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Autore: _blueebird    04/06/2013    5 recensioni
Ci vogliono pochi minuti per leggerla e altrettanti per innamorarti di loro.
Camille, una sedicenne che lotta tutti i giorni per rimanere a galla in una società di pregiudizi, ingiustizie e in continua lotta con la sua timidezza e con i suoi problemi, si innamora. Tra i banchi di scuola, tra gli amici veri e le cattiverie, troverà l'amore che la porterà a crescere, a soffrire e a combattere i suoi demoni.
Una storia che vi prenderà e che vi scalderà il cuore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Mi svegliai disturbata da un tenue raggio di luce che aveva attraversato la finestra. Mi girai nel letto cercando di evitarlo e mi strinsi tra le coperte bianche.
Era piovuto tutta la sera prima e probabilmente anche tutta la notte e l’arietta frizzante che filtrava da non so bene dove, mi fece rabbrividire per un secondo. Sotto le coperte si stava benissimo, il cuscino in piume era soffice e il calore del corpo aveva scaldato le lenzuola, creando un dolce rifugio dove riposare.
Appena sveglia però, non riuscendo nemmeno a capacitarmi del fatto che avevo appena aperto gli occhi, mille pensieri mi attraversarono la mente, come una lepre che fugge veloce e silenziosa dal cacciatore, in mezzo al gelido e immacolato manto nevoso, così  una moltitudine di pensieri, correvano veloci senza davvero posarsi.
Come ombre senza volto, mi sfioravano velocissime con le loro lunghe gambe, senza lasciare traccia del loro passaggio; sapevo che erano state lì, ma non riuscivo a percepirle e sebbene mi sforzassi di analizzare la situazione, la mia mentre rimbalzava da una parte all’altra come un pallone sgonfio in una camera buia.
Mamma dove sei.
Espirai forte nel mezzo della stanza parcamente illuminata. Mi ricordai le mani di Francesco, zuppe di colore che mi sfioravano la schiena, quando si avvicinava pericolosamente a me, le nostra labbra a pochi centimetri le une dalle altre, mentre mi guardava dolce negli occhi, i nostri respiri spezzati che si mischiavano e le mie dita tra i suoi capelli neri.
Immaginai il giardino dietro la palestra vuoto, l’erba alta e il mio banco pieno di polvere.
Ero in Olanda da solo due giorni, ma mi sembravano un’ eternità.
Se mia madre non fosse riuscita a raggiungermi, sarei davvero andata a vivere in Australia?
Quell’ idea non l’avevo davvero presa in considerazione, forse perché mi sembrava così assurda, forse perché credevo così fermamente che mia madre mi sarebbe venuta a prendere che non ci avevo davvero pensato. Non mi ero nemmeno immaginata salire su un aereo e andare in Australia, dove a Natale si fanno i falò sulla spiaggia, si improvvisano barbecue e si fa surf in un mare cristallino. Per quanto sarebbe stato meraviglioso in altre circostanze, in quel momento mi sembrava uno tra gli incubi più spaventosi.
Ero però troppo grande per correre nel letto della mamma, come facevo da piccola, l’orsacchiotto in un braccio e i piedini scalzi picchiettare sul pavimento liscio del lungo corridoio di casa.
Quando per un secondo smisi di pensare, mi accorsi che c’era qualcuno che parlava animatamente con qualcun’altro dal piano terra.
 
Mi alzai con fatica dal letto e mi mossi con cautela lungo la stanza. Mi strinsi nella maglietta sbracciata, mentre cercavo di contrastare lo sbalzo termico tra aria fresca e il materasso caldo. Aprii la porta socchiusa della stanza e mi misi in ascolto. La voce di mio padre era dura e spigolosa.
“Si … si … Ok. Quando arriveranno, lo sai? ... Questa sera. A che ora? ... Dannazione, è troppo presto. Troppo presto. Non immaginavo che arrivassero così presto, ma c’era da aspettarselo … Procura i biglietti … Cosa significa che non sai se riuscirai? E’ per questo che ti pago dannazione! … Non mi interessa, dobbiamo partire il più presto possibile! Se Camille dovesse scoprire che sua madre sta arrivando qui, non … Si dobbiamo fare il possibile. … No, la lascio dormire ancora un po’, dopotutto sono solo le 7 e mezza. Procura i biglietti, non mi importa quanto costeranno. … Vedi di fare un buon lavoro. Ciao.”
Riattaccò il telefono e sentii i suoi passi dirigersi in un'altra stanza.
 
O. Mio. Dio.
Sentivo le lacrime scendere mute sul viso. Cominciai a singhiozzare silenziosamente dietro la mano che tappava la bocca e un mi sembrava quasi di non poter più respirare.
Tornai in camera, chiudendomici dentro piano evitando di fare rumori e, cercando di riprendere a respirare con regolarità, appoggiata alla porta chiusa della stanza, cercai di capire cosa avrei potuto fare. Che mossa avrebbe dovuto fare a quel punto Camille Kristine Van Housen. Quale forza di posizione, quale sconsiderata azione avrei dovuto fare per me stessa, per la mia felicità.
Le lacrime cadevano come gocce di pioggia, sul parquet della stanza. Altra nera e catramosa pioggia.
Alzai lo sguardo e guardai i jeans e la maglia piegata a cavallo della sedia sulla scrivania. So cosa dovevo fare.
 
Con estrema velocità mi infilai i jeans grigi e le calze bianche appoggiati sulla sedia, la canotta bianca e la magia blu dal collo largo.
Mi allacciai le scarpe, stringendo il nodo con cura, come se fosse di estrema necessità e inserii i lacci all’interno della scarpa; mi infilai la sciarpina grigio scuro al collo e il giubbino in pelle che avevo lasciato fortunatamente in camera.
Controllai ciò che avevo nella borsa: il telefono, una bottiglietta d’acqua, i trucchi di scorta, occhiali da sole, fazzoletti, cerotti, una cartina di Venezia che gettai sulla scrivania insieme a qualche carta di caramelle. Nel portafoglio c’erano 40 euro senza contare la moneta. Ottimo. Per fortuna ovunque andassi ero sempre ben equipaggiata.
Ci inserii dentro un'altra maglia per sicurezza.
Misi la borsa a tracolla con l’apposita maniglia e spalancai la finestra della camera.
 
Salii con le ginocchia sulla scrivania e guardai sotto. Al di sotto della finestra c’era un piccolo balconcino pieno di fiori e di fronte due enormi sempreverdi. Fortunatamente la stanza dava sul lato destro della casa, così la mia fuga non sarebbe stata notata da nessuno e al di sotto della finestra non ve ne erano altre.
Il più era capire dove aggrapparsi, anche perché la stanza era al secondo piano e avrei dovuto fare un bel volo prima di toccare terra. Anche se la parete era ricoperta da mattoni grigiastri, tra l’uno e l’altro non vi era più di un centimetro e utilizzarli per scendere fino a terra era pressoché impossibile.
La mia attenzione cadde sulla grondaia alla mia sinistra, non ero sicura che sarebbe riuscita a sostenere il mio peso, ma era la mia unica ancora di salvezza.
Tornai in camera e mi guardai attorno. Dovevo creare una fune, qualche cosa. Usare le lenzuola con un normale carcerato mi sembrava troppo teatrale e poi ci avrei messo troppo tempo. Mi diressi verso l’armadio e lo apri in cerca di qualche cosa.
Abiti eleganti. Pantaloni e giacche nere, camice e un paio di scarpe lucide e costose. Una giacca elegante non può dirsi tale senza una cravatta, pensai così, cercando con cura sotto gli abiti, trovai un cassetto che ne conteneva moltissime, pregiate e belle, alcune di seta e altre di raso.
Due minuti dopo una lunga corda di cravatte era pronta per l’uso.
 
Sbirciai fuori dalla porta per evitare che arrivasse mio padre. Parlava con mia nonna in olandese al piano di sotto. Ottimo.
Mi chiusi la porta alle spalle e respirai profondamente. Avevo così tanta paura. Non avevo mai fatto nulla di così sconsiderato e pericoloso in vita mia, dopo la rissa con Gian Marco. Con il cuore a mille e l’adrenalina nelle vene, afferrai la corda di cravatte pregiate e salita sulla scrivania, mi affacciai nuovamente alla finestra. Annodai la fune intorno al tubo agganciato alla parete e quando mi sentii pronta, mi misi a cavallo della finestra. Tremavo di freddo e ansia.
Prima un piede, poi l’altro li feci scivolare fuori dalla finestra e mi tenni stretta al bordo della stessa con la forza delle braccia cercando intanto di trovare aderenza con i piedi sulla parete. Le spalle e i muscoli tremavano per via del peso del corpo concentrato tutto su di loro.
I fiori, posti tra le braccia e la parete mi erano d’intralcio e distrattamente, mentre mi mossi, un vaso cadde di sotto. Lo vidi farsi sempre più piccolo, sempre più impercettibilmente veloce. Contrassi il mento e strinsi i denti come se così facendo avrei attutito la caduta del vaso e il suo rumore.
Attimi interminabili prima che il vaso toccasse terra. Mi accorsi solo dopo che toccò il suolo, che non era di terra cotta, ma bensì di plastica. Esso si schiacciò sotto il suo peso accentuato dalla forza di gravità e dopo aver prodotto un goffo tonfo, rotolò di lato.
Sospirai forte.
Velocemente, mi aggrappai alla corda di cravatte con una mano mentre l’altra rimaneva ancora agganciata alla finestra. Riuscii ad accompagnare la discesa per qualche decina di centimetri, poi staccai la mano che non aveva più aderenza dalla finestra e bilanciando un po’ il peso e muovendomi il più velocemente possibile scesi in verticale la parete. Non so quanto avrebbe resistito la grondaia, quindi per sicurezza quando mancavano quasi due metri da terra mi gettai sull’erba.
 
Da quell’angolazione, non mi sembrava possibile di aver fatto una cosa del genere.
Ero scesa da una stanza del secondo piano. Fico.
Fissai per un attimo il fiorellini nel vaso caduto, riverso su un lato, la terra nera sparpagliata sul piccolo marciapiede che divideva la casa dall’erba. Sembravano stupiti anche loro, avevano sul volto, se ne avevano uno, un’espressione di incredulità e ammirazione.
Diedi un’ ultima occhiata alla finestra aperta e poi percorsi il giardino di lato per evitare di essere scorta dalle finestre.
 
Bene. A questo punto dovevo ragionare, poiché ogni azione insensata avrebbe riportato grosse conseguenze. Punto primo, non conoscevo la zona in cui mi trovavo. Avrei potuto trovarmi a 2 o a 30km dal centro di Utrecht che non me ne sarei nemmeno resa conto. Con il poco olandese che ricordavo e con il mio discreto inglese, avrei potuto chiedere informazioni e recuperare il biglietto dell’autobus.
Punto secondo, avevo poco tempo prima che mio padre si accorgesse della mia scomparsa quindi dovevo evitare di percorrere strade principali e molto frequentate. Arrivare a Utrecht e comprare un biglietto del treno per Amsterdam e arrivare per sera in città e incontrare mia madre. Non doveva essere così difficile.
Ma che diavolo stavo dicendo, certo che era difficile!?
Per un secondo mi chiesi cosa diavolo avevo combinato. Solo 40 euro, una ragazzina da sola in una città così grande e che sapeva pochissimo della lingua del posto. Ma che mi era saltato in mente?
Beh, pensai, dopotutto sarà un’ esperienza che racconterò ai miei nipoti.
Se ci fossero qui Tamara e Rachele mi avrebbero insultata e sgridata, ma non Ludovica. No lei no, mi avrebbe detto di tirare fuori le palle e di far vedere al mondo chi sono.
Osservai la lunga via costeggiate dalle casette con giardino nella tenue luce mattutina. L’asfalto rugoso correva sotto i miei piedi. Per un secondo ricordai il bellissimo sorriso di Francesco incastonato nella mia mente. Lo immaginai a pochi centimetri da me.
Non potevo tornare indietro. Se lo avessi fatto non lo avrei più rivisto.
 
 
Sorrisi e imboccai di corsa una viuzza laterale. Se era ora di giocare, non mi sarei di certo tirata indietro.
E’ questa la vera Camille, nel bene o nel male.





*Angolo dell'autore*
Eccomi qua con un nuovo capitolo. Lo confesso, quando l'ho scritto avevo l'ANSIA. Quando scendeva e scappava dalla casa mi sono sentita mooolto protagonista e avevo davvero paura che la scoprissero, anche se ovviamente, avrei deciso io se questa cosa sarebbe successa o meno. 
Comunque Camille ha fatto un po' come avrei fatto io: fuga.
per quanto io sia una persona che non fa queste cose (un po' come lei) questa per me sarebbe stata l'unica soluzione.
Adesso vedremo cosa le succederà, perchè una ragazza in una città grande e sconosciuta come quella, può incappare in molti pericoli.
A presto. Ovviamente commentateeeeeee :)
-Sel-
  
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