisha in questo capitolo, mostra tutta la sua incoerenza (di cui io sono responsabile lol. Insomma, Aisha è una versione faiga della persona che vorrei essere, ci dovremmo assomigliare un po', no?)
Ringrazio tantissimo la Fla, che mi ha aiutato un sacco negli spezzoni Sizzy, visto che Isabelle per me è un mistero, quindi grazie :D
Grazie anche a dubhe01 che ha recensito (e a cui risponderò subito) e a Killapikkoletta e a arualleo per aver aggiunta la storia alle seguite, grazie di cuore.
Non ho la più pallida idea di quando aggiornerò, la scuola mi sta uccidendo, sto male e iniziano le vacanze e forse quest'anno vado veramente (!) in vacanza!
Quindi, non vi prometto niente.
Grazie ancora, mi farebbe veramente piacere un parere in più (no, non riesco mai a ispirare recensioni, sono negata)
Spero a presto!
-S.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: Shh_S_IsReading