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Autore: Luce_Della_Sera    31/05/2013    2 recensioni
Eleonora è una tredicenne molto timida che si trasferisce dalla città alla provincia. Sin dal primo giorno nella sua nuova scuola, dovrà fare i conti con la mentalità del luogo, che è molto ristretta, e con le angherie dei suoi compagni di classe, che la vedono troppo diversa da loro. Riuscirà a cavarsela?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL FIORE PIU’ BELLO…                                

Capitolo 1 – Settembre: Il primo giorno di scuola

Varcai il cancello della scuola e mi avvicinai all’edificio in mattoni rossi, guardandomi intorno: nei giorni precedenti mi avevano detto che ero stata assegnata al corso B, quindi la prima cosa che dovevo fare era ovviamente cercare la classe. Mentre osservavo i miei coetanei che, come me, premevano per entrare, mi chiesi per l’ennesima volta che impressione avrei fatto ai miei compagni: cos’avrebbero pensato di una ragazza timida che veniva dalla città?
“Beh, non ti resta che scoprirlo!” mi dissi, piena di speranze, aspettative e anche di grandi timori.
 
 
Una volta entrata nella scuola, non vidi nessuna indicazione che poteva essermi utile per orientarmi, e non volendo perdermi proprio il primo giorno, interrogai una ragazza bruna con i capelli a caschetto, che era poco distante da me.
“Scusa, sai dove posso trovare la terza B?”
“La terza B? E’ la mia classe! Ho appena parlato con il bidello, mi ha detto che siamo a sinistra, vicino ai bagni. Lì, vedi?” mi disse, indicando il punto esatto col dito. “Ma come mai devi andare là? Sei nuova?”
“Sì”, risposi, arrossendo violentemente. “Mi sono trasferita qui a giugno … e mi hanno detto che dovevo fare la terza B”. Poi aggiunsi, sempre rossa come un peperone “Comunque io sono Eleonora, piacere!” e tesi la mano.
“Io mi chiamo Azzurra. Piacere mio! Dai, vieni, ti presento agli altri!”
E così, la seguii per il corridoio che portava alla nostra aula.
 
 
Entrata in aula, sentii un gran vociare: c’erano una ventina di persone circa.
“Ciao ragazziiiiiii!” si fece sentire la mia compagna, praticamente urlando per sovrastare il frastuono.
“Ciao, Pinguina! Sei sempre la solita casinista!” le fece un ragazzo di colore. Si erano zittiti tutti.
“Pinguina?” feci io stupita, rivolta a lei.
“E’ il mio soprannome. Dicono che cammino come un pinguino, ma non è vero! Ecco, guarda” fece tre passi poi si voltò verso di me. Effettivamente, camminava un po’ con i piedi a papera e oscillava le braccia in modo buffo! Pensando che si aspettava una risposta, aprii la bocca per parlare, ma lei, accorgendosi che tutti mi fissavano con evidente curiosità, era già passata alle presentazioni.
“Questa è Eleonora … si è trasferita quest’estate, e starà in classe con noi quest’anno. Eleonora, loro sono Elisa, Rebecca, Chiara, Elena, Roberta, Sara, Annalisa e Martina. Loro invece sono Teodoro, (questo era il ragazzo di colore che aveva parlato poco prima), Attilio, Riccardo, Gianluca, Federico, Andrea,  Daniele, Davide e Marco. Aspetta, ne manca uno!” fece poi, e si guardò intorno.
“Ma Matteo dov’è?”
 “Bella domanda” le rispose Teodoro. Dando un’occhiata all’orologio, aggiunse “Comunque sono le otto e venticinque: sarà qui a momenti, dato che la lezione inizia tra cinque minuti!”
E infatti, non appena ebbe finito di parlare, la porta si spalancò di botto, e un ragazzo alto e magro con i capelli castani e gli occhi marroni chiaro si precipitò dentro la stanza. Come me, anche lui portava gli occhiali.
“Ragazzi, non sono in ritardo, vero?!”
“No, tranquillo. Ma come mai così tardi?” gli chiese Azzurra. “Tu abiti sopra la scuola!”
“Non mi ha suonato la sveglia! Così ho fatto una corsa …”
“Ti vedo, sei praticamente quasi senza fiato! Riprenditi un attimo. Intanto, ti presento la nostra nuova compagna, Eleonora …”
“Piacere” feci io, tendendogli la mano.
“Il piacere è mio” rispose lui stringendomela, e studiandomi con curiosità.
Proprio in quel momento, la porta aprì ancora, rivelando un signore sulla cinquantina, con un grande naso aquilino, gli zigomi pronunciati e le braccia nodose.
Tutti si sedettero sulle sedie alla velocità della luce, e io mi sedetti a mia volta nell’unico posto libero, vicino alla ragazza che Azzurra mi aveva presentato come Sara; non era difficile immaginare chi fosse quell’uomo, data la celerità con cui gli altri si erano mossi.
“Buon giorno ragazzi!”
“Buon giorno professore!” facemmo tutti in coro. Io mi stavo per alzare, perché ero abituata a fare così ogni volta che un insegnante entrava, ma vedendo che nessuno si muoveva mi bloccai appena in tempo.
“Vedo che abbiamo una ragazza nuova! Come ti chiami?”
E così, ripetei di nuovo il mio nome, e di nuovo dissi che mi ero trasferita all’inizio delle vacanze estive. Aggiunsi poi che venivo da Roma, ma che conoscevo gente del paese perché i miei genitori ci erano nati e avevo anche tanti parenti che ci vivevano.
Il professore mi fece finire, poi si presentò a sua volta dicendo di essere l’insegnante di italiano, latino, storia e geografia, e mi domandò come andavo nelle sue materie.
“Nei due anni precedenti ho avuto ottimo in italiano, buono in storia e sufficiente in geografia e latino”
“Beh, vedremo come te la caverai qui. Sono certo che se ti impegni quest’anno riuscirai a tirare su quei voti! E ora, ragazzi, passiamo ai programmi …”
Parlò per un’ora e mezza degli argomenti che avremmo affrontato nelle sue materie durante l’anno scolastico, ci diede i titoli dei libri che avremmo dovuto comprare e ci lasciò l’ultima mezz’ora libera: inutile dire che appena ci diede l’autorizzazione, gli altri vennero tutti intorno a me, per saperne di più sulla mia vita.
“In che zona di Roma vivevi?”
“E adesso, in che via abiti, esattamente?”
“Per quale motivo ti sei trasferita?”
“Capisci il nostro dialetto? Lo sai parlare?”
Risposi alle prime due senza esitare, e alla terza dichiarai solo che mi ero trasferita per motivi di famiglia, senza addentrarmi nei particolari: non ero ancora pronta a rivelare qual’era stata la vera ragione. Alla domanda che riguardava il dialetto invece spiegai che lo capivo, ma non sapevo parlarlo. Le domande continuarono.
“Hai fratelli o sorelle?”
“Un fratello più piccolo, ha sei anni”
“Che musica ti piace?”
“Un po’ tutti i tipi … non ho un genere preferito!”
“Animali domestici?”
“Cinque pesci rossi”
“Hobby?”
“Leggere!” seguì un altro silenzio sbigottito, durante il quale gli altri mi osservarono come se fossi una bestia rara.
“Forse volevi dire uscire con gli amici. Vero?” mi chiese una ragazza con i capelli rossi e le lentiggini, che secondo quanto aveva detto Azzurra doveva essere Elena.
“No, ho detto leggere. E’ questo il mio hobby!”
“Non avevi amici con cui uscire?”
“Amici ne avevo, ma non uscivamo di pomeriggio. Roma è grande, i nostri genitori preferivano tenerci a casa! Se dovevamo vederci, ci vedevamo uno a casa dell’altro, o comunque in posti in cui gli adulti potevano tenerci d’occhio!”
Le ragazze aggrottarono la fronte, poi fu la volta di un ragazzo, Riccardo, che era il più basso della classe. “Tifi per qualche squadra di calcio?”
Esitai. Mia madre mi aveva detto di non dire che tifavo Roma, perché lì erano quasi tutti laziali e mi avrebbero presa in giro, quindi optai per un “Non seguo il calcio”.
“Sei mai stata fidanzata?” Questa era Elisa, che doveva essere la più ammirata della classe almeno a giudicare da come i ragazzi le fissavano il seno.
“No”.
“Innamorata?”
“No”.
A questo punto, i maschi cominciarono a perdere interesse e più o meno uno dopo l’altro si alzarono, mentre le ragazze rimasero; non sapevo bene perché, ma avevo la sensazione di non aver colpito nessuno dei presenti in modo favorevole, vista la fuga dei primi e l’aria terribilmente annoiata che le seconde avevano messo su da quando avevo confessato di non aver mai avuto un ragazzo.
“Ma cosa pretendono?” pensai, sbigottita. “Ho la loro età, non sono mica Wonderwoman! Cosa si aspettavano, che fossi fidanzata dalla nascita come si usava nei secoli passati?”
Credevo di aver finito con le domande, e quando la campanella suonò annunciando la fine dell’ora tirai un gran sospiro di sollievo e cercai di scacciare il senso di disagio che mi aveva invasa negli ultimi minuti. Ma mi sbagliavo … prima di alzarsi insieme alle altre sette compagne riunite intorno a me, Azzurra mi domandò, con l’aria di chi vuole concedere un’ultima possibilità: “Ti piace qualcuno della nostra classe?”
“No!” esclamai, sulla difensiva. Poi notai la sua faccia schifata, e mi sentii in dovere di aggiungere: “Sono appena arrivata, dammi tempo!”
“Tempo? O.o  Andiamo, ragazze …” Poi, abbassando la voce per non farmi sentire, aggiunse “Questa qui è una povera sfigata, non otterremo nessuna informazione interessante da lei”.
Purtroppo per loro, avevo sentito benissimo. “Andiamo bene!” pensai, sconsolata. “Sono qui solo da due ore, e già mi hanno etichettata in modo negativo!”
 
Girai la chiave nella toppa, ed entrai in casa con l’intenzione di dirigermi dritta sparata verso la mia camera per posare lo zaino: invece, mi fermai in corridoio a riflettere. Che giornata strana avevo avuto! Dopo il professore di italiano, era venuta l’insegnante di inglese (un armadio umano che pretendeva di essere chiamata “Mrs O’Brian” nonostante fosse italiana), poi era stata la volta della professoressa di religione (che era molto giovane e un po’ paffuta), e infine eravamo andati in palestra, e lì avevo conosciuto quella di educazione fisica, la quale nonostante insegnasse una materia che pretendeva rispetto per il proprio corpo fumava come un turco (non in palestra, ovviamente: però emanava un forte odore di sigarette, quindi non era difficile immaginarlo). Avevo anche imparato che non si dava del lei ai docenti, cosa che io invece nell’altra scuola facevo sempre.
E ogni volta che suonava la campanella,  a gruppi di due o tre le ragazze si avvicinavano per chiedermi “Sei sicura che non ti piace nessuno dei nostri compagni? Ma proprio nessuno nessuno?” Alcune sembravano essersi convinte che io avevo già fatto la mia scelta, ma che per pudore non volessi parlarne.  Più io ripetevo che non ero tipo da innamorarmi subito, più loro si convincevano che stavo mentendo … in mensa avevo provato a chiedere loro che interessi avevano, se avevano degli animali domestici, se avevano viaggiato all’estero, se avevano fratelli … avevo chiesto persino di che segno zodiacale erano, ma loro non sembravano interessate a rispondermi: tutto ciò che importava loro era saperne di più sulle mie esperienze amorose e sui miei gusti in fatto di ragazzi. Mi avevano persino chiesto se lo avevo già fatto, e questo mi aveva messa terribilmente in imbarazzo; come potevano chiedere una cosa tanto intima? Senza contare il fatto che era una domanda inutile, visto che avevo già specificato più volte che non ero mai stata innamorata e neanche fidanzata. Mia madre mi aveva avvertita che la mentalità del paese era ristretta e l’interesse principale erano l’amore e la sfera sessuale, ma non immaginavo a questi livelli! Sembrava quasi come se non esistessero altri argomenti, non si parlava d’altro.
“Forse tra qualche tempo le cose cambieranno”, pensai. “In fondo, è solo il primo giorno!”.
Infine, mi riscossi e decisi di entrare nella mia stanza: una volta lì, misi lo zaino vicino alla libreria e mi sdraiai sul letto.
 
 
“Ele? Ele?? Eleee!”
“Aprii gli occhi, frastornata, e mi ritrovai davanti il faccino preoccupato di mio fratello.
“Giorgio! Che è successo? Mamma e papà dove sono?”
“Hanno accompagnato me qui e poi sono andati a fare la spesa. Papà mi ha detto di non disturbarti perché dormivi, ma devi venire di sopra, è importante!”
Allarmata dalla sua vocina, scesi dal letto. “Cosa è successo?” ripetei.
“Galena sta male … non nuota più bene, e si gira continuamente a pancia in su! Credo stia per morire.”
“CHEEE?” Corsi in soffitta, con Giorgio alle calcagna, e puntai verso l’acquario: ma mi resi subito conto di essere arrivata troppo tardi.
“Oh no! E’ morta adesso, vero?”
“Sì, purtroppo …” Mi veniva da piangere, ma non volevo farlo davanti a lui.
“Ele, perché si muore?”
“Perché così è la vita; si nasce, si cresce, si diventa grandi, si diventa genitori e poi nonni e poi si muore. Lei è stata con noi per 4 anni, e ha fatto anche dei piccoli: è tanto per un pesce rosso!
“Ma gli animali quando muoiono dove vanno? In Paradiso insieme a noi?”
“Vanno a finire sul Ponte Arcobaleno: lì possono giocare insieme per sempre, e quando anche noi moriremo potremo passare un po’ di tempo con loro ogni volta che lo vorremo”.
“Quindi adesso lei è andata da Attila e dai loro figli? Stanno nuotando tutti insieme?”
“Sì, esatto. E un giorno la rivedremo”. Mi sforzai di sorridere. “Sai che facciamo? Adesso io scendo di sotto e la porto alla gatta incinta che gira sotto al portone da qualche giorno … le potrà servire come nutrimento per i gattini. Tu intanto vai alla Play Station e prendi il gioco di Dragon Ball: ci facciamo una partita in onore di Galena. Vedrai che lei farà il tifo per noi e riusciremo a vincere!”
“Va bene! Gliela facciamo vedere noi a Freezer oggi, giusto?”
“Giusto!” confermai, mentre prendevo il retino per togliere il pesce; i suoi simili le giravano attorno senza interessarsi a lei.
“Grazie al cielo, i bambini si distraggono facilmente” pensai mentre scendevo le scale di casa cercando di ricacciare indietro le lacrime.
 
 
A cena, i miei genitori, assai poco interessati alla dipartita di uno dei nostri animali domestici, insistettero per sapere com’era andato il mio primo giorno di lezione. Io, che non volevo dire loro che mi ero trovata in difficoltà con le altre ragazze per non farli preoccupare, mi mantenni sul vago, e sparai un “Bah… tutto bene … per ora sembrano tutti simpatici!”
“Sono felice per te!” esclamò mia madre sorridendo.
Quando andai a letto, l’ultima cosa che pensai prima di addormentarmi fu “spero tanto che domani a scuola le cose vadano meglio!”
 
 

 
 
  
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