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Autore: Matt Brendan    15/12/2007    1 recensioni
Dedicato ad una delle cantanti più brave della storia, Regina Spektor.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rimane lì, seduta davanti al pianoforte con la testa appoggiata ai tasti. Due ore fa erano stati suonati, ora sono sotto il suo peso e muti, zitti. La bottiglia è per terra, le è caduta almeno venti minuti fa e ora non si ricorda nemmeno dove si trova. Vodka. Pura. Non sa se le sue origini influiscano sulla scelta degli alcolici, ma nella sua mente si sta figurando una serie di note. Schiaccia i tasti dopo aver ripreso possesso della sua testa: è una melodia orrenda, forse dovrebbe andare a dormire o trovare un rimedio per far passare la sbornia. No. Vuole rimanere lì. La sua testa scivola di nuovo sulla tastiera.
Lei e il suo pianoforte.
Sono inseparabili e lo sono sempre stati. Nella grande Mela non è riuscita a trovare altro che quello squallido appartamento da quattro soldi; l’ha ridipinto, ha passato profumi e incensi per fare in modo di togliere gli odori di vecchio e ora è il suo rifugio: un pianoforte, un frigorifero, un fornello, una vasca, un armadio, un lavandino e una branda da notte. Ha suonato tutta la sera e, depressa, si è lasciata agli alcolici e alle sigarette: ha finito un pacchetto da venti in almeno mezz’ora e cerca di riprendersi dal misto di alcol e fumo che ha in corpo; apre la finestrella e fa entrare un po’ di aria; guarda giù e vede la strada, trentadue piani sotto, movimentata come un formicaio.
Là c’è Central Park.
Raccoglie la bottiglia e la lascia scivolare in una pattumiera sotto il lavandino: è la terza di questa settimana a finire lì dentro. “La solitudine - pensa - è utile. La solitudine mi ha fatto creare le prime canzoni.”
Ci riflette un attimo, impreca per aver detto una grossa bugia a se stessa e torna a sedere al pianoforte; se schiaccia qualche tasto, ora, magari...
Ci prova davvero e si ritrova a schiacciare i tasti di fretta giusto per avere un’idea di cosa starebbe bene con cosa e incomincia, come al solito, a creare l’ennesima canzone; il testo lo scriverà domani.
Il grande orologio anticato sul muro le ricorda che sono le tre di notte e che i suoi vicini... i suoi vicini sono tutti morti.
Vive in una palazzina di spiriti: nessuno vorrebbe abitare quelle case perché sono posti davvero molto sgraziati e i più terribili incidenti e delitti sono avvenuti lì dentro: perché lei è lì?
Lei è lì perché quelle case costavano poco: se farà successo potrà comprarsi qualche nuovo appartamento fantastico dove stare comoda, dormire in due letti differenti, farsi coccolare... però deve creare.
È depressa, di nuovo.
Lui, il ragazzo che aspettava da una vita, non si è fatto vedere settimana scorsa e lui, il più bel ragazzo mai conosciuto, potrebbe essere lontano con un’altra; potrebbero essere a San Francisco a riposare e poi a Miami, a ballare; potrebbero essere, secondo la sua immensa fantasia, in Italia o in Francia, avranno preso un aereo, il primo, quello col costo minore, saranno atterrati in qualche stato straniero e avranno consumato cene, stappato champagne e folleggiato fino all’arrivo del mattino.
All’alba lei si piangerà di nuovo addosso.
Ha creduto di avere un ragazzo e ha creduto che fosse davvero interessato a lei, ma lei sa che era interessato alla fama che non aveva; aveva sbagliato a dirgli che stava per firmare un contratto discografico, aveva sbagliato ad andarci a letto la prima notte, conoscendolo poco.
Ha una polaroid sopra il pianoforte: si è auto-scattata una foto, ha registrato qualche demo a caso e poi si è presentata alla casa discografica col suo nuovo cd. Lei ha una corona in testa, lei ha anche uno scettro disegnato in una mano: lei è la Regina.
Ha chiesto di chiamare così il cd non perché sente il mondo sotto i suoi piedi, ma perché abitare in quello stabile la fa sentire Regina dei dannati che possono permettersi poco o niente.
L’altro giorno ha sentito urlare i fratelli del trentesimo piano, mentre saliva con l’ascensore; evidentemente il maggiore non riesce a pagare le medicine al minore: morirà tra qualche mese, ne è al corrente, ma che ci può fare? Tutti loro sono artisti di strada, lei soprattutto; ha registrato un album perché sentiva che doveva esportare anche alle persone lontane ciò che sentiva e ora... ora la odieranno. Ma lei continuerà a camminare per quella strada, salirà su quell’ascensore rovinato dove appiccica disegni floreali, berrà vodka ogni sera che secondo lei necessiterà e poi cadrà in un sonno profondo.
Ha di nuovo pensato di usare qualche farmaco per addormentarsi subito, ma lo specchio sopra il lavandino la fermerà dall’usare farmaci: non è corretto per la vita umana, non è...
Sta pensando al suo ragazzo: magari salendo sulla metropolitana, scendendo in qualsiasi punto di New York, correndo a caso per vie e per antri oscuri si ritroverà davanti alla casa in cui il suo peccato sta. Magari quel ragazzo sarà a letto con un’altra donna conosciuta da poco oppure starà tradendo lei con un’altra e un’altra e un’altra ancora e forse sarà lì, lui, o imbottito di psicofarmaci tra la vita e la morte o appeso al soffitto come in una macelleria dell’horror.
Forse non lo troverà e forse entrerà in casa di un’arzilla vecchietta che la tirerà scema raccontando di quando qualche generale di qualche guerra le faceva la corte e di quando suo marito venne a mancare.
Sta pensando di andare a fare un giro a Queens, vuole vedere quelle casette latino-americane tutte uguali che portano un po’ di campagna e di felicità sopra quel plumbeo asfalto. Oppure potrebbe andare in Messico con la prima macchina che trova, magari rubarne una, e viaggiare finché il motore non scoppi e lei rimanga a piedi a fare l’autostop sperando che qualche anima vagabonda (avrà pure lei rubato la macchina?) la porti da qualche parte.
Magari a Las Vegas.
Il fatto di rischiare la fa sentire bene, vorrebbe stare davanti ad una slot machine, ridendo di quello che succede e buttando dentro monetine fregate alla cassa grazie all’aver mostrato troppo del suo corpo provocatoriamente.
Invece sta lì a guardare il pianoforte: com’è perfetto.
Se ci pensa, poi, avrà anche troppi anni per funzionare ancora, quel caro strumento.
Comprato usato da un rigattiere, rimesso a nuovo da un amante del fai-da-te e del bricolage, colorato e rifinito da una amica amante del decupage e accordato da uno dei tanti artisti di strada. Uno al quindicesimo piano.
Ora sta cercando di capire come abbia fatto la sua tazza a togliere la vernice trasparente e nota che i fiori applicati al basamento dello strumento risaltano. Forse non ha tolto la vernice, forse è il tè che vi è rimasto attaccato e si è seccato.
È stanca di pensare è stanca di creare e si sdraia: vuole sognare un mondo migliore. Magari in un appartamento con tanti cari ragazzi che la viziano. Di nuovo questo pensiero dell’appartamento.
Si alza e va a bere un bicchiere d’acqua per non pensarci: è stancante, a volte, poter mettere le mani su dei soldi.
Tocca la finestra per chiuderla e si accorge che sono rimasti alcuni residui dei “tatuaggi” per vetro e si accorge che non c’è via d’uscita: diventerà una grande artista, creerà più di ora, ma non uscirà da quelle quattro mura.
Torna sul suo pianoforte, appoggia la testa di nuovo e pensa che domani prenderà un’altra bottiglia di vodka.
  
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