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Autore: KindOfAwkward    30/05/2013    1 recensioni
Pablo Neruda diceva: T'amo senza sapere come, nè quando nè da dove, t'amo direttamente senza problemi nè orgoglio, così ti amo perchè non so amare altrimenti che così, in questo modo in cui non sono e non sei, così vicino che la tua mano sul mio petto è mia, così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
Ebbene, questo è l'amore.
Questo è il destino.
Perché quando ci imbattiamo nella nostra anima, custodita nel corpo di un'altra persona, abbiamo trovato colei i colui che ci cambieranno la vita.
Per sempre.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un gemito, un solo gemito di dolore.
Le bende bianche e sfilacciate, premevano contro il sangue pulsante, che ostentava la propria smania di schizzare via da quella pelle, troppo danneggiata, troppo fragile per reggere il peso di tutto quel sangue nel corpo.
I polsi si stavano lentamente sporcando.
Le bende persero il loro colore opale e presero a raffigurare tutte le sfumature del rosa, fino a diventare rossastre ed umide.
La sua fronte era imperlata di sudore e sul cuscino era stato rilasciato un alone di lacrime.
Ella teneva pressata sulle ferite che risiedono sul polso destro, la propria mano tremolante, cercando di tamponare il danno, ma tutto era inutile.
Non riusciva ad urlare.
Non voleva urlare.
Sdraiata ed inerme, con le vene della fronte sporgenti, si sentiva sollevata.
La sua fine era giunta, poteva smettere di combattere.
Poteva smettere di cercare di amarsi.
Poteva smettere di cercare se' stessa e non trovarla mai.
Uno suono stridulo e persistente iniziò a palesarsi all'interno della propria camera, ed in meno di venti secondi, un'equipe di uomini, senza un'apparente identità, si precipitarono ad assisterla.
Ella rivolse il proprio sguardo al soffitto, con una lacrima a rigarle il volto.


Durante il delicato periodo dell'adolescenza, si cerca di definire il proprio 'io' interiore.
E' difficile proiettare un'immagine di se' stessi a 17 anni, senza riflettersi nell'immagine preimpostata che gli altri hanno di noi.
A 17 anni, siamo una spugna, perché tutto ci terrorizza e ci eccita allo stesso tempo.
A quell'età, si scimiottano gli adulti, considerati dei sociopatici repressi, ma quando lo si diventa in età adolescenziale, tutto svanisce.
La gioia, la pace, la serenità, scompaiono, lasciando posti liberi alla frustrazione e al rifiuto.
Harry Edward Styles, era così; così vulnerabile, così spezzato.
Non era mai riuscito a rimettere a posto i cocci del proprio passato e questo lo stava lentamente uccidendo, lui si stava uccidendo.
"Harry" esordì il giudice Hillard, allo stremo della pazienza "tu sei un giovane uomo ancora minorenne, parte della comunità americana. Hai solo diciassette anni ed hai commesso più furti ed irruzioni in proprietà private, di chiunque sia mai stato in questo tribunale. Come ti senti al riguardo?".
Il ragazzo fissò il giudice per un paio di istanti, con alterigia.
"Vostra eccellenza, sono onorato di aver superato le sue negative aspettative sul mio conto. Non posso che esserne lusingato" conlcuse, inarcando il sorpacciglio sinistro.
"Non è una cosa della quale rallegrarsi, giovanotto" proseguì il giudice, mettendo le braccia in posizione conserta.
"E lei che cazzo ne sa? Ha mai infranto la legge in vita sua? Certo che no. Sa... il brivido di sfidare gli sbirri, me lo fa diventare subito duro, se sa' cosa intendo" disse lui, sfoggiando un sorriso pieno di strafottenza, che sgomentò tutti colori che si trovavano in tribunale quella mattina. Non vedendo alcuna reazione da parte del giudice, egli proseguì. 
"Senta, sono stato in ogni tribunale dello stato, ormai. Quindi, mi schiaffeggi le mani, mi faccia le predica e mi faccia uscire da questo cazzo di posto".
"So' che la prassi per te è questa, ma qualcosa è cambiato".
Sentendo quelle ultime parole, il ragazzo iniziò a diventare teso, irrigidendo la mascella, rendendo ben visibili le sporgenze.
"Che cazzo intende dire?" chiese, alterato.
"Gli sbirri, come amabilmente tu chiami le nostre forze dell'ordine, hanno intravisto segni di automutilazione su entrambe le tue braccia. Vorresti darmi una spiegazione?".
Harry ghignò.
"Se rilascerò una dichiarazione, mi lascerà andare via da qui?".
Il giudice lo guardò senza alcun segno di collera, anzi.
Conosceva molto bene i ragazzi come lui... i ragazzi spezzati.
"No".
"Allora vaffanculo. Io terrò la bocca chiusa" esclamò egli, infervorato.
"Come vuoi. Tu sei libero di buttare all'aria la vita che ti è stata donata, ma l'America ha un dovere: tutelare i suoi cittadini, specialmente da se stessi".
Harry non capiva e ciò lo disturbava.
Di solito, le udienze che lo coivolgevano in tribunale, non duravano più di venti minuti, ma questa volta, era lì dentro da oltre un'ora.
"Non la seguo" rispose il ragazzo, con un tono più civile del solito.
"E' semplice. Harry Edward Styles, è stato riscontrato che dimostri chiari segni di autolesionismo e per questo, passerai i mesi che ti separano dalla maggiore età, in una clinica riabilitativa. A meno che tu non preferisca passarli in riformatorio".
Cosa avrebbe dato per avere un oggetto contundente tra le mani.
Tagliarsi la giugolare, era questo ciò che aveva intenzione di fare.
"Non posso permettermi di andare una fottuta clinica. Non ho i soldi e non sono pazzo".
"Le spese non sono un problema, perché sarà tutto pagato dallo Stato. Non ti ritengo un caso perso, Harry. Non ancora".
"Fanculo. Farò questa cazzo di cosa, andrò a curarmi la testa, le braccia, quello che vuole. Ma quando compirò 18 anni, chissà, magari la prima vittima per la quale verrò accusato per omicidio... potrebbe essere lei".
La voce di Harry era tagliente come una lama e il giudice avvertì un video di terrore percorrerle la colonna vertebrale.
"Allora è deciso, ragazzo. Buona fortuna".
"Sì, un cazzo" concluse lui, prima di raggiungere i poliziotti, immanettato.


Arrivò alla Memorial Clinic verso tarda sera.
Aveva dovuto mettere tutto ciò che possedeva in alcuni scatoloni, che comprendevano un paio di vestiti ed innumerevoli libri.
L'atrio era accogliente, con una luce fioca che lo illuminava.
Una signora paffuta dagli occhietti strabuzzati, gli andò in contro, con un sorriso amorevole che la faceva sembrare ancora più stupida agli occhi di Harry.
"Benvenuto, ragazzo. Come ti chiami?".
Il giovane ispirò ed espirò intesamente, per cercare di calmare l'ira che sentiva infervorarsi dentro di sé.
"Harry".
"Bene, seguimi".
Che cazzo ci faccio io qui, pensò tra sé e sé.
Mentre attraversava un corridoio all'apparenza infinito, lo sguardo gli cadde sulle porte che lo componevano.
Camminando, si accorse che una delle porte era appena aperta.
Avendo quella strana infermiera davanti a lui, ci mise poco per sgattaiolare in quella stanza, per creare un po' di trambusto.
Tutti dovevano ricordarsi di lui in quel posto.
Tutti.
Quando entrò, la camera era buio pece, non essendo illuminata da alcunché.
Affianco alla propria gamba, scorse un mobile sul quale vi si trovava una lampadina, che accese all'istante.
Il proprio cuore perse qualche battito.
I suoi occhi blu zaffiro, riccadero su quelli chiusi di una ragazza, che non doveva avere più di 15 anni. Era sdraiata su un comodo letto, con delle bende che le circondavano i polsi. Dormiva. Era perfetta.
Così perfetta agli occhi di lui.
Sono i nostri impulsi a dominarci, o siamo noi che dominiamo loro? La risposta stava per arrivargli.
Senza pensarci, egli le accarezzò delicatamente la guancia destra.
"Harry!" lo richiamò la voce dell'infermiera, in un sussurro.
Il ragazzo sobbalzò.
Lanciò un ultimo sguardo a quella creatura, per poi richiudere la porta, lasciandola al suo sonno.
"Che ti è saltato in mente?" le chiese la donna.
"Sono cazzi miei".
"Ragazzino, vieni con me nella tua stanza".
"Che sarebbe?" incalzò egli, ilare.
"Qui" rispose la donna, fermandosi.
L'infermiera era sul punto di andarsene, ma lui la trattenne con la propria voce.
"Chi... chi era quella ragazza?".
La donna lo guardò disorientata, poi capì.
"Catherine Gilmore. Si trova qui da un anno".
"E perché?".
"Non posso dirtelo. Ora dormi, domani ti aspetta una giornata impegnativa. Qui si fanno le cose sul serio. Riuscirai a stare meglio, credimi".
"A me non frega un cazzo di certe stronzate" concluse.
Non diede il tempo all'infermiera di replicare, perché le sbattè la porta in faccia, estenuato.
Accese la luce e distese sul letto, non facendo altro che pensare ad una cosa.
Un qualcuno.
Catherine.











 
  
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