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Autore: EmmaStarr    03/06/2013    10 recensioni
Scuotere la testa però non era utile, e Peeta lo sapeva. Come avrebbero fatto adesso Katniss e la sua famiglia a vivere? Supponeva di non potergli dare pagnotte bruciate per il resto della vita.
Tutto quello che sapeva era che l'idea di non vederla più tutti i giorni era intollerabile.
* * *
Katniss era perfetta, era splendida, era speciale. Avrebbe tanto voluto essere al posto di Prim, di quello scricciolo indifeso, solo per farsi abbracciare così dalla sua fata.
Anche solo per un po'.
* * *
Quando il nome che uscì non fu quello di Katniss Everdeen, Peeta fu così sollevato che non sentì nemmeno il nome del Tributo maschio.
Che, per inciso, non era il suo.
* * *
Peeta Mellark, alle prese con le prime tappe del suo amore per Katniss. A cinque anni o a sedici, a scuola o a casa, alla prima o alla quinta mietitura, la costante nella sua vita è una sola: una fata dalla voce di un angelo, che lui proteggerà a costo della vita. La sua Katniss.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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JEU D'AMOUR


 

Alla più stupida ragazza che conosco,
Perché è stata tanto malvagia da convertirmi alle Peeta/Katniss
Cancellando ogni mio contatto con il Team Gale.
Perché è assurdamente bassa,
Ma è la miglior Cattiva, Poof Poof, Mamma e Gane del mondo.
Però, gente, è davvero bassa.
Tanto.
Ti voglio bene, sai? Questa la dedico a te perché mi hai costretto tu a scriverla.
Non con un bazooka, ma quasi.
Emma





Peeta sospirò piano, lanciando ancora un'occhiatina nella sua direzione.

Era davvero bella, quella bambina. Katniss, se non aveva capito male.

Gli piaceva come suonava. Katniss. Aveva un che di musicale, sottile, sfavillante.

E poi, anche lei era bella. Bellissima. Con quei capelli così lunghi, e quegli occhi così scuri...

Peeta arrossì al pensiero: sì, Katniss era speciale, e non solo per com'era bella.

Cantava molto bene, come un angelo.

Chissà se poteva cantare ancora un pochettino? Solo una nota o due.

Il bambino la fissò un attimo ancora, prima di voltarsi definitivamente. Non poteva chiederle di cantare, era troppo imbarazzante!

Ma quella voce, quella voce era davvero bella.

La immaginò pronunciare il suo nome, magari con allegria e dolcezza, ridendo. Peeta! Ehi, Peeta! Diventiamo amici? Peeta!

Sapeva che non poteva succedere, lo sapeva.

Allora, perché stava sorridendo come uno scemo?

Oh, i suoi fratelli l'avrebbero preso in giro fino alla morte, se lo avessero saputo.

 

* * *

 

Peeta aveva quasi otto anni. Era grande, ormai.

O almeno, la sua mamma diceva così. Gli aveva organizzato una festa a casa sua, e gli aveva detto di invitare i suoi amici.

Peeta ne aveva, di amici, e anche tanti. Ma voleva che venisse lei.

Si conoscevano solo a malapena, anzi: Peeta non ricordava di averle mai rivolto la parola. Eppure voleva con tutto il cuore che anche Katniss venisse alla sua festa, che cantasse Tanti auguri a te con gli altri, ma solo per lui.

Katniss avrebbe cantato per lui, per lui! Oh, impazziva al pensiero.

Certo, prima la doveva invitare. E chissà se avrebbe accettato?

La giornata passò in uno stato di agitazione tremendo. Il bambino si torturava le mani in continuazione e non faceva altro che mangiarsi le unghie. La maestra gli aveva persino chiesto se stesse bene o se aveva bisogno di andare a casa, ma lui aveva scosso freneticamente la testa assicurandole che stava bene.

Starò bene quando inviterò Katniss, si corresse nella mente.

Oh, ma perché tremava tutto? Aveva otto anni! Otto è molto più di sette, ragionò. Se a sette anni poteva aver paura, bé, a otto anni no.

 

* * *

 

Quel giorno, durante l'ora di disegno, Peeta disegnò un biglietto di invito. Era proprio bello, tutto pieno di fiori e colori e girandole. Anche la maestra disse che era bello, e Peeta si sentì orgoglioso del suo lavoro.

Scrisse in bella grafia Per Katniss sul retro del foglietto e lo piegò con cura sul banco, soddisfatto.

In quel momento suonò la campanella.

Peeta aspettò Katniss fuori dalla scuola per un po', finché non la vide. Era bella, bellissima, come al solito.

Rideva, rideva forte abbracciata ad un uomo che Peeta indovinò essere suo padre. L'uomo che anche gli uccelli ascoltavano cantare. Come Katniss. Ragionò Peeta. Se è come Katniss, non può essere una cattiva persona.

L'uomo teneva in braccio una bambina sui tre, quattro anni, e la porse con solennità alla figlia.

Lei sorrise, estasiata, le fece fare una giravolta e la fece ridere. Ridevano tutte e due, erano decisamente sorelle.

Poi i tre si avviarono verso il Giacimento, ridendo e stando abbracciati.

In tutto questo, Peeta non si era mosso.

Cercò di imporre alle sue gambe di muoversi, di rincorrere quella specie di famigliola felice, di darle il suo biglietto. Ma le sue gambe non facevano mai quello che diceva lui.

Quindi non poté fare altro che guardarli andare sempre più lontano, senza fare niente, finché non voltarono l'angolo e sparirono.

Peeta si sentiva morire. Perché non si era mosso? Aveva paura che dicesse di no?

O forse, forse era stata un'altra cosa. Forse sentirla ridere gli aveva rapito l'anima, e con essa la ragione.

Era pazzo, sì.

Pazzo di quella bellissima bambina che rideva come una fata e cantava come un usignolo, che però non avrebbe cantato per lui.

Si voltò, cercando di trattenere le lacrime di delusione.

L'anno prossimo compio nove anni. Nove è molto più di otto. Alla prossima festa la invito di sicuro.

 

* * *

 

Assurdo come Katniss sembrasse bella anche con le labbra screpolate e le guance scavate.

Strano come, anche con la voce roca dalla fame e le mani scheletriche, riuscisse a sembrare lo stesso una fata.

Una volta, la sua mamma gli aveva raccontato la storia di una fata prigioniera, e poi un cavaliere la andava a salvare. Allora la fata si innamorava di lui e lo sposava.

Lui non si sentiva tanto un cavaliere, lì in casa sua al caldo mentre la sua fata moriva di freddo sotto la pioggia, ma cosa poteva fare? Aveva solo undici anni.

Undici è più di sette, più di otto e più di nove, ma non è comunque abbastanza per salvare una fata in pericolo.

Guardò fuori dalla finestra, affranto.

La sua fata stava male, stava tanto, tanto male. Cosa poteva fare? Cosa doveva fare?

Il suo sguardo si posò sulle pagnotte che stava cuocendo. E se...

Un timido sorriso si aprì sul suo volto.

La sua fata aveva bisogno di lui.

 

* * *

 

Katniss non veniva più a scuola.

Peeta sapeva cos'era successo, lo sapevano tutti. Suo padre. L'uomo che anche gli uccelli ascoltavano cantare. Un incidente nel Giacimento, dicevano tutti scuotendo la testa.

Scuotere la testa però non era utile, e Peeta lo sapeva. Come avrebbero fatto adesso Katniss e la sua famiglia a vivere? Supponeva di non potergli dare pagnotte bruciate per il resto della vita.

Tutto quello che sapeva era che l'idea di non vederla più tutti i giorni era intollerabile.

Mano a mano, ogni tanto, Katniss tornava a scuola. Ma mai più di due giorni di fila.

Nessuno sapeva dove andava – neanche lui, finché in casa sua non arrivò il primo scoiattolo.

Ed ecco: la sua fata era diventata una cacciatrice. Abile, letale. Una cacciatrice brava, svelta, agile.

A volte la vedeva, al mattino presto, correre veloce verso la recinzione. I Pacificatori chiudevano un occhio, dal momento che anche loro sfruttavano la selvaggina che Katniss prendeva, ma a volte Peeta si era ritrovato a sperare che la fermassero, che le impedissero di andare.

Insomma, non sapeva come prendere la cosa. In fondo era un bene, no? La sua fata poteva cavarsela da sola. Avrebbe avuto di che vivere, non sarebbe morta di fame.

Però, dall'altro lato, sentiva che così l'avrebbe persa. Insomma, non che fosse mai stata alla sua portata, però prima aveva avuto almeno una chance.

Ora invece era dolorosamente chiaro: la sua fata non doveva più essere salvata.

E allora, come faceva ad innamorarsi del cavaliere?

 

* * *

 

La sorellina, invece, andava a scuola tutti i giorni.

Sembrava un topolino, tutta rannicchiata, triste e spenta. Certo, perdere il padre non doveva essere una passeggiata.

Peeta era dispiaciuto. Provò anche a parlarle un po', ma la bambina sembrava essere persa nel suo mondo, un mondo tutto buio e triste.

Prim, si chiamava. Primrose Everdeen, detta Prim. Katniss aveva un modo tutto suo di pronunciarlo, con una “i” tanto acuta da sembrare una nota musicale. La chiamava sempre così, e a Peeta piaceva immaginare che stesse cantando per davvero: in fondo, erano secoli che non la sentiva cantare.

Peeta la ammirava moltissimo, Katniss, per come trattava la sorellina. I suoi fratelli non facevano mai così.

Avevano quattro e tre anni più di lui, e si comportavano come se ne avessero venti. Non giocavano mai con lui, non lo abbracciavano mai.

Katniss era perfetta, era splendida, era speciale. Avrebbe tanto voluto essere al posto di Prim, di quello scricciolo indifeso, solo per farsi abbracciare così dalla sua fata.

Anche solo per un po'.

 

* * *

 

E anche la sua prima Mietitura arrivò.

Quella volta, persino i suoi fratelli si erano preoccupati un po' di lui, mettendolo elegante e facendo battute stupide che però lo fecero sentire un pochettino meglio.

Riusciva a pensare solo ad una cosa.

Io ho solo un biglietto. Katniss ne ha molti di più. E se la scelgono?

Si chiese se avesse avuto la forza di offrirsi volontario, e con orrore si rese conto di non conoscere la risposta.

L'ansia gli attanagliava lo stomaco come una bestia famelica, pronta a divorarlo. Perché esistevano gli Hunger Games?

Peeta non lo sapeva, ma sentiva nel suo piccolo cuore di dodicenne che c'era qualcosa di profondamente ingiusto in tutto ciò.

Quella strana signora tutta in rosa trillò con la sua voce tanto acuta le parole che Peeta si augurava di non dover sentire mai: “Prima le signore!”

Quando il nome che uscì non fu quello di Katniss Everdeen, Peeta fu così sollevato che non sentì nemmeno il nome del Tributo maschio.

Che, per inciso, non era il suo.

 

* * *

 

Passò anche un'altra Mietitura, e un'altra, e un'altra ancora.

Passarono tre Mietiture senza che né Peeta né Katniss venissero scelti come Tributi, e questo cominciava a farlo sperare: forse era un segno del destino. Forse lui e Katniss potevano...

Ma poi arrivò la loro quinta Mietitura. Quella dei sedici anni.

Come ogni volta, prese a pregare con ogni fibra del suo corpo che il nome estratto non fosse quello di Katniss (quanti biglietti c'erano con il suo nome sopra? Venti? Di più? Non voleva saperlo).

E quando Effie Trinket trillò il nome dell'estratta, per un microscopico istante Peeta tirò un sospiro di sollievo.

Non era Katniss.

Poi, però, si rese conto che anche se non era Katniss la cosa era ugualmente terribile. Sua sorella. Sua sorella!

Katniss non si sarebbe mai più ripresa, mai più. Sarebbe morta di dolore, Peeta lo sapeva, e non c'era pagnotta che potesse sollevare un animo tanto distrutto.

Chissà come l'avrebbe presa la sua fata, chissà quante lacrime, quante ingiurie, quanto dolore. Peeta non sarebbe mai riuscito a sanare quel dolore, lo sapeva.

Insomma, credeva di saperlo. Credeva di sapere che offrirsi volontari era la cosa più improbabile che potesse succedere – nella sua mente era più probabile che un Pacificatore decidesse di fermare tutto – e invece successe.

Katniss, la sua Katniss, la sua fata, si fece avanti.

Volontaria.

Per morire.

Per la prima volta, Peeta si ritrovò a sperare disperatamente di venir estratto come Tributo, per starle vicino, per proteggerla.

In seguito, si ricordò di non desiderare mai più nulla.

 

* * *

 

Doveva dirlo.

Doveva dire al mondo di chi era innamorato, prima che fosse troppo tardi.

Doveva dirlo ora che Caesar gliene aveva offerto una possibilità tanto allettante.

Ma come avrebbero reagito tutti? Katniss era del Giacimento, e questo sua madre non l'avrebbe mai accettato. Non che gli importasse poi molto, ma lei? Come l'avrebbe presa la diretta interessata?

In fondo, sapevano entrambi benissimo che uno dei due sarebbe morto.

Non lei, disse con fermezza una voce nella sua testa.

Tutto ciò somigliava spaventosamente ad una sentenza di morte, ma Peeta cercava di non pensarci. Perché Katniss era forte, bella, buona, tosta. Fantastica.

Fatata.

E le fate non muoiono, le fate vivono e cantano e fanno stare bene le persone: quello faceva Katniss, quello aveva sempre fatto.

Quindi ora Peeta l'avrebbe detto, e non importava se tutti gli avrebbero riso in faccia, o se lei lo avesse rifiutato pubblicamente saltando sopra il palco a tempestarlo di pugni.

Perché lui era innamorato di Katniss Everdeen, punto e basta.

 

* * *

 

Era fatta. La sua fata era salva.

Cato non l'avrebbe avuta, mai. Perché era scappata, era in salvo, e in fondo non aveva tante punture addosso, no? E non era ancora morta, non l'aveva vista in cielo. Quindi era al sicuro.

O almeno, doveva esserlo.

In fondo, Peeta aveva passato metà del tempo a dormire e l'altra a delirare, là in quella posizione tanto scomoda e pericolosa, nel fango, in bilico tra la vita e la morte.

Riusciva a pensare solo a Katniss: Katniss, sei qui? Katniss, sei viva? Katniss, torneremo a casa? Katniss, lo sai che sei bellissima? Katniss, sei qui?

Ma non era mai lì, Peeta lo sapeva. O meglio, credeva di saperlo. Insomma, era confuso anche lui.

Poi, l'annuncio. Potevano vincere tutti e due per davvero? In realtà credeva di averlo sognato, non ne era sicuro al cento per cento.

Insomma, era troppo bello! Certo, ammesso e non concesso che Katniss sapesse trovarlo: desiderò essersi nascosto un po' meno bene.

Dormì, delirò e soffrì tantissimo, in quella giornata di arsura bollente e di fame e di sete.

Katniss, sei qui?

Forse era davvero lì.

“Sei venuta a darmi il colpo di grazia, dolcezza?”

E fu così che la fata salvò il cavaliere. Ottimo.

 

* * *

 

La fata salvò il cavaliere un'altra volta, andando a prendere una medicina per lui a rischio della vita.

Ma il cavaliere non voleva che la fata morisse per lui, quindi cercò di uccidersi affinché lei potesse salvarsi.

Alla fine, per qualche misterioso motivo, sia la fata che il cavaliere sopravvissero, e si incontrarono, e fecero un'intervista, e si baciarono, e stavano tornando a casa.

Peeta era felice, era al settimo cielo. Non riusciva a crederci, era troppo strano.

Però... Però qualcosa non quadrava ancora: se lui era il cavaliere, bé... perché non l'aveva ancora salvata, la sua fata?

C'era qualcosa di stonato, in quella canzone d'amore, qualcosa che non funzionava bene. Come l'aveva conquistata, Katniss?

Quando la verità uscì fuori, alla fine, Peeta non ne fu nemmeno tanto sorpreso.

Ma non si diede per vinto: era chiaro, finora la fata si era preoccupata del cavaliere e l'aveva tenuto in vita.

Ora toccava al cavaliere: l'avrebbe conquistata, piano piano, col tempo.

Ne era sicuro, ce l'avrebbe fatta.

Lui era il Ragazzo del Pane, e il pane all'inizio è piccolo e basso. A lievitare ci mette un po', ma quando lo fa... quando lo fa diventa enorme, e buonissimo.

Che il suo amore potesse lievitare, germogliare, crescere, fino ad avvolgere Katniss nel suo profumo e nel suo calore.

Per sempre.



 

Angolo dell'autrice:

 

Ok, ed ecco il mio esordio su questo fandom.
Spero davvero che vi piaccia, mi sto avvicinando a Peeta solo di questi tempi (ringraziando qualcuno che mi ha convertita... Gale mi manchi!) ma ormai sto cadendo nelle suadenti spire del Ragazzo del Pane.
Perché sì, è troppo dolce, con il suo essere innamorato di Katniss fin da piccolo...
Quindi ecco, ho provato a immaginare come fosse da piccolo ed il resto è uscito da solo.
Spero che vi piaccia!
Grazie a chi recensirà, anche un commento piccolo piccolo! >.<
A presto, un bacione, vostra
Emma ^^

  
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