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Autore: Leah Black    31/05/2013    0 recensioni
Lui. Lei. Uniche costanti della loro vita. La presenza fisica non è necessaria. Basta il pensiero a fare in modo che siano sempre presenti l'uno all'altra. Le variabili li circondano, per brevi periodi proseguono per la loro stessa strada, ma inesorabilmente si allontano, lasciandoli soli.
Dell'amore neanche l'ombra. Ossessione, sesso, derisione, orgoglio.
Le loro esperienze li hanno portati ad allontarsi, ma alla fine si rincontrano, nell'eternità della morte.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VITA Per quanto ancora lei stenti a crederci, Lui era lì. O meglio, qui, assieme a lei. Lo era sempre stato. Anche quando si odiavano, Lui era la sua costante, il suo flagello personale. La scherniva, poi la ignorava, per poi riusarla come suo bersaglio ogniqualvolta desiderasse portar via quella noia che sembrava far parte del suo animo. All'inizio non reagiva. Cosa potevo fare, lei ragazza povera di fronte al ragazzo ricco? Cosa mai avrebbe potuto inventarsi, lei ragazza sola di fronte a lui, ragazzo circondato da schiere di ammiratori? Niente. Infatti non faceva niente. Stava lì, ascoltava, si scopriva ferita da quell'odio senza senso, ma non reagiva. Soffriva solamente.
Lei è cresciuta, ma lui continua a essere presente. Ora non soffre più. Avete presente quando state talemente tanto con le mani nell'acqua gelida che dopo non avvertite più il freddo? Ecco, si ero talmente tanto assuefatta al dolore che le causava Lui con le sue parole, da non farci neanche più caso. E no, non reagiva. Non ne trovava il senso. Non avrebbe smesso. Se non l'avevano dissuaso tutti quegli anni ad avere lei come suo principale bersaglio, non vedeva come una sua parola in proposito avrebbe potuto distoglierlo dal suo passatempo preferito: lei.
Andavano a letto assieme, questa era la vera nota differente che macchiava le loro esistenze, legandoli contro la loro volontà. No, non eravano arrivati a provare qualcosa l'uno per l'altra. Lui era sempre lo stronzo che minacciava di soffocarla con le sue parole sarcastiche, lei era quella indifferente a tutto, che si lasciava prendere in giro senza fare una piega, la notte si lasciava vezzeggiare dalle sue mani, stranamente delicate come la sua lingua non era mai riuscita a essere. Se non fosse stato per la sua volontà di starle continuamente addosso con la sua cattiveria, si sarebbero persi di vista da tempo. Lei non lo avrebbe mai più rincontrato. Per lo meno, non lo avrebbe ricontrato di proposito.  Invece, inspiegabilmente, più si sforzava di allontanarsi da lui, più lui le sembrava sempre più vicino, sempre di più e lei con le spalle al muro, impotente, sotto il suo attacco si ritrovavo indifesa, non riusciva a reagire in nessun modo. La prima volta che la baciò fu... strano. Oddio, baciava così bene! Ovvio, d'altronde era o no il dio del sesso tanto millantato dalle navi da crocera del loro liceo e poi facoltà? Non aveva idea della quantità di donne che letti, sgabuzzini, tavoli, aule, bagni avevano visto assieme a lui assorte nella danza più antica del mondo. E lei, come l'ennesima stupida, faceva parte del branco. Non era arrivata a essere una nave, per carità, la sua dignità rimaneva bella intatta, nonostante lui tentasse di minarla da tanto. Però era stato il primo. Lui, il primo di tutta la sua intera esistenza. Il primo viso che ha visto alla nascita, il primo bimbo che la prendeva in giro all'asilo, il primo bambino che aveva avuto l'idea di riempirle la borsa di vermi, il primo ragazzino che l' aveva baciata, il primo ragazzo che l'aveva portata a letto, il primo uomo che...
Cosa? C'erano talmente tante cose che aveva fatto una volta diventato uomo. Continuare a torturarla, riprendere ad andare a letto con lei, dirle che si era fidanzato e che a breve si sarebbe sposato, il suo matrimonio, la sua volontà di continuare ad averla come amante per il resto della sua vita.
"Al buon sesso non si rinuncia mai." le aveva detto. Stronzo, borioso figlio di puttana.
"Neanche morta. Non sarò la tua puttana a vita." la sua risposta era stato quanto di più perentorio gli avesse mai detto.
Se ne era andata, raccattando con estrema calma i suoi vestiti da terra, dove li avevano buttati nella foga di sentire la propria pelle a contatto con quella dell'altro. Non stava scappando. Era questo il motivo che il suo orgoglio le aveva dato per tutta quella calma con cui stava prendendo le ultime cose, con cui stava condividendo l'ultima stanza che li avrebbe visti assieme, con cui stava vivendo gli ultimi momente che li avrebbe visti assieme. Piano, quasi a rellentare il tempo, che però inesorabile stava passando. Preso l'ultimo oggetto da terra, si voltò verso di lui.
"Non so che dirti." aveva esordito prima di aprire la porta. "Non posso dirti ciao o arrivederci. Questa è l'ultima volta che mi vedi. Non ti dirò auguri o buona fortuna.. Dio!! Spero proprio che l'inferno ti prenda al più presto... Io... addio."
Non aveva aspettato la sua risposta. Era andata via, chiudendosi la porta alle spalle. Si sentiva come quando si finiva il liceo, oppure subito dopo aver dato la tesi di laurea. Ci si sentiva alla fine di un percorso, ma allo stesso tempo all'inizio di un percorso di cui non si vedeva nè ciò che stava in mezzo, nè la sua fine. Si sapeva solo che da qualche parte c'era qualcosa che ci aspettava, bastava solo avere la pazienza di arrivarci.
Lui non l'aveva fermata, non le aveva detto di stare con lui. Perchè avrebbe dovuto? Lui la sua bella vita  l'aveva: ricco, avvocato di successo, fidanzata oggetto bella da fare invidia. Lui non aveva bisogno di lei. E lei in definitiva non aveva bisogno di lui.

Il tempo passava. Così come gli anni si rincorrevano, lasciandoli troppo distanti l'uno dall'altra perchè potessero mai rincontrarsi anche solo per sbaglio. Vivevano nella stessa città, ma sembravano abitare in due emisferi opposti. Alla fine lei aveva realizzato il suo sogno: era divenata una giornalista di cronaca di successo. I migliori scoop erano i suoi. I genitori erano fieri e orgogliosi di avere una figlia così brava. Suo marito era pazzamente innamorato di lei. Magnifici figli erano nati da quel matrimonio venuto fuori direttamente dalle fiabe, tanta era la felicità che albergava nella sua famiglia.

Un 'ombra scura sembrava sempre oscurare i suoi occhi quando qualcuno non la guardava. Sembrava perdersi nei suoi pensieri con così tanta facilità.



Gli anni continuavano a passare. La vita sembrava riservarle sempre maggiori gioie.
Un giorno tutto si spezzò.

"Ti amo. Amore mio, io sarò sempre al tuo fianco, anche se non mi vedrai, basta che chiudi gli occhi e sentirai le mie braccia circondarti. Non dimenticarmi, ma vai avanti. Io ti seguirò"

Le sue ultime parole. L'ultimo respiro dell'uomo che l'aveva sposata e amata come se fosse l'unica donna al mondo. Il magnifico uomo che le aveva dato dei magnifici figli. Il cancro se l'era portato via come se non fosse niente. Ne era rimasto un corpo vuoto, l'anima andata chissà dove. Aveva provato a chiudere gli occhi. Dio, se ci aveva provato. Ci aveva provato talmente tante volte...
Lui non c'era. Non lo sentiva. Non sentiva il suo calore, non sentiva il suo profumo, non avvertiva la forza delle sue braccia, non.. sentiva.. niente.
Solo una rabbia accecante di essere rimasta sola. Andava avanti. L'amore dei suoi figli, il suo amore per loro le permetteva di fingere di riuscire ad andare oltre. Occhi che la guardavano orgogliosi di come avesse superato bene il suo dolore, le fitte allucinanti al petto, allo stomaco, alla testa per aver perso l'uomo migliore che avrebbe mai potuto incontrare. Le fitte di rimorso per non averlo mai amato del tutto.
Stronzo. Anche questo quel maledetto figlio di puttana le aveva preso. La capacità di amare totalmente un uomo magnifico, che le aveva fatto il dono più grande che potessero mai farle: il suo amore incondizionato.
Chissà se si era mai accorto che qualcosa dentro di lei era rotto. Chissà se aveva mai notato lo sconforto che la prendeva a periodi. Sì, si disse. Sì che li aveva notati. Ma era stato zitto, consapevole che il suo amore per lei era troppo forte per non accettare che ogni tanto lei si isolasse nei suoi pensieri, in luoghi e momenti a lui estranei.

I suoi bambini ormai erano grandi. A loro volta erano dei genitori. I suoi nipotini erano talmente belli. Erano una delizia per occhi e cuore. Le volevano davvero bene, quell'amore spassionato dei nipoti, che vedono i nonni come ancore di salvezza nel mondo fatto da rimproveri e insegnamenti dei genitori. I nonni era il miele che quietavo l'amaro della vita. Erano la consolazione, erano l'affetto senza alcuna ombra di rimprovero.  Ora era lei ad avere quel ruolo di nonnina dolce che ti riempiva la pancia completamente convinta che il nipote non mangiasse mai abbastanza, sempre troppo magro per i suoi gusti.

Da un pò, però, si sentiva strana. Forse incominciava a vedere la fine. Forse finalmente riusciva ad intuire quando la vita l'avrebbe portata via.
O magari no.

Le gambe l'avevano portata lì. Era andata a cambiari i fiori alla tomba del suo uomo. Nonostante lui non avesse mantenuto la promessa di rimanere per sempre al suo fianco, lei aveva deciso che finchè era in vita, non avrebbe lasciato il suo corpo da solo a marcire sotto terra dimenticato da tutti. Settimana dopo settimana portava fiori nuovi, puntualmente buttava via quelli vecchi senza degnarli di uno sguardo. Erano morti, neanche il loro profumo era rimasto a testimonianza della loro vita terrena. Non erano altro che corpi vuoti. Come quello che andava a visitare. Avevano messo la sua foto preferita: in pieno sole, un sorriso a trentadue denti, il mare alle spalle. Negli occhi una voglia di vivere che nemmeno il cancro gli aveva portato via. Lui, sempre così perfetto in tutto. Il cuore le doleva ancora di quella rabbia soffusa, che non se n'era andata nonostante gli anni, ma era rimasta lì, latente, sempre pronta a venire fuori, ma che non lo aveva mai fatto, perchè non poteva permettterselo. Dopo aver cambiato i fiori se n'era andata. Il proposito era quello di andare a casa, invece si era ritrovata a vagare per il cimitero, inconsapevole di dove i piedi la stessero portando. Si era fermata all'improvviso.
Lui.
Lui era morto. Non ci poteva credere. Lui, quel maledetto bastardo era morto!? Sentiva freddo, un freddo polare. Sentiva che se avesse chiuso gli occhi avrebbe scorto quel ghigno che da quando aveva chiuso quella maledetta porta d'albergo continuava a perseguitarla. Lui, superiore a tutti, che ancora era presente nella sua misera esistenza. Il bastardo che si era preso tutte le sue prime volte, lui che continuava a essere lì, dietro le sue palpebre, all'interno dei suoi sogni, presenza costante, presenza ingombrante, presenza soffocante.
Se chiudeva gli occhi sentiva i suoi sospiri quando faceva qualcosa che gli dava un profondo piacere, sentiva occhi di ghiaccio sul suo viso quando la vedeva cercare e riuscire a celargli i suoi sentimenti, i suoi pensieri, i suoi bisogni. Lui che con una smorfia di quelle bellissime labbra le faceva capire se aveva detto qualcosa di immensamente stupido oppure qualcosa a cui non dare la minima importanza. Avvertiva le sue mani percorrerle il corpo non più giovane, sentiva la sua voce schernirla, ma avvertiva il suo corpo vezzeggiarla come se fosse una bambola di porcellana, troppo delicata per movimenti bruschi.
Riaprì gli occhi. vide la sua foto, l'immagine di un uomo sulla settantina, bello come un angelo dell'inferno. Poi..
Si sentì cadere, cadeva, cadeva, cadeva sempre di più, sempre più giù. Il suo mondo si fece buio, il freddo la invadeva sempre di più, sempre più in profondità. Il silenzio regnava nella sua mente, non sentiva più niente, solo il suo respiro che pian piano si faceva sempre più lento, sempre più spazio tra un respiro e l'altro.

Maledetto. Era riuscito a essere l'ultimo volto visto prima di morire.
   
 
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