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Autore: Aries Pevensie    02/06/2013    6 recensioni
Paz annuì e si mordicchiò il labbro inferiore. Avrebbe avuto degli amici, un giro, qualcuno con cui passare le domeniche, qualcuno da chiamare nel momento del bisogno. Per un attimo si sentì in imbarazzo, non si era mai sentita così voluta bene, anche se le persone che aveva davanti le conosceva da meno di un’ora.
In quel momento Paz capì che la sua avventura a Londra sarebbe stata la sua salvezza, che quella città sarebbe diventata la sua casa e che quelle persone sarebbero diventate la sua famiglia.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa fanfiction la dedico
a mio fratello Filippo. 
Grazie che mi hai accolto
di nuovo nella tua vita. 
Ti voglio bene, davvero.

 

Can I help you?



Capitolo uno – Un arrivo problematico: l’alloggio, Harry, Abigail, Ivy e Jenna

 
Era la prima volta che Paz Gutièrrez metteva piede all’estero; era la prima volta che andava a vivere da sola e per di più si trovava in un Paese completamente nuovo, a lei del tutto sconosciuto. Non ci aveva pensato due volte, però, quando aveva ricevuto la lettera di ammissione alla St. George’s University di Londra. Sua madre Remedios e il padre José erano stati subito felici e disponibili, accettando la scelta della figlia di frequentare la facoltà di medicina in un altro paese.
L’aeroporto di Heathrow era affollato, c’era gente che partiva con le lacrime agli occhi e gente che tornava con il sorriso sulle labbra, c’erano coppie che si ritrovavano e si abbracciavano, bambini che strillavano, altri che ridevano. Paz avvertì un nodo formasi all’imboccatura dello stomaco, una stretta gelida e forte che le impedì per un istante di respirare: lei non aveva nessuno ad accoglierla al suo arrivo a Londra e a mala pena aveva avuto qualcuno da salutare alla partenza da Jeréz.
Si sistemò la borsa in spalla e si diresse a passo svelto verso il ritiro dei bagagli, cercando la sua valigia tra le altre scaricate dal suo volo; una volta scovata, si fece largo tra gli altri viaggiatori in attesa e la scaricò dal nastro trasportatore, che minacciava di inghiottirla di nuovo nelle viscere del deposito.
Sospirò avvilita, quando il quarto taxi che chiamava, le veniva prepotentemente soffiato da qualcuno che, più veloce di lei, riusciva ad aprire la portiera e ad occupare i sedili posteriori. Si lasciò scappare un gemito afflitto e si sedette sul suo bagaglio, aspettando l’arrivo di un altro taxi, pronta, questa volta, a non farselo fregare.
Con non poca fatica, riuscì a spiegare all’autista che era diretta alla St. George’s University e questo la apostrofò e le diede della “stupida turista ispanica”, credendo forse di non essere compreso. Paz si lasciò trasportare da quello che vedeva fuori dal finestrino, anche se tutto sembrava immerso in una nebbia densa e grigia.
Nonostante l’aspetto di Londra e i primi approcci con questa nuova realtà, Paz non riusciva a non sentirsi positiva ed ispirata: voleva proprio scoprire cosa le riservava il destino, perché l’avesse portata proprio nella capitale inglese.
Quando il taxi si fermò di fronte all’imponente cancello dello studentato, la ragazza ringraziò, saldò il conto e scaricò i bagagli. Si concesse un po’ di tempo per guardare l’edificio, poi pescò dalla borsa la sua agenda e cercò il numero del settore dove si trovava il suo alloggio. Sapeva che avrebbe diviso il locale con altre ragazze, ma non sapeva i loro nomi e nemmeno gli ambiti di studio. Sospirò, sorrise sinceramente e raccattò la valigia, incamminandosi lungo il vialetto di ghiaia cosparso di foglie secche e bagnate dalla pioggia. Era stata fortunata, aveva detto il tassista, a trovare tempo sereno. Con tempo sereno, notò Paz, l’uomo intendeva un cielo grigio ed opprimente, con il tramonto che a malapena riusciva a perforare la coltre spumosa.
Si fermò davanti ad una piantina del campus, cercando di individuare il settore D. Seguiva l’andamento degli edifici con la testa, inclinandola e storcendo il collo il modo buffo ed insolito. Sbuffò avvilita e rilassò le spalle, sconfitta: quella piantina era illeggibile. Avrebbe passato tutta la sera a cercare il posto giusto e, a quanto ne sapeva, stava per arrivare la sera. Si lasciò scappare un gemito sommesso nel momento il cui una folata di vento gelida la fece rabbrividire e automaticamente si strinse nella giacca e si sistemò bene il cappuccio, in modo da tenere più riparato il collo.
“Ti serve aiuto?” chiese una voce roca e profonda al suo fianco. Paz sussultò e si voltò, incontrando due occhi smeraldo e un sorriso dolce che moriva in due fossette profonde. Si guardò le mani e deglutì, chiamando a raccolta tutte le sue conoscenze linguistiche, offuscate dalle ore di viaggio.
“Sto cercando il settore D, ma non capisco la piantina!” si lamentò, vergognandosi di essere sembrata una bambina infantile e sprovveduta. Il ragazzo rise senza distogliere lo sguardo da lei, si leccò le labbra e annuì, facendole cenno con il capo di seguirlo.
“Ti accompagno io, è facile perdersi alla St. George’s!”, le porse una mano, “Io sono Harry!” si presentò. Lei gli strinse la mano e sorrise timidamente. Qualcosa dentro di lei le diceva di non fidarsi, forse le continue pressioni di sua madre, che fin da piccola le aveva intimato di non parlare con gli estranei. Ma Paz aveva davvero bisogno di qualcuno che l’aiutasse non solo ad orientarsi, ma anche a fidarsi. Certamente sarebbe andata molto cauta, doveva prima inquadrare bene quel ragazzo che le aveva offerto spontaneamente il proprio aiuto, passando per un impiccione.
“Paz!” rispose, afferrando il manico del suo trolley e seguendo Harry lungo il vialetto. Paz sorrise appena: se avesse seguito il suo istinto, sarebbe andata dalla parte opposta.
“Da dove vieni? Pes non è un nome tipicamente inglese!” cominciò il riccio, cercando di non sembrare inopportuno o sfrontato. Lei ridacchiò appena, più per la pronuncia errata del suo nome, che per la tenerezza che quel ragazzo le suscitava.
“Spagna!” rispose alla domanda, poi si voltò a guardarlo, “Ma si dice Paz!”. Lui aggrottò le sopracciglia e si bloccò sul posto.
“Cosa?” domandò disorientato.
“Il mio nome! Si dice Paz!” continuò lei pacatamente, per niente infastidita dall’errore.
“Oh!”, Harry si grattò la nuca e riprese a camminare, seguito a ruota dalla ragazza.
“Paz…” mormorò tra sé e sé, correggendo la pronuncia. Lei arrossì e nascose il viso nella sciarpa, cercando di non farsi vedere. Il suo nome uscito dalle labbra chiare di Harry, assumeva un'altra sfumatura, più dolce, più profonda. Proprio come la sua voce.
“Siamo arrivati!”, Harry la riportò alla realtà e le indicò una palazzina di mattoni con ampie finestre e fiori ai davanzali.
“Qual è il numero dell’appartamento?”. Paz arrossì e lo guardò sconvolta e Harry capì di aver fatto la figura del marpione. Boccheggiò una scusa e arrossì a sua volta.
“Così ti aiuto a portare la valigia! Non ci sono ascensori…” balbettò, nascondendo le mani nelle tasche della giacca di pelle. La ragazza annuì e tirò fuori di nuovo l’agenda, per essere sicura di non sbagliare.
“Cinque…”, fece il terribile sbaglio di fissarlo negli occhi e si sentì precipitare. Lui annuì e raccolse la valigia di Paz, salendo in fretta i pochi gradini fino al portone e tenendolo aperto perché lei entrasse per prima.
“E’ all’ultimo piano…” borbottò, mentre salivano in silenzio le scale, “Abiterai con una mia amica, Ivy. Studia psichiatria e ha diciannove anni. Tu cosa farai?”.
“Chirurgia d’emergenza.” rispose lapidaria con una scrollata di spalle, “Tu?”
“Pediatria! Io amo i bambini! Passerei tutta la mia giornata con loro e l’idea che possano soffrire mi fa andare in bestia!” si giustificò, senza rendersi conto di aver detto ad una perfetta sconosciuta il suo più grande sogno. Soltanto Ivy lo sapeva, perché di lei ci si poteva fidare.
Arrivarono alla porta in legno laccato di rosso e Harry bussò due volte. Era il suo segno di riconoscimento per le ragazze di quella camera: due volte Harry, tre volte le persone normali.
“Arrivo, Haz!” la voce di Ivy giunse alle loro orecchie e Harry sorrise appena. Quando la porta si spalancò, di fronte a lei, Paz trovò una ragazza dai capelli color miele e gli occhi nocciola rivolgerle un sorriso dolce e sincero.
“Tu devi essere Paz!” esclamò, senza degnare di uno sguardo il povero Harry.
“Sì!” rispose l’altra, sollevata dal fatto che almeno la sua coinquilina sapesse pronunciare il suo nome. Non pensava fosse così difficile dire Paz, c’erano nomi ben più difficili in Spagna, nomi che lei stessa faticava a memorizzare. Eppure Ivy non aveva sbagliato.
“Io sono Ivy Cullen! Vieni dentro, ti stavamo aspettando!”, si fece da parte e Paz entrò nel piccolo appartamento, subito seguita dal riccio, che portava ancora la sua valigia.
Altre due ragazze fecero capolino da una seconda stanza: una aveva i capelli rossi ricci, occhi verdi e un sorriso appena accennato, ma comunque tenero e sincero; l’altra invece era mora, più bassa delle altre, con degli occhi castani che tendevano all’ambra. Si avvicinarono alla nuova arrivata.
“Io sono Jenna Johnson, ma puoi chiamarmi JJ!” disse la prima, porgendole una mano. Paz la strinse senza esitazione e annuì: JJ era un nome ostico da pronunciare per un’ispanica, ma si sarebbe impegnata con tutta se stessa per non risultare una stupida.
“E io sono Abigail Reeve!” proseguì l’altra, salutandola con la mano e inclinando la testa di lato.
“Paz Gutiérrez!” mormorò, arrossendo dolcemente. Harry richiamò l’attenzione delle ragazze, indicando con la testa la valigia che giaceva ai suoi piedi. Ivy si riscosse dal momento e si schiarì la gola.
“Vieni, ti mostro la stanza!”.
L’alloggio era costituito da tre stanze: due camere da letto e una zona giorno comprendente l’angolo cottura, l’angolo studio e un piccolo salotto. Il bagno era abbastanza spazioso, ma Abigail non si risparmiò di criticarlo.
“Il bagno è una miseria, lo sappiamo! Spero tu riesca a farci l’abitudine!”.
“Ho condiviso il bagno con tre maschi e tre femmine, a casa! Penso di riuscire a sopportare!”, accompagnò le parole con un’alzata di spalle e sentì Harry ridacchiare alle loro spalle.
“Ragazze, adesso che Paz è al sicuro, io torno al mio alloggio! Fra due giorni iniziano le lezioni e io non ho ancora sistemato la mia roba!”.
Ivy annuì e lo accompagnò alla porta, ma prima di uscire, il ragazzo guardò Paz.
“Ho come l’impressione che ci vedremo molto spesso!”, sorrise amichevolmente, lasciando che le fossette intenerissero Paz, che annuì e lo salutò con la mano.
Un pregio di Harry era che parlava lentamente e per lei non era difficile capirlo. La barriera linguistica era l’unica cosa che l’aveva messa in serie difficoltà nella scelta di vita: l’alternativa era l’Italia, almeno le due lingue si somigliavano. Ma Paz adorava le sfide e quello sarebbe stato un ottimo trampolino di lancio per staccarsi definitivamente dalla vita opprimente e monotona di Jerez, dove non aveva amici, dove sua madre la tempestava di ansie e preoccupazioni, dove la sua famiglia numerosa soffocava la sua voglia di vivere, dove suo padre passava più tempo al lavoro che a casa.
“Allora, Paz! Quanti anni hai?” domandò JJ, una volta che tutte le ragazze si erano sedute in salotto per conoscersi meglio.
“Venti da meno di un mese!” rispose l’altra, scandendo bene le parole.
“Dobbiamo festeggiare, allora!” esultò Abigail, mettendo in mostra tutta la sua vivacità e facendo ridere la nuova arrivata, che non si aspettava certo di essere accolta subito così bene e di essere così fortunata.
“JJ, Ivy e Harry ne hanno solo diciannove! Sono i piccoli del giro!” sghignazzò Abigail, lasciando perplessa Paz. Quale giro?
“Giro?” diede voce ai propri pensieri.
“Gli amici di Harry…” spiegò pazientemente Ivy “Non studiano alla St. George’s, ma passiamo molto tempo insieme. Harry li conosce da tempo, anche se nessuno di loro ha mai frequentato la stessa scuola! Hanno tutti vent’anni, tranne Louis, che ne ha ventuno.”
Paz annuì e si mordicchiò il labbro inferiore. Avrebbe avuto degli amici, un giro, qualcuno con cui passare le domeniche, qualcuno da chiamare nel momento del bisogno. Per un attimo si sentì in imbarazzo, non si era mai sentita così voluta bene, anche se le persone che aveva davanti le conosceva da meno di un’ora.
In quel momento Paz capì che la sua avventura a Londra sarebbe stata la sua salvezza, che quella città sarebbe diventata la sua casa e che quelle persone sarebbero diventate la sua famiglia. 

Right around the corner
Vediamo un po'. Spero vi piaccia questa fanfiction! L'ho plottata in un momento di disperazione:  dovevo studiare e non l'ho fatto, ovviamente! Sono pronti tutti i capitoli, devono solo essere scritti! 
Volevo brevemente presentare i personaggi! Non ho scelto dei presta-volto, perché vorrei che ognuno di voi si immedesimasse nel personaggio preferito e mettesse se stessa nei  loro panni! 
In linea generale, mi sono ispirata alle mie migliori amiche! Abigail è la tenerezza, è quella che è sempre pronta ad ascoltarti e a consigliarti, che non ti dice che ha bisogno, ma te lo lascia intendere. Jenna è quella riservata, anche lei sempre pronta a regalarti un abbraccio e un sorriso; è un'ottima ascoltatrice e cuoca! Ivy è quella intelligente, quella che si sottovaluta e si sminuisce, ma che sa trovare la forza per dirti che stai sbagliando e per accertarti nonostante i tuoi errori. 
Loro sono la mia famiglia e non so cosa farei senza di loro! Vi voglio bene, ragazze! *3*

Vorrei ringraziare due persone:
Yvaine0, scusa se non ho cambiato il cognome di Ivy, non ho seguito la tua minaccia, ma spero comunque che leggerai anche i prossimi capitoli! Grazie comunque del tuo sostegno! Ti voglio bene!
Armesia, grazie per la spontaneità con cui mi parli, con cui rispondi alle mie recensioni idiote! Grazie perché i racconti del concerto di Verona mi hanno fatta sentire felice per te! Era come se ci fossi stata anche io! Grazie per Apple Juice, grazie! :)

Un grazie infinito a Jas  per lo splendido banner! **
Spero che qualcuno legga, recensisca e apprezzi! Mi farebbe davvero molto piacere! :D

Un bacio a tutti! 
Mariuga
   
 
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