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Autore: Viola Plummer    04/06/2013    4 recensioni
Prima di allora non avevo mai tenuto un diario, solo libri di contabilità. Il resto non mi interessava, o per lo meno non mi sembrava importarte prendere nota dei dettagli per ricordarli a lungo termine. Ma al terzo giorno che, mentre ero seduta alla mia scrivania concentrata nel prepararmi per l'esame d'ammissione della Todai, la porta della mia stanza sbatteva e la finestra si apriva da sola sul mio naso, senza che soffiasse un alito di vento... beh, decisi che prendere nota di fatti ed orari era una buona misura cautelativa per salvaguardare la mia igiene mentale. Faceva caldo, era estate e l'anno scolastico volgeva al termine.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Nabiki Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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fanfic-cap7 Nelle dodici ore successive gli eventi avevano preso una piega imprevista. Avevo provato ad ogni cambio d'ora a telefonare allo studio di Tofu. Per sentirmi dire sempre e solo Ni-hao, Ni-hao?, Ni-hao!, Ni-hao ma chi è?, Ni-hao basta schelzo!, Ni-hao... pelo Shampoo ora dile basta! Basta schelzooo! No ni-hao, tu stupida pelsona fale stupido schelzo!!!
Beh, no. Non era uno scherzo. Era un'indagine, se vogliamo. Shampoo si era installata da Tofu e non mollava la presa sul suo telefono. Avrei dovuto aspettare l'orario di chiusura. Aiya!
Akane non aveva mai voluto accompagnarci al gabbioto del custode, si era inventata le scuse più disparate. Ranma invece era sceso con me quasi tutte le volte, apparentemente incurante dello strano diniego della sua fidanzata, in realtà secondo me piuttosto combattuto tra la propria curiosità e il timore di contrariarla in qualche modo. Avevamo sprecato sette gettoni, maledetta gatta morta cinese.  All'ultimo tentativo dovetti riconoscere che l'esasperazione stava facendomi perdere il mio abituale assetto da donna di ghiaccio. Mi appoggiai con la schiena allo stipite della porta del gabbiotto, il custode era andato a fumarsi una sigaretta.
- Ranma -  al richiamo della mia voce si era fermato voltandosi verso la porta dalla quale era appena uscito con una rapida rotazione sui talloni.
- Sì? -
- Io non ci vorrei credere, davvero. Quella di Happosai mi pare una una storiella inverosimile, non molto più credibile di quella famosa per cui le pippe fanno diventare ciechi. Anzi, mi pare proprio niente di più che un analogo imbellettato. E io non gli darei nessuna credibilità, se fossero solo le sue parole. Ma allora qualcuno dovrà spiegarci perché Shampoo non molla il telefono di Tofu e se ne sta rintanata nel suo studio invece di venire qua a dare il bacio della morte ad Akane impedendoci di parlare con il dottore. -
- Beh, magari... -
- Ho detto qualcuno, non tu. Non uscirtene con le tue solite giustificazioni casuali che non fanno altro che far sembrare più plausibili le scempiaggini del vecchio maniaco. -
- In effetti non ne ho idea. - Lo ammette senza troppi giri di parole, grattandosi la testa - Ma rimane il fatto che questa cosa potrebbe non avere nulla a che fare con la storia col vecchiaccio. Probabilmente c'è un collegamento con quello che sta succedendo a casa Tendo, chissà quale però... -
- Magari parlando con Tofu lo scopriamo. Dubito che lo stesso Happosai ne sappia davvero qualcosa. -
- Dobbiamo solo aspettare qualche ora. Shampoo dovrà andarsene a casa quando lo studio chiude. -
- Aspetteremo. -

Finite le lezioni andai a casa di Setsuna a studiare un po', ma ormai ritrovare la giusta concentrazione mi risultava difficile ovunque. Avrei voluto parlarne con la mia amica, ma ne sapevo così poco di questa faccenda che preferii mordermi la lingua e non dirle nulla. Anche se ovviamente lo notò. Era chiaro che avevo la testa altrove. D'altra parte lei non era da meno quel giorno. Aveva avuto una discussione con Daisuke dovuta a uno stupido equivoco, lo sapevo perché prima di uscire da scuola lui mi aveva chiesto di intercedere presso la sua ragazza. Di metterci una buona parola, insomma, perché lei aveva frainteso, quello che lui voleva dire era semplicemente che non era necessario che cambiasse i suoi piani per stargli vicino. Non che non gli interessasse quello che Setsuna facesse o che non le dispiacesse non poterla vedere tutti i giorni. Diceva semplicemente che andare a studiare a Kyoto era il suo sogno e che non doveva rinunciarci. Si sarebbero visti il fine settimana andandosi a trovare a turno per quell'anno. E poi, se le cose tra loro avessero continuato a funzionare, sarebbe andato anche lui a studiare là. Che tanto Tokyo o Kyoto per Daisuke non faceva differenza. Ma tant'è, Set-chan l'aveva presa nel verso sbagliato.

Bah. Take it easy, gente. O qua il mondo va a rotoli per futili motivi. Che come saprete è un'aggravante.

Feci un ultimo tentativo da casa di Setsuna verso le sette di sera. E ancora una volta un ormai troppo noto "ni-hao" risuono nel mio orecchio destro.

Accidenti, Shampoo. Ma cos'è che vuoi? Perché non ti levi dai piedi? Questa situazione non era forse già abbastanza antipatica senza che ti ci mettessi anche tu?

Alle otto mi avviai verso casa mia. Appena arrivata, giusto il tempo di togliere le scarpe e infilare le ciabatte e mi avventai sul telefono. Era proprio ora di metterci un punto, stava diventando un'agonia. Si trattava semplicemente di sapere cosa ne pensava Tofu. La leggenda della furia della casa stremata era solo una leggenda o aveva qualche fondamento? Esistevano davvero tutte queste varianti del problema accomunate solo dal fatto di avere a che fare con passioni tristi legate alla sfera sessuale? Dovevo semplicemente porgli un paio di domande semplici semplici e molto dirette. In meno di cinque minuti avrei avuto un quadro della situazione molto più definito. Alzai la cornetta e composi il numero, senza più guardare il foglietto stropicciato che mi ero portata dietro tutto il giorno. Ormai lo sapevo perfettamente a memoria. Ranma e Kasumi di nuovo dietro di me, Happosai sparito chissà dove, la scena si ripeteva secondo un copione quasi identico a quello della mattina.
- Pronto? - oh oh oh. Finalmente!
- Pronto, dottor Tofu? - risposi piena di entusiasmo ma in qualche modo temendo che all'improvviso tornasse la voce di Shampoo a rompere l'idillio - Sono Nabiki Tendo. -
Intorno a me volti interrogativi aspettavano di sentire come sarebbe andata a finire.
- Ah, Nabiki cara! Aspettavo che mi richiamassi. Sei stata tu a fare tutte quelle telefonate oggi, vero? Purtroppo non potevo far allontanare Shampoo dal telefono senza destare sospetti. Ma non vi preoccupate assolutamente, avevo già messo al sicuro la parte più importante della mia biblioteca. Anzi, ti ho fatto un sacco di fotocopie. -
- Fotocopie? Per me? -
- Mmmm.... credo di sì, no? Tu che dici? -
- Io che dico? Beh... sinceramente io non so proprio cosa dire... - lui ride. Eh, sì. Ride di cuore lui...
- Tranquilla, sono gratis. Per la casa stremata dei miei pazienti preferiti questo ed altro. Ma sono davvero tante, sono cinque scatoloni pieni pieni, peseranno venti chili l'uno. -
- Ha detto... casa stremata? -
- Sì, certo. Ho quasi la bibliografia completa sull'argomento, almeno quella in lingua giapponese. Purtroppo spesso si tratta di giapponese antico, piuttosto ostico... -
Ora cosa si suppone che io debba dire? Niente probabilmente visto che Tofu continua a parlare allegro.
- Spero che non ti sia davvero necessario leggere tutto, altrimenti potrebbe essere complicato. Non credo rimanga molto tempo, non più di una decina di giorni secondo le mie stime. -
- Stime? Ma di cosa sta parlando, mi scusi? -
- Prima del collasso definitivo. -
- Collasso? Definitivo? -
- Lo so, è preoccupante, ma io penso che tu possa farcela. Anche se è un po' una corsa contro il tempo, ma se ti ci metti di buona volontà, lavorando al massimo delle tue capacità, puoi farcela. -
- Io non credo di seguirla invece. Lei sta correndo troppo, Doc. -
- Già, forse hai ragione! -  ancora una risata, cristallina e gentile. Eppure io ho paura. Io devo studiare, io devo occuparmi di prepararmi per l'esame d'ammissione, non immergermi in cinque scatolini di fotocopie per evitare un fantomatico collasso definitivo. Di che mi sta parlando, Tofu? - Ascolta, Nabiki. Che ne dici se passasi a portarti le fotocopie più tardi, verso le dieci tornerà la mia vicina e posso farmi prestare la macchina e venire da voi. Magari andiamo a fare quattro passi e parliamo con calma. -

Caspita, mi ha proprio preso in contropiede il dottorino. La conversazione non è andata nemmeno lontanamente come  avevamo previsto e adesso mi stanno guardando tutti come se la matta fossi io.

-
Va bene, non c'è problema per me. Solo una domanda. -
- Dimmi pure. -
- Ha parlato con Happosai ultimamente, dottore? -
- No, assolutamente. Saranno mesi che non lo vedo da una distanza inferiore ai dieci metri. -
- Capisco. - E adesso che si fa? - Va bene, grazie mille dottor Tofu. A più tardi. -
- Di nulla, davvero, a dopo. - Faccio per riagganciare quando dall'altra parte della cornetta mi sento richiamare - Ah, Nabiki? -
- Sì? -
- Mi dispiace. -

Prima che mi tartassassero di domande, avevo sollevato un indice minaccioso: - Avete il diritto di restare in silenzio. -
Nodoka, papà e Ranma erano visibilmente interdetti. Genma sorrideva. Per la prima volta ebbi il sospetto che ne sapesse di più di quanto non volesse dare ad intendere. Ma tant'è. Non parlerò con loro. Con nessuno di loro, per ora.
- La risposta alla domanda fondamentale è sì, Happosai ha detto la verità. Non chiedetemi altro. Non sono ammesse domande fino a quando non avrò parlato con il dottore. Verrà dopo le dieci a portare le fotocopie degli antichi testi sull'argomento che aveva nella sua biblioteca. Le uniche due cose che vi è dato sapere per ora sono:  a) Tofu dice che la casa stremata collasserà tra una decina di giorni. b) Tra di noi c'è una talpa. È tutto. -

Diamine, che brutta situazione. Tofu sapeva tutto, e non era stato il vecchiaccio ad informarlo. Sapeva tutto e ci credeva. O meglio, non era lui a crederci, era la leggenda della Furia della Casa Stremata a non essere una semplice leggenda. Mancavano dieci giorni al collasso. Dieci giorni per trovare l'antidoto, l'incenso del karma giusto, in cinque casse di fotocopie. O per rimuovere la causa del problema, la sorgente dell'energia negativa. O invertirla. Una cosetta da niente.
Sospirando me ne andai al piano di sopra. Mi sciacquai la faccia nel piccolo bagno di servizio che mio padre aveva fatto aggiungere da quando il numero degli abitanti stabili era cresciuto ulteriormente.
Anziché entrare in camera mia, proseguii fino alla porta aperta della stanza di Akane. Era seduta alla sua scrivania, guardava fuori. Aveva le cuffie in testa e non si accorse della mia presenza. Bussai. Nulla. Bussai più forte. Questa volta si girò.
- Preparati, - lo dissi sforzandomi di usare un tono che non ammettesse repliche - andiamo a prenderci quella birra che dovevamo farci ieri. -
- Ma se non abbiamo nemmeno cenato... - obiettò lei debolmente. Molto debolmente per la verità.
- Vorrà dire che mangeremo qualcosa in giro. Verso le dieci passerà il dottor Tofu a portarmi delle cose e devo farmi trovare. -
- Tofu? Hai... tu hai... parlato con lui...? -
- Esattamente. - Akane sospirò profondamente, chiudendo gli occhi, come a tentare di rilassarsi e mantenere i nervi saldi. Quando riaprì le palpebre, la sua faccia era una maschera di sconforto. Neanche l'avessero condannata a morte.
- Va bene. - disse in un soffio.
- Ci vediamo giù tra dieci  minuti, ok? - avevo cambiato tono in modo un po' sforzato, un po' fuori luogo.  Le sorrisi senza sapere se ero sincera o meno, ma con la netta sensazione che qualsiasi altra cosa avessi fatto sarebbe stata simile ad infierire su di un bambino indifeso. Non rispose al mio sorriso, si limitò ad abbassare lo sguardo.
Lasciai la sua stanza ancora più confusa di quando vi ero entrata.

Perché? Accidenti, Akane... che cos'è quella faccia da funerale? Che ti sta succedendo? Stai quasi riuscendo a farmi preoccupare. E io che volevo spremerti come un limone perché sospetto che la nostra piccola talpa sia tu. Perché sei tu, non è vero? Ma così non c'è gusto. Mi togli tutto il divertimento. Se mi guardi in quel modo non riesco neppure a prenderti un po' in giro... non sono neanche riuscita a dirti di non dimenticarti di prendere i soldi. Finisce che davvero pago io...

In corridoio incrociai Ranma che, stranamente, non osò chiedermi nulla. Anche se avrei giurato che aveva sentito tutto.
Ci dileguammo senza dare troppe spiegazioni. Papà era davvero perplesso, Kasumi mi chiese se doveva metterci da parte la cena. Declinai gentilmente. Uscendo avevo potuto avvertire il suo sguardo su di noi, uno sguardo che mi parve pieno di sospetto. Ma la paranoia, si sapeva, si era impossessata del mio cuore e del mio cervello. Cercai di non farci caso e tirai dritto.
Camminammo in silenzio, di buon passo, fino alla stazione. Salimmo sul primo treno diretto in centro. Una sola fermata, pochi minuti, ed eravamo arrivate. Akane continuava a comportarsi come un condannato a morte trascinato al patibolo. Di qualsiasi cosa si trattasse, era un'esagerazione. Un'esagerazione che mi faceva sentire a disagio e mi metteva di cattivo umore. Un'esagerazione che mi impediva di rompere il ghiaccio con qualche battuta stupida. Poco male, ci avrebbe pensato l'alcol a risolvere i nostri guai più contingenti. Entrammo in un bar che conoscevo per esserci stata con degli amici dove facevano degli ottimi panini americani. La clientela erano ragazzi e ragazze della nostra età o poco più grandi. Il posto perfetto dove passare inosservate. All'interno un condizionatore sempre accesso rendeva l'aria respirabile. Ci sedemmo a un tavolino. In mezzo alla settimana ne restava sempre qualcuno libero anche all'orario di punta. Ordinammo due panini e due birre medie, ma il cameriere ci chiese i documenti e alla fine di una serrata trattativa riuscimmo ad ottenere una media ed una piccola per Akane che dal basso dei suoi diciassette anni e tre mesi non poteva permettesi di strafare. Ed era proprio una concessione, capito, ragazzine? Come no.

E adesso? Adesso cosa dico? Adesso cosa faccio? Meglio finire prima di mangiare? Kami, che nervi questo silenzio... No, no, ora parlo di me. Le racconto di cose a caso che non hanno nulla a che vedere.

Stavo per partire in quarta spifferando gli affari privati di Daisuke e Setsuna, ma una lampadina si accese dentro il cervello quando avevo già la bocca aperta ma non era ancora uscito nessun suono: evitare temi sentimentali. Ok, avrei parlato dei miei progetti futuri e del timore che avevo di non passare l'esame di ammissione. Oppure potevo dirle dei progetti che avevamo con le mie amiche di classe per le vacanze estive. Volevamo fare un viaggio, forse sarebbero venuti anche alcuni dei ragazzi, o forse ci saremmo incontrati da qualche parte per poi proseguire insieme. Avevamo finito la scuola e bisognava festeggiare, no?
Quando si dice aprire bocca e darci fiato. Iniziai a dire cose a caso, quasi come se parlassi tra me e me. Le prime frasi suonarono del tutto innaturali, poi man mano che parlavo, e la birra scendeva, l'atmosfera si andò rilassando. Quando Akane ebbe finito la sua piccola, smezzammo quello che restava della mia. Poi ne ordinai un'altra. Non me la poteva negare a me, io diciotto anni ce li avevo già, anche se da poco.
Ora non pensare che tua zia sia un'alcolizzata, Minako. O una che alza il gomito facilmente, che non è assolutamente il mio genere. Però l'alcol in certe situazioni può essere un alleato prezioso. Una di queste situazioni è quando devi far sciogliere un po' una sorella irascibile col vizio delle pare mentali. Non mi credi? Te lo dimostro subito! Prendi la seconda mini-cassetta della scatola. Data: 3 luglio 1990.  Il quaderno con il testo e i commenti è lo stesso di prima.

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A.: Ma tu non mi hai portata qui per parlarmi dei fatti tuoi, non è vero Nabiki?

[La domanda di Akane arriva del tutto inaspettata, accompagnata da un sorriso delle labbra al quale i suoi occhi non accennarono a partecipare. E mi procura un notevole sollievo. Mi risparmia la scocciatura di cambiare argomento e dirottare io la conversazione che in effetti ormai si stava svolgendo piacevole e leggera. Almeno in superficie.]

N.: No, sorellina. Ti ho portata qui per parlare dei fatti tuoi. Che sospetto siano molto più interessanti dei miei.
A.: Oh, solo perché la parte interessante dei tuoi tu te la tieni sempre per te. Come è giusto che sia. Ma forse io non posso più permettermi questo lusso...
N.: Così pare, purtroppo.


[Una sua breve risata, appena accennata ma in qualche modo scomposta, mi fa sospettare che sia un po' brilla. Poco, poco. Quanto le basta per iniziare a cantarla.]


N.: Insomma, me lo vuoi dire che ci facevi sulle scale l'altro giorno a quell'ora di notte?

A.: Te l'ho detto... era per gli allenamenti notturni... 
N.: Veramente tu mi avevi detto che eri già andata a letto. 
A.: Già. Hai ragione. 
N.: Allora? Guarda che non ti mordo mica. E poi so tenerlo un segreto se voglio. E questa volta ti assicuro che voglio perché nessun affare che io potrei provare a fare rivendendomi le tue confessioni potrebbe mai compensare la distruzione della nostra casuccia. Una casa vale un sacco di soldi!
A.: Non riuscivo a dormire per colpa dei cassetti della scrivania che avevano iniziato ad aprirsi e richiudersi. Anche se non sbattevano, si aprivano e si richiudevano lentamente ma facendo un po' di rumore. Abbastanza da non farmi addormentare in pace, nonostante fossi stanca morta.  

[5 sec. Si ferma come se dovesse riprendere fiato. Eppure ha parlato poco e lentamente.]

A.: Faceva caldo. Avevo sete, così avevo deciso di scendere in cucina. Ma c'era già Ranma e così mi sono messa ad aspettare che se ne andasse...

N.: E perché? 
A.: Perché non volevo incontrarlo, non volevo che mi chiedesse che ci facevo ancora in giro... Mi sono seduta e sono rimasta lì.
N.: Poi però il freezer lo aveva steso e non c'era più speranza che si togliesse di là, quindi hai lasciato perdere... giusto? 
A.: È stato il freezer? 

N.: Sì. Io ero in bagno e ho sentito il botto, quindi sono scesa a vedere che era successo.
A.: E gli hai parlato? 
N.: Sì, mi ha detto lui del freezer. Ma tranquilla, non gli ho detto che eri sulle scale.
A.: Grazie...
N.: Senti, ma si può sapere perché lo stavi evitando al punto da non scendere nemmeno a vedere se si era fatto male? Va bene che ha la testa dura e sicuramente non c'era da preoccuparsi, ma  questo comportamento non è da te.
A.: Dici così solo perché tutti avete iniziato a dare per scontato che io debba preoccuparmi per lui. Sicuramente è colpa mia che poco a poco avevo preso l'abitudine di trattarlo quasi come se fosse davvero... come se davvero io e lui... come se fosse il mio ragazzo.
N.: E non lo è?
A.: No. In assoluto. Non lo è.
N.: Però nemmeno io che non sono certo un mostro di altruismo ho pensato per un solo istante di lasciarlo steso sul pavimento e tornarmene a dormire come se niente fosse. Voglio dire, fosse stato un estraneo l'avresti soccorso. Sei arrabbiata con lui per qualcosa?
A.: No. 
N.: No? Sicura?
A. Sicurissima.

[Si sta richiudendo a riccio, ci vuole un'altra birretta.]

STOP

Avanti, signor barista, guardi che non dobbiamo mica guidare... tra poco ce ne andiamo, prendiamo il treno e torniamo da paparino nostro e da tutti quegli altri simpatici mattacchioni che ci stanno aspettando a casa. Insomma, me la vuoi dare questa media o no?

[Altra birretta e siamo pronte a ripartire.]

REC

N.: Mmmm... fammi indovinare. Si sta comportando male con te? È più egocentrico e insensibile del solito?

[Akane si stringe nelle spalle.]

N.:Ti sta facendo pentire di esserti preoccupata per lui in passato? Che poi per quello che ne so io hai fatto ben più che semplicemente
preoccuparti... a Jusendo per esempio... O quando hai accettato di sposarlo per fargli avere l'acqua della sorgente...
A.: Quello è stato un errore, uno stupido errore. Di Jusendo non mi pento. Non potrei mai pentirmene...

[La voce le è diventata leggermente roca, il tono molto più basso. Il magone è un nemico insidioso.]

N.: Dai, su. Non fare così, non volevo farti ripensare a cose tristi.
A.: Non è questo... È che tante, troppe cose non sono da me ultimamente. Eppure le faccio lo stesso, qualche volta. Molto più spesso riesco ad evitarlo.
A.: Evitare... di farle? O evitare Ranma?

[Sembra non ascoltarmi più.
]

A.: Ho imparato a farlo, ma a un prezzo alto. Perché sono costretta a fare cose che non sono da me per evitare di trasformare cose che lo sarebbero in situazioni assurde. Perché per evitare disastri peggiori adesso non posso più nascondermi. E come se non bastasse la casa ci sta cadendo addosso.
N.: Non sono sicura di aver capito...
A.: È colpa mia. L'ho sempre saputo in fondo. Sono io il problema.

[È riuscita a spiazzarmi. Tutto mi sarei aspettata tranne che si autoaccusasse in questo modo.]


N.: Che cosa??
 Perché credi di essere tu il problema?

[
Ehi, tu, chi accidenti sei? E dove hai nascosto la mia sorellina testarda, ostinata e terribilmente orgogliosa?]

A.: Non lo credo. Io lo so.
N.: Ma per quale motivo? Non è da te buttarti addosso la colpa di qualcosa, di una cosa del genere poi...!

[Presagio di sventura. Se siamo a questo punto vuol dire che la situazione è più grave di quanto pensassi.]

A.: A che servirebbe negare? Tu hai pensato da subito che fosse colpa mia, ancora prima che Happosai ci raccontasse tutte quelle cose... 
N.: Avevo solo notato che c'era qualcosa di strano in te... Certo non mi sarei mai aspettata che tu... Sono sorpresa,
davvero. [E anche un po' spaventata.] Pensi di potermi raccontare tutto dall'inizio? 
A.: Siamo qui per questo, no? Però facciamo che inizio con una domanda. 
N.: Prego.
A.: Tu quando hai notato le prime stranezze in casa?
N.: Pochi giorni fa.
A.: Io a marzo.

[Questa poi...!]

N.: E perché non hai mai detto niente?
A.: Perché pensavo fosse la mia immaginazione. Credevo di star impazzendo. Volevo aspettare che qualcun altro notasse qualcosa e ne parlasse...
N.: Anch'io ho pensato lo stesso, ma perché ero sotto pressione per l'esame e faceva un caldo pazzesco. Mi pareva plausibile iniziare ad avere le allucinazioni. Fino a che la finestra non ha fatto cadere i miei occhiali. Ho paura che non sia stata una buona idea disporre i mobili come stanno in camera tua!
A.: In condizioni normali lo sarebbe stata...
N.: Eh già...
A.: Ma il fatto è che io avevo motivo di credere di star impazzendo anche a marzo quando certo non soffrivamo il caldo. È da ottobre, più o meno, che mi sento strana. Che mi sento in un modo che non mi piace... Che sento cose che non mi piacciono.
N.: Ah ah. Da ottobre dici...
A.: Sì, più o meno.
N.: E questo, mi pare di capire, ha in qualche modo a che vedere con Ranma...
A.: Oh, dai. Non trattarmi come fossi una bambina stupida o una bambola di porcellana. Sappiamo benissimo tutte due di cosa stiamo parlando. Happosai ci ha fatto una lezioncina abbastanza esplicativa ieri, non credi?

[Con questa qui, fai come fai, sbagli sempre.]

N.: Se la metti così, come ti pare. Io volevo solo essere delicata ed evitare di irritare la tua sensibilità iper-suscettibile...
A.: Apprezzo, ma non farmi sentire un'idiota che non aiuta.
N.: Ricevuto. [Ma guarda un po' tu...]
A.: Il fatto è che da quando siamo tornati dalla Cina è stato tutto così strano... La faccenda del matrimonio era un'idiozia, lo so da me.  Per mille motivi.  La nostra età non è l'unico. Prima di quella c'è il fatto che noi non siamo una coppia, non per nostra volontà almeno. Non ci comportiamo come una coppia. Non usciamo insieme, non ci siamo mai nemmeno abbracciati se non per qualche strano caso accidentale o in situazioni estreme, come a Jusendo. Abbiamo camminato mano nella mano una sola volta. Che senso avrebbe avuto sposarsi? Per poi fare che? Eppure a me era sembrata... una via d'uscita comoda. Un modo per chiudere la porta in faccia a tutta l'orda di pretendenti una volta per tutte. Dopo avremmo anche potuto provare a costruire qualcosa, no? Ma c'era anche un altro punto che rendeva la situazione estremamente confortevole per me: potevo sposarlo senza ammettere di volerlo. Senza ammettere nulla. Credevo di avere tutte le carte per riuscire a chiudere la partita senza espormi per niente. Da una parte avevo la sua confessione, la tranquillità di essere... insomma che lui... credevo di avergli sentito dire che mi amava. Ne ero proprio convinta. Dall'altra papà con quella storia del regalo di nozze mi aveva servito la scusa perfetta su un piatto d'argento. Potevo sposare Ranma per fargli un favore. Perché lui mi amava e aveva bisogno dell'acqua della Nannichuan. Avrei avuto il suo amore, la sua gratitudine. E l'esclusiva. Semplicemente perfetto...
N.: Beh... certo tutto questo suona quanto meno un po'...

[...il piano di una che ha bisogno di farsi vedere da uno bravo.]

A.: Vigliacco? Subdolo? Quello che vuoi. Lo so da me.
N.: Immagino... [No che non lo sai. Non ti rendi proprio conto, nemmeno lontanamente.]
A.: Ma che importanza ha? Le cose sono andate diversamente, no? Sono andate diversamente perché mi ero fatta male i conti. Sbattere la porta in faccia a certa gente non è così facile. Soprattutto se ci si mette di mezzo Nabiki Tendo a farli rientrare dalla finestra. Anzi, che dico!, proprio dall'entrata principale con tanto di inviti ufficiali. Di' la verità. L'hai fatto apposta. Volevi mandare a monte il nostro matrimonio?

[Io ti ho salvata da te stessa, razza di scema! Ma lasciamo perdere. Non risponderle male, Nabiki, non risponderle male o rovinerai tutto. Qui ci sono in gioco cose grosse, molto grosse. Respira e parla con calma. Tranquillità e calma. Ecco, così... Ohm...]

N.: Non necessariamente. Volevo divertirmi e fare soldi, come sempre. Ma, sinceramente, la trovavo e la trovo ancora una pessima idea
[simpatico eufemismo]. E quello che ha fatto papà... a me sembrava che ti stesse semplicemente ricattando.  Non è che propriamente approvassi il suo comportamento [simpatico eufemismo 2]...
A.: Probabilmente hai ragione. Anch'io avrei dovuto vederlo solo come un ricatto, e invece... Ma Ranma no. Non si sarebbe mai piegato a sposarmi solo per avere l'acqua della fonte. E per sposarsi bisogna essere in due, no? Quindi non ce l'ho con te. Non ce l'ho nemmeno con lui. Ce l'ho solo con me stessa.

[E per fortuna! Vedi tu che per una volta trai due è stato Ranma quello più sensato...]

N.: Ti stavi comportando come una Shampoo o una Kodachi qualsiasi. Avevi trovato la mossa vincente per accalappiarlo contro la sua volontà. O quasi per comprarlo addirittura... E io che credevo che l'unico che stesse giocando sporco quel giorno fosse papà...!
A.: Pare di no.
N.: Accidenti, Akane, certo che sei contorta! Perché impelagarsi in assurdi sotterfugi quando non è assolutamente necessario? Potevi scegliere una via un po' più diretta, no?
A.: E perché mai quando avevo a disposizione una via sicura? E poi se andava male, come è andata, per colpa di qualcun altro, io non avevo perso niente. 
N.: Certo. Perché non ti eri giocata niente. [Bisogna proprio essere un po' fuori di testa per fare un ragionamento simile.]
A.: Non mi piace correre rischi.

[Grazie tante, Akane. Ora stiamo beneficiando tutti del modo maturo e responsabile in cui hai saputo affrontare la vita. 
Davvero, grazie di cuore.]

N.: E così, per non correre rischi, adesso siamo sull'orlo della catastrofe. Si può sapere come ci siamo arrivati, di grazia?
A.: Oh, ma è molto semplice. A posteriori, è semplicissimo. Ho ripetuto lo stesso errore, un sacco di volte, come un mulo, senza rendermene conto. Durante tutti questi mesi mi sono ostinata a voler fare i conti senza l'oste. Finché la situazione non mi è del tutto sfuggita di mano.

[Di questo se ne sono accorti anche i muri, come si suol dire. E si direbbe che non l'abbiano presa proprio bene.]

N.: Ovvero...?
A.: Mi convinco di cose infondate, senza motivo. Mi convinco che le cose andranno in un certo modo quando non si sa perché dovrebbero andare proprio così e non in un altro modo. E poi quando invece diventa chiaro che mi sono sbagliata vado nel panico e mi creo un altro scenario, ugualmente arbitrario. E così via. Per esempio, dopo il matrimonio mancato mi dicevo: non fa niente, lui ti ama e prima o poi farà qualcosa, ti dirà qualcosa, si avvicinerà in qualche modo... devi solo aspettare e portare pazienza. Tanto non è che te ne importi qualcosa. Non è che tu ne senta l'urgenza. È solo perché le cose si chiariscano tra voi, non che ti interessi particolarmente... E invece niente. O meglio. Ha smesso di insultarmi gratuitamente e di provocarmi. E io ho smesso di malmenarlo. Potevo anche ritenermi soddisfatta. Insomma, avrei dovuto, sarebbe stato logico. Avevamo instaurato un rapporto civile, non litigavamo più. Probabilmente la dichiarazione d'amore me l'ero sognata. Ma avrebbe dovuto andarmi bene anche così. D'altra parte non è che io... io lo consideravo solo un amico... Non c'era nessun problema quindi. Potevamo andare a scuola insieme la mattina, fare i compiti il pomeriggio, ogni tanto allenarci insieme o andare a mangiare un gelato per ragazze. Che altro volevo?
N.: Beh, se non lo sai tu.
A.: Io non lo sapevo, puoi star sicura. Non volevo saperlo.
N.: Mamma mia quante inutili complicazione per un problema così semplice...
A.: Sarà semplice per te. Per me non lo è affatto. Non capivo cosa diamine mi pigliasse. Soprattutto le prime volte. Capitava per esempio che mi fermassi ad osservarlo durante le lezioni. Mi sorprendevo io stessa quando mi ritrovavo imbambolata a fissarlo. Yuka e Sayuri si sono accorte subito che avevo qualcosa che non andava. Hanno cercato di farmi parlare, ma io ovviamente ho sempre negato con tutte le mie forze di aver mai fatto una cosa simile. Quando mai? Io? Imbambolarmi a guardare Ranma? Impossibile! Eppure succedeva spesso, e sempre più a lungo. Nelle circostanze più improbabili poi. O forse dovrei dire più banali. Mentre faceva cose e non si curava di me. Mentre si allenava in giardino o nel dojo, io seduta in un angolo. Mentre studiava alla mia scrivania e avrei dovuto dargli una mano. Mentre giocava a basket, e tutte le ragazze mi venivano intorno facendo commenti su quanto fosse bello e bombardandomi di domande su di noi.
N.: Che patetici... [Come faccio a non dirlo?]
A.: Chi?
N.: Voi due, chi se no?
A.: E che c'entra lui?
N.: Eccome se c'entra. C'entra sempre. [E mannaggia alla gente che non sa stare al mondo.]
A.: Io non credo che questa volta abbia colpa. È stato dentro di me che qualcosa ha iniziato a funzionare male. Come se l'interrompersi del flusso di insulti e grida e martellate e altri insulti avesse fatto improvvisamente spazio a un grande silenzio. Senza più rumore, senza niente da dire, non mi rimaneva altro da fare che... guardarlo.  Non avrei voluto, davvero. Assolutamente. Io non volevo. Eppure succedeva lo stesso. Questa volta l'oste con cui non avevo voluto fare i conti era dentro di me. Ed era forte e ostinato. Mi fregava sempre. Quasi sempre. Comunque un sacco di volte. E andava sempre peggio. Succedeva perfino che mi ritrovassi a fantasticare di sedergli accanto, dargli un piccolo bacio sulla guancia e poi scomparire come un fantasma. Questa in autunno era diventata la mia fissazione, non sapevo proprio come liberarmene... Poco a poco ho iniziato a preferire non dover interagire direttamente con lui, che non mi parlasse, che non rompesse l'incanto e si lasciasse osservare in silenzio. Meglio ancora se non c'era nessuno intorno che mi vedesse. Volevo solo starlo a guardare in tranquillità e sognare un po'. Mica chissacché... Fantasticavo di avvicinarmi e fargli due coccole, un abbraccio, una carezza, come se stessimo insieme normalmente. E che lui avrebbe reagito in maniera normale, cioè dolce e tranquilla. Sono convinta che ne sarebbe capace, se solo riuscisse a rilassarsi... con la ragazza giusta, ovviamente. Riuscivo a visualizzarlo bene, ed era proprio lui, col suo modo di muoversi, il suo sorriso, tutto tale e quale, forse solo un po' più adulto... Mi sono proprio creata un mondo immaginario tutto mio...! E per un certo tempo mi è anche andato bene, mi è stato di conforto e mi bastava... Certo, mi sentivo stupida, stupidissima. Ma speravo che mi sarebbe passata, che fosse un rincitrullimento passeggero che se ne sarebbe andato come era venuto.

[Te l'ha mai detto nessuno che sei un genio?]

N.: Beh, sarebbe stato anche possibile. Se tu ti fossi messa a fantasticare su uno che vedevi per la prima volta, incontrandolo magari solo a scuola, al cambio dell'ora. Ma nel tuo caso più che un fenomeno passeggero io l'avrei preso per...
A.: Un campanello d'allarme? Il segnale che mi si stava definitivamente friggendo il cervello?
N.: Non era quello che intendevo. Volevo dire che non avresti dovuto farti cogliere così alla sprovvista, che era una cosa che avresti potuto aspettarti perfettamente e che se stava succedendo nonostante tutti i tuoi sforzi per evitarlo, beh, forse voleva dire che era ora di fare qualcosa.
A.: Tipo che? Una lobotomia?
N.: Non essere ridicola. [Quest'atteggiamento iper-negativo fa paura.]
A.: Comunque io qualcosa ho fatto. Ho cercato di tenerlo a distanza, di mostrarmi più fredda. E di togliermi la brutta abitudine che avevo preso di sorridergli.
N.: Geniale, davvero. Che speravi di ottenere?
A.: Volevo vedere se riuscivo a farmela passare.
N.: Ma la soluzione più semplice a te sfugge sempre?
A.: Quale soluzione? Non c'era nessuna soluzione. Potevo solo tenermene alla larga. Purtroppo però non ha funzionato.  Ho iniziato ad avere una gran voglia di prenderlo a schiaffi, di gridargli contro di tutto... Ma avrei voluto anche abbracciarlo. E piangere...

[Ma di che accidenti hai paura? Non te l'ha mai detto nessuno che arriva sempre il momento di guardare in faccia alla realtà e affrontare i fantasmi? La vita è troppo breve per questi giochetti. Questo tu dovresti saperlo bene.]

N.: Kami... ma lo sai che sei un vero impiastro?
A.: Sì che lo so! Non serve che me lo ricordi...
N.: Sappi che io disapprovo in pieno questo tuo modi di complicarti inutilmente l'esistenza. [3 sec.] [Sospiro] Ad ogni modo, questo era all'inizio dell'inverno... 
A.: Sì...
N.: E poi...?

[Abbiamo altri sette mesi di disastri a ripercorrere. Tremate, gente, tremate.]

A.: E poi... È stato durante le vacanze invernali. Stavo leggendo Peter Pan. Mi ci sono svegliata una mattina. L'idea di un bacio. Un bacio vero, non un ditale, non un bottone. Un bacio sulle labbra. E mi è presa malissimo, ho detto che stavo male e non sono voluta scendere a fare colazione. Sono rimasta a letto. Da quel giorno mi è stato chiaro che così non poteva andare avanti, che mi portavo un peso dentro che che mi toglieva il fiato, una roba dolorosa che mi avrebbe consumata. Non riuscivo più a farlo stare zitto, quel maledetto oste. Mi ruggiva dentro, stavo male. Ci sto ancora male. L'errore che ho fatto, l'ennesimo, è stato quello di rifugiarmi ancora di più in questi stupidi sogni, invece di darci un taglio.
N.: Diamine, Akane... [Diamine diamine diamine.]
A.: Così ho finito per svegliarmici quasi tutte le mattine, con l'idea del bacio in testa, un'idea che per di più continuava ad evolvere, a definirsi, a completarsi... ormai non si trattava più di un semplice contatto, volevo...  non so bene... sì, insomma, di più. Voglio dire che non era più una roba, uhm, del tutto innocente quella che avevo in testa.

[Arrossisce. Al pensiero di un bacio diventa rossa. La nostra differenza di età è di soli dieci mesi, eppure stando seduta qui a sentirle fare questi discorsi sembrano una vita intera. C'è una distanza siderale, un abisso. Ma perché? Quand'è stato che gli alieni ti hanno rapita e ti hanno portata su Kasumio, Akane? Io c'ero? Sono rimasta a guardare per non litigare? Dopotutto non erano fatti miei. Ma la mamma non avrebbe voluto questo. Ne sono sicura. Non la ricorderò tanto bene, anch'io ero piccola, ma due anni di ricordi in più o in meno non danno a nessuno il copyright sulla memoria di una persona.]

A.: Arrivai a chiedere a Kasumi di svegliarmi cinque minuti prima per poter restare sotto le coperte e gestire con calma la transizione tra il dormiveglia e il duro mondo reale, abituarmi alla luce e prepararmi ad affrontare una nuova giornata. In quel periodo, qualsiasi cosa era una fatica. Mangiare, studiare, andare a correre, allenarmi... non mi andava di fare nulla. Mi sforzavo di mantenere le apparenze, ma mi alzavo dal letto animata dalla sola voglia di rifarmi un po' gli occhi, catturare nuove immagini per alimentare i miei sogni e tornarmene a dormire.
N.: Ma non va bene, non va affatto bene... Quanto sei andata avanti un questo modo?
A.: Qualche settimana, poi le cose sono ancora peggiorate. Ho iniziato a fare strani sogni. Neanche li ricordavo bene al mattino, dormivo male e quando Kasumi veniva a chiamarmi mi faceva sempre prendere un colpo. Ma rimanevo inquieta, a disagio. Mi lasciavano una sensazione come di esposizione, di vulnerabilità, come se non potessi evitare di lasciare all'avversario una quantità di aperture facilissime e stessi sempre sotto attacco. Sarebbe bastato un niente a mandarmi al tappeto. La verità è che ero perennemente distratta e far finta di nulla iniziava a costarmi una fatica disumana. Anche perché quello scemo di Ranma iniziava ad accorgersi di qualcosa. Dopo tre giorni filati in cui tutto quello che ero riuscita a dirgli era stato "vedi di svegliarti" e "ci vediamo a casa", avevo evitato di scendere per cena e non avevo fatto colazione, era venuto a cercarmi in camera mia. Mi aveva spaventata perché avevo le cuffie con la musica e non l'avevo sentito entrare. Era il giorno prima dell'ultimo compito in classe di matematica del quadrimestre e solo io sapevo che disperato bisogno avessi di studiare. Cercai di mandarlo via in malo modo, senza neanche voltarmi, dicendogli che si poteva scordare che l'aiutassi, stavo già abbastanza indietro per conto mio. Ma si dava il caso che non fosse lì per quello.
N.: Non dirmelo... 
A.: Voleva sapere cosa aveva fatto per farmi arrabbiare così tanto da togliergli la parola. Voleva scusarsi. Diceva che era da tanto che non litigavamo, che era felice che avessimo smesso di discutere, che se aveva fatto qualcosa di sbagliato non l'aveva fatto apposta, che non era sua intenzione ferirmi... Aveva un tono triste, dispiaciuto, quasi addolorato. La sua voce era... oddio, Nabiki, io devo proprio aver perso la testa... Lo sapevo che non dovevo girarmi a guardarlo, non dovevo, assolutamente non dovevo.  Non ho potuto farci niente. Quando ho alzato lo sguardo me lo sono ritrovato troppo vicino. Ci siamo guardati negli occhi dopo un sacco di tempo ed è stato più di quanto non potessi sopportare. Anche perché stava sorridendo, ma non c'era allegria in quel sorriso. Però dolcezza sì, pure troppa. Doveva essergli costato parecchio essere venuto fin là a scusarsi senza avere la più pallida idea di cosa potesse aver fatto. Perché non aveva fatto proprio niente. Chiaramente stava facendo uno sforzo per capire che diamine mi stava prendendo. E io non potevo dirglielo.

[Kamisama!]

N.: Magari potevi acchiapparlo per il bavero e sbaciucchiartelo come sognavi di fare, no?
A.: Ma sei impazzita?? Mi avrebbe presa per una cretina completa! O peggio, per un'altra delle sue appiccicose fidanzate. E io non sono così. Non voglio essere così... mi rifiuto di comportarmi come una di quelle... fino a che avrò la forza di farlo, facendo del mio meglio, io non ci cascherò. Anche se il mio cervello sta andando in pappa e non so cosa mi sia successo e perché io debba sentirmi così. Io resisterò sempre. Costi quel che costi.
N.: Anche a costo di ammattire?
A.: Passerà. Prima o poi passerà.
N.: Sì, certo, ma quando? E a che prezzo? Ma soprattutto, perché??

[Qualcuno ci vede un senso in tutto questo? Se c'è, a me sfugge completamente. Non ci arrivo. Mi dispiace tanto, ma non ci arrivo.]

A.: Questi sono fatti miei!
N.: Non credo proprio! Non a questo punto. Vuoi che la tua timidezza e la tua testardaggine ci distruggano casa?

[Scusa, sorella, ma non avrebbe senso continuare a girarci intorno, ti pare? È quello che sta succedendo e nessuno può farci niente. E adesso perché mi guardi con quegli occhioni luccicosi? Uff.]

N.: Scusami. Non volevo.
A.: Io... sono mortificata. Ma io non potevo immaginare... Questo che ti sto raccontando è stato prima, prima che iniziassero i guai con la casa. Non potevo sapere... Altrimenti me ne sarei andata via. Piuttosto che arrivare a questo, sarei andata via di casa. E invece non ne avevo idea. Sapevo solo che quella sua faccia così vicina, quei suoi occhi troppo profondi, quelle labbra... kami, non sai quanto io mi senta ridicola parlando in questo modo di lui e posso solo vagamente immaginare quanto mi vergognerò domani per averti raccontato tutto questo. Ma in quel momento io sapevo, questo sì, sapevo benissimo che se non trovavo
immediatamente una via di fuga avrei davvero potuto commettere qualcosa di irreparabile.
N.: Addirittura? Ma sei di un esagerato inumano!
A.: Non è così, tu non capisci...  Ho fatto l'unica cosa che potessi fare.
N.: E cioè?
A.: Sforzarmi di tornare col naso sui libri e dirgli che non aveva fatto nulla, che era proprio un cretino egocentrico irreparabile se pensava che ogni volta che mi girava storto doveva essere per causa sua.
N.: Insomma l'hai insultato gratuitamente.

[Ma è mai possibile?]

A.: Non avevo scelta.
N.: E lui? [Sarà un idiota, ma questa è crudeltà pura. Non è divertente.]
A.: Ha detto solo: ah, certo, in effetti hai ragione. Si è dato dello stupido e se ne è andato.
N.: Immagino tu ti sia sentita benissimo dopo.
A.: Un favola, davvero. Credo di non aver mai pianto tanto in vita mia. Mi sono buttata sul letto e ho tenuto il cuscino premuto sopra la testa sperando che non mi sentisse nessuno. Non riuscivo neanche a respirare per quanto erano forti i singhiozzi. Una cosa davvero assurda... fuori controllo... Mi sentivo una persona orribile per averlo ferito per senza niente e mi sentivo un'idiota completa per tutto il resto... Non ho mai voluto perdere la sua amicizia. Mai. Ma non sapevo che fare, non lo so ancora, mi sentivo in trappola... un animale braccato che reagisce con furia. E sa far male. Più di quanto vorrebbe. Perché io non vorrei fargli del male... Che disastro!
N.: Ma perché? Perché?? Io continuo a non capire il motivo di tutto questo. Voglio dire, credi davvero che ti avrebbe... respinta? Tutte le volte che qualcuno spacciandosi per te ha provato fargli qualche moina, beh, non mi sembra che abbia disdegnato... quando eri posseduta dalla bambola di quell'hotel, per esempio...
A.: Non scherzare!
N.: E chi sta scherzando, Akane? Davvero pensi che qualcuno, in particolare un individuo maschio di diciassette anni, possa preferire sentirsi dire quelle cattiverie piuttosto che essere sbattuto per terra e coperto di baci?
A.: Nabiki!!!
N.: Cosa c'è adesso? Non è questo che avresti voluto fare?
A.: ...
N.: Poi dici che non devo trattarti come un bambina...
A.: Ne ha fin troppe di matte che gli saltano addosso, non ti pare?
N.: Mah! Credi davvero che sia la stessa cosa?
A.: E perché diavolo dovrebbe essere diverso?

[Benedetta cecità. Ma si può essere più testone?]

A.: Comunque la parte interessante viene adesso. Perché quella è stata la prima volta che ho notato qualcosa. Intendo oggetti. Oggetti che si muovevano. Quasi impercettibilmente, ma si muovevano.
N.: Il che, in effetti, coincide a pennello con la spiegazioncina del vecchio Happi.
A.: Purtroppo pare proprio di sì. E quello che è successo dopo non fa altro che confermare... All'inizio, come ti dicevo, ho preferito non parlarne con nessuno e aspettare che qualcun altro raccontasse di aver visto cose strane, per capire se ero solo io, se erano allucinazioni... Però nessuno diceva niente. Speravo che smettesse, che fosse solo una cosa passeggera.

[Aspetta e spera che prima o poi s'avvera. Uno stile di vita.]

A.: E invece... Non sapevo che pensare. Ero spaventata. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata: ho fatto qualche casino con questo mio crogiolarmi nel dormiveglia, devo aver forzato una porta tra mondo dei sogni e mondo reale. Non era una spiegazione molto sensata, ma viste le cose che capitano a Nerima poteva anche starci. Così tornai a scattare in piedi appena Kasumi mi chiamava e chiesi al dottor Tofu di darmi qualcosa per addormentarmi più rapidamente. All'inizio pareva funzionare. Ma sul fronte sogni le cose hanno finito per peggiorare. Il sonno non è il dormiveglia... fa come gli pare, possono venire fuori cose che tu... sì, insomma, che una non è preparata a guardare in faccia in modo così diretto... E questi, purtroppo a differenza di quelli di prima, me li ricordavo piuttosto bene... Non chiedermi di dirti di più, ti prego!

[Rossa. Rossa come un peperone. E dire che ha bevuto birra ghiacciata, non vino. Non ridere, Nabiki, non ridere. Se ridi adesso non ti dice più niente. Fai la brava e ingoiati questa risata, piccola iena che non sei altro. Da brava, su. Sai che ce la puoi fare. Che poi, altro che ridere... qua ci sarebbe solo che da piangere.]

N.: Va bene, va bene. Non oserò. La cosa importante comunque mi pare questa: quando hanno iniziato a muoversi gli oggetti, hai pensato di dare un taglio alla fantasie del dormiveglia, ma l'unico risultato che hai ottenuto è stato che queste si rifugiassero nei sogni, dove non avevi più controllo. E c'è stato in qualche senso un salto di qualità. È fedele come sintesi?
A.: Direi di sì... [Fissa il boccale, non riesce a guardarmi in faccia dalla vergogna. Che scema!]
N.: Bene... [Mi sforzo di sorridere per sdrammatizzare, senza sfociare nella risata che sicuramente mi uscirebbe sgraziata e inquietante. Una parte di me vorrebbe strozzarla. L'alcol inizia a inficiare la mia lucidità.]
A.: È stato allora che ho iniziato ad allenarmi la notte. Per scaricare la tensione. Per sentirmi buona a qualche cosa. Ma soprattutto per andare a letto stremata, crollare velocemente e possibilmente sprofondare in un sonno senza sogni. Ma non ha mai funzionato un granché in questo senso.
N.: Avresti dovuto provare coi sedativi per cavalli. [M'è scappata, che ci posso fare?]
A.: Che cosa?
N.: Niente, lascia perdere. Dimmi che è successo dopo piuttosto. Come si è evoluta a questo punto la situazione sul fronte cassetti, ante, porte e finestre?
A.: Non te lo saprei dire con esattezza. Ho il sospetto che succedessero fenomeni strani mentre dormivo, forse succedono ancora... la mattina mi succede di trovare cose fuori posto... Ma a quel punto non sapevo più che fare. Così sono tornata dal dottor Tofu, non sapendo a chi altri rivolgermi. Gli ho detto delle cose che avevo visto. La sua prima reazione è stata stralunata, come quella di Shampoo di cui dicevi l'altro giorno...
N.: Credevo non avessi sentito quando ne parlavo...
A.: Invece ho sentito benissimo.
N.: Hai proprio bluffato per bene, tutto il tempo, eh? [Piccola bugiarda che non sei altro. Quando non sei più riuscita a mentire a te stessa hai iniziato a infarcisci tutti di balle.]
A.: Ho fatto del mio meglio... Non è stato divertente. Non è divertente.
N.: Ci mancherebbe. E a parte la reazione stralunata, che ti ha detto il dottore?
A.: Dopo un primo momento di straniamento si è scosso ed è andato a controllare certi testi. È rimasto nella sala interna dello studio per diversi minuti, poi è tornato con un pacchetto di incenso.
N.: Caspita. Coincide proprio tutto con quello che ha detto Happosai... non l'avrei mai detto. Certo che mentre noi eravamo lì ad ascoltare domandandoci se ci stesse riempiendo di balle, tu stavi vivendo proprio tutto un altro film! 
A.: Io rimettevo insieme i pezzi di un puzzle spaventoso. Ho avuto così paura che continuasse, che mi mettesse in mezzo, che mi facesse fare una figura tremenda... non mi sarei più fatta vedere da nessuno per la vergogna...
N.: Esageri sempre. In ogni caso non gliel'ho lasciato fare, hai visto, no? Comunque dubito che se la sarebbe presa con te. Più facilmente avrebbe usato l'occasione per dar fastidio a Ranma, come al solito.
A.: Probabile. Sarebbe stato comunque imbarazzante.
N.: Maddai! Non sai proprio scherzare su queste cose tu, eh? Sbagli. Ti farebbe bene imparare a riderci su. Ma dimmi piuttosto che ti ha detto Tofu dell'incenso che ti stava dando.
A.: Dice che serve a riportare la serenità e l'equilibrio, che è un rimedio generico perché per quanto ne sappia non esiste nulla di veramente risolutivo per il mio problema.
N.: Esattamente...
A. Esattamente quello che Happosai dice che si fa di solito nei casi non classici.  Un incenso del karma non specifico.
N.: Impressionante. Ma tu... sì, insomma, gli hai detto qualcosa dei tuoi sogni?
A.: Certo che no!
N.: Neanche un accenno?
A.: No, ma ti pare! Però ero stata da lui poco tempo prima a chiedergli qualcosa che mi facesse addormentare in fretta... e avevo il terrore che mi facesse qualche domanda imbarazzante. Così sono andata via di corsa. Mi aveva anche detto di ripassare da lui qualche giorno dopo, di tenerlo aggiornato... ma non ci sono più tornata.
N.: Ecco perché mi ha detto che era da tanto che aspettava una mia telefonata... poi chissà perché mia...
A.: Perché sicuramente io non l'avrei chiamato, Kasumi nemmeno... chi se non tu allora?
N.: Eh sì. Pare che questo bel pacco tocchi proprio a me. Non ho via di scampo.
A.: Se due persone così opposte come Tofu e Happosai sono dello stesso parare...
N.: Non posso oppormi. Però fammi capire meglio... tu cos'è che vorresti che io facessi adesso?
A.: Prima di tutto, non far sapere a nessuno quello che ti ho detto. Nemmeno a Kasumi. Ti scongiuro. Ci resterebbe troppo male. Non voglio darle questa delusione.

[No. No. No. Questo pensiero non lo devi fare, Nabiki. Impediscitelo. L'hai promesso. Shh... Da brava, va tutto bene. Ohm...]

A.: E poi dovresti trovare l'incenso del karma che fa al caso nostro e salvarci, con meno clamore possibile. Vuoi?

[Vuoi?! Come sarebbe a dire vuoi?!!]

N.: Ti rendi conto che sono cinque scatoloni di testi? Ti rendi conto che probabilmente per capirci qualcosa davvero dovrò parlare con Ranma? Ti rendi conto che tutto questo implica che io molli il mio esame di ammissione e mi metta sotto a mille con questa roba? Non potrò entrare alla Todai se lo faccio... davvero mi stai chiedendo questo?
A.: Non sai quanto mi dispiaccia, se tu non potessi entrare alla Todai per colpa mia io... ma cos'altro si può fare? Potrei studiarli io i testi ma non so se sarei in grado...
N.: Ma quali testi e testi! Tu potresti risolverla in modo molto meno noioso e nocivo per la salute. Perché non prendere il toro per corna, me lo spieghi?

[5 sec., un sorso di birra a testa.]

A.: È che non mi vuole, non mi vuole proprio. Non gli piaccio, Nabiki.

[Ah, bene. Qui casca l'asino, direbbe mia nonna. E questa convinzione da dove verrà fuori? Che grandissima scocciatura che sei, Akane, lo sai?]

A.: Quello che prova per me è un profondo amore fraterno, che io col mio comportamento sconsiderato rischio di perdere. Non chiedermi di umiliarmi inutilmente, ti prego. Non tanto per l'umiliazione, ma perché non servirebbe a niente. Sarebbe solo una perdita di tempo. E poi io davvero non voglio farmi odiare. Posso imparare a considerarlo come un fratello, uno in più della famiglia. E potremmo anche occuparci insieme del dojo in futuro, senza che questo implichi nessun matrimonio... se io adesso dovessi invece... rovinerei tutto. 

[Bla bla bla bla bla. Mamma quanto parlare a vanvera!]

A.:
Non chiedermelo, ti  prego.
N.: È che io non credo a una parola di quello che hai detto adesso. Non una sola parola. Non scherziamo. Stiamo parlando di un po' di sana e sincera seduzione, mica di andare a implorare chissacché. Non credo che sarebbe umiliante. Non credo che sarebbe inutile. Non credo che sarebbe una perdita di tempo. Non credo che ti odierebbe. Non credo che potrai imparare a vederlo come un fratello e benché meno credo che lasceresti che sposi un'altra donna. Per poi magari dividere la casa con lei e i loro figli. Né lui lo lascerebbe fare a te. Né oggi né mai.  Credo invece che ci toglieresti tutti da questo pasticcio senza effetti collaterali di nessun genere, a parte forse una tirata d'orecchi da parte di Kasumi che tanto darebbe la colpa a me di tutto, come sempre.  Ma quello che credo io non conta nulla. Se tu la vedi così c'è poco da fare. Ma si può sapere cosa ti fa credere di non piacergli? Ha anche smesso di insultarti, no?
A.: Ho giocato le mie carte, una volta. Quindi adesso lo so per certo. Non chiedermi di dirti di più. Piuttosto vado via di casa.
N.: Ma non dire fesserie. E poi chi erediterebbe la palestra? Io?

[10 sec. bevendo gli ultimi sorsi di birra.]

N.: Passi per i sogni, ma forse su questo qualcosa in più dovresti dirmela. Che vuol dire che lo sai per certo? Non che io voglia fartela pesare, ma insomma, mi si sta chiedendo di rinunciare al mio esame di ammissione, di cambiare i progetti che coltivo da anni o di rimandarli all'anno prossimo, che non è proprio una cosa da nulla... avrò il diritto di sapere, non ti pare?
A.: Io non voglio assolutamente che tu rinunci al tuo esame! Ma non vorrei neppure che la casa...! Però se tu non vuoi...

[Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi... Buonanotte.]

A.: Ci dovrà pur essere un modo.... possiamo metterci a studiare i testi tutti insieme... possiamo chiedere a Tofu di aiutarci... possiamo...

[YES, WE CAN. Come no!]

N.: Tofu è assediato da Shampoo, che dobbiamo ancora capire cosa accidenti vuole. E poi come dicevi tu, se sia il dottore che Happosai hanno pensato che questo fosse un lavoro per me ci sarà un motivo. E io posso anche starci. Ma voglio essere sicura che nessuna altra via sia percorribile in tempi brevi. E quando dico sicura intendo dire sicura.
A.: Ne hai tutto il diritto... e non sai quanto io mi senta in colpa per questa stupida cosa... per questa stupida testa matta che mi ritrovo...
N.: Il problema non è la tua testa matta secondo me. È la tua testa dura.
A.: Ti sbagli. Di  più di quello che ho fatto non avrei potuto fare. Non te lo racconterò perché non aiuterebbe, davvero. Non chiedermelo, non ancora almeno. Ma credimi, ho le prove. Quello che vuole da me è che le cose restino così per sempre. Certo non che lo tratti con freddezza o che lo ferisca gratuitamente, ma non gli interessa altro che la mia amicizia. Il vero problema è che io non ne sono capace, non in questo momento. Non più. E ho il terrore di rovinare tutto prima di riuscire a riportare le cose alla normalità.

[Normalità? Ma quale normalità?]

[D'accordo è ora di darci un taglio e tornare a casa. Si è fatto tardi e io non ne posso più di ascoltare tutte queste sciocchezze. Mi aspettano giorni duri e dolorosi, meglio andare a riposare.]

N.: Tu sei libera di non raccontarmi cosa sia successo, ma io sono libera di pensare che queste siano tutte stupidaggini. E sarò anche libera di sentire la sua versione dei fatti. Qui c'è un'indagine da portare avanti e anche se si sceglie la via di trovare l'incenso del karma giusto, per farlo bisognerà capire bene come stanno le cose. Non come Akane Tendo è fortemente persuasa che stiano, ma come stanno davvero. Non dimenticare che equivoci e fraintendimenti tra voi sono sempre stati all'ordine del giorno. È fin troppo facile farsi l'idea sbagliata quando si ha una così tremendamente radicata tendenza a mal interpretare, a non capire, a prendere fischi per fiaschi.
A.: Non questa volta. 
N.: Tanto non ti credo.

   
 
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