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Autore: Elaysa    30/05/2013    3 recensioni
La storia è completamente inventata e racconta di un bambino che viene da una famiglia povera ma che, nonostante questo, riesce ancora ad avere dei sogni.
Vuole essere qualcuno, aiutare gli altri a sentirsi meno soli e aiutare la sua famiglia ad uscire dalla difficile situazione in cui si trovano.
Le sue ambizioni sono così grandi che dovrà affrontare non pochi ostacoli per raggiungerle...ci riuscirà?
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Se qualcuno mi chiedesse se ho vissuto appieno la mia vita, non saprei che cosa rispondere; non sono una persona famosa né tanto meno un eroe. La cosa sicura però, è che spesso, in condizioni di vita come le mie, non ci si aspetta così tanta forza di volontà, così tanta determinazione come quella che ho dovuto tirar fuori io per far in modo che la mia esistenza cambiasse totalmente.
Sono Drew Morris, nato in una fredda notte di novembre di undici anni fa in uno dei sobborghi più poveri di Londra, l’East End, che si contrapponeva al West End proprio per la sua povertà. Quest’area della capitale è sempre stata molto povera e ad alto tasso di criminalità, tutte caratteristiche che la facevano assomigliare ad una periferia.
Da piccolo non mi era permesso neanche di mettere il naso al di là della soglia di casa e, solo dopo, ne capii il motivo.
Vissi l’infanzia con la mia tata, con la quale ero spesso lasciato dato che i miei lavoravano a pieno ritmo per potersi guadagnare da vivere.
Mio padre, uomo con dei valori, era proprietario di una vecchia bottega, ereditata dal suo vecchio padre, alla quale si era dedicato per tutta la vita, con anima e corpo.
Ben presto questi valori che sembravano così radicati, vennero a mancare a causa di una situazione economica e familiare molto precaria.
La bottega non guadagnava come avrebbe dovuto e, le tensioni accumulate dall’uomo che, con tanto amore, mi aveva creato, venivano scaricate su mia madre.
Lui diceva di amarla ma dai suoi gesti, quest’amore proprio non risultava.
Forse perché spesso ubriaco, forse perché frustrato, fatto sta che mio padre, si trasformò in un omaccione che facevo fatica a riconoscere come l’uomo da cui ero nato.
Non faceva altro che bere e giocare d’azzardo e, quando rientrava a casa ubriaco fradicio, non degnava né mia madre né tanto meno me, di uno sguardo. Le uniche volte che lo faceva erano quando ci percuoteva con forza con quel suo asse di legno che nascondeva dietro la porta.
Purtroppo queste violenze si verificavano spesso e, altrettanto sfortunatamente, noi, le vittime, non potevamo godere della protezione di nessun ente governativo, né leggi, né assistenti sociali che potessero prendermi in custodia per strapparmi da questa agonia.
Del resto, chi avrebbe voluto proteggere la classe povera?
Mia madre, dal canto suo, era trattata come se non avesse voce in capitolo, in niente.
Quando non era costretta al letto a causa delle violenze che subiva dal bastardo, faceva la sarta. Amava cucire da sempre e aveva fatto in modo che questa passione diventasse per lei un lavoro.
Però si sa, nei quartieri poveri, c’era ben poco da lavorare.
Fu così che mia madre, fu costretta ad abbandonare l’idea di portare avanti questa attività.
Successivamente si cimentò nella mia educazione: tutto quello che conosco della storia, della geografia, dell’italiano, lo devo a lei, l’unica maestra che io abbia mai avuto e non solo di scuola, anche di vita.
Era stata la sola persona ad occuparsi di me, dopo la mia tata, ero cresciuto grazie a lei ed era per lei che stavo cercando di andare avanti, di non mollare.
Ora ho undici anni ma la situazione non è di molto cambiata.
Sono cresciuto, questo si, però la vita, nel borgo più povero di Londra, è sempre la stessa.
Fortunatamente posso girare un po’ nella zona e rendermi conto fino in fondo dell’ambiente in cui vivo.
Le strade sono spoglie, spesso sono vicoli ciechi che finiscono semplicemente con un marciapiede sul quale sono seduti dei ragazzi ubriachi oppure fatti di Dio solo sa quale strana sostanza.
Girando per le stradine del parco, noto che sono poche le panchine libere: la maggior parte è occupata dai barboni che, non avendo un letto caldo su cui dormire, si accontentano di una superficie fredda, che non dà loro alcun sollievo.
All’interno del paese, le botteghe hanno tutte la saracinesca abbassata nonostante sia mezzogiorno, sintomo della crisi costante che colpisce l’East End.
I palazzi sono tutti grigi, decadenti e spenti.
Non ci sono lampioni funzionanti e questo, rende tutto ancora più grigio.
Grigie sono anche le persone che, per strada non accennano minimamente ad un sorriso, mai. Sembrano tutti automi che sopravvivono a questa vita. Vagano instancabili per tutto il paese e a volte, si spingono anche un po’ fuori di questo nonostante sia ancora molto pericoloso.
È pericoloso perché qui ci sono ancora club camorristici e criminalità organizzata.
Non sai mai cosa potrebbe capitarti se per caso decidi di estendere ad altre strade la tua passeggiata mattutina.
Colpiscono sempre, alla luce e al buio; non si interessano minimamente del fatto che qualcuno possa vederli: considerando il potere che hanno qui, nessuno si azzarderebbe a denunciare il fatto che hanno compiuto, omicidio o appicco di un rogo.
Chi non fa parte di queste associazioni mafiose, esce di casa con la paura.
Agiscono così, a volte senza motivo preciso, altre volte a causa di alcuni conti in sospeso, altre solo per vendetta: è il loro unico scopo e vivono per questo. Potrebbero dare fuoco alla tua macchina, alla tua bottega, addirittura alla tua casa.
A loro non importa se non hai un altro rifugio.
A volte, arrivano anche ad uccidere e tutto rimane nell’ombra.
Ebbene si, sono cresciuto in mezzo a questo schifo.
La sola realtà positiva presente nel quartiere erano i musicisti di strada, posizionati qua e là.
Erano gli unici che riuscivano a tirare su qualche spicciolo con il quale probabilmente avrebbero fatto ben poco, però avrebbero avuto una soddisfazione più grande: quella di aver suonato allietando chi ascoltava.
Ed è proprio grazie a questi musicisti che, un bel giorno, rimasi affascinato dalla musica che sprigionava dai loro strumenti.
Non sapevo descrivere esattamente tutte le emozioni che si scatenavano in me ogni volta che sentivo quelle semplici note uscire dal violino, dall’organetto, dal sax.
Grazie alla mia infanzia poco tranquilla, ero sempre riuscito a cavarmela da solo, in qualsiasi situazione, favorevole o sfavorevole che fosse; in quel momento però ero spaesato, ero rimasto estasiato.
La prima cosa che pensai fu che anche io volevo imparare a suonare uno strumento, non importava quale.  
Desideravo soltanto trasmettere tutto quello che avevo dentro, e, dato che quando parlavo nessuno mi ascoltava, avrei potuto farlo con le note.
Sarebbe stata un’immensa soddisfazione vedere negli occhi di chi mi avrebbe ascoltato, le stesse sensazioni, gli stessi fremiti, che avevo io ascoltando i musicisti di strada.
Quel giorno decisi che la mia vita doveva cambiare e avrei cominciato da questo: avrei cominciato col diventare qualcuno.
 
Quella stessa sera, tornai a casa di corsa: non vedevo l’ora di parlarne alla mia famiglia, volevo condividere con loro tutto l’entusiasmo che avevo dentro.
Appena rientrai, notai subito che mancava qualcuno: mio padre non era ancora tornato, per mia fortuna.
Avevo tutto il tempo per parlare con la mamma e raccontarle di questo mio grande progetto.
La raggiunsi in cucina dove stava preparando una misera cena a base di zuppa di cipolle e pane, la minestra dei poveri.
Rimasi sorpreso, non pensavo che fossimo arrivati a questo punto, credevo ci potessimo ancora permettere un pasto decente.
Certo, cosa volevo pretendere, loro non parlavano mai con me di queste cose, ero ancora troppo piccolo.
In realtà, sapevo molto il fatto mio.
Non mi lasciai confondere però, ero deciso a raggiungere il mio obiettivo.

 - Mamma, ho visto un musicista qua fuori. Sai, mi piacerebbe imparare a suonare così da diventare qualcuno. Solo così potrò salvarvi – dissi, tutto convinto.
Mia madre mi guardò dapprima sconvolta, quasi arrabbiata, poi il suo sguardo si addolcì all’improvviso e tutto ciò che disse fu:
- Certo, quando sarai grande.
La guardai con il sorriso fin sopra le orecchie, un sorriso che però non coinvolgeva gli occhi.
Me ne andai silenziosamente, con passi lenti e incerti.
Anche quel pochissimo appetito che avevo fino a qualche secondo prima, se ne era andato lasciando il posto all’amarezza, alla rabbia e all’impotenza.
Dentro di me sapevo benissimo che il mio era un sogno irrealizzabile se fossi rimasto in quel quartiere e se avessi continuato a fare quella vita.
Mi sentivo impotente perché mi rendevo conto che non potevo fare proprio niente per iniziare a cambiare la mia sorte. Erano tanti gli ostacoli che me lo impedivano, il più consistente era senz’altro quello economico.
Ero amareggiato perché mi sentivo solo.
Ero il classico ragazzino senza amici veri, ero uno dei pochi rimasto in questo quartiere: gli altri se ne erano già andati da un pezzo, erano andati a cercare fortuna altrove con le loro famiglie.
Loro evidentemente potevano permetterselo.
In casi normali, la scuola è il primo ambiente in cui un bambino si fa degli amici, però io non essendo mai andato a scuola, ho mancato anche questa occasione.
Questa era una zona per anziani, gente matura e con cui io non avevo niente a che vedere.
A volte mi sentivo estraneo addirittura in casa mia, figuriamoci con i vicini.
Speravo che trovare una passione avrebbe potuto colmare questo vuoto e che mi avrebbe aiutato a conoscere delle persone con le quali avessi qualcosa in comune, a partire dalla stessa passione.
Non era così facile come sembrava, lo sapevo. Per questo quella sera piansi tanto, me ne andai in camera senza neanche cenare.
Mia madre, comprensiva, non venne a disturbarmi per tutta la serata.
 
All’improvviso fui svegliato da un colpo secco alla porta della mia camera.
Aprii gli occhi ormai rossi dal pianto, alzai la testa e vidi la porta spalancata; davanti ad essa si stagliava quello che consideravo essere il mio “ex” padre.
Si avvicinò con fare minaccioso al letto e mi rivolse un’occhiataccia. Era ubriaco, come al solito.
Solo in quel momento mi accorsi che dietro la schiena nascondeva la famosa asse di legno.
Ci risiamo – pensai.
Sapevo di non poter fare niente contro la sua furia, se mi fossi ribellato avrei peggiorato le cose.
Per questo mi limitavo a subire, a subire e a subire, senza sosta.
Si avvicinò, mi prese per un braccio, mi girò sulla pancia e iniziò a percuotermi dapprima sulla schiena poi sulle gambe, sul sedere, sul torace. Insomma dappertutto.
L’unica spiegazione che diede, finito il suo lavoro, fu che me lo meritavo per le strane idee che mi ero messo in testa.
Ah, allora si trattava così un bambino che scatenava la sua immaginazione, che aveva dei sogni?
Quella notte piansi ancora tanto, non so se per il dolore fisico o per quello all’anima.
 
La mattina dopo mia madre, che evidentemente aveva saputo che piega aveva preso la mia serata ieri, venne a svegliarmi con una dolcezza che non avevo mai visto in lei.
Mi diede un bacio sulla fronte e mi annunciò che la colazione era pronta e che l’orco se ne era già andato.
Incoraggiato da quest’ultima notizia, provai ad alzarmi dal letto.
Subito non ci riuscii a causa dei dolori sparsi per tutto il corpo che mi ricordavano la sera precedente.
Nonostante questo però, volevo passare un po’ di tempo con mia madre quindi scesi dal letto soffocando un grido.
Ci riuscii.
Mi avviai verso la cucina con parecchio appetito e fui contento quando vidi che in tavola c’era la mia colazione preferita: pane, latte e frutta.
Decisi che era quello il momento giusto per affrontare di nuovo il discorso lasciato a metà poche ore prima.

 - Mamma io sono molto convinto di quello che ti ho detto ieri.
Mia madre mi guardò dritto negli occhi, con la stessa emozione dipinta in volto. La delusione.
- Figliolo, sai benissimo in che situazione siamo. So che sei abbastanza grande e intelligente per capirlo. Per me sarebbe una cosa bellissima se tu potessi realizzare questo grande sogno che hai, però ecco….la vedo difficile. Inoltre, tuo padre non approva per niente, non crede che tu sia all’altezza di certe ambizioni. Io non credo questo, io penso semplicemente che non puoi perché la vita ti ha messo in un ambiente che fa in modo che tu non possa farlo. Credo in te ma non credo in questa esistenza che stiamo vivendo.
Mi si riempirono gli occhi di lacrime. Pensavo che mia madre avrebbe capito i miei desideri e che mi avrebbe rassicurato che ce l’avrei fatta.
Invece no. Ero stato abbandonato anche da lei.
Mangiai svogliatamente, in silenzio, non proferii parola per tutta la colazione.
Finito di mangiare, mi alzai dal tavolo, mi diressi verso la porta, salutai distrattamente mia madre e uscii: ero deciso a fare ciò che avevo sempre fatto da qualche giorno a quella parte: andare dal musicista all’angolo, ascoltarlo e sognare.
 
 

  
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