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Autore: TheshiningSofia    04/06/2013    0 recensioni
Antonio è un ragazzo di 14 anni costretto a combattere nelle trincee. Ci troviamo nella 1° Guerra Mondiale, dove anche i bambini dai 12 ai 19 anni sono obbligati a partecipare alla guerra.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Perché quella nelle trincee non era vita, era omicidio allo stato puro.
 
Stavo seduto sul tavolo di marmo, con una mano tenevo la tazza di tè alla pesca bollente, tanto bollente da bruciarmi la punta della lingua, e con l'altra tenevo il giornale di quella mattina uggiosa. Il titolo era ben chiaro, scritto a caratteri cubitali:''ARRUOLAMENTO OBBLIGATORIO'' e in basso più piccolo:''Parteciperanno anche i bambini dai 12 ai 19 anni''. Strinsi un po' più forte la tazza di tè, tanto da farmi diventare i polpastrelli bianchi. Alzai la testa, osservando un punto fisso del muro di quella piccola stanza quadrata: -Ho quattordici anni.- bisbigliai fra me e me.  
 
Mi alzai di scatto dalla sedia e andai nella camera da letto di mia madre tenendo ben stretto il giornale nella mano, lei era ancora ignara di tutto ciò, si vedeva dal suo sguardo pieno di serenità mentre sistemava i vestiti nell'armadio. Rimasi ad osservarla per un po' pensando a come l'avrebbe presa, poi la sua voce calda riempì la stanza color verde acqua e i miei pensieri si persero in quel frangente: -Antonio, che c'è?.- si fermò ad osservarmi con la maglietta a mezz'aria.
-Beh, è inutile che parlo, quando puoi leggere.- detto questo, le porsi il giornale e lei, molto lentamente, incominciò a leggere. Non era tanto brava, diciamo che molta gente era analfabeta. 

-Tu non andrai da nessuna parte.-  disse, riprendendo a sistemare i vestiti innervosita.

-Non so se hai letto bene ma è obbligatorio.- 

-Certo che ho letto, ma quando ti cercheranno tu non ci sarai.- mi fece l'occhiolino, io sorrisi.  Infondo, non avevo alcuna intenzione di andare nelle trincee a combattere, tenevo alla mia vita e non l'avrei mai messa in pericolo.  
Corsi in camera mia, mi sdraiai nel letto e incominciai a pensare: non era giusto mandare i bambini in guerra, loro sono un dono, un dono che non si deve sfruttare in questo modo, i bimbi vanno amati non essere giustiziati a morte, perché si sa': la maggior parte morirà, pochi vivi e moltissimi feriti. Ed io, ad essere colpito da un proiettile al centro della fronte proprio non mi andava giù. 
Come fa la gente a rinnegare il sorriso di un bambino? Un sorriso che non riacquisterà più, perché privato per sempre dalla crudeltà dell'uomo. 
Come si fa a rinunciare al suono della magnifica risata di un bambino? 
I bambini non c'entrano niente con la guerra, hanno un mondo tutto loro dove ogni cosa è pace e serenità, e dove i nemici vengono sconfitti ma senza danneggiare nessuno, e come ricompensa non si hanno centinaia di persone morte ma una deliziosa merenda a base di latte e biscotti, come il cibo preferito di Babbo Natale.

Bussarono alla porta, mia madre corse allarmata nella mia stanza.

-Presto, nasconditi sotto la botola.-

 
Cercando di non fare rumore, andai verso la camera di mia madre, spostai il tappetino e aprii la botola di legno, scesi gli scalini e chiusi di nuovo la botola, intanto mia madre aveva risistemato il tappeto. 
-Salve signora, cerchiamo ragazzi dai 12 ai 19 anni per andare in guerra.- la sua voce baritonale mi fece accapponare la pelle. 
-Non ho figli, mi dispia-- Ehi, ma come si permette? Esca subito da casa mia!.- Gli uomini oltrepassarono mia madre che continuava ad urlare contro quei pezzi di legno. Incominciarono a setacciare tutta la casa, finché non arrivarono nella camera di mia madre; Spostarono il tappeto e voilà! Ecco la botola.
-Cercava di fare la furbetta, eh?.- Aprirono la botola e mi presero per il polso trascinandomi fino alla porta di casa -Tu adesso vieni con noi.- 
Mi dimenavo, non riuscivo a liberarmi, urlavo come un pazzo; Mia madre urlava e in mentre rincorreva l'automobile che mi portava nelle trincee del fronte italiano.  Dopo un po' cadde ed urlò il mio nome, quelle urla di dolore mi trapanarono i timpani, volevo scendere da quella automobile, riabbracciare mia madre, dormire sul mio morbido e caldo lettino. In quel momento era come se migliaia di batteri stessero mangiando il mio cuore, la tristezza mi stava assalendo, sentivo che mi penetrava dentro la pelle e si solidificava nelle ossa. I miei occhi incominciarono a bagnarsi, non volevo piangere, dovevo essere forte come un vero guerriero, ma sono fragile, il mio povero corpicino non ce la fa a sostenere tutte quelle mitragliate gettatemi contro. Ero come una finestra con il cielo sempre in tempesta;
 
Arrivai alle trincee, l'aria era irrespirabile pertanto incominciai a tossire; Il fumo si innalzava imperioso, come se volesse dominare la scena, quando la vera regina di quello scenario era una grandissima flotta di carri armati ed elicotteri, da cui poi avrebbero fatto cadere le bombe ad effetto-fungo.
Da lì sarebbe iniziata la mia avventura. Già stavo incominciando a sudare freddo, non sapevo che fare, dove andare e quali fossero i miei nemici, le guerre le ho sempre odiate. Fin da piccolo mio nonno mi raccontava storie su di esse, ma non quelle Peace&Love:  quelle vere.. Quelle dove la gente non si fa scrupoli ad infilzare l'avversario che gli si para davanti, che non si intimorisce dinanzi ad un lago di sangue ma che continuano a crearlo. 
 
-Prendi questa.- un ragazzo più grande di me, sulla ventina d'anni mi porse una pistola. La osservai, quando la toccai era come se dal mio cuore uscisse del liquido che mi provocò una sensazione strana, di angoscia. Al tocco i polpastrelli bruciarono, osservai ogni minima rifinitura di quell'arma. -Puoi sederti, se vuoi.- continuò quel ragazzo guardandomi con uno di quei sorrisi apprensivi, forse aveva capito che ero stato preso con forza. 
 
-Comunque sono Carlo, piacere.- Allungò una mano verso di me. Gliela strinsi senza esitate e con un fil di voce risposi: -Io sono Antonio.-  
-Devi stare attento, devi avere sempre gli occhi ben aperti; Possono colpirti quando meno te l'aspetti.-  Beh, di certo non era un gran consolatore, però almeno mi faceva sentire a mio agio.
 
Un colpo. Due colpi. Un'infinità di colpi. L'atmosfera cambiò, adesso tutti i soldati erano messi in posizione di difesa, l'avversario stava attaccando. Chiusi gli occhi e ripetei per tre volte :''Sono il padrone del mio destino. Il capitano della mia anima.''; Poi cominciai a sparare alla prima flotta di soldati che si avvicinava, uno dopo l'altro, cadevano a terra, i loro compagni non si premuravano di soccorrerli; Metà era già stata fatta fuori, ma anche loro cominciarono ad attaccare, vedevo sangue schizzare in ogni minima parte di quel territorio. La gente crollava, senza vita, ed io restavo sempre più spaventato da quel fenomeno che andava espandendosi.
 
Passarono i mesi, la guerra stava per giungere quasi al termine.. Io ormai ero diventato molto esperto nell'uso delle armi. Ma ecco che un giorno un proiettile mi colpì alla gamba; spalancai gli occhi formando due cerchi perfetti, non riuscivo a parlare tanto era il dolore, mi inginocchiai per terra e con la mano tenevo la coscia destra. Poi il mio urlo soffocato riempì l'aria gelida. 

-Antonio.. Antonio!- la voce sfumata di Carlo fù l'ultima cosa che sentii prima di svenire. 
 
Mi risvegliai in una stanza di ospedale, accanto c'era mia madre..
Mi sembrava un miraggio, pensavo non l'avessi mai più rivista e invece Dio ha voluto farmi questo meraviglioso dono. Quando mi vide con gli occhi aperti incominciò a piangere e poi si fiondò nel mio letto, abbracciandomi teneramente, mi erano mancati i suoi abbracci affettuosi. Ora finalmente sarei tornato ad essere l'Antonio di prima; Avrei ricominciato a vivere, perché quella nelle trincee non era vita era omicidio allo stato puro.   
  
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