Rimane lì, seduta davanti al pianoforte con la testa
appoggiata ai tasti. Due ore fa erano stati suonati, ora sono sotto il
suo peso e muti, zitti. La bottiglia è per terra, le
è caduta almeno venti minuti fa e ora non si ricorda nemmeno
dove si trova. Vodka. Pura. Non sa se le sue origini influiscano sulla
scelta degli alcolici, ma nella sua mente si sta figurando una serie di
note. Schiaccia i tasti dopo aver ripreso possesso della sua testa:
è una melodia orrenda, forse dovrebbe andare a dormire o
trovare un rimedio per far passare la sbornia. No. Vuole rimanere
lì. La sua testa scivola di nuovo sulla tastiera.
Lei e il suo pianoforte.
Sono inseparabili e lo sono sempre stati. Nella grande Mela non
è riuscita a trovare altro che quello squallido appartamento
da quattro soldi; l’ha ridipinto, ha passato profumi e
incensi per fare in modo di togliere gli odori di vecchio e ora
è il suo rifugio: un pianoforte, un frigorifero, un
fornello, una vasca, un armadio, un lavandino e una branda da notte. Ha
suonato tutta la sera e, depressa, si è lasciata agli
alcolici e alle sigarette: ha finito un pacchetto da venti in almeno
mezz’ora e cerca di riprendersi dal misto di alcol e fumo che
ha in corpo; apre la finestrella e fa entrare un po’ di aria;
guarda giù e vede la strada, trentadue piani sotto,
movimentata come un formicaio.
Là c’è Central Park.
Raccoglie la bottiglia e la lascia scivolare in una pattumiera sotto il
lavandino: è la terza di questa settimana a finire
lì dentro. “La solitudine - pensa - è
utile. La solitudine mi ha fatto creare le prime canzoni.”
Ci riflette un attimo, impreca per aver detto una grossa bugia a se
stessa e torna a sedere al pianoforte; se schiaccia qualche tasto, ora,
magari...
Ci prova davvero e si ritrova a schiacciare i tasti di fretta giusto
per avere un’idea di cosa starebbe bene con cosa e
incomincia, come al solito, a creare l’ennesima canzone; il
testo lo scriverà domani.
Il grande orologio anticato sul muro le ricorda che sono le tre di
notte e che i suoi vicini... i suoi vicini sono tutti morti.
Vive in una palazzina di spiriti: nessuno vorrebbe abitare quelle case
perché sono posti davvero molto sgraziati e i più
terribili incidenti e delitti sono avvenuti lì dentro:
perché lei è lì?
Lei è lì perché quelle case costavano
poco: se farà successo potrà comprarsi qualche
nuovo appartamento fantastico dove stare comoda, dormire in due letti
differenti, farsi coccolare... però deve creare.
È depressa, di nuovo.
Lui, il ragazzo che aspettava da una vita, non si è fatto
vedere settimana scorsa e lui, il più bel ragazzo mai
conosciuto, potrebbe essere lontano con un’altra; potrebbero
essere a San Francisco a riposare e poi a Miami, a ballare; potrebbero
essere, secondo la sua immensa fantasia, in Italia o in Francia,
avranno preso un aereo, il primo, quello col costo minore, saranno
atterrati in qualche stato straniero e avranno consumato cene, stappato
champagne e folleggiato fino all’arrivo del mattino.
All’alba lei si piangerà di nuovo addosso.
Ha creduto di avere un ragazzo e ha creduto che fosse davvero
interessato a lei, ma lei sa che era interessato alla fama che non
aveva; aveva sbagliato a dirgli che stava per firmare un contratto
discografico, aveva sbagliato ad andarci a letto la prima notte,
conoscendolo poco.
Ha una polaroid sopra il pianoforte: si è auto-scattata una
foto, ha registrato qualche demo a caso e poi si è
presentata alla casa discografica col suo nuovo cd. Lei ha una corona
in testa, lei ha anche uno scettro disegnato in una mano: lei
è la Regina.
Ha chiesto di chiamare così il cd non perché
sente il mondo sotto i suoi piedi, ma perché abitare in
quello stabile la fa sentire Regina dei dannati che possono permettersi
poco o niente.
L’altro giorno ha sentito urlare i fratelli del trentesimo
piano, mentre saliva con l’ascensore; evidentemente il
maggiore non riesce a pagare le medicine al minore: morirà
tra qualche mese, ne è al corrente, ma che ci può
fare? Tutti loro sono artisti di strada, lei soprattutto; ha registrato
un album perché sentiva che doveva esportare anche alle
persone lontane ciò che sentiva e ora... ora la odieranno.
Ma lei continuerà a camminare per quella strada,
salirà su quell’ascensore rovinato dove appiccica
disegni floreali, berrà vodka ogni sera che secondo lei
necessiterà e poi cadrà in un sonno profondo.
Ha di nuovo pensato di usare qualche farmaco per addormentarsi subito,
ma lo specchio sopra il lavandino la fermerà
dall’usare farmaci: non è corretto per la vita
umana, non è...
Sta pensando al suo ragazzo: magari salendo sulla metropolitana,
scendendo in qualsiasi punto di New York, correndo a caso per vie e per
antri oscuri si ritroverà davanti alla casa in cui il suo
peccato sta. Magari quel ragazzo sarà a letto con
un’altra donna conosciuta da poco oppure starà
tradendo lei con un’altra e un’altra e
un’altra ancora e forse sarà lì, lui, o
imbottito di psicofarmaci tra la vita e la morte o appeso al soffitto
come in una macelleria dell’horror.
Forse non lo troverà e forse entrerà in casa di
un’arzilla vecchietta che la tirerà scema
raccontando di quando qualche generale di qualche guerra le faceva la
corte e di quando suo marito venne a mancare.
Sta pensando di andare a fare un giro a Queens, vuole vedere quelle
casette latino-americane tutte uguali che portano un po’ di
campagna e di felicità sopra quel plumbeo asfalto. Oppure
potrebbe andare in Messico con la prima macchina che trova, magari
rubarne una, e viaggiare finché il motore non scoppi e lei
rimanga a piedi a fare l’autostop sperando che qualche anima
vagabonda (avrà pure lei rubato la macchina?) la porti da
qualche parte.
Magari a Las Vegas.
Il fatto di rischiare la fa sentire bene, vorrebbe stare davanti ad una
slot machine, ridendo di quello che succede e buttando dentro monetine
fregate alla cassa grazie all’aver mostrato troppo del suo
corpo provocatoriamente.
Invece sta lì a guardare il pianoforte:
com’è perfetto.
Se ci pensa, poi, avrà anche troppi anni per funzionare
ancora, quel caro strumento.
Comprato usato da un rigattiere, rimesso a nuovo da un amante del
fai-da-te e del bricolage, colorato e rifinito da una amica amante del
decupage e accordato da uno dei tanti artisti di strada. Uno al
quindicesimo piano.
Ora sta cercando di capire come abbia fatto la sua tazza a togliere la
vernice trasparente e nota che i fiori applicati al basamento dello
strumento risaltano. Forse non ha tolto la vernice, forse è
il tè che vi è rimasto attaccato e si
è seccato.
È stanca di pensare è stanca di creare e si
sdraia: vuole sognare un mondo migliore. Magari in un appartamento con
tanti cari ragazzi che la viziano. Di nuovo questo pensiero
dell’appartamento.
Si alza e va a bere un bicchiere d’acqua per non pensarci:
è stancante, a volte, poter mettere le mani su dei soldi.
Tocca la finestra per chiuderla e si accorge che sono rimasti alcuni
residui dei “tatuaggi” per vetro e si accorge che
non c’è via d’uscita:
diventerà una grande artista, creerà
più di ora, ma non uscirà da quelle quattro mura.
Torna sul suo pianoforte, appoggia la testa di nuovo e pensa che domani
prenderà un’altra bottiglia di vodka.