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Autore: Shainareth    03/06/2013    7 recensioni
«Scusa se arrivo così all’improvviso», cominciò il giovane sciogliendo l’abbraccio e cercando di celare l’emozione, troppo forte perfino per esser sepolta sotto il suo incrollabile orgoglio, «ma mi sono perso nei dintorni, e così…»
La ragazza rise facendo scivolare via le braccia dal collo dell’amico. «E ci hai impiegato così tanto tempo per tornare qui? Oddio! Non puoi nemmeno immaginare quanto… quanto…» Ma non riusciva nemmeno a trovare le parole adatte. Era troppo contenta per connettere cuore e cervello. Si limitò quindi a prenderlo per mano e a trascinarlo via da lì.

Shot affiliata alla serie di Piece Main e ambientata dopo il settimo capitolo della prima long, benché contenga anche alcuni riferimenti ai capitoli 97 e 98 di quest'ultima. La dedico a tutti i lettori della saga e, soprattutto, alle meravigliose utenti del Midori Mikan.
*** Fanfiction partecipante alla settimana ZoNami indetta dal Midori Mikan ***
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Piece Main'
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PIECE MAIN
- Felicità -



Passeggiava a piedi nudi sulla sabbia, i sandali in mano, il profumo di salsedine nelle narici, il rumore del mare nelle orecchie, la luce della luna e delle stelle che brillava sui capelli chiari e sul viso ormai adulto. Si soffermava, di tanto in tanto, accanto alla riva, e con il tallone tracciava i contorni di una nave che poi venivano continuamente cancellati dalle onde che andavano dolcemente a morire attorno alle sue caviglie. Tutt’intorno non c’era anima viva. Era sola. Sola e immersa in mille pensieri, in mille ricordi, alcuni dei quali erano così dolorosi che avrebbe voluto che le venissero cancellati dall’anima come i disegni sulla sabbia. Altri, però, la maggior parte, i più dolci, i più belli, li conservava gelosamente dentro di sé.
   Spostò lo sguardo verso il riflesso delle acque: tante volte era venuta a giocare lì da bambina con sua sorella. Poi, però, tutto era finito così bruscamente che ancora le sembrava di udire il rumore assordante di quella maledetta pistola. Quel che avevano fatto a lei avrebbe anche potuto dimenticarlo, forse, un giorno; ma quello che avevano fatto a sua madre, mai. Alzò gli occhi verso la scogliera dove, in lontananza, si stagliava ancora la piccola croce di legno contro la luce della luna che illuminava quell’enorme distesa blu che tanto amava e che ancora, lo sentiva, la chiamava incessantemente.

China sul suo lavoro, penna alla mano, la boccetta d’inchiostro sommersa dai tanti schizzi, una grande cartina che pian piano prendeva forma sotto ai suoi occhi scuri. Ad ogni tratto, un ricordo. Ricordi lontani, ma non per questo sbiaditi, che ancora le tornavano alla mente ogni attimo. Alle volte si ritrovava a sorridere ripensando a cose che solo lei avrebbe potuto comprendere, lì, sulla sua isola. Mise giù il calamo. Ammirò la mappa: non era ancora completa. Probabilmente non lo sarebbe mai stata. Sospirò.
   Nojiko entrò dalla porta con in mano la cesta del bucato appena ritirato. Sorrideva. «C’è una nave, giù al porto.»
   Nami alzò la testa di scatto, perché quello non era il solito tono di voce usato da sua sorella. Le bastò guardarla negli occhi per un attimo appena. E capì. Uscì di corsa, precipitandosi alla scogliera, e diede uno sguardo al porticciolo della città vicina. Un sorriso immenso le illuminò il volto. E corse. Corse a perdifiato giù per il sentiero che l’avrebbe portata dritta alla felicità più completa. Al suo fulmineo passaggio gli abitanti del villaggio rimasero perplessi e le rivolsero le domande più svariate. Parole gettate al vento che lei nemmeno ascoltava. Era felice, troppo per pensare ad altro. Ora voleva solo gettare le braccia al collo a quel passato che stava tornando a bussare alla porta del suo cuore.
   Eccola. Era lì, la stessa caravella che quattro anni prima l’aveva portata via da quel maledetto incubo in cui aveva vissuto per otto lunghi inverni. Si fermò di colpo a riprender fiato. Vide le forti spalle di un uomo che assicurava la nave al molo, e sentì un tuffo al cuore. Lo chiamò con voce malferma. Lui si volse, il sorriso tornò sui loro volti, e Nami riprese la sua folle corsa verso la felicità, verso quelle calde braccia protettive che un tempo aveva amato con tutta se stessa e che mai aveva dimenticato. Si tuffò in un abbraccio disperato e si sentì stringere saldamente a quel petto grande e forte. Per tutto il porto riecheggiarono risa di gioia che intenerivano i cuori.
   «Scusa se arrivo così all’improvviso», cominciò il giovane sciogliendo l’abbraccio e cercando di celare l’emozione, troppo forte perfino per esser sepolta sotto il suo incrollabile orgoglio, «ma mi sono perso nei dintorni, e così…»
   La ragazza rise facendo scivolare via le braccia dal collo dell’amico. «E ci hai impiegato così tanto tempo per tornare qui? Oddio! Non puoi nemmeno immaginare quanto… quanto…» Ma non riusciva nemmeno a trovare le parole adatte. Era troppo contenta per connettere cuore e cervello. Si limitò quindi a prenderlo per mano e a trascinarlo via da lì.
   «Dove mi porti?» chiese lui, alzando un sopracciglio e seguendola con un’espressione divertita sul volto abbronzato.
   «Sei uno dei quattro eroi qui, non ricordi?» rispose Nami, voltandosi a fargli la linguaccia e ridendo con lui. «Anzi, dopo quello che hai fatto per noi l’ultima volta, dovranno costruirti una statua, come minimo!»
   Zoro sorrise e la lasciò fare. Contrariamente a quanto andava affermando con i nemici, facendo lo spaccone a tutta forza, in realtà non gli piaceva affatto fare la parte dell’eroe ed essere osannato, ma Nami era troppo felice e lui non aveva il coraggio di negarle nulla. Sorrise: in un certo senso, quella testolina rossa era anche peggio di mille, feroci avversari.

Seduti sulla scogliera poco distante da Coco, le gambe penzoloni, l’ombra degli alberi che li riparava dai cocenti raggi del sole estivo, isolati dal resto del mondo, si persero in chiacchiere e ricordi, risero di cuore come ai vecchi tempi. Erano passati diversi mesi, ma la lontananza non li aveva divisi nemmeno un po’.
   «E allora?» chiese d’un tratto la ragazza, guardando l’amico con occhi attenti.
   Egli la fissò perplesso. «Allora, cosa?» ripeté, non capendo quel che lei intendesse dire.
   «Sai bene di che parlo», ribatté Nami, assumendo, per la prima volta in quel pomeriggio, un’aria seccata.
   Ma il giovane proprio non riusciva a capire dove volesse arrivare. «Non cominciare con i tuoi soliti giochetti e parla chiaro», insistette fra i denti, innervosendosi a sua volta.
   L’altra gli lanciò un’occhiataccia. «Bravo, fa’ pure il finto tonto…»
   «Ma si può sapere di che stai parlando?» fu la domanda esasperata che seguì la sua affermazione.
   «Parlo dei duecentomila Berry che ancora mi devi, mio caro, e di cosa, se no?» rispose con aria sprezzante. «Credevi che me ne fossi davvero dimenticata?»
   A Zoro per poco non venne un colpo: era passato quasi un anno dall’ultima volta che si erano visti, e lei aveva già portato il discorso sui suoi loschi affari? No, si disse, sarebbero anche potuti passare secoli, ma Nami non sarebbe mai cambiata. Possibile che non si mostrasse mai per quella che era realmente? Lui la conosceva forse meglio di chiunque altro e, lo sapeva, l’affetto che li univa adesso era profondamente cambiato. Non si era aspettato certo chissà cosa nel rivederla, anche perché non era assolutamente il tipo da perdersi in futili smancerie, figurarsi! Ma la mancanza di sensibilità dell’altra lo mandava letteralmente in bestia. Sbuffò distogliendo lo sguardo con fare seccato. «È inutile. Sono al verde. Come sempre, del resto.»
   E mentre già si preparava psicologicamente a sentirla sbraitare e insultarlo di essere il solito pezzente buono a nulla, minacciandolo di raddoppiare ulteriormente, se non triplicare, gli interessi della somma pattuita quattro anni prima, invece, in barba a tutte le sue convinzioni, la sentì ridere.
   Sbirciò nella sua direzione con la coda dell’occhio, un sopracciglio inarcato che stava ad indicare la sua perplessità: la ladra gli sorrideva con fare dolce. «Lo immaginavo», gli disse solo.
   «E… non sei arrabbiata?» chiese lui, titubante.
   «E perché mai?» continuò Nami con espressione rilassata. Era sincera per davvero. Forse fu questo a sconvolgere Zoro sopra tutto il resto. «Mi sarei piuttosto stupita del contrario», continuava frattanto lei. «Ormai ti conosco, e so bene che, anche se il tuo nome riecheggia in tutti e quattro i mari, resterai sempre uno spiantato senza il minimo senso degli affari», ragionò, non mancando comunque di prendersi la sua piccola rivincita. Poi però si fece più seria e riprese: «Ma ora ci penso io a farti rigar diritto», affermò con fare autoritario, lo sguardo severo che non ammetteva obiezioni. «Tanto per cominciare non te ne andrai di qui fino a che non mi avrai restituito tutto, fino all’ultimo Berry.»
   E lo spadaccino finalmente scattò. «Sei una sporca ricattatrice!» esclamò inviperito, una vena che pulsava sulla fronte.
   Nami lo ignorò. «Anche se volessi andar via, finiresti col perderti chissà dove. Tanto vale che resti qui, no?»
   Era un invito? No, non poteva esserlo. Figurarsi se quella maledetta lo stava supplicando di rimanere con lei. Però, rifletté il giovane, era anche vero che da quella testolina fulva ci si potesse aspettare di tutto… Che diavolo aveva in mente, allora?
   «Già mi stupisce il fatto che tu sia arrivato fin qui…» seguitava a riflettere lei, nel frattempo.
   «Senti, io ho solo seguito le tue indicazioni», le disse con fare impacciato l’altro, cacciando fuori dalla tasca dei pantaloni la bussola contrassegnata dalla scritta scemo, quella che lei stessa gli aveva regalato neanche un anno prima. Anche quello, aveva pensato Zoro sin da quando aveva lasciato Coco l’ultima volta, poteva essere interpretato come una richiesta a tornare da lei.
   La vide osservare lo strumento con occhi rapiti e un’espressione di gioia mista a stupore le si dipinse sul viso: l’aveva conservata per davvero e aveva accolto il suo invito. Perché sì, era per davvero un invito.
   Nami sorrise incerta, la felicità di sapere che lui avesse ancora quel suo ricordo e che lo portasse sempre con sé, come un portafortuna, la sopraffece per un istante. Infine, cercò di dominarsi e riprese fiato. «E nonostante avessi una bussola, ti presenti qui solo adesso?» gli rimproverò, riassumendo un’aria severa.
   «Mi sono limitato a fare quello che mi dicesti tu», rispose lui, nervoso, additando lo strumento che ancora stringeva in mano. «Ho seguito la direzione dell’ago stando ben attento che non si allontanasse dalla scritta. Ma questo dannato aggeggio evidentemente non funziona!» Si bloccò un attimo e, facendo mente locale, si ricordò che aveva lasciato Koob Llac, al quale aveva chiesto aiuto per giungere fin lì, legato all’albero maestro della caravella per evitare che fuggisse. Ormai doveva essere lì sotto al sole da un’ora buona… Pazienza, si disse Zoro, ripromettendosi comunque di affidare il pirata al poliziotto amico di Nami prima di sera. Se si era dimenticato di lui, dopotutto, non era stato per negligenza, quanto perché aveva troppa premura di rivedere l’amica. Lei aveva la priorità su tutto.
   Dopo le sue ultime parole, intanto, la ragazza accanto a lui non sapeva davvero più se scoppiare a ridere o a piangere. O se prenderlo a ceffoni. Contò fino a dieci e finalmente, dopo un nuovo, lungo e controllato respiro, riprese a parlare, una mano alla fronte per la fortissima emicrania che l’aveva appena assalita. «Quel che ti dissi andava seguito alla lettera dal punto in cui ci trovavamo quella volta, idiota…» mormorò rassegnata: Zoro, il senso dell’orientamento e la logica erano tre cose in completa antitesi. «Non è mica un eternal pose, sai? Adesso sì che rimango scioccata nel vederti qui.»
   L’amico, stanco dall’esser perennemente deriso da lei, non disse più una parola e si infilò nuovamente la bussola in tasca, deciso a non rivelarle che aveva dovuto chiedere aiuto a un pirata incrociato per mare per puro caso. Beh, magari glielo avrebbe detto, ma non subito. In fondo, ora se ne rendeva conto, la cartografa non aveva tutti i torti. Ma chi ci capisce niente di navigazione?!, pensò tremendamente stizzito. Un istante dopo, però, si sorprese a sorridere ripensando al miracolo che lo aveva condotto fin laggiù. Quando aveva levato l’ancora dal villaggio di Coco, si era ritrovato completamente solo. Solo. Lì per lì non ci aveva voluto pensare, anche perché prima di incontrare Rufy e gli altri era stato abituato alla solitudine. Conosceva bene il significato della parola amicizia, di cose come la fiducia e il senso dell’onore, tuttavia con Rufy aveva imparato ad apprezzarle ancora di più. Era per questo che poi, più di prima, quegli stessi valori erano diventati la forte determinazione che lo aveva spinto a migliorarsi, a dare il massimo di se stesso, a sfinirsi pur di riuscire nel suo intento: aveva tre promesse da mantenere. La prima, quella fatta a Kuina molti anni prima; la seconda, quella fatta a Rufy nel momento in cui aveva deciso di seguirlo, anche all’inferno, se necessario; la terza, quella fatta a se stesso dopo la sconfitta contro Mihawk. E alla fine c’era riuscito, aveva mantenuto la parola data, e non solo per gloria personale, ma per amicizia. Lo doveva a Rufy come lo doveva Kuina. E salutando Nami, lasciandola al sicuro al villaggio di Coco, si era trovato nuovamente solo. Ma non appena si era reso conto di quanto fosse triste quel senso di vuoto, dopo quei tre anni in compagnia dei suoi più cari amici, aveva subito tentato di impegnare ancora una volta il corpo e la mente in ogni sorta di esercizio, come se ancora avesse qualcosa da dimostrare al mondo intero. In realtà, però, la sua non era stata che una fuga dalla realtà: gli erano mancati da morire tutti e quattro i suoi compagni. Lui, il grande Roronoa, conosciuto come la belva sanguinaria, che sentiva la lontananza di un gruppetto sparuto di piratucoli ai quali nessuno avrebbe dato credito a prima vista. Quel fifone nasolungo contastorie, quel donnaiolo attaccabrighe, quel moccioso senza cervello, quella rozza ragazzina isterica…
   Aveva paragonato l’affetto che aveva per Nami a quello che aveva provato, e ancora provava, per Kuina. Sembravano sentimenti tanto uguali, eppure erano al contempo molto diversi, lo sentiva. Nami riusciva a fargli saltare i nervi come solo Kuina sapeva fare, pungendolo nell’orgoglio al fine di colpirlo e affondarlo. E poi, sempre come Kuina, la ritrovava in lacrime come una bambina spaurita, ed era a lui che toccava consolarla. Quando Kuina era morta, si era sentito perduto. Non aveva avuto più un punto fermo. Era stato solo in seguito che si era intestardito nel ritrovarlo in quella promessa che si erano scambiati la notte prima di quel tragico incidente. Ma quando aveva saputo che Nami aveva pianto mali peggiori della morte, si era sentito anche peggio, il cuore stritolato in una morsa d’acciaio. Eppure, la sua Nami ne era uscita vincitrice, alla fine, non dandosi mai per vinta. Amava il suo coraggio, il suo altruismo, il suo spirito di sacrificio, come amava il suo orgoglio, la sua lingua biforcuta, la sua furbizia. Era stata da sempre quella che gli aveva procurato più grattacapi di tutti, quella che l’aveva perennemente messo nei guai, forse addirittura più di quanto avesse osato fare Rufy. Ma era lei quella che gli era mancata sopra tutti gli altri, proprio lei, la sua disperazione, quella con la quale aveva un feeling che si reggeva sulla lama del rasoio: cane e gatto, a confronto, sarebbero parsi due teneri agnellini. E tutto per via del loro identico caratteraccio, orgoglioso al punto da non voler ammettere la verità nemmeno a se stessi.
   Strana ironia della sorte, aveva pensato mestamente, scoprirsi innamorato di una donna solo dopo averle detto addio… Addio… No, non era stato un addio.

Un giorno sicuramente ci rivedremo.

«Hai avuto notizie degli altri?» domandò Nami, come a leggergli nel pensiero e riportandolo bruscamente alla realtà.
   «No», sospirò lui. Si portò una mano alla nuca, massaggiandola goffamente, gli occhi rivolti altrove per non doverla guardare in viso. «Ti confesso che mi sento un po’ in colpa verso Rufy ad essere qui ora.»
   L’altra lo fissò in silenzio per qualche attimo. Poi, comprendendo, sorrise intenerita. «Non ne vedo il motivo», cercò di rassicurarlo. «Abbiamo obbedito agli ordini del nostro capitano, e ora… Beh, che c’è di male se sei qui?»
   «Niente, hai ragione», rispose lo spadaccino, ringraziandola intimamente per quelle parole e alzando il capo verso l’alto per scrutare il cielo chiaro.
   Di nuovo scese il silenzio. Nami sbirciò nella sua direzione, come se avesse bisogno di prender coraggio, e infine parlò ancora. «Mi spiace di esserti piombata addosso a quel modo, poco fa… giù al porto…» La sua voce era appena incrinata da una strana sfumatura, quasi avesse vergogna, ora, di ammettere la propria felicità. «Ma… ero troppo contenta di rivederti…» ammise, arrossendo e spostando anche lei lo sguardo.
   Il giovane sussultò, ma cercò di non darlo a vedere. Era una sensazione straniante quella che lo stava assalendo in quel momento, perché mai si sarebbe aspettato di ritrovarsi a discutere di cose come quelle con lei. Nami. Proprio quella Nami che, nel corso degli anni trascorsi in mare insieme, aveva maledetto un giorno sì e l’altro pure. Fece violenza su se stesso per non voltarsi nella sua direzione e, magari, metterla ulteriormente a disagio se l’avesse guardata.
   Tutto il proprio autocontrollo, però, venne meno e non riuscì ad evitare di fargli portare una mano al viso, stropicciandolo come fosse stato un bambino. «Se è per questo», mormorò con una voce che quasi non gli parve la sua, «eri anche troppo bella per resisterti.»
   Anche la ragazza sussultò, senza però evitare che lui potesse accorgersene. Quella reazione spontanea lo intenerì, al punto che, se solo avesse avuto più coraggio, l’avrebbe attirata a sé per abbracciarla di nuovo. Era questa la cosa più incredibile: sarebbe stato capace di compiere mille azioni sconsiderate, affrontare l’intero corpo della Marina Militare al completo, ma non di reagire davanti a lei. Nami lo aveva davvero annientato. E, paradossalmente, Zoro non poteva che esserne felice.
   In qualche modo, la navigatrice recuperò il proprio coraggio e, timidamente, occhieggiò nella sua direzione proprio mentre lo faceva anche lui. I loro sguardi si incrociarono ed entrambi non poterono far altro che ammettere la realtà dei fatti. L’uomo distese le labbra, decidendo che non aveva senso rimandare oltre quella inderogabile resa dei conti, la più difficile in cui si fosse mai imbattuto. Si trattava ormai di qualcosa di fisiologico. Si limitò perciò a sfiorarle un braccio, e poiché Nami, pur rabbrividendo, non si scostò, Zoro la sospinse gentilmente verso di sé, a sfiorandole una tempia con la bocca, i capelli con la punta del naso. Lei calò le ciglia sul viso, deliziandosi di quelle tenerezze e accompagnando i suoi tocchi delicati come una gattina in cerca di fusa.
   I loro cuori battevano all’unisono un solo, inarrestabile ritmo. Ma anche la paura scalpitava, lo sentivano chiaramente: si conoscevano come amici, non come innamorati. Sarebbe cambiato poi molto? Dieci mesi, dieci lunghi, interminabili mesi di lontananza avevano messo a dura prova i loro sentimenti. Nemmeno loro erano del tutto sicuri di quello che sarebbe accaduto, sapevano solo che il rivedersi dopo tanto tempo li aveva sommersi di gioia, che i loro corpi si attiravano da sempre come due calamite dai poli opposti. Il loro respiro si confuse divenendo finalmente un tutt’uno, le labbra morbide si schiusero in un tenero abbraccio. Il mio primo bacio…, pensò Nami nella dolce confusione che l’aveva assalita, rendendola fragile come un’adolescente al primo amore. Perché sì, ora si sentiva amata per davvero.
   Zoro le sfiorò di nuovo il bel viso sul quale prese a scorrere una lacrima. Gliel’asciugò con un bacio innocente e scese a carezzarle le labbra tremanti.
   «Le tue lacrime sono la cosa che ho temuto di più per tutto questo tempo…» ammise con voce roca. «Però ora… sono così pure… così meravigliose…»
   Nami sorrise e si protese a baciarlo ancora, sentendo pian piano quelle carezze che scivolavano sul viso, sul corpo, sulla pelle nuda. Ma il passato non la sfiorò nemmeno per un secondo. Ora era felice, troppo per non lasciarsi andare fra quelle braccia forti e protettive, per riuscire a resistere al desiderio di sentirsi amata almeno una volta in vita sua. Bastò un niente e fu persa. Lo furono entrambi, accecati da quel sentimento troppo forte per loro, dal rimpianto di non averlo capito prima. Bastò un niente e le loro anime si unirono, mettendo a nudo ciò che per lungo tempo avevano possessivamente messo a tacere, le loro emozioni più intime, i loro desideri, i loro sogni, le loro paure mai confessate. Ora non avevano più motivo di mettere le briglie ai loro cuori, alla passione. Niente più aveva importanza, soltanto loro e quell’amore che si era appena schiuso da quel bozzolo che batteva incessantemente nei loro petti.

Non proferirono più parola. Rimasero in ascolto del mondo tutt’intorno, quel mondo che pareva  sorridere loro serenamente.
   Era quasi il tramonto quando Zoro, rompendo il silenzio, le chiese: «Dove vuoi andare?»
   Lei rise, felice che lui avesse avvertito il richiamo del mare che l’assillava da troppo tempo. Scivolò via dal suo abbraccio e lo fissò dritto negli occhi, perché adesso voleva che lui la guardasse, che non distogliesse mai la sua attenzione da lei. «Non ho una meta precisa. Sai, ho finito di riportare su un’unica cartina tutti gli schizzi che feci quando viaggiavamo insieme, però ci sono ancora molte zone vuote…»
   L’altro fece spallucce con un mezzo sorriso sul volto, una mano a scostarle i capelli rossicci dalla guancia e a portarglieli dietro un orecchio. «Non hai che da chiedere», le assicurò, facendo leva su un gomito per tornare a baciarla.
   Era destino che finisse così, pensò Nami. Zoro era l’unico che sapeva leggerle per davvero nell’anima. Si capivano al volo e meglio di chiunque altro. In fondo era normale, erano così simili… Avevano vissuto entrambi momenti difficili, esperienze che li avevano segnati così nel profondo, che li avevano spinti verso la solitudine. Ma ora quel senso di smarrimento era magicamente scomparso, e loro si erano ritrovati una seconda volta, come due perfette metà di un’unica cosa che si rincorrevano da un vita, avvertendo l’una il disperato richiamo dell’altra. E adesso, quella che fino a quel momento era sembrata un’infinita e frenetica ricerca, pareva essere per davvero giunta alla fine, una fine che portava ad un grande e meraviglioso inizio.
   Ringraziò il cielo per averlo incontrato. Alla mente le tornò il ricordo del loro primo incontro, di quel ragazzo che le aveva salvato la vita come nelle favole fa il prode cavaliere con la bella principessa. Ora, dopo tutti quegli anni di sofferenze, aveva la felicità fra le braccia, una felicità tutta sua che non si sarebbe lasciata sfuggire mai più.
   Al diavolo l’orgoglio, pensò Zoro. Al diavolo tutto il resto quando la stringeva a sé. Aveva promesso che avrebbe cancellato le lacrime dal suo viso, lo aveva fatto in passato, e avrebbe continuato a farlo per sempre.













Ebbene sì. Questo è quanto. Nulla di esagerato, credo, anche perché, dal mio punto di vista, l'amore è un qualcosa di tremendamente semplice. Parlo dell'amore vero, sincero, onesto. Dell'amore che si basa anzitutto sull'affetto puro. Di quello che sboccia da un sentimento profondo che ci ha sempre riempito il cuore e che ha solo bisogno di una scusa per saltar fuori e sconvolgerci piacevolmente l'esistenza. Ecco perché Zoro, qui, pensa che quello che c'è tra lui e Nami è ormai qualcosa di fisiologico: non poteva andare altrimenti che così.
Ho scritto questa shot durante la stesura della prima metà di Piece Main, ormai non ricordo più quanto tempo fa, ma probabilmente sono già passati dieci anni (forse qualcosina in più). Mi scuserete, perciò, lo stile a tratti acerbo ed eventuali errori che, pure, adesso ho cercato di correggere.
Di recente ho riletto tutta la saga (escluso Ritorno a Raftel Island) e, soprattutto per i primi settanta, ottanta capitoli della prima long, ho provato un'enorme vergogna per le tante sciocchezze scritte, per gli erroracci grammaticali e per il modo superficiale in cui ho caratterizzato Rufy, Zoro, Nami, Usop e Sanji. Ero profondamente immatura e temo di esserlo ancora. Rileggerò presto anche Ritorno a Raftel Island, comunque, perché mi sta davvero tornando voglia di riprendere in mano questi personaggi totalmente folli.
Grazie a chiunque abbia letto.
Shainareth





Quella che hai appena letto è una delle tante fanfiction ZoNami che in questa settimana invaderanno EFP. Questa e altre fanfiction si possono trovare sul forum Midori Mikan.
Cos’è il Midori Mikan?
Beh, non è un elettrodomestico, non è una parolaccia in giapponese, non è una formula magica per far ammalare la prof. di matematica, né tanto meno un modo di dire (“in bocca al Midori Mikan” o “chi fa al Midori Mikan fa per tre”).
È il primo forum italiano dedicato esclusivamente alla coppia Zoro/Nami, dove ogni zonamista si può sentire a casa, condividere con altri fan le sue passioni in verde e arancione, e trovare materiale e informazioni sul suo pairing preferito.
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