Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Akilendra    03/06/2013    8 recensioni
Gli Hunger Games sono giochi senza un vincitore, ventitrè ragazzi perdono la vita, l'ultimo che rimane perde sè stesso in quell'arena, non c'è nulla da vincere, solo da perdere. Nell'arena si è soli, soli col proprio destino, Jenna però non è sola...
Cosa sei disposto a fare per non perdere te stesso? E se fossi costretto a rinunciare alla tua vita prima ancora di entrare nell'arena?
Gli Hunger Games saranno solo l'inizio...
(dal Capitolo 1):
"Un solo rumore e so che lei è qui...l'altra faccia della medaglia, il mio pezzo mancante, la mia immagine riflessa allo specchio, una copia così perfetta che forse potrebbe ingannare anche me, se non fosse che io sono la copia originale dalla quale è stata creata. Dopotutto sono uscita per prima dalla pancia di nostra madre, quindi io sono l'originale e lei la copia."
(dal Capitolo 29):
"'Che fai Jenna?'
Mi libero della menzogna.
'Che fai Jenna?'
Abbraccio la verità.
'Che fai Jenna?'
Mostro l'altra faccia della medaglia."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quasi la sfondo la porta del palazzo di giustizia, quando entro Johanna è là, sonnecchia comoda sulla poltrona di velluto, come se non fosse accaduto nulla, come se non si fosse appena offerta volontaria per andare a morire, come se non mi avesse appena salvato la vita.
Eppure in un certo senso la odio.
Perché l’ha fatto?
Non è giusto, lei non è stata estratta, perché si è offerta volontaria?
IO dovevo salire su quel palco, IO devo ritornare nell’arena, IO devo pagare questo prezzo, non lei.

-Che cosa hai fatto? – le grido in faccia costringendola ad aprire gli occhi – Cosa diavolo urli? – si lamenta con aria irritata – Cosa hai fatto? – ripeto stizzita a voce più bassa – Ho fatto l’ultima cosa sensata che c’era da fare – risponde con semplicità, la sua risposta mi turba - Perché dici così? – domando con un filo di voce, lei mi guarda per un attimo – Perché la tua vita è più importante della mia – mi risponde come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Non so come reagire alle sue parole, mi ha appena saltato la vita, dovrei esserle riconoscente, dovrei star qui a baciarle i piedi ed invece sento di odiarla per quello che ha fatto e la mia testa non la smette di rivolgerle insulti per il suo gesto.

-Sei un’idiota! – la ammonisco dando voce ad uno dei tanti insulti che mi vengono in mente, Johanna sorride furba per un attimo – Le salvi la vita e questo è il ringraziamento, tante grazie, la prossima volta mi faccio i fattacci miei! – borbotta lisciando il velluto morbido della poltrona su cui è seduta.
la prossima volta’… Johanna, davvero non riesci a capire che questa è l’ultima volta? Non ce ne sarà un’altra … Johanna, davvero non riesci a capire che se entri in quel’arena potresti non tornare più indietro?

La guardo mentre concentra tutta la sua attenzione sui ghirigori raffinai che impreziosiscono il pavimento

-La prima volta che sono stata in questa stanza il marmo era grigio – commenta indicando il pavimento bianco candido, ora sono diventata meno importante di un paio di mattonelle, la guardo sconcertata ed allibita, come può la sua bocca far uscire certe idiozie in un momento del genere?
Serro i pugni fino a far sbiancare le nocche, credo di stare per sprofondare in un attacco di nervi, un gridolino esasperato sfugge dalle mie labbra – Io ti odio, sei proprio una stupida! Perché l’hai fatto? – domando piagnucolante come una bambina, Johanna alza lo sguardo dal pavimento, mi squadra un momento, i suoi occhi diventano due fessure – Si può sapere perché ti da così tanto fastidio che mi sia offerta volontaria? – domanda sinceramente curiosa, la guardo come se avesse appena fatto una domanda stupida – Perché tu sei mia amica – rispondo come fosse un’ovvietà, i suoi occhi si riaprono ed il suo viso si distende, poi torna a prestare la sua attenzione al marmo candido del pavimento – Allora non dovresti fare tanta fatica a capire perché mi sono offerta volontaria – risponde poco dopo.

È fatta così Johanna, lei è una tosta, se ha qualcosa da dire te lo dice in faccia, se deve darti una brutta notizia lo fa senza alcun riguardo, se deve insultarti lo fa senza peli sulla lingua, ma se deve per caso dirti che per lei sei un’amica, deve ricorrere ad inutili giri di parole.
Per sentirmi dire che per lei sono un’amica, prima sono dovuta essere estratta per ritornare nell’arena.

Rimango qualche istante ferma, ad osservarla mentre studia le lastre di marmo sul pavimento, lei alza lo sguardo solo quando, con una lacrima bagno la mattonella che stava ammirando – Cosa diavolo hai da piangere ora? – mi chiede incredula allargando le braccia.
Sai Jo, in queste situazioni è questo che si dovrebbe fare, è molto più normale piangere che contare le lastre di marmo che ci sono sul pavimento, vorrei risponderle così, ma proprio non ce la faccio a parlare in questo momento, provo un dolore inaudito, perché qui davanti a me c’è un’amica che si è appena sacrificata per salvarmi, un’amica che non so se rivedrò mai, un’amica che ho appena trovato e già devo lasciare.

-Sei proprio una rammollita! – mi apostrofa tornando a contemplare il pavimento, poi quando capisce che non smetterò di piangere si alza e mi si avvicina, credo lo faccia più per paura che le allaghi il suo amato marmo, che per consolarmi, quando è abbastanza vicina apre le braccia in un gesto innaturale e mi abbraccia.
Le sue braccia si stringono rigide attorno a me, mi chiedo quante persone abbia abbracciato e quanto tempo fa lo abbai fatto.
Rimaniamo così’ per un po’ finché non si stacca e ritorna la solita Johanna che conosco – Oh, andiamo! Finirai per allagare tutto il pavimento! – mi canzona, lo dicevo io che era per il marmo!

-Jo, devi farmi una promessa – le dico ad un tratto – Non sono tanto brava a mantenere le promesse – ammette lei storcendo il naso, stranamente non protesta per il nomignolo che le ho affibbiato – Questa volta devi esserlo, devi promettermi che tornerai a casa, che ci proverai almeno – dico con voce tremante, lei mi guarda un momento come per valutare se può davvero promettermi una cosa del genere – Te lo prometto – acconsente alla fine in un sussurro – Ci vediamo presto allora, amica mia – la saluto – Il tempo di vincere questa edizione degli Hunger Games e sono di nuovo qui, non ti libererai tanto facilmente di me… amica – mi risponde sicura.
Rivolgo un ultimo sguardo al marmo del pavimento che tanto piace a Johanna, prima di uscire da quella stanza e lasciarci dentro una delle poche, se non l’unica amica che ho.

Quando esco noto i soliti due pacificatori appoggiati al muro, in un atteggiamento tutt’altro che vigile, mi domando perché non siano entrati a reclamare lo scorrere del tempo mentre parlavo con Johanna, evidentemente anche loro nutrono un briciolo di rispetto e compassione per quelli tra di noi che, nonostante siano vincitori, dovranno rivivere per la seconda volta l’incubo degli Hunger Games.

Fuori dal palazzo di giustizia trovo Sam, che appena mi vede, mi attira a sé e mi stringe fra le sue braccia, poi va anche lui a dare il suo saluto a Johanna, poco dopo si avvicina a noi il sindaco che con fare grave ci comunica che essendo gli unici due vincitori rimasti, dovremo essere noi i due mentori di quest’anno.
A questo davvero non ci avevo pensato.
Sono sconvolta, come possiamo fare da mentori a Blight e Johanna? Loro sono molto più grandi d’età di noi, hanno molta più esperienza, per anni hanno fatto da mentori ai tributi del nostro distretto, Blight è stato addirittura il mentore di Sam.
Noi in confronto non siamo nulla, siamo due ragazzini che hanno vinto per fortuna, come possiamo aiutarli?
È ridicolo pensare che ci sia qualcosa che io e Sam possiamo dire a loro, loro che di edizioni di Hunger Games ne hanno viste a bizzeffe, sono stati loro ad incoraggiarci quando abbiamo saputo delle nuove regole di questa edizione della memoria, Blight si è comportato come un padre con me e Johanna… Johanna è diventata mia amica.

Purtroppo però non c’è altro modo, sembra non ci siano alternative e non servono le nostre considerazioni e le nostre proteste, prima della sera,il treno parte dalla stazione del nostro distretto diretto a Capitol City.

Durante la brevissima parte di tragitto che abbiamo percorso, nessuno di noi ha voglia di parlare, le occasioni in cui ci scambiamo un paio di parole di convenienza si possono contare sulle dita di una mano.

Non credo di farcela, questo orribile incubo è appena iniziato e già non ce la faccio più,vorrei poter chiudere gli occhi e ritornare a tanto tempo fa, chiudere gli occhi e dimenticare tutto tornare indietro a quando avevo ancora una foresta in cui rifugiarmi, a quando avevo ancora una madre, una sorella, a quando non avevo nessun pensiero per la testa.
Ora invece di pensieri ce ne ho, due dei tanti sono seduti davanti a me, alzo lo sguardo, Blight guarda con fare svogliato il cibo che ha nel piatto, proprio non vuole saperne di mangiare, Johanna quando Sam non guarda allunga la sua forchetta e ruba qualche boccone dal piatto dell’amico.
A guardarli così, mi sembrano due ragazzini, in realtà però non lo sono, sono più che adulti, sono due vincitori, più li guardo e più penso che non dovrebbero trovarsi qui.
Quando nel piatto di Blight non è rimasto che qualche boccone, mi decido a lanciare un’occhiataccia a Johanna, lei mi guarda e fa un sorrisetto furbo –Mi scusi, signora mentore! – dice prendendomi in giro enfatizzando la parola ‘signora’, ancora una volta è lei a tirare su il morale a tutti.
Purtroppo però non a Blight, che all’improvviso si alza e accusando un falsissimo mal di testa se ne va nella sua cabina.

Così rimaniamo io, Sam Johanna e l’irritante capitolina che ho conosciuto il giorno della mia seconda mietitura, la sostituta di Zelda, non so neanche come si chiami, non l’ho voluto sapere il suo nome, quando si stava presentando io con orgogliosa maleducazione me ne sono andata lasciandola imbambolata a parlare da sola.
Anche Johanna sembra non sopportarla, le boccacce che le riserva quando non può vederla, sono piuttosto eloquenti.

Finita la cena ognuno si ritira nella propria cabina, io vado nella mia per prendere una camicia da notte e un paio di coperte, poi raggiungo Sam, nonostante si siano ostinati ad assegnarci cabine diverse, non ho intenzione di passare anche solo un minuto nella notte lontana dalle sue braccia.

Abbracciati nel buio io e Sam proprio non riusciamo a dormire, io non mi azzardo a chiudere gli occhi, ho troppa paura che nel sonno i miei incubi si possano popolare delle urla dei miei amici, per Sam credo sia lo stesso, anche se non ne parla spesso anche lui è perseguitato dai suoi incubi, tutti noi vincitori lo siamo, è una specie di penitenza per non si sa quale peccato, il prezzo che ognuno di noi deve pagare.

-Niente da fare eh? – mi chiede Sam, scuoto la testa per dirgli che no, non riesco ad addormentarmi, poi mi ricordo che è buio e che non può vedermi, ma prima che possa dare qualsiasi risposta, lui ha già capito dal mio respiro che sono ancora sveglia - Vuoi parlare? – domanda con un sospiro, non rispondo, ma lui non si scoraggia e comincia imperterrito il suo discorso.
Parla di tutto, mi confida le sue paure, le sue insicurezze nel fare da mentore, che poi sono anche le mie, fa ipotesi su come potrebbero andare questi Hunger Games, dice che il parere della gente è molto importante, dice che la gente può fare la differenza - … Guarda cos’è successo con Katniss e Peeta lo scorso anno, alla gente piacevano così tanto gli innamorati sventurati, che non poteva essere altrimenti, non poteva uscirne solo uno dei due dall’arena. - mi spiega, non ha tutti i torti, eppure non riesco a capire dove vuole arrivare - Snow non annullerebbe per nulla al mondo neanche una sola edizione degli Hunger Games- do voce ai miei dubbi – Ma non capisci? Quest’anno la situazione è ancora peggiore, questa volta i tributi sono diversi, sono tutti vincitori, tutti eroi agli occhi del pubblico, i loro eroi che si uccidono fra loro. Immagina che tutta Panem sia contraria a questa edizione … - dice con enfasi – E noi in tutto questo, cosa potremmo fare? – chiedo disorientata – Potremmo dare una piccola spintarella alla situazione, fare in modo che la gente si accorga del grande torto che si sta facendo - se le luci non fossero spente sono sicura riuscirei a vedere i suoi occhi brillare mentre pronuncia questi discorsi, ma la mia mente si è fermata molto prima, alle sue parole ho avuto un tuffo al cuore : “…Questa volta i tributi sono diversi, sono tutti vincitori…”
Niente che non sapessi già, ma sentirle pronunciare mi ha dato all’improvviso un’amara consapevolezza, una paura cieca si fa strada dentro di me.
Sobbalzo, mi sciolgo dall’abbraccio di Sam e allungo la mano verso il comodino, accendo la luce – Sam, chi è stato estratto nel distretto 4? – domando, mi trema la voce, non voglio sapere la risposta, se fosse come temo, non l’accetterei.

Lui mi guarda sorpreso, con lo sguardo di chi non capisce cosa sta succedendo, scuote la testa, ci sta pensando – Io … non sono sicuro, lui me lo ricordo, ma lei… ma perché è così importante? – domanda tranquillo, chiudo gli occhi e prego mentalmente che i miei incubi non si avverino – Chi? – domando ancora stavolta la mia voce si alza in una nota di disperazione, Sam si passa una mano tra i capelli prima di rispondere – Lei è una donna anziana, non mi ricordo come si chiama e lui… lui me lo ricordo bene, lui è Finnick Odair –

Un colpo al cuore.
Vorrei piangere, ma non trovo le lacrime.
Qualcuno urla, sono grida di dolore, mi accorgo di essere io ad urlare.
Perché? Perché la vita mi toglie sempre tutto?

Prima mia madre, Ares, poi la libertà di essere me stessa, mia sorella, ora anche lui, quello che in poco tempo è diventato il mio migliore amico.
Perché Finnick? Perché?
E vorrei pensare che non è finita, vorrei pensare che c’è un rimedio, ma la mia testa è piena solo di un nome, così enorme che la occupa tutta.

Finnick.
Ragiona Jenna, quello che pensa il pubblico conta e non c’è nessuno che la gente ami più lui ‘
Finnick.
E se poi il pubblico non dovesse avere la meglio, ricordati che tu sei una mentore, non è facile, ma c’è un modo per aiutare un tributo che
non è del tuo distretto, un solo tributo però…’

Finnick.
Riusciresti mai ad abbandonare Johanna e Blight?’
Finnick.
Sei davvero pronta a tutto per riportarlo indietro?’
Finnick.

Un modo ci sarebbe. Un modo c’è.
Dovrei riaprire una vecchia ferita.
Per Finnick.
Dovrei rivivere un incubo.
Per Finnick.
Dovrei dar via la mia libertà ancora una volta.
Per Finnick.
Dovrei svendere me stessa.
Per Finnick.
Per Finnick lo farei. Per Finnick lo faccio.

E non c’è modo di tornare indietro, non c’è spazio per i ripensamenti, ormai ho preso la mia decisione, c’è solo spazio per il coraggio, quello mi servirà e se non lo troverò, chiuderò gli occhi e aspetterò che finisca.

Sam mi guarda nella luce fioca che produce la lampada sul comodino, lo sguardo sgomento nel vedere il dolore nei miei occhi, nel sentire le mie urla.
Non gli ho parlato molto di Finnick, ma credo che abbia capito da solo che per me è un amico molto importante…
O dovresti dire era? Non è forse già condannato?’
NO! Farò qualsiasi cosa per salvarlo, sono una vincitrice, una mentore, ho abbastanza potere qui a Capitol City, c’è un modo ed è disgustosamente a portata di mano… potrei farlo, potrei sopportarlo una seconda volta, per Finnick.
Le braccia di Sam mi cullano per tutta la notte ed è la sua voce a strapparmi ai miei crudeli incubi, in cui la voce di Finnick urla incrinandosi nelle più cupe e strazianti sfumature di dolore.

-Shhhh… è tutto finito, Jenna, tutto finito –sussurra piano, le sue labbra sfiorano il mio orecchio, il suo tono piacevolmente familiare mi riporta indietro alla realtà, che non sia tanto meglio degli incubi poi: sta per iniziare una nuova edizione degli Hunger Games, i tributi sono tutti vincitori, io sarò costretta a guardare tutto questo e a fare da mentore,ma almeno nella realtà, a differenza del mio incubo, Finnick è ancora vivo… e rimarrà così, vivo, sano e vegeto, perché ho un piano e lo porterò a termine.

Con riluttanza mi alzo dal letto e mi crogiolo nella mia nuova determinazione mentre raggiungo il macchinista del treno per sapere quanto ancora manca alla fine di questo viaggio forzato, la sua risposta mi spiazza – La vede, laggiù? Ecco Miss Wellington, quella è Capitol City – afferma con un sorriso cortese sulle labbra, come se non la conoscessi quella città infernale.
Sposto lo sguardo su Sam che trattiene a stento una risatina per come mi ha apostrofata il ragazzo, “Miss Wellington”, suona autorevole, e io gli assesto una gomitata che lo rimette al suo posto, prima di uscire dalla cabina di controllo e scompisciarmi dalle risate insieme a lui.

-Miss Wellington – mi prende in giro ancora, facendosi da parte con fare galante, per darmi la precedenza nello stretto corridoio del treno, ridacchio alzando gli occhi al cielo mentre lo affianco e lo prendo per un lembo della camicia – Faccia poco lo spiritoso, Mister Claflin- soffio sulle sue labbra, è buffo chiamarlo col suo cognome, pochi millimetri ci dividono ed entrambi sappiamo già come andrà a finire, già sento il sapore delle sue labbra, quando un brusco colpo di tosse ci fa allontanare di scatto.
Johanna ci fissa stralunata, alza gli occhi al cielo e fa una smorfia disgustata allargando le braccia
– Oh, andiamo! Tenete a freno gli ormoni voi due, santo cielo! – gracchia acida, le rivolgo un’occhiataccia prima che il mio viso si colori con imbarazzo, di ogni sfumatura di rosso – Andiamo piccioncini, non vi hanno avvisato che stiamo per scendere? – ci canzona, poi punta la porta alle nostre spalle e ci oltrepassa passandoci in mezzo, allargando ulteriormente la distanza tra me e Sam.
Indispettita mi riavvicino a lui intrecciando la mia mano alla sua ed insieme scendiamo dal treno.

La stazione di Capitol City è gremita di gente, mille fotografi ci lanciano addosso i loro flash indiscreti, mi sento leggermente infastidita da tutto ciò, mi ci devo riabituare, dopotutto è da un po’ che tutta questa mondanità non mi appartiene più. Sam nasconde dietro la sua faccia di bronzo la sua irritazione per questo posto e la sua gente. Blight non fa nulla per attirarsi il favore dei fotografi, né per disturbare il loro lavoro, cammina a passi marziali fin quando non si sente sicuro leggermente più lontano dalla folla. Johanna invece non sembra infastidita da tutto questo, semplicemente non se ne cura; si fa i fatti suoi contemplando le mattonelle che compongono il pavimento della stazione, ogni tanto alza lo sguardo verso qualche audace fotografo che ha osato avvicinarsi troppo e come una gatta selvatica gli mostra i denti affilati scoraggiandolo ad andare avanti.

Alla fine ce la facciamo a sopravvivere all’assalto dei curiosi e riusciamo ad arrivare tutti interi al centro di addestramento dove un’odiabile capitolina vestita di giallo evidenziatore ci accompagna al settimo piano, quello che ospita i nostri alloggi.

Subito dopo si mette in moto un vortice di impegni dal quale, mio malgrado vengo risucchiata: sorridi alle telecamere, parla con gli stilisti, fai finta di conoscere chiunque sventoli la mano nella tua direzione in segno di saluto, sorridi ancora, fermati per una foto-ricordo, scegli a caso una delle mille stoffe che ti mettono davanti facendo finta di sapere quale differenza ci sia tra quella che hai scelto e le altre, continua a sorridere, distribuisci una parola gentile per ogni mentore di ogni distretto, sorridi ancora, continua a sorridere, non smettere di sorridere… ritorno nella mia camera alla sera che ho una paresi facciale.

Mi lascio cadere sul mio letto con un sonoro sbuffo, chiudo gli occhi e mi reggo con le mani la testa, sento che potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
Sono stanca, terribilmente stanca, tutto questo fingere, questi sorrisi esasperati mi hanno fatto venire la nausea, ho solo voglia di rimanere qui su questo morbido materasso e non alzarmi più… ed invece no! Stasera c’è la sfilata e ovviamente devo essere presente.
Da qualche sperduto angolo della mia coscienza si alza la solita odiosa vocina: 'Oh, andiamo Jenna, ora sei una mentore!' mi rimprovera.
Cedo al senso del dovere così apro con cautela l'anta dell'armadio, gli occhi coperti da una mano, ho quasi timore a scoprirli, non oso immaginare quali 'abiti', se si può chiamare abito un francobollo di stoffa, sono stati preparati per me.
Piano scosto un dito, poi un altro, alla fine mi ritrovo a fissare disperata i mini-abiti tutti rigorosamente neri che straripano dal guardaroba.

Sembra che non mi scollerò mai di dosso questo colore da vedova.
'è anche il colore delle pantere, Jenna, e tu sei una pantera, la pantera del 7!'
Mi fa sembrare in lutto.
'Ti fa sembrare sexy!'

Sbuffo sonoramente, c’è l’imbarazzo della scelta, uno più corto dell’altro, poi come un miraggio ne adocchio uno che sembra coprire le gambe fino a sotto il ginocchio, lo prendo come fosse una reliquia, poi quando ce l’ho in mano scopro l’inganno: sì, il davanti è lungo appena sopra il ginocchio, misura alquanto ragionevole, peccato che sulla stoffa di dietro si sia fatta un po’ troppa economia, la scollatura vertiginosa sulla schiena di questo abito non mi piace affatto.
Lo ripongo avvilita con la sua stampella, fisso ancora un po’ indecisa gli abiti per cercare di capire quale sia il male minore, alla fine opto per un tubino stretto senza spalline, che è comunque troppo corto da sollevarsi in modo molto poco elegante ad ogni mio passo, ma ho forse alternativa? Figurati se posso andare in giro con qualcosa che non mi lasci mezza nuda, non sia mai che indossi un abito che mi copra decentemente!
Penso con un sorriso sulle labbra a Finnick, ci vorrebbe lui adesso ad alleggerire la tensione, lui sì che mi capisce, mi domando con una punta di amarezza quanti millimetri della sua pelle abbiano deciso di tenere coperti, giusto per non offrire uno spettacolo di cattivo gusto, poi mi do della stupida: non ci sono limiti per Capitol City, non importa che sia uno spettacolo di cattivo gusto, basta che sia uno spettacolo e niente attira più spettatori di Finnick Odair mezzo nudo.
Arrivo con tristezza alla conclusione che sicuramente il mio amico è molto meno vestito di me.

Guardo un'ultima volta il mio riflesso attraverso lo specchio: cortissimo vestito nero, rossetto rosso, tacchi vertiginosi... è tornata la pantera del 7!
Tra un sospiro e l'altro raggiungo Sam nel salone, varco la soglia e mi fermo un attimo a contemplarlo.
I capelli scuri scompigliati, gli occhi lucenti, il sorriso abbagliante, la camicia bianca fascia meravigliosamente le sue spalle larghe, i primi bottoni strategicamente slacciati offrono la parziale visuale dei suoi pettorali scolpiti, la cinta lucida regge la camicia dentro i pantaloni blu che gli cadono perfettamente sui fianchi fino ad arrivare ai piedi, racchiusi in un paio di scarpe dello stesso colore.
Lo guardo un istante, il mio sguardo si sofferma su di lui e lo ammira a lungo, è così bello... ed è mio, tutto mio.
Un sorrisetto di tacita approvazione si fa strada sul mio viso, anche lui mi guarda incantato e per un attimo sembra sconnesso dal mondo, poi si sveglia dai suoi pensieri, i suoi occhi azzurri ora risplendono di un luccichio che conosco molto bene.
Si avvicina con passi dannatamente lenti, quando è abbastanza vicino penso che si fermi davanti a me, invece non lo fa, mi sorpassa e si ferma alle mie spalle, avvicina la sua testa alla mia nuca, sento il suo respiro nel mio orecchio – Odio questo vestito – sussurra con voce graffiante, sussulto impercettibilmente, dal suo sguardo si sarebbe detto il contrario, lui coglie il mio disappunto e si affretta ad aggiungere – Vorrei che nessuno oltre me potesse guardarti – .

Le sue parole, la sua voce roca, il suo respiro caldo contro la mia guancia, il mio cuore batte a mille e nemmeno mi ha sfiorata... è possibile che sia diventata così tanto suscettibile? Mi sento bruciare dentro,questo è quello che capita a chi si avvicina troppo al fuoco.
Lui è un fuoco, il più caldo che ci sia, più gli sto vicino e più ho paura di non riuscire a sopportare il freddo che c'è senza di lui, eppure non mi allontano, perché infondo so che il mio posto è qui, in mezzo alle sue fiamme, non mi allontano perché so che in fondo non sarà mai capace di bruciarmi.

-Jenna, vuoi rimanere lì imbambolata tutta la serata? - mi risveglia dai miei pensieri Sam con tono divertito e una mezza risatina.
C'è poco da ridere, prima incendia me, la stanza e tutto il centro di addestramento e poi pretende di trovarmi lucida e attiva? Non basterebbe un estintore in questo momento per liberarmi dal caldo opprimente che mi soffoca il corpo. Tutta colpa tua, Sam Claflin, ti odio... non è vero, ti amo.
Scuoto la testa frastornata, Sam afferra la giacca blu del suo completo con una mano e mi porge l'altra invitandomi a seguirlo, io l'afferro e mi lascio condurre verso l'enorme sala allestita per la sfilata.
Individuiamo Johanna e Blight, ci avviciniamo a loro, rimaniamo in silenzio, cosa potremmo mai dire? Niente, non c'è niente da dire.

Mi sento così ridicola, quasi ognuno degli uomini in questa sala potrebbe essere mio padre, così come ognuna delle donne potrebbero essere mia madre, al solo pensiero una morsa mi stringe il cuore, alcuni potrebbero essere addirittura più simili a dei nonni. Raggiungo con amarezza il mio posto vicino a Sam sugli spalti, dopo poco le porte a doppio battente si aprono ed i carri uno alla volta cominciano a fare il loro ingresso.

Mentre sfilano davanti ai miei occhi penso a questa gente, a questi vincitori, un tempo forti, eroi,ora molti di loro sono sopraffatti dagli anni, le rughe segnano i loro visi e risulta grottesco vederli con addosso questi costumi.
Altri invece qualunque cosa indossino non potrebbero mai sembrare ridicoli, penso mentre il carro numero 4 sfila davanti ai miei occhi.
È come ricevere un pugno nello stomaco, vedere il mio migliore amico su quel carro.
E vorrei prendere a schiaffi la gente che gli lancia fiori, vorrei urlare contro chi sbircia il suo corpo scolpito coperto solo da una rete intorno alla vita.
Finnick sorride a questa gente, che si scioglie sotto il suo sguardo, come si fa a resistere a Finnick Odair? Un pensiero in parte mi rincuora, questa gente lo ama, non lo guarderà morire nell'arena, eppure non troverò pace né consolazione finché non sarà ritornato a casa sano e salvo.
Poco prima che il suo carro si fermi il suo sguardo intercetta il mio, il suo falso sorriso si spegne lentamente, si china a raccogliere una delle tante rose che ha ricevuto e la lancia nella mia direzione, solleva un angolo della bocca in quel suo sorriso sghembo, il primo vero dei mille sorrisi da quando il suo carro ha cominciato a camminare, poi si gira di nuovo verso il suo pubblico ricominciando la sua recita.

Appena finisce la sfilata corro a rifugiarmi nella mia camera, non mi importa dell'occhiata stralunata che Sam ha fatto alla rosa che mi ha lanciato Finnick e non mi importa nemmeno che mi stia rincorrendo attirando l'attenzione di tutti.
Voglio sparire, sprofondare la faccia nel cuscino e non riemergere più.
Qualcuno bussa alla porta, io senza sollevare la testa mugugno qualche insulto che penso possa dissuadere chiunque sia fuori dalla porta, ad entrare, eppure poco dopo la porta si apre e dei passi leggeri entrano nella stanza.
Una ragazza bionda mi fissa con i suoi profondi occhi azzurri e senza fiatare mi porge un biglietto piegato, poi silenziosa come è arrivata se ne va.
Apro il biglietto con riluttanza, ma il nome di chi me lo manda richiama subito la mia attenzione.



 

                                                     Tra un ora, sulla terrazza.

                                                                               Finnick








Angoletto dell'autrice mortificata:
Si, sono di nuovo in ritardo, giuro che ho fatto di tutto per aggiornare il prima possibile, cioè oggi, che è comunque tardi ...
Cosa posso dire a mio favore? Non credo ci sia molto da dire, questo capitolo è leggermente più lungo del solito, quindi ci ho messo più tempo per scriverlo *si arrampica sugli specchi* ....
Ah, ho dato a Sam il cognome Claflin, come l'attore che in Catching Fire interpreterà Finnick, mi sono resa conto che avevano lo stesso nome e allora ne ho approfittato.
Volevo ringraziare tutti quelli che finora mi hanno recensito: siamo arrivati a 100 recensioni... Grazie di cuore!
Poi oggi mentre girovagavo per il fandom di Hunger Games mi sono imbattuta nella lista delle storie con più recensioni positive ed indovinate un po'? La mia piccola insulsa storiella è al 25esimo posto! Grazie ancora, è tutto merito vostro!
Non credo ci sia nient'altro da dire,spero con tutto il cuore che vi piaccia questo capitolo e che mi perdonerete per avervi fatto aspettare!

  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Akilendra