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Autore: AthenaSkorpion    31/05/2013    2 recensioni
Come descrivere la vita dell'utente di autobus se non in questo modo?
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'autobus di Roma è un mondo a parte. Non c'è nulla nella vita di un viaggiatore utente d'autobus che sia normale. Le regole principali sono: ritardo, gente improbabile e ritardo.

Il ritardo è il dogma. Se vi è mai capitato di prendere un autobus puntuale, evidentemente qualche entità vi aveva immensamente a cuore quel giorno. Ergo, segnatevelo sul calendario e offrite sacrifici ogni anno nella suddetta data.

L'autobus non è fatto per arrivare in orario, altrimenti sui cartelli delle fermate scriverebbero un orario preciso di arrivo. Anzi, chi ha installato i GPS sui mezzi per permettere a chi vuole di consultare sul sito dell'ATAC l'orario d'arrivo del proprio autobus, secondo me, si fa ogni giorno quattro risate quando il servizio è disattivato o segna orari del tutto sfalsati.
A volte però c'è la maledizione opposta: l'anticipo. E nel momento in cui l'autista ti sorride sornione, sbattendoti le porte in faccia dopo averti visto correre con le borse di scuola con la schiuma alla bocca a 300km/h, lo puoi vedere salutarti con la manina e spingere all'impazzata il piede sull'acceleratore.
Ma dopotutto il ritardo è quasi una benedizione. Chi non ha mai amato attendere un'ora e venti l'autobus all'ora di pranzo in piedi accanto al vecchietto che con le sue chiappette mosce è riuscito a occupare due metri di panchina? È idilliaco potersi perdere nella disperazione dell'attesa che spinge a pensare alla caducità di una vita interamente consacrata all'autobus. E i mezzi rotti o da deposito sono compendio delle illusioni che si insinuano in questa caduca vita. Un po' come la Provvidenza che fa attendere la ricompensa per lasciarla godere meglio. Be', oddio... non esattamente.
Non riuscire quasi a mettere piede nella letale scatola di metallo è forse meglio che esserne totalmente fagocitati e distrutti. L'autobus allena a non avere il minimo pudore, il corpo non è più propria proprietà, diviene membro della massa. Che ondeggia paurosamente alle sterzate degli autisti pazzi che inchiodano mentre chiacchierano con la moglie che vuole chiedere il divorzio, lasciano le porte aperte in corsa e accelerano fino a entrare in curvatura spaziale, quasi non vedessero l'ora di andare in bagno al più presto.
Tutto sommato non è male stare sull'autobus. Ci sono donne che officiano la messa mattutina con i salmi nella testa, ci sono gli zingari sempre e perennemente stracolmi di pacchi e dall'odore discutibile, vecchiette che sanno di croccantini per gatti e che ciarlano beatamente del più e del meno per poi trasformarsi nella più innovativa e moderna progettazione di carrarmato militare quando devono scendere dall'autobus con le loro borse della spesa con le ruote, ci sono gli sportivi che per abitudine non amano sorreggersi ai pali bassi, ci sono le ragazzette con la borsetta nell'incavo del braccio e il telefonino in mano che a ogni sterzata finiscono in fondo all'autobus, ci sono le mani morte accompagnate da altre parti morte o no del corpo, ma in assoluto, senza ombra di dubbio, nella classifica di divertimento vincono gli ubriachi fradici. Esclusi i disperati dallo sguardo vacuo, i cantori sono esilaranti. Riescono a tirare fuori storie tanto assurde che tutto l'autobus si ritrova inconsciamente a ridere all'unisono mentre l'eroe ingolla un'altra tanica di vodka.
Poi all'improvviso sale il controllore e, tra sguardi ricolmi di paura e di odio profondo, la gente si prepara con i manganelli. Mentali, ovviamente. A volte.
Gli autobus sono così pieni che i controllori danno per scontato che nessuno sia riuscito ad arrivare alle vidimatrici. Così non controllano mai. E se lo fanno, basta dire di non avere appresso i documenti: direte il vostro vero nome e loro non vi faranno la multa sapendo già in partenza che il nome in loro possesso non è il vostro. Semplice.

Finalmente si arriva alla fermata. Voi lo sapete perché avete chiesto all'uomo davanti a voi se scenderà alla prossima fermata già quattordici fermate prima per assicurarvi di avere la possibilità di scendere. Ci sono sempre i Mercoledì, i Prezzemolini, i Muri, quegli armadi che categoricamente si piazzano davanti alla porta e non ci si schiodano neanche se li prendi a capocciate. Sono degli antistress eccezionali perché puoi urlar loro quello che vuoi. Tanto hanno le cuffie.

L'autista pazzo frena. Tutti finiscono sul parabrezza. Le porte si aprono e sai che devi vincere o sarai spazzato via dalla storia. Quando c'è una fessura abbastanza larga, ti ci rifugi travolgendo tutti nella speranza che nessuno ti riconosca in viso perchè l'autobus ti ha reso una bestia. Travolgi tutti perché l'autobus ti ha forgiato e ti ha reso senza cuore. Le vecchiette ti buttano per terra, i ladri ti scippano il cellulare se sei tanto sprovveduto da non metterti le cuffie per accertarti della sua presenza, gli ubriachi ti inciampano addosso ruttandoti in faccia la loro confusione e tutta la loro liquida colazione mentre le donnette in preghiera chiudono il libro dei salmi e si alzano con una tale determinazione negli occhi che credi possano tirar fuori da un momento all'altro un paletto di frassino o dell'acqua santa. Vieni risputato fuori dall'autobus come un boccone amaro, uccidendo chi, come sempre, in attesa di salire sul treno della morte sta fermo davanti alla porta e non accenna ad allontanarsi di un centimetro per timore di perdere il posto di prima classe. E tu respiri ossigeno. Ossigeno! Questo vecchio amico! E dopo un'odissea di due ore, sei finalmente a casa.

- Sei arrivato tardi, caro.

- E dire che non c'è neanche sciopero, oggi!

 
   
 
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