Questo
capitolo finale voglio dedicarlo ad andromedahawke,
che mi è sempre stata “vicina” durante la pubblicazione di tutta la storia,
nonostante la mia brutta abitudine di sparire dopo qualche capitolo XD Sei
stata eccezionale! Non ti ringrazierò mai abbastanza!
Capitolo Quattordicesimo
Redenzione
Il
comunicatore distorce un po’ la voce di Kolyat. La rende metallica, le
interferenze mascherano un po’ la preoccupazione e nascondono la tristezza.
Hiram
annuisce, lentamente, mentre il nipote gli spiega la situazione.
-
Siete al Huerta Memorial?- chiede
-
Sì.- risponde Kolyat - la dottoressa Michelle dice di poter intervenire per
suturare la ferita e ridurre in parte le lesioni interne. Ma dice anche che,
date le condizioni di salute di mio padre… l’operazione potrebbe essere
inutile. Zio…- la voce del drell trema, per un attimo sembra sul punto di
spegnersi -… non so cosa fare…-
Hiram
serra la mano a pugno, tanto forte da farsi male alle dita.
E’
ingiusto. Ingiusto che la speranza gli sia sottratta quando manca così poco.
-
Sarò lì appena possibile.- risponde,
cercando di sembrare rassicurante - che la dottoressa Michelle prosegua con
l’intervento. Per adesso, è l’unica cosa che possiamo fare. Notizie di
Shepard?-
-
Lei e il maggiore Alenko hanno salvato il Consiglio. Per il resto… credo stia
venendo qui.-
-
Va bene…- Hiram scaccia le lacrime, che gli offuscano la vista -… sarò lì
appena possibile.-
Spegne
il comunicatore. Poi resta immobile, a fissare il factotum, come in attesa di
una rivelazione.
All’improvviso,
una voce lo scuote dalle sue riflessioni. E’ flebile, roca, stanca.
-
Va male, vero?- chiede Athira Kane.
La
giovane drell lo osserva, dalla soglia della porta. Una coperta le cinge le
spalle, cercando inutilmente di proteggerla da un gelo che non viene
dall’esterno, ma che è annidato dentro il suo corpo. Cammina a stento,
appoggiandosi al muro. I suoi occhi sono opachi, offuscati dalla malattia.
-
Non si può sapere.- risponde Hiram
-
Dottore, sappiamo entrambi cosa succederà ora.- un colpo di tosse interrompe la
frase. Athira tace per qualche istante, riprendendo fiato, poi si siede, di
fronte all’altro drell.
Si
muove lentamente, maldestramente. Le gambe le tremano.
-
L’intervento forse gli darà qualche giorno di tempo. La sindrome di Kepral è ad
uno stadio troppo avanzato. Le proteine ossigenanti sono danneggiate o
distrutte.-
-
Non si può sapere.- replica Hiram, ostinato.
-
Cosa ti manca, per avviare la clonazione?-
-
Il tessuto polmonare. E’… è la base di tutto. La chiave di volta. Se ne avessi
abbastanza, potrei creare in tempo un organo nuovo. L’impianto sarebbe
rischioso, un azzardo… ma sarebbe una speranza.-
Un
pallido sorriso compare sulle labbra di Athira:- puoi avere il mio.- mormora
Hiram
la guarda, senza capire:- cosa?-
-
Se morissi oggi, potresti usare il mio tessuto polmonare per la
sperimentazione?-
Il
dottore si avvicina alla giovane, prendendo le sue mani fra le proprie.
-
Non morirai oggi, Athira.-
-
Ma se succedesse?-
-
In linea teorica, potrei… ma non succederà.
Athira… non succederà.-
La
ragazza sorride e, per un attimo, il suo viso sembra bello come un tempo, come
prima che la malattia lo stravolgesse. I suoi occhi sembrano di nuovo luminosi,
la sua bocca felice.
-
Finora…- sussurra, accarezzando le mani di Hiram -… ho sempre preso le scelte
sbagliate. Per come la vedo io, sono di fronte all’ultimo bivio. Posso
aspettare che la malattia faccia il suo corso, per morire in un letto
d’ospedale, imbottita di tutti i farmaci del mondo e, alla fine, sola con i
miei ricordi, con i miei rimpianti, con la coscienza di non aver mai fatto
nulla di buono, in tutta la mia vita. Posso morire così, sola, triste,
spaventata, accerchiata da medici sconosciuti e da agenti dell’SSC e della
Primazia Illuminata che mi guardano come si guarda un’assassina. Oppure…- si
ferma, riprende fiato, guarda Hiram negli occhi, con un misto di speranza e
disperazione -… oppure posso morire oggi, alle mie condizioni. E raggiungere
l’Oceano con la consapevolezza di aver aiutato qualcuno. Di aver dato una
speranza a chi la merita davvero. Tutti gli errori che ho commesso… li ho
commessi cercando la redenzione. Ora ho l’opportunità di fare ammenda per i
miei peccati. Di…- le lacrime iniziano a scorrerle sulle guance -… di dare un
senso alla mia morte.-
Hiram
arretra, crollando su una sedia.
Sente
un grande dolore nel cuore, una grande desolazione. Si sente schiacciato,
oppresso. Si sente un bambino davanti ad una questione troppo grande, ad un
dilemma senza soluzione.
Shepard
è seduta nella sala d’aspetto del Huerta Memorial. Non si è nemmeno cambiata.
Ha delle macchie, di sangue e di fuoco, che rompono il bianco asettico della
sua corazza. Ha ancora la pistola assicurata al fianco, il factotum s’illumina
di continuo, mentre il mondo cerca di parlare con lei.
Eppure,
lei lo ignora. Ignora la galassia, il Consiglio, l’Alleanza, ignora Cerberus e
i Razziatori.
La
comandante ha fatto il suo dovere. Ha salvato il Consiglio. Udina è morto.
Adesso
è il turno della donna e il suo unico compito, in quel momento, è stare seduta
in una sala d’attesa, torcendosi le mani in grembo e mordicchiandosi il labbro
inferiore. Sembrando una ragazzina.
-
Parlato con dottoressa Michelle.- annuncia Mordin, apparendo da una porta
laterale.
-
Allora?- lo incalza Shepard.
-
Intervento procede bene, ma scorte di sangue drell a disposizione molto
limitate. Kolyat sta venendo preparato per prelievo e verificheremo
compatibilità anche di dottor Zane, quando sarà qui. Prognosi però non buona.
Situazione di Thane peculiare. Stadio di sindrome molto avanzato.-
-
Cosa dice la dottoressa Michelle?- insiste la comandante
-
Dice intanto di pensare ad operazione attuale. Priorità è ridurre danni al
minimo. Controllare sanguinamento interno, richiudere ferita. Poi, pensare ad
altro. Chiamato dottor Zane, in arrivo.-
Si
siede accanto a Konstantin, appoggiandole una mano sulla spalla
-
Presto finito.- la rassicura, sorridendo.
(Un’ora dopo)
La
prima cosa che nota, entrando nella camera d’ospedale, è il silenzio.
Nessun
macchinario sibila istericamente, nessun monitor emette fastidiosi bip.
Kolyat
è accanto al letto di suo padre. Tiene fra le mani un libro di preghiere, nero,
sobrio, elegante.
- Siha.- sussurra Thane, vedendola
entrare.
Lei
annuisce, gli si avvicina come in un sogno.
La
realtà sembra un riflesso distorto in uno specchio. Sembra un vetro inclinato,
pronto a spezzarsi alla minima pressione. Anche Shepard si sente come un vetro.
Fragile.
-
Kolyat mi ha detto che hai salvato il Consiglio.-
-
No.- Konstantin scuote appena il capo, accarezzando la mano di Thane -… tu hai salvato il Consiglio.-
Il
drell sorride, prendendo la mano di lei nella propria.
-
E’ stato bello, siha.- sussurra,
guardandola negli occhi.
E
lei vorrebbe dire che continuerà ad
essere bello, ma le parole le s’impigliano in gola, rimangono bloccate.
Una
lacrima le riga la guancia.
-
Anche per me è stato bello.- riesce a pronunciare, alla fine - sei stata la
cosa migliore che mi sia mai capitata, in tutta la vita. E non scambierei per
niente al mondo il tempo che abbiamo passato insieme.-
Thane
le accarezza il viso, prima di baciarla dolcemente sulle labbra.
-
Ci rivedremo, siha.- mormora - te lo
prometto.-
Ogni
manuale di psicologia dice che ci sono delle fasi di accettazione del dolore.
Che si passa da un’emoziona all’altra, finché la sofferenza scema e rimane una
sensazione di malinconica pace.
Eppure,
Shepard sente solo il dolore. Il dolore puro, tagliente, affilato, il dolore
profondo che lacera qualunque cosa lei abbia nel petto. Il dolore che riduce il
suo cuore ad una poltiglia sanguinolenta che a stento ricorda cosa significhi
la parola “felicità”.
-
Hiram pensa che…-
Thane
la blocca, prima che possa parlare:- Kolyat me l’ha riferito. La mia risposta
non cambia, siha. Ho passato gli
ultimi anni a prepararmi per questo momento. Voi avete reso meravigliosi i miei
ultimi mesi, avete dato alla mia vita un significato che nemmeno io riuscivo a
comprendere.- li abbraccia con lo sguardo. Suo figlio e la sua compagna, le
persone che gli hanno dato un motivo per continuare a vivere - Prendetevi cura
uno dell’altra.-
-
Lo faremo.- lo assicura Kolyat, rispondendo per entrambi.
Shepard
annuisce, con il capo, senza parlare.
La
sua mente è rimasta bloccata indietro e non riesce a smettere di pensare alla
notte prima della missione suicida. Mentre
Avrebbero
dovuto morire quel giorno, realizza. O in qualunque altro giorno.
Ma
avrebbero dovuto morire insieme.
Perché
come può uno vivere senza l’altra? Come si sopravvive alla rottura di un legame
tanto profondo?
Epilogo: due mesi dopo
C’è
una foto, sul comodino.
Davanti
ad essa, un mazzo di fiori bianchi.
Shepard
si guarda allo specchio.
L’abito
scuro le fascia il corpo, evidenziando le forme di un soldato, non di una
donna.
-
Sei pronta?- le chiede dolcemente la voce di Kolyat.
La
comandante stropiccia fra le mani un foglietto di carta
L’immagine
che lo specchio le restituisce è così strana, così diversa dall’idea che ha di
sé stessa.
Ha
i capelli sciolti. Sono appena lavati, eppure sembrano opachi, privi di luce.
Una ciocca le scivola in mezzo alla fronte. I suoi occhi sono un po’ arrossati,
le profonde occhiaie spiccano sulla carnagione pallida.
-
Sono pronta.- risponde, dopo un lungo silenzio.
-
Bene.- Hiram, alle sue spalle, annuisce - Ci stanno aspettando.-
Il
medico indossa un abito blu scuro, il colore del lutto secondo la tradizione
drell.
Kolyat
prende la foto e il mazzo di fiori e, insieme, escono dalla stanza.
Hanno
allestito la commemorazione nell’appartamento di Shepard. Sembrava inadatto ma,
in fondo, era il posto migliore. I membri dell’equipaggio sono già lì.
Shepard
prende un lungo respiro profondo ed inizia.
- Ho tentato.- dice - Per tutta la mia vita, ho sempre tentato di fare la cosa giusta. Ma a
volte fare la cosa giusta significa rendersi conto dei propri errori ed
affrontare la fine con serenità.- solleva il foglio di carta, leggendo le
parole della lettera - So che la mia fine
sembra brutta, sembra un dolore senza ragione, ma non è così. Per la prima
volta dopo tanti anni, non ho paura. E la serenità mi accompagnerà nell’ultimo
viaggio. Raggiungerò l’Oceano con la consapevolezza di aver fatto qualcosa di
buono. I miei pensieri vanno a coloro che rimangono, il mio affetto a chi ha
sempre lottato e ha saputo rimanere integro. A chi ha avuto il coraggio delle
proprie emozioni, a chi sa affrontare le sfide della vita. Morire non è mai la
scelta giusta. Era destino che lo capissi solo alla fine. Ma io ho scelto come morire, ho scelto il senso da dare alla mia
fine.-
Shepard
tace per qualche secondo, finché le eco della sua voce non si sono spente.
-
Così - dice poi - così scriveva Athira Kane, pochi minuti prima di togliersi la
vita. Chi l’ha conosciuta, sa che aveva fatto degli errori, errori da cui si
sentiva oppressa e per cui non sapeva darsi pace. Eppure, non dimentichiamo chi
lei era, prima della sindrome di Kepral, prima della setta, prima di tutto.
Athira Kane era una studentessa, una ragazza come tante, di quelle che potremmo
incrociare per strada…-
Mentre
Shepard parla, Hiram sente la commozione gonfiargli il petto e, inevitabilmente
un ricordo gli sale alla mente. Ma non è il ricordo che pensa. Non è l’immagine
di quando, entrando nell’infermeria della Normandy, l’ha vista distesa su una
barella, perfettamente immobile, con quella lettera fra le mani.
No,
è il ricordo di quando l’ha conosciuta.
“Un pomeriggio umido.
Kahje.
Attività di laboratorio.
Frenesia.
- Oggi viene la nuova
assistente.- dice Timala.
Sorride, mescola il caffè
tre volte, prima di berlo. Soffia sul bicchiere, spostando un nuvola di calore.
- Ripetimi perché abbiamo
bisogno di un’assistente?- chiedo, controllando una simulazione.
Il monitor ronza
leggermente, emana una luminescenza azzurrina.
Timala si siede su un
macchinario, accavallando le gambe. Inclina la testa. Le sfugge una risata.
- Perché siamo dei
pionieri, Hiram. Perché cureremo
Hiram
sospira - non sa se di dolore per quello che ha perso o se di gioia per quello
che ha trovato -.
Alla
fine, il loro progetto è stato realizzato. Attraverso la morte, la distruzione,
il tradimento, ma anche grazie all’amore, alla tenacia, alla fiducia reciproca.
E ad Athira.
Ad
Athira che aveva studiato medicina e che sapeva bene come morire, lasciando
inalterati i propri organi interni. Ad Athira che ha voluto decidere e che ha
inseguito la redenzione fino all’ultimo battito di cuore.
Ad
Athira che, un tempo, è stata davvero
una ragazza come tante, per quanto retorico questo possa sembrare.
“- Salve.-
Mani lisce, una stretta
emotiva e un po’ incerta.
Ha un bel sorriso. Il
camice profuma di lavanderia.
- Sono Athira Kane. E’
davvero un piacere conoscerla, dottor Zane.-
- Il piacere è tutto mio.-
sorrido a mia volta, incoraggiante.
E’ giovane, è bella, è
solare.
Timala porta un bicchiere
di caffè. Calore. Profumo intenso. Plastica tiepida sotto le dita.
- Sarà un lavoro duro…-
esordisce, levando alto il caffè, come un augurio.
Entusiasmo, consapevolezza.
La imito. Il ricordo di Irikah sorride, nella mia memoria.
-… ma riusciremo dove altri
hanno fallito. E, in tutto ciò, troveremo anche il modo per divertirci!-
Rido. Brindiamo. Bevo il
caffè. Scotta.
E’ l’inizio di un nuovo
giorno. Speranza.”
Il
silenzio interrompe le riflessioni del medico.
L’elogio
funebre è terminato e, nell’aria, è rimasto solo il profumo dei fiori bianchi e
quella strana sensazione, di malinconia, di rimpianto, ma anche di profonda
gratitudine.
Terminata
la commemorazione, Shepard prende un trasporto rapido.
Mentre
Pensa
alla speranza, al dolore che si prova quando qualcosa che sembrava ad un punto
dal realizzarsi s’infrange come vetro al contatta con la realtà.
Ma
pensa anche alla gioia che si prova quando, raccogliendo i cocci, si scopre che
c’è ancora qualcosa da salvare, qualcosa da ricostruire.
Cerberus
sta ancora cercando di mandare all’aria i suoi piani. La galassia sta ancora
per essere distrutta.
Scende
dal trasporto rapido, attraversa la strada a passo rapido.
Entra
nella grande struttura. E’ bianca, asettica, ma non è mai stata così bella.
Saluta
l’infermiere all’accettazione. Oltrepassa un lungo corridoio pieno di porte
uguali e di sedie di plastica.
Ne
apre una, e sorride.
Ma
ogni piccola battaglia vinta è pur sempre una battaglia vinta.
-
Ciao, siha.-
-
Ciao, Thane.-
L’ultima Coda
Signori, è finita.
Ora,
per me è davvero epico riuscire a concludere un progetto più lungo di cinque
pagine e più articolato di una riflessione introspettiva, quindi sono davvero
entusiasta.
Guardando
la fic dal principio, non so, qualche riflessione viene spontanea: l’inizio non
mi piace più ma, ad ogni buon conto, sono soddisfatta della fine ed anche del
corpo centrale. Alla fine ha assunto un tono diverso da quello che era il mio
intento iniziale e le vicende hanno avuto un diverso sviluppo (non a caso nell’introduzione
c’è una citazione da un pezzo che - beh - semplicemente non ho inserito, quindi
mi sa che la cambierò, prima o poi XP).
Sto
lavorando sulla prossima avventura del comandante Shepard e del suo equipaggio,
quindi spero di rivedere presto tutti voi lettori, a cui va il mio più sentito
ringraziamento.
Un
grande bacio a tutti!!
-