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Autore: bewant    04/06/2013    0 recensioni
L’universo è proprio infinito come tutti dicono? Il Big Bang è stato un evento naturale? Forse non proprio tutto quello che è stato scritto nei libri di storia è ciò che è veramente accaduto. I protagonisti di questa storia scopriranno, loro malgrado, che la verità è un’altra. Vicende accadute nel lontano passato determineranno il futuro e la stessa sopravvivenza dell’intera razza umana. Potenti personaggi alieni cercheranno di modificare il passato della nostra civiltà per determinare un futuro diverso. Al centro di questi eventi “apocalittici” ci sono delle normali persone che si troveranno coinvolte, a loro insaputa, in vicende che andranno al di là della loro comprensione e del loro controllo.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8

CAPITOLO 8

 

Un anno prima

 

Anche a quell’ora di notte l’ospedale di Denver era come un porto di mare dove la gente sostava in ogni angolo accessibile e le infermiere e i dottori correvano da una stanza all’altra con l’unico pensiero che presto il loro turno sarebbe terminato e sarebbero potuti finalmente tornare a casa.

Paul Barton e sua figlia Rachel erano appena arrivati e stavano aspettando il loro turno, in coda davanti all’accettazione, in attesa di avere informazioni su Sara e Pat. La chiamata li aveva raggiunti circa tre ore prima quando l’ansia causata dal ritardo dei due ragazzi aveva raggiunto l’apice. I due sarebbero dovuti arrivare nel tardo pomeriggio ma solo dopo cena i primi accenni di preoccupazione erano apparsi sui volti di Annabel e di Paul che erano rimasti ad attenderli al cottage per tutta la sera  cercando più volte di contattarli ma solo l’odiosissima voce elettronica della segreteria aveva avuto la compiacenza e la cortesia di rispondere ai loro appelli e la sua risposta non era certo quella che loro attendevano. Nelle prime ore della notte i cattivi spiriti portatori di brutti presentimenti ebbero la meglio sull’esercito della speranza e il cuore di tutti si fece molto pesante. Qualcuno avanzò l’ipotesi di rivolgersi alla polizia ma l’idea venne scartata per il fatto che prima delle 24 ore dalla  scomparsa ogni denuncia sarebbe stata vana. Paul, il marito di Annabel, propose di incominciare le ricerche e si offrì di seguire la strada che conduceva al parco naturale dove sarebbero dovuti andare i due ragazzi. Tutti erano perfettamente consapevoli che sarebbe stato come cercare un ago nel pagliaio e di conseguenza Annabel si dimostrò totalmente contraria all’idea del marito. Rachel aveva già consumato due pacchetti di fazzoletti di carta a furia di asciugarsi gli occhi (naturalmente solo per colpa della noiosissima allergia) mentre Ed si era chiuso in  se stesso non proferendo più neanche mezza sillaba ma quello era il loro modo di reagire ad una situazione in cui anche i loro genitori sembravano incapaci di trovare la soluzione. Miel era l’unico dei ragazzi che continuava a interagire con gli adulti facendo domande e soprattutto cercando rassicurazioni perché nei libri di avventura che leggeva lui alla fine tutto si risolveva nel migliore dei modi e quindi anche quella notte tutto si sarebbe risolto bene ma in fondo al suo cuoricino un dubbio continuava a tormentarlo. 

Finalmente all’una di notte il telefono cellulare di Annabel prese vita e tutti lo fissarono come se fosse stato un serpente a sonagli pronto ad attaccarli, poi, come se fossero stati un’unica persona, Paul e Annabel si lanciarono nello stesso istante sul piccolo smart phone facendolo cadere a terra. Il serpente fu finalmente catturato ma solo quando aveva già smesso di squillare. Le dita di Annabel  tremarono mentre, con grande fatica, lei cercò il menù delle chiamate ricevute, il telefono rischiò di cadere più volte ma alla fine, con grande sollievo di tutti, vide che la chiamata non risposta era stata effettuata proprio dal numero di Pat e quindi non perse tempo a richiamarlo.  Il fratello rispose subito e dopo averla rassicurata che entrambi stavano bene (Naturalmente non spiegò cosa fosse realmente successo, almeno non  nei particolari) spiegò loro che avrebbero avuto bisogno di un passaggio per poter tornare a casa dall’ospedale St Anthony Central Hospital  di Denver dove si trovavano in quel momento.
Dopo lunghe discussioni si decise che la missione di salvataggio sarebbe stata affidata a Paul, nelle vesti di autista, e da Rachel per l’assistenza psicologica. La ragazza fece una tale scenata quando le dissero che non sarebbe potuta andare a Denver che pur di farla smettere, alla fine acconsentirono anche per non doverla sopportare durante l’attesa dell’arrivo dello zio. Anche Ed e Miel avrebbero voluto andare all’ospedale ma, almeno in quel caso, i genitori l’ebbero vinta con l'unica concessione di autorizzare i ragazzi a  giocare con i videogiochi fino al loro ritorno.

 

***

 

 – Buonasera, mi chiamo Paul Barton e sono un parente di Patrick Dunley che dovrebbe  essere stato ricoverato qui da voi insieme a una donna di nome Sara Conter. Mi saprebbe dire in che stanza posso trovarli? –

 – Buonasera – rispose una fascinosa receptionist – solo un momento che controllo. –

 La ricerca durò pochi secondi.

 – Trovato! Ancora un minuto prego. –

 Prese il telefono e dopo una veloce conversazione si rivolse nuovamente ai due in attesa.

 – Accomodatevi nella sala in fondo al corridoio blu, qualcuno verrà a ricevervi  per accompagnarvi da loro. –

Paul cercò immediatamente un corridoio blu ma tutti i corridoi gli sembrarono del solito bianco asettico tipico degli ospedali. Stava per chiedere spiegazioni alla infermiera quando vide Rachel dirigersi con sicurezza verso uno di loro.

– Rachel, dove vai? Dobbiamo cercare il corridoio blu. –

­– E’ proprio quello che sto facendo, è qui l’ho trovato. Vieni con me. –

Paul la seguì non capendo dove avesse visto il blu ma poi, guardando il pavimento capì: Ogni corridoio aveva il pavimento di colore diverso.

Risolto quel piccolo mistero, Paul pensò che fosse strano che mandassero addirittura qualcuno a ricevere i parenti dei degenti ma tutto gli fu più chiaro nel momento stesso che vide la persona che andò a riceverli: un poliziotto. La questione doveva essere più complicata di quello che Pat aveva lasciato intuire al telefono.

– I signori sono parenti del signor Patrick Dunley? – chiese il poliziotto.

– Si ma … è ... è successo qualcosa di grave? – Paul balbettò leggermente per la tensione.

– Venite con me, per cortesia. Mentre vi accompagno dai vostri cari, vi illustrerò la situazione. – disse con aria grave il tutore dell’ordine.

Paul e Rachel furono messi al corrente degli avvenimenti principali di quel giorno e fortunatamente gli furono evitati i particolari più macabri.

Quando finalmente incontrarono Sara, la ragazza gli venne incontro abbracciandoli entrambi, poi li condusse dove Pat era stato ricoverato in una camera li vicino.

Sara e Pat erano stati interrogati più volte dalla polizia perché gli investigatori volevano vederci chiaro sulla dinamica degli avvenimenti accaduti in quel tragico pomeriggio. L’entità e la tipologia delle ferite che avevano causato la morte dei due motociclisti non lasciavano alcun dubbio sul fatto che l’assassino fosse l’orso ma gli investigatori insistettero nell’interrogare i due testimoni nell’intento di riuscire a rintracciare gli altri componenti del gruppo di centauri per poterli poi accusare di tentato omicidio e furto. Sara fece una dichiarazione scritta nella quale descrisse dettagliatamente ciò che era successo mentre la versione di Pat fu ovviamente  meno particolareggiata a causa delle botte ricevute che lo avevano mandato nel mondo sei sogni per un lungo periodo. Inoltre, il racconto dello strano comportamento dell’orso sarebbe stato difficile da digerire per i tutori dell’ordine e quindi  si guardò bene dal descrivere quella parte della vicenda perché avrebbe reso la sua testimonianza poco credibile.

 Finalmente i quattro amici rimasero soli e poterono parlare liberamente.

– Paul riporta Sara al cottage senza aspettarmi perché io non posso ancora uscire dall’ospedale, dovrò stare in osservazione per 24 ore e quindi non posso venire con voi adesso. Voi potete tranquillamente tornare a casa, poi io vi raggiungerò domani con la moto. – Disse Pat rivolgendosi al cognato.

Paul e soprattutto Rachel non furono d’accordo nel lasciare Pat solo ma il fatto che Sara avesse un immediato bisogno di tranquillità e riposo, li convinse ad accettare l’idea di Pat. 

Allo spuntare dell’alba arrivarono al cottage e trovarono Annabel ancora sveglia. Benché fosse stata sempre aggiornata da Paul su quello che stava accadendo all’ospedale, non se la sentì di andare a letto e decise di aspettarli in piedi. Durante la lunga attesa Ed e Miel furono letteralmente trasportati di peso a letto dalla madre quando li trovò addormentati sul divano con la console dei video giochi ancora accesa.

Arrivati al cottage, Sara fu accompagnata nella sua stanza mentre Rachel andò subito a letto sicura di non avere più la necessità di avere un pacchetto di fazzoletti sempre in mano mentre i suoi genitori fecero un breve briefing famigliare nel quale decisero di allungare la loro permanenza in montagna di uno o due giorni per permettere ai due ragazzi di riprendersi, per quanto possibile, dalla loro brutta esperienza. 

Il giorno dopo, Domenica, passo tranquilla e serena e tutto fu fatto all’insegna del rilassamento e del riposo.

Pat arrivò verso le due del pomeriggio e subito si unì agli altri nelle attività ludiche all’aperto. Al suo arrivo fu deciso all’unanimità di rimanere in montagna anche il Lunedì e quindi di posticipare la partenza al Martedì.

Il giorno dopo fu organizzata una passeggiata che avrebbe occupato buona parte della giornata. Avrebbero visto  alcuni dei più bei panorami delle montagne rocciose.

 

***

 

Marvin non perse mai di vista il suo obiettivo.

Dalla sua posizione nei pressi dell’ospedale poté osservare l’evolversi degli avvenimenti, quindi vide arrivare Rachel e Paul e li vide ripartire qualche ora dopo e, in quel momento, prese la decisione di seguirli lasciando perdere Pat per il momento.

Nelle lunghe ore passate ad osservare i movimenti del suo obiettivo aveva deciso di cambiare  strategia. Non sarebbe più bastato seguire Pat in giro per il mondo sperando che fosse capitata l’occasione giusta, avrebbe dovuto fare in modo di vivere a stretto contatto con lui e per far questo avrebbe avuto bisogno di un “complice” involontario e inconsapevole all’interno del gruppo. Ciò gli avrebbe permesso di essere vicino a Pat nel momento stesso in cui lui avrebbe cercato di fare ciò che avrebbe causato il disastro e impedirglielo con le buone o forse con le cattive ma questo solo il tempo l’avrebbe detto.

 Marvin continuò a ripetersi che la sua resistenza ad eseguire gli ordini ricevuti da Glos non fosse dovuta tanto alla volontà di non far del male al ragazzo  ma quanto al fatto che uccidendolo avrebbe fatalmente inserito nuove variabili impazzite nella Matrice causando chissà quali danni ma in fondo al suo cuore sapeva perfettamente quanto ciò fosse falso. Avendo cambiato la sua strategia, il fatto di non dover far del male a nessuno, rendeva più piacevole la sua missione.

La soluzione proposta da Glos era stata quella di provocare incidente che sembrasse il più possibile causale e che la cui responsabilità non dovesse ricadere su nessuno, proprio come nell’occasione occorsa poco tempo prima quando l’orso Marvin si era ritrovato a tu per tu con Pat. Quella sarebbe stata l’occasione perfetta ma tutti sappiamo come fosse andata a finire.

Fatte queste considerazioni, la sorveglianza di Pat non fu più utile al suo scopo e quindi decide di farsi anche lui un bel week end in montagna. 

 

***

 

La mattina del Lunedì successivo la comitiva si mise finalmente in marcia. Il cielo era nascosto da nuvole minacciose che non lasciavano presagire niente di buono, quindi il gruppo si interrogò sull’opportunità di effettuare l’escursione ma la maggioranza decise di correre il rischio con l’accortezza però di attrezzandosi adeguatamente.

Il sentiero che li avrebbe portati a destinazione poteva essere raggiunto a piedi passando attraverso il centro del paese e quindi si presentò l’occasione di poter  fare una sostanziosa colazione al bar e inoltre  di poter  comprare le vivande fresche per la giornata.

Il sentiero non presentò difficoltà particolari, almeno nella prima parte e quindi gli escursionisti poterono procedere speditamente.

Dopo circa mezz’ora di marcia il tempo diede ragione agli ottimisti e i primi raggi di sole cominciarono a filtrare tra i rami degli alti abeti che costeggiavano il sentiero. Il morale di tutti salì alle stelle.  Quando giunsero nelle vicinanze di un torrente fecero la prima sosta per dissetarsi.

 – Fino a dove vuoi arrivare? – chiese Annabel al marito.

 – Credo che riusciremo ad arrivare ai cinque laghi. Dovrebbero distare circa 3 ore e mezza da qui. Li potremo mangiare e riposare e poi con tutta calma ritornare a casa. – rispose lui.

– Ai cinque laghi? Se non ricordo male l’ultimo tratto è abbastanza impegnativo. Non avremo problemi con Miel? – chiese un po’ perplessa Annabel.

– Non credo proprio. Il sentiero non è pericoloso, è solo ripido. A Miel piace camminare ma in ogni caso se dovesse essere necessario lo porterò in spalla. Avevo qualche timore per Rachel che come ben sai non è una gran camminatrice, però pensandoci bene, grazie al fatto che c’è Sara, vedrai che arriverà ai laghi senza neanche accorgersene a furia di “bla-bla”. –

 Annabel si girò a guardare le due ragazze e non poté fare a meno di pensare che il marito avesse proprio ragione: Rachel non si sarebbe accorta della fatica neanche se il sentiero fosse stato il doppio più pendente. Sara e Rachel camminavano affiancate sin dalla partenza e la loro era una gara a chi riusciva a parlare di più. Per un lungo tratto Pat era rimasto al loro fianco con la vana speranza di poter partecipare al discorso ma quando si  era accorto che gli argomenti erano solo ed esclusivamente di carattere femminile prese la decisione di raggiungere Ed e Miel che intanto si erano portati in testa al gruppo autonominandosi esploratori ufficiali del gruppo. Armati di spadoni (due grossi rami raccolti per strada) andarono in avanscoperta per esplorare il sentiero in cerca di eventuali nemici e trappole che nella loro immaginazione non mancavano di certo.

Dopo la sosta al torrente ripresero il cammino e dopo circa due ore raggiunsero il limite in cui gli alberi incominciano a diradarsi per l’altitudine e questo permise loro di godersi appieno il panorama sia della valle che si estendeva ai loro piedi, sia delle  montagne con le alte cime ancora incappucciate di neve.

Fu in quel momento che Miel lanciò un gridò.

 – Un cervo! Guardate! – il bambino indicò un punto più alto rispetto al sentiero.

Tutti si girarono e Sara fu la più rapida a tirare fuori la macchina fotografica per immortalare lo splendido animale.

– Non fate rumore –  disse a bassa voce Pat – se si spaventa scappa. Meno male che non è un orso, non avrei retto ad un altro incontro con una bestia di quel genere. –

Il cervo si accorse dei turisti ma non diede segno di esserne spaventato anzi, sembrò guardarli con un certo interesse. Poi come se avesse udito un richiamo, girò la testa da un’altra parte e scomparve dopo aver mostrato ai lontani spettatori la grazia della sua elegante corsa. Gli escursionisti rimasero fermi in attesa di un improbabile bis dell’animale che però non avvenne e quindi ripresero la marcia.

Verso mezzogiorno arrivarono nel punto dove il sentiero incominciava ad arrampicarsi prima di arrivare ai laghi e la pendenza aumentò notevolmente come aveva preannunciato Paul. Sara e Rachel decisero di comune accordo che fosse meglio risparmiare il fiato con grande gaudio per le martoriate orecchie di tutti. Miel, a dispetto delle previsioni della madre, corse sul ripido sentiero per verificare che fosse libero da draghi, lupi e altre bestie immonde e in poco tempo sparì dalla vista di tutti.

– Ed segui Miel e non perderlo di vista, non vorrei che si ficchi in qualche guaio. – chiese gentilmente Paul al fratello più grande.

– Ok Papo, vado! – In pochi istanti il sentiero inghiottì anche Ed.

I due ragazzi furono raggiunti due tornanti più tardi. Erano immobili come statue ad osservare qualcosa in lontananza. Era ancora il cervo o forse un suo fratello gemello perla sua somiglianza al primo nelle dimensioni e nella postura. Mangiava pacificamente in un prato poco distante dell’erbetta fresca. Rimasero a guardarlo e a fotografarlo fino a che qualcosa non disturbò il suo pasto e quindi si dileguò.

– Strano vero? – Intervenne Annabel  – Già è molto difficile vedere quegli animali anche per gli esperti ranger che conoscono le loro abitudini a mena dito ma oggi noi ci siamo riusciti per ben due volte di seguito e non è neanche la stagione giusta per osservarli. –

– In effetti non siamo mai venuti a fare passeggiate in questa stagione – replicò Paul – comunque spero proprio di avere altre occasioni di vederli, sono degli animali maestosi e fieri. –

Finalmente arrivarono nell’ampia valle dove i cinque laghetti, dalle acque limpidissime, riflettevano le alte cime delle montagne che li circondavano. Era un luogo bellissimo e molto tranquillo. L’unico pericolo era quello di calpestare una delle numerose “torte” che le vacche del luogo avevano depositato durante i loro recenti passaggi. Stesero le coperte sull’erba e incominciarono a tirare fuori dalle borse l’agognato pranzo che si erano oramai pienamente meritati dopo la faticosa ascesa. 

Miel, finito di mangiare, chiese allo zio Pat di iniziare un altro tipo di attività.

– Zio, preferisci giocare a palla o con il frisbee? –

– Miel, lascia riposare lo zio. Sarà stanco dopo la lunga camminata – si intromise la mamma.

– No, va bene, va bene. Mi fa piacere fare ancora un po’ di movimento, così smaltisco più in fretta il pranzo. – disse Pat alzandosi.

Anche Rachel si alzò.

– Vado a cercare un posto tranquillo perché ho un bisognino impellente. –

 Non fu facile trovare un luogo adatto alla sua impellente necessità e quindi fu costretta a spostarsi verso i confini della valletta dove dei grossi cespugli poterono garantirle una certa intimità.

Superati i cespugli, Rachel incontrò un piccolo torrente generato da uno dei laghi e sul suo margine destro una traccia di sentiero seguiva il suo corso accompagnandolo lungo la ripida discesa terminante in un tranquillo pianoro.

– Ecco il posto per me – disse a se stessa dirigendosi in quella direzione.

Finito quello che era venuta a fare, fece per ritornare dai suoi parenti quando, poco più in basso, vide ancora il cervo che la stava fissando.

L’animale fece la cosa più strana che Rachel avesse mai visto: strappò con la bocca una grosso fiore e, sempre guardando Rachel, cominciò a muovere a testa in su e in giù come si fa quando vogliamo dire “si” con la testa, poi si accovaccio a terra.

Rachel rimase sbalordita dallo strano comportamento del cervo. Sembrò quasi che l’animale l’avesse invitata ad avvicinarsi facendole un gesto di pace universale. Il timore che l’aveva assalita alla vista del grosso animale cominciò da attenuarsi e così decise di fare qualche passo verso di lui per vedere la sua reazione. L’animale non si mosse dalla sua posizione continuando a fare il gesto affermativo con la testa quasi fosse un tic. Solo quando la ragazza fu a pochi passi di distanza da lui, si alzò e con la massima calma si diresse lungo il sentiero che costeggiava il torrente.

Rachel decise di seguirlo per un breve tratto perché il comportamento dell’animale era troppo strano e l’aveva incuriosita e niente la fece ritenere che fosse un animale pericoloso.

Il cervo attraversò il torrente in un punto abbastanza agevole anche per lei con grossi sassi piatti e lisci, seppur scivolosi, che le avrebbero permesso il passaggio.

Mentre attraversava il torrente cercò il cervo con lo sguardo ma l’animale era scomparso nuovamente dalla sua vista.

Guardò a valle ma vide solo il torrente che si agitava in una serie di rapide poi guardò a monte e li ritrovò solo i grossi cespugli che precedentemente l’avevano protetta da sguardi indiscreti e che ora le nascondevano l’altopiano in cui si erano accampati i suoi parenti.

Indecisa sul da farsi decise di tornare alla base ma una fortissima folata di vento la investì improvvisamente facendola ondeggiare proprio mentre si trovava nel mezzo del torrente. Uno dei piedi le scivolò dal sasso bagnato e lei  cadde in acqua.

La forte corrente incominciò a trasportarla verso valle. 

***

 Un forte rumore la svegliò. Aprì gli occhi e nonostante il buio capì di essere nella sua stanza. Lungo la parete di fronte vide due grosse sfere gialle luminose che si muovevano all’unisono. Con la mano cercò l’interruttore della luce della lampada che era sul comodino ma al tatto tutto sembrò diverso dal solito, gli oggetti erano bagnati e viscidi.

Si mise immediatamente seduta sul letto e con le mani toccò qualcosa di umido e filamentoso. Le venne voglia di urlare ma la voce non le uscì. Era sicuramente la sua stanza ma, nello stesso tempo, non lo era. C’era qualcosa di diverso, di anomalo.

Una fioca luce proveniente dalla finestra illuminò leggermente l’ambiente permettendole di scorgere i contorni dei mobili che le erano familiari, intanto le due sfere gialle continuavano a muoversi per la stanza come se si stessero rincorrendo.

Grazie alla luce poté vedere meglio e capì che quelle luci gialle non erano affatto sfere ma occhi, quella scoperta non la rassicurò proprio per niente, anzi, il panico l’assalì violentemente.

Improvvisamente una voce ruppe il pesante silenzio.

– E’ ora di andare, Rachel! – La voce proveniente dalla poltrona nell’angolo della stanza la fece raggelare: era la voce di Ed.

– Ed sei tu? Cosa sta succedendo? Andare dove? – Le domande le sgorgavano come l’acqua sgorga da una fonte di montagna.

Ma Ed non era li perché sulla poltrona c’era solo Robespierre, il suo clown pupazzo, che continuava a ripetere la stessa frase con la voce di suo fratello.

 – E’ ora di andare, Rachel! –

L’urlo che le si era formato dentro e che non voleva uscire trovò finalmente la strada per giusta per esplodere nello stesso modo in cui il magma esce da un vulcano in eruzione.

– Mammaaaa ! Aiutooo ! –

Un rumore di passi arrivò dal corridoio.

– Mamma! Mamma! 

La porta si spalancò e invece della madre fu un’onda d’acqua gelata ad avvolgere ogni cosa in un abbraccio freddo e gelato.

Rachel nuotò in cerca di aria ma l’acqua era tanta, troppa per le su forze, però qualcosa la aiutò sospingendola dal basso e la sua risalita diventò improvvisamente più veloce. Fu una risalita verso l’aria, verso la salvezza, verso la vita.

Quando fu in superficie i polmoni le fecero male quando si riempirono nuovamente d’aria.  Osò aprire gli occhi e vide che la cosa che l’aveva spinta in superficie, cioè il suo salvatore, era il cervo. Le sfere gialle che tanto l’avevano spaventata non erano nient’altro che i suoi occhi e che ora erano puntati su di lei.

Il cervo incredibilmente parlò e la sua frase fu detta in un tono che non ammetteva repliche.

 – Rachel , devi tornare indietro. Non puoi aspettare, devi farlo ora. –

Lei, ancora stordita da tutte quelle cose pazzesche che le stavano accadendo, rimase in silenzio mentre nella sua mente i pensieri si rincorrevano in modo vorticoso.

“E’ un sogno, solo un sogno, ora mi sveglio e tutto questo finirà.”  Ma poi, per sicurezza, decise di rispondere all’animale.

– Scusami ma dove devo tornare? Io voglio solo svegliarmi. –

– Questo non è propriamente un sogno, almeno non come lo intendi tu – precisò il cervo che poi continuò – Devi scegliere adesso se tornare o non tornare mai più. –

 Rachel, esasperata, alzò la voce.

 – Puoi spiegarti meglio, per favore? E’ già difficile accettare che un cervo parli, ma che debba essere anche enigmatico, questo non lo accetto –

Nel dire quella frase si rese immediatamente conto dell’assurdità di quello che aveva appena detto ma il cervo continuò a parlare come se lei non avesse detto niente.

 – Torna Rachel, vieni a me. Svegliati per l’amor dell’universo. Svegliati per favore. –

La vista di Rachel si annebbiò.

Avrebbe avuto voglia di chiudere gli occhi, solo per  un minuto, per riposare perché era stanca, tanto stanca. Poi, magari, quando li avesse riaperti avrebbe ritrovato le pareti della sua bella stanza e avrebbe riso di quello strano sogno ma qualcosa la indusse a non chiudere gli occhi e a non lasciarsi andare. Doveva lottare per riuscire a tenerli aperti. Doveva concentrarsi su qualcosa e la testa del cervo era la cosa più vicina che avesse. Al diavolo le sfere gialle, l’avrebbe guardato negli occhi e l’avrebbe costretto a dirle quello che stava accadendo ma in quel momento si accorse che gli occhi che la stavano guardando non erano quelli di un cervo e che neanche il muso poteva appartenere a quell’animale. Davanti a se ora c’era un viso di un ragazzo, un uomo con i capelli biondi e il ragazzo le parlò.

– Svegliati, Rachel, svegliati ! –

E finalmente si svegliò davvero. Era sulla riva del torrente e lentamente tutto quello che era successo le tornò in mente: prima l’inseguimento del cervo, poi l’attraversamento del torrente con il forte vento che l’aveva spinta e infine la caduta. Ricordava tutto ma il ragazzo che le stava addosso, quello era sicura di non averlo mai visto.

– Chi sei ? Cosa mi è successo? – furono le prime domande che le vennero in mente. – Mi chiamo Tom e ti ho visto mentre scivolavi trascinata dalla corrente. Sono sceso giù da quel punto per cercare di fermarti perché saresti arrivata al mare altrimenti.  – disse il ragazzo indicando un costone della montagna. – Nella caduta devi aver battuto la testa tanto forte che ho temuto di non riuscire a svegliarti. –

Rachel guardò il costone che il ragazzo le aveva indicato e ringraziò tutti i Santi che lui fosse li in quel momento ma soprattutto pensò di ringraziare lui.

– Oh grazie, grazie. Non so cosa mi è successo. Un colpo di vento … credo, poi sono scivolata. E stata una cosa incredibile, cioè, terribile. Meno male che mi hai visto, altrimenti non so come sarebbe finita … – le lacrime cominciarono a scorrere sul suo viso già bagnato dall’acqua del torrente.

Il ragazzo si alzò in piedi e aiutò Rachel a fare la stessa cosa.

  Sei qui da sola ? –

  No, i miei parenti mi stanno aspettando ai cinque laghi. Anzi è meglio che mi avvii se no staranno in pensiero – rispose lei.

– Ti accompagno, così ti posso dare una mano in caso di bisogno perché non mi sembri ancora del tutto a posto. –

 

I due ragazzi ritornarono ai cinque laghi.

Non era passato troppo tempo da quando Rachel si era allontanata, quindi nessuno sembrava essersi allarmato.

Appena la videro arrivare scattarono tutti in piedi e non fu difficile capirne il motivo: era bagnata fradicia, con una vistosa ecchimosi sulla testa e in compagnia di uno sconosciuto.

Dopo aver ascoltato l’intera storia, tutti mostrarono un grande senso di gratitudine verso Tom per aver soccorso la giovane ragazza e lo invitarono a trascorrere un po’ di tempo in loro compagnia. Tom accettò di buon grado e si sedette tra loro accettando di condividere quello che era avanzato del loro pranzo. Rachel guardò con interesse il ragazzo che l’aveva salvata. Era fondamentalmente un bel ragazzo molto chiaro sia di pelle che di capelli. Anche gli occhi erano chiari e poi aveva quel pizzetto biondo da fauno che le piaceva molto. Cercò di capire quanti anni avesse. Sembrava un bel po’ più grande di lei,  forse aveva 20 anni o giù di li. Indossava una vistosa tuta sportiva verde con inserti arancioni. Ai piedi aveva delle scarpe da jogging  proprio toste, almeno secondo il parere di Rachel.

Quando lui posava lo sguardo su di lei con un bel sorriso che gli si formava sul volto, lei non riusciva a sostenere lo sguardo e finiva immancabilmente per arrossire.

Finito di pranzare, Pat e Paul continuarono a discorrere con  Tom.

– Cosa fai da queste parti, Tom – chiese Paul.

– Un po’ di corsetta, tanto per tenermi in forma. Quando trovo un po’ di tempo libero tra un esame e un altro, vengo quassù a correre. I sentieri sono belli, il panorama stupendo e l’aria buona. Solo durante la settimana però. Durante il week end non verrò mai a correre qui perché in quei giorni bisogna chiedere permesso per potersi muovere. – rispose Tom sorridendo.

– Immagino –  disse Pat  che poi continuò – Esami? quindi stai facendo l’università, giusto? –

– Si, è un corso di specializzazione in lettere antiche, a Denver. Sono al terzo anno che è anche l’ultimo e dovrei laurearmi fra qualche mese, diciamo verso la fine dell’anno. Mi mancano due esami che dovrei dare entro fine mese,  poi mi dedicherò anima e corpo alla tesi. –

– Quale argomento hai scelto per la tesi ? – chiese Paul.

– Riguarda la cultura persiana nella storia antica. –

Una scintilla di interesse si accese negli occhi di Pat.

– Quindi tratterai del periodo storico in cui è vissuto Dario, immagino. –

– Si, esattamente. Il periodo di massima espansione dell’impero, fino alla sua disgregazione a causa dell’intervento di Alessandro Magno – rispose Tom.

– E’ un argomento a cui mi interesso anch’io, principalmente del ruolo di Alessandro nelle vicende di quell’epoca. Se vuoi, un giorno potremmo fare quattro chiacchiere  sull’argomento – disse lo zio di Rachel.

– Volentieri. Mille grazie. Sei un prof Per caso? – Chiese sorridendo il ragazzo.

– No, non lo sono. Sono solo un appassionato dell’argomento che ha la fortuna di collaborare con uno dei massimi esperti in materia, il Professor Lovelock. Lo conosci per caso? –

– No, credo di no. Allora in caso di necessità verrò da te per qualche consiglio – disse Tom strizzando l’occhio per non rendere troppo formale la sua richiesta.

– Ma certo, volentieri. Non farti alcun problema a chiamarmi quando lo riterrai opportuno – concluse Pat porgendogli il suo biglietto da visita.

– Sei troppo gentile. Cosa devo dire? Grazie ancora ma ora devo proprio andare. Vi ringrazio per il pranzo e per la compagnia oltre che per l’offerta di aiutarmi per la mia tesi, naturalmente. – disse alzandosi in piedi.

 Tutti salutarono calorosamente il ragazzo, ringraziandolo ancora per l’aiuto prestato a Rachel. Quando toccò alla ragazza salutare il suo salvatore, lo abbracciò e gli diede un bel bacio sulla guancia in segno di ringraziamento. Lui la guardò e le regalò un bel sorriso in cambio del bacio e infine si allontanò.

Paul dopo qualche secondo gli gridò:

 – Ragazzo!! Hey Tom!!  Come ti chiami di cognome ? –

Tom si girò verso il gruppo e dopo un attimo di riflessione disse ancora sorridendo:

 – Marvin, Tom Marvin. –

Rachel lo segui con lo sguardo finché non scomparve dalla sua visuale e pensò  “Sembra proprio un angelo sceso dal cielo venuto per salvarmi.”

  
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