Diario di reclusione –
Giorno Secondo
Occhio
a ciò che mangi.
Rose si
sveglia con le braccia scompostamente appoggiate sopra la sua testa, le gambe
attorcigliate fra le lenzuola e la schiena dolente per la nottataccia. Si
stiracchia, apre gli occhi lentamente, si guarda attorno: le ci vuole qualche
minuto prima che, disorientata, si ricordi di cosa sia successo. E allora si
stropiccia gli occhi e puntella i gomiti sul terreno, facendo forza su
d’essi per potersi alzare.
Ma, al più piccolo movimento, il suo stomaco le restituisce un brontolio
di disappunto e un crampo che la fa quasi accasciare a terra. E, ne è palesemente
certa, quella non è senza
dubbio fame.
Mugola, sofferente, e corre al bagno facendo appena in tempo ad accasciarsi
sulla tazza del water prima di rimettere tutto quello che aveva nello stomaco. Maledetta cioccolata. E, subito dopo,
perde le forze e cade nel buio.
Il Dottore è spaventato. Certo, avendo pur vissuto una vita lunga e
prosperosa, d’occasioni di aver paura ne ha avute tante: dai Cybermen alla Guerra del Tempo, dai sensi di colpa per le
perdite più grandi ai Daleks, gli incubi lo
torturano e non lo lasciano mai andare. Ma, questa volta, può certamente
definire di trovarsi in una sensazione totalmente nuova.
Mai è stato così preoccupato per una sua amica, e, certamente,
mai gli è capitato di ritrovarsi in una situazione come questa. Perché,
quando il Dottore si sveglia, si ritrova con palmi e guancia appoggiati alla
porta fredda, le gambe distese, la spalla contro il muro: quasi ad ascoltare e
non perdersi alcun suono proveniente dalla camera. Come se stesse ascoltando il
pancione di una mamma, tentando di sentire lo scalpiccio del tesoro che essa
racchiude.
E, ora come ora, lo sente. Ma il bambino in questione non sta scalciando
giocosamente, sta piangendo. E se la situazione all’inizio gli era parsa
strana e aveva lasciato il Dottore alquanto interdetto, ora è sicuro di
non essere mai stato vispo quanto ora: scatta in piedi, tentando di scacciare
le vertigini per il movimento così avventato da appena sveglio, e si
preme ancora più vicino alla porta della camera di Rose.
La sente lamentarsi. È lontana, come se ci fossero più muri a
distanziarla: bagno, suggerisce la
sua mente già attiva e ronzante, e il Dottore passa dall’ascoltare
attraverso la porta a premere l’orecchio sul muro adiacente e qualche
metro più distante, riuscendo così ad avvicinarsi a lei.
Boom. No, non è
un’esplosione. Questo è un rumore sordo, senza echi, piatto:
qualcosa è caduto. Qualcosa come… come un… mobile? No. Cosa c’è in un bagno? Una… sedia? Una pila di asciugamani?
E poi realizza.
Lei.
Il Dottore quasi si fionda contro la porta senza pensarci. Cacciavite, cacciavite, pensa, frugando nelle sue tasche. Dov’è quello stramaledettissimo
cacciavite?
Non bada alla scommessa. Per niente. Per quanto lui ne sappia, Rose potrebbe
stare male… o essersi accidentalmente avvelenata… o essere caduta su una spazzola ed essere
morta. Certo, sì. Ma, sinceramente, il pensiero di lei in una pozza di
sangue – una scena tragicomica, comunque – non sembra aiutarlo:
fruga fra le sue tasche e, nell’ordine, lancia sul pavimento prima un set
di Monopoli, poi un gatto – il quale atterra con un miagolio irritato e
lo fissa con aria truce -, poi una coppia di freccette con le quali aveva vinto
il campionato universale del settantaseiesimo secolo.
Finalmente, dopo qualche minuto di rabbia e imprecazioni, lo trova. Lo afferra,
lo punta verso la porta, aspetta che essa si apre…
Ma perché non s’apre? Maledice l’oggettino, portandolo verso
gli occhi per vedere perché ora non funzioni, e tenta di sist-
Una banana?
Il Dottore impreca, la lancia in aria e torna a frugare nelle sue tasche.
Tutto questo non è divertente.
Dodici oggetti e molte imprecazioni dopo, il Dottore trova il cacciavite
sonico. Non sono passati più di un paio di minuti, per fortuna, ma
l’attesa non ha fatto altro che aumentare la spasmodica ansia nei cuori
del Dottore. E allora lo imposta nel modo corretto, lo punta verso la porta,
appoggia la mano sulla maniglia.
E poi sente la risata.
Cristallina, senza dolore, quieta, bellissima: la sua mano si blocca sulla maniglia
per lo sconvolgimento.
Rose è lì e sta ridendo. Nessun avvelenamento accidentale,
nessuna caduta imprevista. Sta perfettamente bene e non c’è
bisogno di vederla in faccia per capirlo.
C’è cascato. La strega
gliel’ha fatta.
Il Dottore lascia che un broncio gli decori il viso, poi corre via verso la
sala dei controlli.
È andata.
Rose ormai attesta d’essere un genio. Anzi, no, non solo un genio,
ma, per l’appunto, anche la creatura più geniale a essere mai
stata in quella TARDIS. Più del Dottore, che lo era probabilmente
più di ogni altra creatura nell’universo.
Rose gongola e si appunta mentalmente di stamparsi una maglietta che dimostri
la sua evidente intelligenza superiore a quella di ogni altra creatura
senziente, se mai uscirà da lì. Perché, se lo sente, ora
non ne è proprio il caso.
Okay, forse non è il caso di comportarsi in modo così megalomane.
Ma andiamo… il Dottore c’è cascato
come una bambina!
Le era bastato sentire il suono familiare del cacciavite sonico per svegliarsi
e, subito dopo, non ha idea di come abbia fatto a farsi venire un’idea
nella testa. Sapeva solo che il Dottore riusciva a diventare straordinariamente
iperprotettivo, se preoccupato, e ciò non era affatto una buona cosa.
Il piano le era appunto sorto senza preavviso, ed era stato tutto
straordinariamente facile.
Rose, quindi, s’alza dal letto dove si era lentamente appoggiata e,
assicuratasi che il Dottore sia ben lontano dal corridoio, richiude la porta
con lentezza. Menomale che s’era solo aperta: conoscendo le manie poco
tranquille del Dottore, avrebbe potuto facilmente sfondarla, se non avesse
trovato il cacciavite sonico.
Lo stomaco, tuttavia, le duole ancora come se qualcuno ci avesse buttato un
tizzone ardente. Vorrebbe farsi una camomilla, prendersi una pastiglia, qualsiasi
cosa; ma non può. E non è per la scommessa, anche se,
tecnicamente, avrebbe già vinto. Cioè, non soltanto per
essa. È che Rose è
troppo ansiosa di non far preoccupare il Dottore: è già capitato
che s’ammalasse, e lui era diventato ansioso, terribilmente protettivo,
quasi al punto di non lasciarla mai fuggire dalle sue braccia, dov’era al
sicuro. Certo, non che le era dispiaciuto sentirsi coccolata dalle braccia che
tanto amava… ma forse non ne valeva la pena di
farlo innervosire così tanto.
Quindi Rose si sdraia sul letto, si copre con una coperta, chiude gli occhi.
Forse il sonno migliorerà la situazione.
Va male. Molto male.
Rose, un paio d’ore dopo, riemerge dal bagno quasi strisciando. È
sudata, quasi sicura di avere la febbre, con le gote rigate dalle lacrime sorte
per lo sforzo e la gola in fiamme. Si accascia sul letto quasi devastata ma, tuttavia, nonostante tutto
ciò che sta accadendo, non trova la forza di parlare al Dottore.
Non può. Semplicemente no. Il suo viso preoccupatissimo la tortura e sa
che, avendo perso tantissime persone, anche solo vederne una cara soffrire lo
devasta interiormente. E lei soffre, tantissimo, ma resiste. Per lui.
Perché gli vuole troppo bene per non concedergli almeno questo.
Così, con un sapore aspro in bocca, rotola fra le coperte scomposte. Non
credeva che due barrette di cioccolato potessero fare un certo effetto; anzi,
pensava che le avrebbero fatto anche bene.
Evidentemente sbagliava.
Dannatissime intossicazioni alimentari.
Il Dottore passa il resto della giornata a girovagare per la TARDIS.
Vorrebbe provare a portare a termine qualche vecchio lavoro alla console,
giusto per tenere distante la mente da ciò che è appena accaduto,
ma non ne trova la forza. Al contrario, finisce per camminare tutto il giorno,
senza una precisa meta, finendo più volte di quante ne desiderasse
davanti alla porta della sua camera.
È seccato. Perché lo prende in giro così? Vorrebbe che lei
provasse perlomeno a capire: che lui riesce a mantenere la calma, sempre, anche
davanti ad un esercito di Dalek; ma, di vedere la sua
companion soffrire, proprio non se ne parla. Ma lei
continua a non darci peso e lo prende in giro così. Eppure per lui
è una cosa seria.
Vorrebbe essere arrabbiato con lei, ma non ci riesce. La porterebbe anche al mare,
in questo momento, nonostante il torto subito. Perché, semplicemente,
non riesce ad avercela con lei. È triste, invece. Vorrebbe piangere, ma
non lo fa. I Signori del Tempo non piangono. I Signori del Tempo sono duri come
rocce.
Quindi, a fine giornata, raccatta un cuscino e si sistema ancora vicino alla
sua porta.
Non riesce proprio a starle lontano.
Rose apre gli occhi quando sente qualcosa di caldo vicino al suo viso. Alza la
testa, lentamente, temendo di risprofondare di nuovo
nelle vertigini o di patire ancora per il suo stomaco mal messo; tuttavia, esso
si limita a lanciarle un quieto avvertimento di non scombussolarlo troppo,
lasciando che il dolore sia solo una sensazione di sottofondo se paragonata
agli acciacchi provenienti da tutte le altre parti del suo corpo.
Così, esalando un sospiro di frustrazione, Rose sbircia verso il
comodino per capire cosa l’abbia svegliata.
E la vede: una tazza mai vista, la quale sicuramente non era mai stata fra
quelle solitamente disposte nella credenza. Nuova, a quanto pare; d’un
blu splendente e familiare e appoggiata proprio di fianco ad un piattino
coordinato, colmo di Jammy Dodgers
fino all’orlo.
Rose tentenna un minuto, fissa la porta, ancora chiusa a chiave e immutata. La
temperatura nella camera è aumentata e la tazza, colma di tea, sembra
non raffreddarsi mai.
Non è opera del Dottore.
E, sorridendo stancamente, Rose sussurra un veloce ringraziamento alla TARDIS.
Diario di Reclusione – Giorno Secondo
– Postilla
La TARDIS è dalla tua parte.
NdA
Sono viva! Sono viva, giuro!
Dovreste picchiarmi. Me lo merito. Ma non fatemi troppo male, vi prego. *prende lo scudo e l’armatura*
… Anzi, ripensandoci, fatemi pure tanto male. Come appena detto, me lo
merito. E poi… se mi lasciate qualche lividozzo, magari, viene a salvarmi un medico il Dottore. *coff
coff*
Non ho scusanti, davvero. Non aggiorno da Febbraio e davvero, voi siete stati
gentilissimi e io vi ho ripagati così. Probabilmente nessuno
leggerà più la storia. Me lo merito, infondo
ç__________ç
Comunquecomunquecomunque. Sono qui, finalmente, e
tenterò di aggiornare abbastanza velocemente. Sì, ce la posso vare. Ehm. Ecco. Spero.
Tra l’altro non sono nemmeno troppo convinta di come m’è
venuto il capitolo, l’ho scritto abbastanza male. èwé
La prossima volta mi impegnerò!
Colgo l’occasione: avete già visto la seconda parte della settima
stagione? In diretta? Un pochino in ritardo? La vedrete adesso, a giugno, con
il doppiaggio italiano?
Io ero fissa davanti allo schermo ogni sabato sera , con l’aria tipo se mi interrompete vi ammazzo. Adoro
alla follia Clara – pianti isterici nel finale di stagione – e avevo
una mezza idea di scrivere una one shot su lei e Eleventh. Qualcuno apprezzerebbe, o ancora non conoscete
Clara e dovrei aspettare? Sono in dubbio. Ditemi, ditemi, ed eseguirò! C:
Mi scuso per eventuali errori di battitura sparsi sicuramente per il testo. ç_______ç
Alla prossima. E grazie per tutto. Grazie infiniti.
WJ