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Autore: lafilledeEris    04/06/2013    2 recensioni
ATTENZIONE: E' UNA KURTBASTIAN
“Mh…” No, non voleva alzarsi. In quel momento, con quei postumi da incubo, il letto gli sembrava l’unico posto al mondo in cui sarebbe voluto stare.
Finché Rachel non trovo opportuno sollevargli le coperte di scatto e scoprirlo.
“Rise and shine!”**
“Rachel, sappi che ti odio!”
La ragazza si lanciò a peso morto sull’amico, abbracciandolo forte.
In quell’ultimo periodo Hummel si era rivelato poco incline alle dimostrazioni d’affetto e in tutto quel casino di emozioni represse e rimosse, in qualche modo, vi era andato di mezzo anche il rapporto con la sua migliore amica. Lei ormai stava con Brody – Finn sembrava un ricordo abbastanza sbiadito a sentire i rumori che provenivano dalla camera da letto quando il ragazzo restava a dormire e Kurt era quasi sicuro che non si mettessero a spostare i mobili nel cuore della notte –, andava alla NYADA , aveva trovato il suo equilibrio newyorkese, insomma.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brody Weston, Burt Hummel, Kurt Hummel, Rachel Berry, Sebastian Smythe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ATTENZIONE: CAPITOLO NON BETATO.
 

Capitolo 13
 
 
Track#14 It Will Rain
Artist Bruno Mars

 
 
Avere o non avere qualcosa per cui combattere, mentre davanti a lui vi era Blaine, rendeva tutto più complicato per Kurt. L’unica ragione per cui si sarebbe potuto opporsi a quell’intrusione da parte del suo ex ragazzo aveva varcato la soglia di casa senza degnarlo di uno sguardo. Lo aveva salutato, con la mani nelle tasche, nascondendovi insieme anche il dolore. Così Sebastian se ne era andato. Aveva detto che sarebbe tornato, ma Kurt in cuor suo sapeva che mentiva. Non lo aveva guardato in faccia, mentre si voltava verso la porta e non lo degnava di un saluto.
Kurt si ripeteva che non faceva male, non poteva fargliene più di quanto non avesse fatto lasciandolo lì da solo, in balia di Blaine, suo padre e Rachel.
“Kurt” lo chiamò Brittany, andando a mettersi al suo fianco, mentre teneva  Muffin fra le mani. “Non essere triste” gli disse.  E Kurt non ce la fece, si sentì colare a picco.
Diede le spalle ai tre e si voltò come a cercare, sperando e credendoci davvero, che fra la folla avrebbe trovato Sebastian e sarebbe riuscito a convincerlo a tornare a casa.
Ma quando si voltò trovò di nuovo lo sguardo scuro di Burt e Rachel, Brittany che lo studiava affranta e Blaine che gli sorrideva.
E lui ad ogni sorriso moriva dentro. Sempre di più, sino a sentire le vene prosciugarsi e i battiti rallentare. Perché Kurt era troppo buono, troppo onesto e non si capacitava di una cosa: per fare del bene agli altri tralasciava se stesso. Combatteva per gli altri, ma si era arreso per sé.
Sebastian gli aveva insegnato  che dentro di lui c’era una forza incredibile: l’avevano scoperta insieme. Mano nella mano. Corpo nel corpo.
Perché? Perché gli facevano tutto questo?
“Sono felice di essere qui” disse Blaine, tendendo debolmente la mano verso Kurt, che cercava di prendere le distanze. Il moro era ignaro di ciò che fosse successo poco prima del suo arrivo, non aveva badato all’espressione scura sul volto di Sebastian.
Era stato troppo preso dal suo gesto romantico – e inutile, di lì a poco lo avrebbe scoperto-  per curarsi persino delle reazioni di Kurt.
Tutto era chiaro nella sua mente: avrebbe riconquistato Kurt.
Perché pensava che tutto fosse rimasto immutato e che ogni cosa sarebbe tornata come prima di quella sera. Quella che aveva cambiato le vite di tutti loro.
Quello che Blaine non poteva sapere era che la vita di Kurt il vero cambiamento l’aveva avuto la sua prima mattina alla NYADA.
Quel momento , fra tutti, si era rivelato il momento in cui era stato solo Kurt. L’incontro con Sebastian, analizzato a posteriori, si era dimostrato essere quello in cui per essere in due, non è necessario rinunciare a noi stessi.
Anche perché non si era ancora capito bene cosa fossero.  A quel pensiero, Kurt tremò. Ma allora perché continuava a crederci?
Davanti a sé aveva il suo passato: doloroso, inquietante e logorante.  Ma era l’unica certezza che aveva.  Forse avrebbe dovuto confidare nelle seconde possibilità, in fondo non si negano a nessuno.
“Blaine” gli sorrise, cercando di fargli capire che il suo palese malumore non era dovuto a lui. Non aveva colpa, in tutto quello che suo padre e Rachel avevano organizzato. “Ti trovo bene”.
Le parole di circostanza ci aiutano a venir fuori dalle situazioni più imbarazzanti. È il dolore che la falsità di queste portano a farci vivere con la menzogna.
Kurt ricordava ogni momento passato con Blaine, che fosse il cercare di costruirne di nuovi a risollevarlo?  Lui e Sebastian non erano nulla – che arriva quando una porta si chiude senza cercare le parole giuste – perché non avevano definito nulla. In quel momento quelle indecisioni pesarono come macigni nel petto di Kurt, che cercava un motivo valido per lasciar andare Sebastian.
E non perché “se ami qualcuno, lascialo libero”. Loro non si amavano.
Invece, un tempo vi era stato un Kurt e Blaine. E si amavano.
Il suo petto in quel momento era immobile: gli mancava il respiro, la forza – e forza un po’ di quell’alito di vita lo aveva lasciato chiudendosi alle spalle quella dannata porta.
“Kurt” tentò Burt, cercando di richiamare l’attenzione del figlio “noi ce ne andiamo, vi lasciamo soli”.
“Io non vado da nessuna parte!” protestò Brittany, quando intercettò lo sguardo allusivo e il cenno del capo dell’uomo. “Santana sa che sono qui. E non lascerò Kurt da solo, una volta che  Blaine se ne sarà andato. Lui se ne va sempre, e poi Kurt sta male”.
Brittany, con la sua innocenza, aveva innescato in Kurt un processo a ritroso: rottura- Central Park -“Ti prego, devi andare s New York”- “Ti amo, nonostante tutti gli strati di tessuto”- “Non hai notato che non indosso la divisa della Dalton?”- “Tu mi emozioni”- “”Sai come prendo il caffè?” – “Sono Blaine”.
È buffo come tutto sia accomunato da un fattore determinante: tutto inizia con un sorriso, una stretta di mano– su delle scale- e finisce fra le lacrime che lasciano l’amaro in bocca e deformano le labbra.
Brittany parve davvero cosciente che di lì a poco avrebbe raccolto i cocci del cuore di Kurt. Lo sapeva: da quell’incontro il suo amico ne sarebbe uscito distrutto. E lei odiava vedere il suo unicorno piangere. Si mise fra Kurt e Blaine, guardando il ragazzo davanti a sé con fare serio.
“Dovresti andartene”
Blaine la guardò stranito.
“Brittany, ma…”
“Ora. Non piaci a me, né a Muffin”. Il coniglio in quel momento si nascose dietro le lunghe orecchie, come ad esprimere il suo tacito dissenso.
Così Brittany S. Pierce diede il suo caloroso benvenuto a Blaine Anderson nella Grande Mela.
 
 
 
“Madre de dios, Smythe sei un cretino!”
“Micetto, sei stato un po’ fifone, ad essere onesti”
“La tua è una di quelle storie per cui artisti pagherebbero oro per vivere una situazione come la tua e poterci scrivere una canzone sopra”.
Come si era ritrovato a farsi fare la paternale da Cher, Tina Turner e Santana Lopez era ancora un mistero.
Non voleva ascoltarle, dare peso a ciò che dicevano. Lui non aveva sbagliato, perché lui non sbagliava mai. Non aveva abbandonato Kurt, lo aveva lasciato con Blaine e tanti saluti.
Era giusto così: si erano divertiti, avevano fatto del gran sesso. Ma tutto era finito lì. Lo sapevano entrambi. C’era stata chiarezza da subito.
Sebastian prese a strofinare con vigore i bicchieri con cui stava trafficando. Dovevano essere puliti bene.
“Oggi ci sarà un sacco di gente al locale, dobbiamo sistemare tutto”.
Aveva preso a pulire in maniera meticolosa ogni singolo bicchiere posato sulla mensola in vetro del  retro del bancone.  Voleva concentrarsi su quello. Perché se avesse permesso ai pensieri di varcare la soglia del suo cervello – e del suo cuore, a se stesso poteva ammetterlo- si sarebbe ritrovato a pensare a Kurt. Che in quel momento era con Blaine.
E chissà, quel tappo di sughero imbrattato di gel, era riuscito a circuirlo. E Kurt aveva ceduto. Non perché fosse debole. No, anzi Kurt era fortissimo.
Era solo che loro erano Kurt e Blaine: l’amore di una vita.
Si morse freneticamente il labbro. Non doveva pensarci.
“Sebastian,prenditi una pausa” lo rimbeccò Santana, saltando il bancone e strappandogli il bicchiere e lo straccio dalle mani.
“Ehi!”
Santana gli fece un cenno del capo.
Sebastian sapeva che si stava incazzando. E lui voleva vederla incazzata, voleva avere qualcuno con cui sfogarsi. E forse voleva persino fare a botte. Tutto pur di non sentire il rumore sordo del suo cuore che batteva, quando non aveva più una valida ragione pera farlo.
Le si avvicinò minaccioso.
“Sebastian, so cosa stai facendo. No, non risponderò alle tue provocazioni”.
“Oh, la piccola lesbica incazzata che gioca a fare la pacifista”.
“Sebastian…”
“Ti sei rammollita da quando hai scoperto che il delfino biondo ti renderà madre giochi a…”
Un dolore, come una legnata data in modo secco, raggiunse il suo zigomo facendogli voltare la faccia.
“Te lo sei cercato” ringhiò Santana, prendendolo per il colletto della polo blu del locale. “Non provare più a fare la testa di cazzo con me”. Lo mollò, facendogli sbattere i reni contro il bordo del bancone.
Sebastian si toccò la guancia col palmo della mano. Ora sentiva meno dolore. Il petto – quello squarcio invisibile quanto profondo –faceva meno male.
C’era la guancia che andava a fuoco. E il cuore che batteva frenetico.
Lui voleva sentire dolore. Perché altrimenti avrebbe iniziato a pensare a Kurt.
Che poi, alla fine lui a Kurt ci pensava sempre.
Non perché fosse innamorato – bugiardo- , ma perché lui l’amore, quello vero, forse non l’aveva ancora trovato.
Non stava fra lenzuola sudate, fra un battibecco prima di fare l’am- sesso ( sì, ecco era solo quello) e il cercarsi per vedere chi dovesse preparare la colazione, stava nel giocare a carta, forbice, sasso  per edere chi avrebbe lavato i piatti.
Affatto.
Bugiardo.
Lui a quelle cose non ci badava. Non era tipo da smancerie. Lui era più tipo da “Vieni o te ne vai? O vieni e poi te ne vai? O vieni e rimani?”. [1]
Aveva imparato a non confidare nell’happy ending. Non perché non lo meritasse, solo perché a furia di correrci dietro ti stanchi.
 
“Io non ti ho insegnato queste cose” sentì dire dal limitare della porta di servizio, accanto al bagno.
Non poteva essere.
“Anche se  non te lo meriti e sei un coglione colossale, sono riuscita a trovare Rosario, New York sarà anche grandissima ma un’ispanica che al mercato malmena il fruttivendolo con un mazzo di carote non passa inosservata. Doveva essere una sorpresa perché mi sembrava giusto che la conoscesse anche Kurt. No, non fare quella faccia, non è Voldemort” scoccandogli un’occhiata torva che bloccò l’alzata al cielo degli occhi di Smythe.
Sebastian si avvicinò a Rosario. La guardò titubante.
Si sentì di nuovo bambino: col muso sporco di cioccolata, le mani nelle tasche dei pantaloni e gli occhi bassi e colpevoli.
A Sebastian piaceva Rosario, ma odiava deluderla. Venne distolto dai suoi pensieri, quando uno schiaffo non meno pesante di quello di Santana lo colpì alla spalla.
Alzò lo sguardo da terra e capì che era ora per Rosario non era più un bambino.
“Io” provò a dire.
“Sebastian, no. Lasciami parlare.  Sei cresciuto, ma per me sarai sempre il mio bambino. Ma stavolta te lo devo dire: sei spento. Ti sei arreso. Il vecchio Sebastian non lo avrebbe mai permesso. Eppure , hai una ragione per cui combattere. La tua amica mi ha raccontato del ragazzo dagli occhi color del cielo di cui ti sei innamorato”.
“Io non sono innamorato!” protestò l’altro, beccandosi una manata in pieno collo.
“Non mentire!”
“Ma io…”
“Signorino. Sarai cresciuto ma riesco ancora a metterti sulle ginocchia per darti gli sculaccioni se voglio”.
Sebastian s’incurvò leggermente, quasi a nascondere parte del collo fra le spalle.
“Ti conosco, e so quanto sai essere emotivo. Ti ho visto piangere per un bacio negato da tuo padre ed emozionarti per una sera sul divano con tua madre, passata a guardare “La carica dei 101”. Ti ho visto piangere per il tuo primo amore. Ti ho visto sorridere per il tuo primo bacio. E so che adesso, dietro quella maschera c’è un Sebastian che soffre. I tuoi occhi non mi hanno mai mentito. Il verde dei tuoi occhi non mi ha mai tradito”.
Sebastian scosse la testa.
“Ora è diverso, Rosario. Ho imparato a non soffrire”.
“E dimmi, a che prezzo? Che rumore fa il dolore? Bambino mio” disse la donna allungando una mano verso la guancia del ragazzo “ non lasciarti spegnere dagli eventi,. Sii più forte di loro”.
“Ma io sono forte”.
“Allora perché piangi?”
Fu in quel momento che Rosario raccolse dalla guancia di Sebastian una lacrima. Era solitaria, isolata e la prima dopo tanti anni.
Anche Sebastian Smythe sapeva piangere.
 
[1] Citazione da Brian Kenney. Scusate ma dovevo professare il mio amore imperituro per uno degli uomini più fighi del mondo.
 
 
E non lo so, m’è presa malissimo. È dalla notte dei tempi che non aggiorno e questo mi fa sentire una persona orribile. Soprattutto se poi torno con roba simile. Lo so che mi odiate.
Ma io vi amo, davvero. Detto questo, che altro? Ah sì, credo davvero che nel prossimo capitolo… No, non è il caso davvero. Fooorse ci sarà ancora un po’ di angst. Forse. Manca qualcosa come sei capitoli alla fine. Possiamo farcela.
Ora vi abbandono.
Nico aka Unicorn Mama.
 
   
 
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