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Autore: Rain_bow    31/05/2013    1 recensioni
Ho passato la mia vita a osservare le persone che mi circondano.
I miei ricordi sono quello che mi restano del mio passato, finalmente ho aperto gli occhi.
Voglio vivere.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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 Dell’estate, nelle sere della mia infanzia, ho un ricordo che prevale sugli altri.
Celieste si intrufolava nel mio lettino fresco e profumato. Così io dovevo rifugiarmi nell’angolo del letto che confinava col muro per ritrovare quell’equilibrio di benessere che sapevo condurmi al sonno.
Celieste iniziava così a parlarmi con quella voce così squillante e inadatta alla notte. Metteva le mani sotto la testa, i gomiti larghi che occupavano altro spazio del mio letto.
“Sai, oggi ho giocato con Cecilia” le sue parole sembravano tintinnare.
Io, tutta rannicchiata nel mio angolino, di fianco per poterla guardare e con le ginocchia strette al petto facevo un suono di assenso.
Un po’ per farle capire che l’ascoltavo, ma che mi dava noia.
Inutile dirle qualcosa, non ci avevo mai provato, ma sapevo che sarebbe stato inutile.
Così continuava a parlare di ciò che voleva. Con me intrappolata ancora nella veglia, quando tutto ciò che volevo era dormire. Poi finalmente sua madre si affacciava alla porta della stanza, la richiamava non preoccupandosi di abbassar la voce e poi se ne andava. Lasciando la porta aperta che rischiarava la stanza.
Celieste si alzava non badando a non muovere il materasso, poi andava subito alla porta.
Non mi salutava, finiva solo il suo discorso.
“E’ troppo simpatica Cecilia” poi sbatteva la porta. Lasciandomi nel buio più totale. Ceca, con la consapevolezza che se lei avesse voluto mi avrebbe potuto portar via la mia compagnia di giochi Cecilia.



L’inverno, invece portava il freddo. Io iniziavo a tremare dagli inizi di autunno e nel mezzo di dicembre me ne stavo sotto due coperte. Gli svaghi di una bambina così tanto chiusa in se stessa davanti  al freddo erano pochi. Cecilia e Celieste però venivano a farmi compagnia, quando il freddo mi portava febbre e raffreddore.
Celieste irrompeva nella mia stanza come se fosse la sua. Cecilia, più timida entrava sorridendo e cauta.
Io continuavo a rabbrividire. Non era solo freddo. Non mi piaceva vedere le occhiate che Cecilia mandava a Celieste: sembrava che loro facessero un gioco a me proibito e sconosciuto. Come se non facessi parte della loro amicizia, come se di quella stanza fossi un mobile.
Loro iniziavano a parlare, ridevano, e io mi perdevo nei miei pensieri che avevano interrotto con il loro arrivo. Mi estraniavo dalla nostra amicizia.
Così che, quando il tempo passava, la mia camera diveniva solo un luogo diverso dove potevano giocare.


Da adolescente, quando il tempo non era ne’ freddo ne’ caldo, anche io uscivo beatamente.
Celieste si presentava sempre ben curata. I suoi capelli lunghi e luminosi le avvolgevano le spalle come seta. Sapeva come comportarsi e non capivo perché a me non riuscisse così bene. Mentre camminavamo lei sapeva quando sorridere, quando invece lanciare occhiate veloci con quel poco di malizia. I suoi occhi mi sembravano fulmini tanto si muovevano in fretta, proiettando quei lampi che attiravano i ragazzi. Camminava con passo sicuro. I jeans bassi, la maglietta attillata, che le scopriva un filo di pancia perfettamente piatta.
Lei era sempre sicura, anche quando a camminare vicino a lei c’erano i ragazzi. Protagonisti delle sue occhiate.
Cecilia, invece non possedeva la stessa naturale grazia. Lei era un po’ più bassa e i capelli le arrivavano a malapena alle spalle. Come dei batuffoli e molle le si muovevano disordinati. Li aveva di quel colore opaco, che male si identifica tra il castano e il bruno.
Camminava all’ombra di Celieste, le parlava della scuola, della sua famiglia e del suo cane. Ed io la ascoltavo, perché i suoi discorsi mi piacevano e li trovavo così normali da interessarmi.
Una volta, io e Cecilia la accompagnammo a casa di un ragazzo molto più grande di noi.
Durante il tragitto, Celieste ci raccontava di come si erano conosciuti. Sembrava il principe azzurro.
Quel ragazzo noi non lo vedemmo mai, ma potevamo bene immaginare il principe di cui lei ci parlava.
Al primo appuntamento, si recò ingenua e felice.
Al secondo, aveva un filo di trucco, era un po’ agitata ma non ci voleva spiegare perché.
Al terzo, noi non la accompagnammo. Anzi, se devo dire la verità, dopo il secondo appuntamento non la vedemmo per un po’, però ci raccontò le sue uscite sempre più frequenti con il Principe.
Quando tornò a scuola, aveva uno spesso strato di eyeliner nero, mascara, fondotinta, matita, blush, rossetto e terra. Sembrava quasi che avesse truccato anche l’occhio sinistro con un ombretto sul nero, un colore un po’ malsano.
Quel pomeriggio, quando poi uscimmo con lei, pianse. Non ne ricordo il motivo. Uno dei suoi motivi futili, comunque. Eravamo ad un parco e mentre Cecilia la consolavo io dovevo stare attenta che non arrivasse nessuno.
Il suo trucco si era sciolto, chissà quanti minuti di lavoro andati al vento. Però quel suo ombretto malsano all’occhio destro rimaneva. Tanto da far sorgere in me il subbio di quale natura fosse quel livido.
Le settimane passavano, e Celieste non cambiava più ragazzo. Sempre lo stesso Principe.
Raccontava ancora tutte le sue avventure con lui, però lo faceva solo quando c’era anche Cecilia. Con me parlava invece dei compiti, che io le passavo.
Quando me li chiedeva io glieli davo senza mai obiettare, l’odore di sigaretta che ormai la impestava mi dava noia e non avevo voglia di starle sempre vicina.



La prima volta in discoteca per me e Cecilia, non fu la prima volta di Celieste.
Però ci preparammo insieme, quella sera.
Mangiammo a casa mia. Mamma ci aveva fatto una cena squisita, lei stessa aveva fatto la pasta per la pizza. Celieste non ne mangiò neanche un quarto, diceva che la pizza la faceva ingrassare.
Cecilia osservava la sua amica, e quando vide che aveva posato forchetta e coltello, lei fece lo stesso.
Celieste indossò un vestito corto e attillato, rosso fuoco, un bel contrasto con i suoi capelli corvini. Non aveva spalline ed era piuttosto scollato. Poi mise i tacchi, che la innalzarono ancora più in alto di noi e sopra, camminava con un’eleganza ancora accentuata.
Cecilia, mise un vestito carino. Le fasciava il senso e poi si apriva in una gonna larga e nera che le arrivava appena sopra le ginocchia. Insieme aveva delle zeppe di corda.
Io, misi un vestito chiaro. Non ricordo precisamente come era, ma non era ne’ attillato ne’ largo e aveva delle piccole spalline.
Appena arrivammo all’ingresso, mi resi conto del caos che vi regnava.
Io e Cecilia ci guardammo intimorite. Celieste, svelta, andò verso il buttafuori e lo abbracciò e lo salutò come un vecchio amico.
Doveva essere un uomo appena, con dei baffetti scuri e labbra fini. Ci fece entrare senza controllare i documenti.
Solamente una volta dentro, ci rendemmo conto che Celieste non era con noi.
Cecilia attorcigliava agitata una ciocca di capelli mentre si guardava intorno.
Un ragazzo che conoscevamo di vista ci avvicinò. Ci offrì dei piccoli stuzzichini e un drink.
Dopo un po’, vidi sparire Cecilia verso il bagno. L’avevo osservata, aveva mangiato qualche patatine, tenendosi con l’altra mano la pancia.
Io bevevo e parlavo con il ragazzo ed altri suoi amici.
Celieste arrivò all’improvviso alla nostra poltroncina. Aveva i capelli più opachi, l’aria stanca e puzzava di fumo più che mai. Sembrava ubriaca, eppure non sapeva di alcool. Si tuffò addosso ad un ragazzo e lo portò a ballare. La osservai un po’, spiazzata. Poi la persi nella folla.
Quando vidi riapparire Cecilia, anche lei sembrava stanca, però mi sorrise e si attaccò ad un bicchiere.
La sera passò così tra balli e bevute.
Poi andammo a dormire a casa di Celieste.
La mattina dopo, io fui svegliata da sua madre. Stava urlando al telefono contro qualcuno.
Per tutta la mattina, Celieste sembrò senza vita, esaurita.
La osservavo mentre faceva colazione, con le occhiaie troppo accennate e i capelli arruffati. Non l’avevo vista da molto tempo così, non curata, e quasi mi venne da ridere della sua facciata.
Poi però arrivò sua sorella, le saltò in braccio sorridendo e mi vergognai dei miei pensieri.
Cecilia si era rifiutata di alzarsi a far colazione, arrivò da noi dopo, già pronta ad uscire per il pomeriggio.
Il padre di Celieste arrivò poco prima che noi uscissimo, barcollava e puzzava di alcool. Chiudemmo la porta alle spalle, tra le urla della madre e gli strilli della piccolina.
Celieste si accese una sigaretta e si diresse al parco. Noi la seguimmo, ma poi si allontanò con uno strano ragazzo.
Ritornò quando ormai si era fatto buio, aveva la stessa espressione del padre. Però lei, vicino, aveva il suo Principe. E ancora, l’occhio destro truccato di quel malsano nero.



Questi sono alcuni dei miei ricordi. Quelli che più mi hanno fatto pensare e che più mi hanno trasformata in quella che sono.
Ora ho diciassette anni, nonostante la mia età ho paura del buio. Perché so che proprio nell’oscurità, raggiungiamo quelle verità che ci fanno paura e che poi ci tormentano fino all’arrivo del giorno, se siamo fortunati, oppure non si separano più da noi e diventano parti di noi stessi.
Da sempre, ho avuto una salute cagionevole. Tremo con facilità, di freddo, di paura, dei miei ricordi. Sono timida, e per me, rapportarmi con le persone è molto difficile.
Non voglio essere riconosciuta, nonostante io so di essere diversa dalla massa. Non voglio che emerga la mia verità perché mi porterebbe nel luogo dove non voglio mai essere. Al centro dell’attenzione.
Ogni volta che mi parlano, abbasso la testa. Come se quello che mi stessero dicendo siano ordini.
Non mi piace guardare negli occhi le persone, ho paura che vedano in me quella scintilla di ribellione che ho sempre pronta ad esplodere nella testa. Neanche parlo, a meno che non mi viene fatta qualche domanda. Ho paura, costantemente.
Eppure, non sono stupida. E questi ricordi, che ora ho scritto mi hanno portato infine a capire la verità degli eventi.
Ma sono vigliacca, e per un’intera settimana me ne sono stata in silenzio. A vedere la vita intorno a me disintegrarsi. Persone che si sfaldano e diventano polvere o acido. Vita giovane in fiore che diventa troppo presto matura e cade. Non ho fatto niente di ciò che potevo. Me ne vergogno.
Nella mia vita sono sempre stata un’attenta osservatrice. Non giudico, non agisco. Guardo la vita spegnersi davanti ai miei occhi e troppo tardi osservo me stessa e capisco finalmente che devo prima guardare me.
Oggi è venerdì 15 luglio 2016.
Oggi è il funerale di Celieste. Morta due giorni fa di over dose.
Da nove giorni sapevo della sua dipendenza. Ma niente ho potuto fare.
Da quando aveva tredici anni, è stata iniziata all’uso di droghe leggere, fumo e alcool.
Ha iniziato con hashish, MDMA e Cannabis ma il cerchio della dipendenza l’ha spinta verso Cocaina e Oppio. 
Due mesi fa, ha scoperto di avere un tumore ai polmoni, ha deciso di non curarsi.
All’età di tredici anni, il suo Principe ha iniziato ad abusare di lei.
Ha scoperto un rifugio nella sua dipendenza. Lontana dal padre che la picchiava, sorda alle urla e ai pianti della madre e della sorellina che non sono riuscite a difendersi da quell’uomo ubriaco.

E’ morta all’età di diciassette anni senza aver conosciuto l’amore.
Di questa vita, ha visto solo la parte peggiore.
Qui, al funerale, le mie lacrime sono nere e amare
perché ho paura che tutto ciò si poteva evitare.

Le persone sono poche, lei nessuno più aveva che la legava alla terra. Suo padre si è ucciso dopo aver assassinato la famiglia. Forse per questo trovava rifugio nella droga, perché non sentiva più quel dolore che ormai le apparteneva.
Nessuno dei suoi pochi parenti piange, solo io ci sono a rimpiangere ciò che non ho fatto.
La Messa è finita, io prendo il motorino e parto. Più veloce di tutti, non mi preoccupo di niente, so qual è la mia metà e non voglio ritardare.

Sono passati solo dieci minuti, ed eccomi catapultata in una nuova verità.
Parcheggio il motorino davanti l’ospedale. Corro, non mi preoccupo neanche di togliere il casco. Le persone mi fissano, ma io per la prima volta non guardo loro.
Cecilia è là, su quel letto così bianco. Così grande rispetto al suo corpo debole.
Mi guarda con quell’espressione tenera e felice.
I suoi genitori non ci sono, lei è sola. Tiene le mani strette al grembo e fissa il tubicino che la collega alla flebo. Mi saluta con un sussurro debole.
“Com’è andato il Funerale?” chiede tornando seria.
Le racconto tutto, tutto ciò che la possa far star meglio. Tutto quello che in un funerale può esserci di positivo o almeno di sopportabile per le sue condizioni.
“Ha raggiunto sua mamma e sua sorella” concludo,
Tra noi si apre un silenzio che sembra infinito. Ognuna persa nei suoi pensieri.
“Hai fame?” le chiedo infine.
Mi guarda con gli occhi lucidi. Il viso così tirato da lasciarle visibili le ossa.
“Sì” dice, e il suo tono è quello sfinito di un maratoneta che ha vinto la corsa. Lei ha vinto la sua battaglia. Anche io non posso essere che felice.
Le passo una mela, me l’ero portata dietro. So da sempre quanto a lei piacciono le mele.
La morsica e sorride. Mi guarda.
Lentamente sembra acquistare colore, le guance le si fanno rosee e trova la forza di alzare un braccio e ravvivarsi i capelli rossi e mosci.
Osservo per un po’ i capelli.
“Erano più belli quando erano ricci vero?” dice con il suo tono malinconico.
“No” scuoto la testa forte. “erano belli quando erano castani, quando ancora nella tua zucca non erano entrate così tante fissazioni” le dico sincera.
Annuisce. “Voglio che tornino come prima”
Sorrido. “Sei te, che devi tornare quella di prima”
Non riesco a non piangere, i suoi occhi sono così spenti. Mi ero detta di non piangere, eppure eccomi lì, come una stupida a farmi consolare dalla sua debolezza.
“Mangia” le dico asciugandomi gli occhi.
Cecilia è sempre stata una ragazza debole. Non di salute, ma di carattere. Nonostante la sua disponibilità e generosità, non ha potuto niente contro la superbia degli altri.
Si è lasciata abbattere e condizionare.
Da sempre è stata un po’ più in carne delle altre ragazze, mai grassa, solo che non era molto alta e sembrava ancora più tarchiata.
Poi, lentamente, le è entrata in testa quella fissazione. L’ha presa come una droga e lei ne è divenuta dipendente.
Quando era appena adolescente, ha creduto di aver aperto gli occhi e di aver capito di essere sbagliata.
Ha iniziato a sentirsi in colpa per ogni pasto, a vedere le sue forme come una minaccia.
Dopo ogni pasto si chiudeva in bagno, quando usciva si sentiva svuotata e in colpa. Si prometteva di non farlo ma ci ricadeva ogni volta, inevitabilmente.
Anche lei era dipendente, di un qualcosa di letale.
Il suo carattere, troppo debole per la vita che le ha messo davanti, l’ha portata alla depressione.
All’età di quattordici anni, suo padre è morto di leucemia. All’età di quattordici anni lei ha iniziato a farsi del male fisico per non sentire il dolore che invece sentiva dentro.
Le sue “droghe” l’hanno portata al limite della sua forza emotiva e fisica. Ha saputo nascondere i suoi difetti fino all’ultimo.
Fino al tentativo di suicidio.
Esattamente nello stesso momento in cui, Celieste Adams ha avuto il collasso cardiaco da overdose.
E’ stata trovata nel bagno, in uno stato tale che non voglio rammentare.
Cecilia e Celieste, entrambe potevano morire. Ma solo una è riuscita a salvarsi.

E’ sera, la mamma di Cecilia irrompe nella stanza. Mi da un bacio e poi abbraccia la figlia.
So che questo è il momento giusto per andarmene.
Questa volta posso camminare lentamente.
La mia vita è cambiata, anzi sono stata io a cambiare di fronte alla mia vita.
Ho avuto la fortuna di conoscere un ragazzo, ormai sono quindici mesi e so che fuori dall’ospedale lo troverò pronto a tendermi la mano.
Cecilia, ma soprattutto Celieste mi hanno cambiata. Io sono divenuta ora quello che dovevo essere da sempre. Meno timori, meno pensieri.
Ed ora lo so. In certi casi e con certe persone, sapere di non essere come loro è già una gran bella soddisfazione.

NOTA: 

Spero che vi sia piaciuta questa one-shot. Ammetto che non è il mio genere, ma mi è venuta questa idea così, di impulso.
Fatemi sapere, grazie :)

  
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