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Autore: Kaho    21/12/2007    8 recensioni
[Fanfic a quattro mani scritta da Kaho e Samy]
Sequel di HP7: dopo la Seconda Guerra Oscura.
Il Prescelto è vivo. Lord Voldemort è morto. Manca ancora l’Happy Ending. Ecco il Dopoguerra: Crisi. Ripresa. Morte. Rinascita. Harry Potter è un Eroe. E un Eroe esiste per portare a compimento la sua missione. Può risollevare un mondo in ginocchio o scegliere di riconquistare quello che ha perso in guerra.
Johnny storse la bocca, ma il suo sorriso non cedette. “Oh, ti vedo molto depresso… non sarà per caso quel periodo del mese?”
Draco sobbalzò sulla sedia con un’espressione tra l’arrabbiata e l’imbarazzata. “Quale periodo del mese?”
“Ma sì che hai capito” replicò Johnny con un sorriso sornione “Per questo sei irritato, depresso e suscettibile.”
“Tu sei fuori di testa!” sbottò Draco con le guance color porpora “Io sono un uomo!”

[Main Couples: Hermione/Ron, Harry/Ginny, Draco/Samantha, Remus/Tonks]
Lievi Spoilers di Deathly Hallows. Questa storia è il seguito di un finale alternativo di Harry Potter, quindi la trama è impostata non tenendo conto dell’Epilogo del settimo libro; le autrici hanno riutilizzato alcuni spunti di Deathly Hallows, ma il resto è tutto originale.
Genere: Romantico, Comico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Past Legacy'
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02. Need the Heroes or the Patriot?

 

 

[Di nuovo la Cicatrice]

 

 

Aveva una fumante tazza di the bollente in mano. Al momento il suo cervello non riusciva a registrare altro. La sua mano si stava lentamente scaldando contro la porcellana incrinata della tazzina, ustionandogli leggermente la pelle, ma non riusciva a percepire nulla di scottante, se non quella ribollente rabbia, seguito di una scioccante rivelazione:

 

Ginny si vuole sposare con quel Babbano.”

 

Ma la furia era mitigata da una tremenda impotenza: Ginny voleva sposare un altro.

 

Harry sbatté le palpebre, continuando a fissare il volto disperato del signor Weasley senza darvi parecchio peso. Al suo interno, c’era qualcosa che grattava e si dimenava dalla rabbia.

 

‘Così ha smesso di aspettarmi… Dopo tutto quello che ho fatto non ho ottenuto nulla… Ho ucciso Voldemort e ho perso Ginny…’

 

La tazzina da the finì sbattuta violentemente contro il tavolino del salotto di casa Black. Arthur sobbalzò, colto alla sprovvista. Harry rilassò le spalle con uno sbuffo degno di un drago rabbioso.

 

Arthur lo osservò seriamente preoccupato, ma, in un attimo, una fervente speranza lo invase. “Harry, anch’io non riesco a credere ad una cosa del genere! Tutta la famiglia non riesce a capire cosa sia preso a Ginny. Forse è stato lo shock della guerra, non so… Ma tu devi aiutarla, Harry!”

 

La testa di Harry ebbe uno scatto improvviso mentre un ricordo torbido riemergeva dalla sua mente.

 

Era l’alba dell’ascesa di Lord Voldemort e il tramonto del Ministero. Rufus Scrimgeour aveva tentato la sua ultima implorazione, soffocando persino il suo orgoglio di combattente. Il capo era chino, e la criniera di capelli gli ricadeva scomposta sul viso come quella di un leone stanco e moribondo.

 

“Aiuta il Ministero, Harry. Tutti ti credono il Prescelto, sei la speranza del trionfo del Bene. Colui-che-non-deve-essere-nominato è potente, è molto potente… Ma tu devi aiutarci, Harry!”

 

Senza sapere perché, Harry si ritrovò accasciato contro il divano con la bocca spalancata: stava ridendo di gusto.

 

Arthur lo guardò terrificato. “Harry…?”

 

Harry risollevò il capo con un tremendo senso di imbarazzo e smarrimento: perché ora rideva della sua sfortuna? Prima della guerra, durante la guerra e dopo la guerra… continuava a perdere qualcuno. E ormai gli sembrò che l’abbandono fosse diventato come una seconda pelle, qualcosa di implicito nel suo essere, col quale aveva imparato a convivere… e ora ci scherzava sopra.

 

Si guardò allo specchio appeso dietro Arthur. Rimase catturato dal suo stesso volto: il suo sorriso era grottesco. “Mi dispiace, signor Weasley, non posso fare niente.”

 

Arthur scosse violentemente la testa. “Prova almeno.”

 

“Non adesso” lo seccò Harry con una voce stanca.

 

L’espressione del signor Weasley era diventata quasi iraconda. “Harry” sillabò con rabbia e disperazione “Non deludermi.”

 

Harry chiuse gli occhi, attendendo un violento senso di colpa, ma non arrivò nulla quando pronunciò: “ L’ho già delusa.”

 

Arthur strinse i pugni, arrivando quasi a sbraitare. “Ma come?! Lasci andare Ginny così? Lei è confusa e non sa quello che sta facendo. Basterebbe solo che tu le dica qualcosa…”

 

Harry aprì le labbra, sospirando delle parole che non gli sembravano sue. “Non voglio inseguire le persone che scappano da me. Se Ginny mi vuole, tornerà lei: io non mi farò rifiutare…”

 

Ingoiò un ‘di nuovo’ con una bizzarra sensazione di estraneità.

 

“Harry, sono arrivato a considerarti come un figlio” borbottò il signor Weasley con una voce quasi struggente “E ho continuato anche quando te ne sei andato lasciando Ginny, capito? Sei tu che hai lasciato Ginny per primo. Non potete fare così: quando uno dei due scappa, l’altro si arrende e va a cercare qualcun altro. No, non va per niente bene. Io voglio che riporti Ginny indietro; glielo devi dopo che l’hai abbandonata. E poi, per Merlino!, le vuoi bene, vero?”

 

Harry ebbe un’esitazione mostruosa.

 

‘Le voglio bene?’

 

Una parte di lui fremeva sotto una grande impazienza: ‘Ma certo che le voglio bene, non ho mai smesso di amarla!’ Ma c’era anche un sordido singhiozzo, quasi una parte di lui che risuonava dalla cicatrice che aveva in fronte: ‘Odierò per sempre le persone che mi abbandonano.’

 

“Certo che le voglio bene” si affrettò a rispondere Harry.

 

Arthur lasciò andare un sospiro di sollievo e non ebbe l’opportunità di vedere il viso di Harry che lentamente si sbiancava.

 

‘Non immaginavo che potessi provare una cosa del genere… non immaginavo di poter odiare Ginny. E’ come se qualcosa di cupo mi stesse entrando nella testa.’

 

Si tastò la cicatrice. Gli sembrò di sentire qualcosa che si agitava: era come quella sottile linea di pensiero che aveva collegato la sua mente a quella di Voldemort e che nei suoi sogni diventava talmente intensa da possederlo completamente.

 

Ma Voldemort era morto: cosa poteva essere?

 

“Allora posso contare su di te, Harry?” gli arrivò la voce del signor Weasley come un’implorazione.

 

“No” soffiò con pacatezza e se ne andò.

 

Era strano, ma non provava nulla. Sapeva che avrebbe dovuto sentire del rimorso, ma non c’era nulla, niente paragonabile alla pietà umana quando il volto stanco di Arthur si scompose dalla disperazione e sembrò quasi abbandonarsi al pianto.

 

Una parte di lui, sempre dalle parti della cicatrice, osò persino fremere dalla soddisfazione. Harry ebbe di nuovo una tremenda paura delle sue stesse emozioni: si sentiva pieno di rancore e non provava pietà o affetto per quella che era stata la sua vera famiglia: i Weasley. Arthur Weasley era stato come un padre e il suo volto in sofferenza non gli causava nessuno scatto di compassione. Ginny se n’era andata e aveva provato solo rabbia, rabbia contro la ragazza che lo aveva abbandonato.

 

Era tutto infinitamente strano: si sentiva un fascio di rancore, rabbia e tristezza. Forse dalla morte di Voldemort, o forse dall’annuncio del signor Weasley: ‘Ginny si vuole sposare con quel Babbano’ la sua cicatrice si era svegliata con delle nuove emozioni: era una cicatrice profonda, che forse gli arrivava fin nell’animo.

 

*^*

[Dopo la morte, si torna in famiglia - I]

 

 

“Ecco la notifica. Troverete tutto in ordine.”

 

Albert stette a fissare il foglio per un buon minuto, muto dall’indignazione. Sollevò il viso esasperato e lo incrociò con quello raggiante della sua opponente.

 

“E’ vergognoso, signorina Drake.”

 

“Purtroppo è la cruda realtà” replicò Samantha con una punta di ironia “Perciò, se non le dispiace…”

 

Albert si alzò di scatto dalla scrivania e fece cenno ad una delle guardie alla porta, un Auror robusto e dal viso rubicondo.

 

“Accompagna la signorina Drake alle prigioni sotterranee. Ha il permesso di prelevare i coniugi Malfoy.”

 

L’Auror sobbalzò, anche il suo viso contratto dall’indignazione. “Signor Ministro…?”

 

“Ne sono consapevole” disse Albert, aspro “Ma così vuole qualcuno più in alto di noi.”

 

L’Auror gli rivolse un cenno comprensivo e si voltò verso Samantha con una faccia collerica. “Mi segua, prego.”

 

Samantha lo seguì affatto impressionata. “E così Albert Gray è il nuovo Ministro? Forse è il caso che stiate attenti, qualcuno potrebbe attentare alla sua persona… diciamo… un sostituto.”

 

“Non mi pare il caso di fare minacce” ringhiò l’Auror in tono acido.

 

Samantha fece una smorfia. “Beh, volevo solo dare un consiglio.”

 

“Non credo che il consiglio di un’amica di Mangiamorte serva a molto, grazie.”

 

“Non sono un’amica di Mangiamorte” replicò Samantha in tono duro “Sono una Mangiamorte.”

 

Le spalle dell’Auror tremarono. “Allora le consiglio di stare zitta. Ho il dovere di ubbidire ai comandi del Ministro, ma non le posso garantire che riuscirò a controllarmi se dovesse dire qualcosa di sconveniente.”

 

Samantha restò in silenzio finché giunsero nei sotterranei del nuovo Ministero, un luogo stantio e oscuro, che ricordava per molti versi il covo di Lord Voldemort.

 

“I Malfoy sono laggiù, cella numero 14” annunciò la guardia in tono sprezzante.

 

Samantha lo seguì dando una rapida scorsa nelle altre celle e riconoscendo molti dei Mangiamorte elite dell’esercito dell’Oscuro Signore.

 

L’Auror si fermò, rivolgendo il viso duro oltre le sbarre, verso due figure oscure nella cella. “Lucius e Narcissa Malfoy” attaccò lui con voce potente e vibrante “Siete liberi.”

 

Ci furono dei movimenti nella cella. Il primo ad apparire alla vista di Samantha fu Lucius Malfoy. Il suo sguardo di ghiaccio si spostò sulla ragazza e divenne tagliente, posseduto da un inconfondibile brillo omicida.

 

Narcissa si unì a fianco del marito e il volto impassibile di Samantha cedette. L’odio di Narcissa andava al di là della furia omicida: il rancore di una madre che ha perduto il figlio.

 

L’Auror estrasse la bacchetta e mormorò un incantesimo. Una robusta corda magica strinse i polsi dei coniugi Malfoy ma la scintilla negli occhi di Lucius non si spense.

 

La guardia aprì la cella con un grugno e Samantha si voltò. Poteva temere un attacco alle spalle, ma non importava. Non voleva guardare quei due in faccia.

 

Cominciò a camminare mentre l’Auror dietro di lei spingeva i Malfoy fuori dai sotterranei. Giunsero all’uscita del Ministero sotto gli sguardi esterrefatti di molte persone.

 

“Ecco” sentì mugugnare l’Auror “Altri due Mangiamorte a piede libero. Ma siete senza bacchetta e potete giurare che se dovessi incontrarvi per strada, vi schianterei all’istante.”

 

I Malfoy rimasero in silenzio: la loro smodata collera aveva occhi solo per Samantha, l’assassina di loro figlio.

 

L’Auror rientrò nell’edificio e vi fu un istantaneo silenzio.

 

Samantha mosse le labbra, tentando di modulare un tono deciso. “Non tentate di fare nulla. Ho intenzione di liberarvi.”

 

Una fiamma si accese negli occhi di Lucius mentre le sue dita si serravano come artigli.

 

“Prego tutti e due di non fare nulla dopo che vi avrò liberati” proseguì Samantha “Vostro figlio è vivo, ve lo giuro. Seguitemi e ne avrete la conferma. Se questo che vi dico dovesse risultare una bugia, allora sarete liberi di uccidermi. Ma per ora, seguitemi.”

 

Forse fu la cieca speranza dei due che li spinse a seguirla in silenzio o forse la prospettiva di ucciderla.

 

*

 

Nessuno poteva scampare alla vendetta dell’Oscuro Signore. A due reclute traditrici sarebbe spettata solo la tortura e poi la morte.

 

Sapeva che la morte sarebbe arrivata, qualsiasi cosa avrebbe tentato di fare. Allora si limitava a chiudere gli occhi, appassendo piano contro le pareti della cella di tortura, avvertendo i colpi secchi e le scariche di dolore che gli scorrevano per il corpo come sangue nero.

 

Le grida morivano nella gola, soffocate dalla paura di altro dolore. Alla fine le raffiche di colpi erano cessate, il suo torturatore si leccava le labbra, compiaciuto delle cicatrici e delle ossa rotte.

 

Allora aveva avuto un’infinità di tempo per sentire il dolore, immerso in una calma che avrebbe portato altre torture.

 

Poi c’era stato un grido, un ringhio e una cascata di insulti. Lei non aveva paura di sputare in faccia al suo torturatore; e così lei guadagnò altro dolore e altre grida. C’era qualcosa di screziato e tremendo in quelle urla, sebbene non fossero disperate e strazianti.

 

Era la voce di lei distorta dalle urla che gli faceva salire le lacrime agli occhi. Erano fastidiose, molto più del dolore, gli penetravano nella testa. E allora aveva voluto farle smettere.

 

Non aveva potuto con Silente, non aveva potuto con nessuno. Ma c’era la rabbia e riusciva a sbloccargli qualcosa di selvaggio e scalpitante, qualcosa di feroce che non credeva di avere.

 

Le urla di lei e le risate del torturatore lo stavano cullando in una collera frizzante e quasi isterica. Gli occhi erano talmente socchiusi che tutto il mondo si sfumava di nero. La bacchetta era diventata come una falce, la sua mano un tutt’uno con essa, una terribile arma: le labbra e le sue parole avevano formulato il resto, quello che la collera gli suggeriva.

 

Le sfumature del mondo erano diventate verdi mentre gli occhi del torturatore si spegnavano di nero e le grida di lei cessavano.

 

Era riuscito ad uccidere, solo per lei.

 

Ma il verde che lo aveva accompagnato nel lago non era forse diverso da quello?

 

“Draco?”

 

Socchiuse gli occhi e uscì dal sogno oscuro e gelido. Vide il viso di lei e le sussurrò piano:

 

“Cos’era quell’incantesimo?”

 

Lei capì subito. “Avada Kenavra. E’ una variazione del vero Anatema della Morte, causa una morte apparente. Di solito non viene scagliato con l’intento di uccidere… non con intenti malvagi.”

 

Lei gli rivolse uno sguardo dolce.

 

“Allora non sei un’assassina” bisbigliò lui.

 

Lo sguardo di lei sviò un poco dal suo e vi ritornò con un sorriso. “Non volevo ucciderti.”

 

Lui chiuse gli occhi mentre si sentiva accarezzare una guancia. “Ti credo.”

 

La sentì sorridere anche se teneva gli occhi chiusi.

 

“Allora non sei l’assassina di nostro figlio.”

 

Una voce calda e materna. Quella che aveva sognato nel lago.

 

“Madre?”

 

La cercò con occhi stanchi e appannati per la stanza scura, dietro il viso di lei. Poi si sentì abbracciare. Provò disperazione e tanta ansia, come la persona che lo stava stringendo tra i singhiozzi.

 

“Madre…” ripeté con un soffio.

 

Poi sentì una mano forte poggiata sulla spalla e sobbalzò. Era la mano fiera e superba di suo padre.

 

Immaginò suo padre che gli sorrideva orgoglioso e bisbigliò: “Padre.”

 

‘Finalmente sono tornato in vita.

 

*^*

[Il Bianco del Manicomio]

 

 

Era una donna malata. Donna e malata per merito di Han, l’uomo che stava per sposare.

 

Ogni gesto, ogni parola, le ricordavano che era in trappola, catturata in un sogno onirico, magnetico e bianco.

 

Era davanti allo specchio e indossava l’abito bianco delle sue future nozze. Si lasciava manipolare da quella minuta vecchietta gracchiante ed educata, la signora Joshuel, la futura suocera.

 

“Cara, questo vestito è divino! Sottolinea la chiarezza della tua pelle e… mh… dovremo fare qualcosa per domare questa chioma ribelle, cara Ginny.”

 

La signora Joshuel le passò delle sottili dita tra i capelli rossi leggermente scarmigliati e tirò. Ginny sentì una fitta alla testa e un pensiero tagliente che la attraversava:

 

‘Già le mani di suo figlio… i suoi occhi… hanno domato ciò che c’era di ribelle in me.’

 

La signora Joshuel continuò a cinguettare garbatamente, non arrivando mai ad esaurire i languidi complimenti.

 

“Sarai una perfetta gentildonna ed un orgoglio di nuora, ne sono certa, cara Ginny.”

 

Ginny era assolutamente smarrita. Non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stata la nuora di qualcuno perché i genitori di Harry erano entrambi morti. Lei non avrebbe mai avuto alcun suocero, nulla… E invece, ora, se ne ritrovava due, due suoceri e loro figlio, il grande orgoglio di casa Joshuel: Han, il suo fidanzato.  

 

“Cara Ginny…” cominciò la signora Joshuel accarezzandole i capelli pettinati e Ginny trattenne un singulto: lo stesso vezzeggiativo che usava Han… sarebbe stata per tutta la vita la ‘cara Ginny’.

 

‘E tra qualche giorno sarò la Signora Joshuel.’

 

Il senso di smarrimento arrivò al suo culmine. Ginny fece scorrere gli occhi sull’abito bianco.

 

‘Un colore che non mi si addice. Non dovrei indossare questo colore candido, serve solo a ricordarmi che non sarò più pura.’

 

Ma tutto in quella casa le rievocava la notte precedente, quella in cui si era lasciata stringere dalle braccia di Han, completamente abbandonata ai desideri del ragazzo. Il maniero dei Joshuel era ricoperto di pizzo e nastri di seta candidi, le pareti erano lucide di vernice bianca.

 

Ginny fissò la parete oltre lo specchio e il vaso chiaro di camelie: completamente bianco.

 

‘Sembra un manicomio.’

 

Era malata e si sentiva impazzire. Non voleva eppure lo stava facendo. Qualcosa sospingeva il suo corpo stanco, sussurrando parole languide al suo orecchio, manipolandola come un’insulsa bambola di pezza.

 

Ecco cos’era: una bambola vestita di bianco.

 

Ginny abbassò gli occhi desolati: ‘Ma io non volevo diventare una persona così misera e insulsa.’

 

Aveva sempre desiderato altro, un’altra persona, e lo smarrimento di quel frangente, mentre la signora Joshuel le acconciava la chioma ribelle, glielo fece ricordare.

 

[Qualche giorno prima del Ballo del Ceppo]

 

Aveva tredici anni e amava discutere di questioni sentimentali con una già saggissima Hermione di età quattordici.

 

“Così, pensi di accettare, Hermione?” le chiese Ginny con un sorriso da amica confidente.

 

Hermione sbuffò piano. “Non saprei. Il ragazzo non è male, però…”

 

“Certo che non è male” intervenne Ginny con un ovvio accenno di capo “Stai parlando del più abile Cercatore del mondo: Victor Krum.”

 

“Lo so!” si discolpò Hermione con una voce troppo impetuosa “Ma è appunto per questo. Nessuno mi ha mai chiesto di uscire: il primo è lui. Capisci, Ginny? Sono passata da ‘niente’ ad ‘un grande campione di Quidditch’; io vorrei accettare, ma ho l’impressione di farlo solo perché lui è una celebrità… forse sono rimasta abbagliata dal suo talento e, sicuramente, lui mi lusinga, però…”

 

“Sarebbe sbagliato?” mormorò Ginny con una voce di colpo seria “Sarebbe così sbagliato desiderare di uscire con una persona solo perché si è rimasti abbagliati dalla sua fama?”

 

“Alludi a Harry?”

 

Ginny perse di colpo la voglia di parlare. Quella sua frizzante loquacità se ne andava sempre quando Harry era nei paraggi: lui la conosceva solo come la timida sorella del suo migliore amico, troppo insignificante e scontata da considerare.

 

“Può darsi” ribatté Ginny con aria mortificata “Ma anche se fosse, sono certa che non mi inviterebbe mai al Ballo del Ceppo… chiederà a Cho Chang…”

 

Quel nome le era uscito con un’acidità degna della più infida delle Serpeverde.

 

“Io non credo” le sorrise Hermione, incoraggiante “Pare che Cho Chang sia già stata invitata da Cedric Diggory.”

 

Fu come se lo stomaco di Ginny facesse le capriole. “Davvero? In effetti quei due sono in confidenza dall’inizio dell’anno, ma mi era sembrato che la Chang puntasse le sue mire altrove…”

 

Avrebbe voluto aggiungere: perché non smette un attimo di fare la svenevole con Harry. Ma si morse il labbro inferiore. Cho Chang aveva un carattere mite e cordiale, era una brava Cercatrice e una fedele amica a parere della sua confidente Marietta… eppure Ginny era arrivata persino a non tollerare la sua voce flautata e il mulinare dei suoi capelli corvini, perfetti e lisci. Solo perché Harry si lasciava andare alle sue incostanti moine, a quei suoi sorrisi occasionali… E lui continuava ad ignorare il sorriso genuino e perenne di Ginny.

 

“In realtà Cedric è molto affezionato a Cho” disse Hermione in tono ovvio “E anche lei ricambia.”

 

Ginny desiderò trattenere quella domanda, ma le sorse spontanea dalle profondità del suo stomaco. “Harry lo sa?”

 

“Non se ne rende conto. Sembra che tutti i ragazzi non si accorgano di quello che per noi è assolutamente ovvio” sbuffò lei con aria scoraggiata.

 

Hermione” cominciò Ginny con voce insinuante “E per quanto riguarda mio fratello?”

 

Hermione scattò sul posto e parlò con una voce troppo nervosa: “Che cosa c’entra Ron?”

 

“Lui sa che Krum ti ha fatto la proposta?” domandò Ginny in tono stuzzicante.

 

“Lo saprà” confessò Hermione con voce decisa “Perché ho intenzione di accettare.”

 

“Vuoi andare con Krum al Ballo del Ceppo?”

 

“Certo.”

 

La voce di Hermione cadde nel silenzio e in un muto imbarazzo.

 

Ginny sospirò piano. “Non c’è sincerità neanche con le amiche?”

 

“Sono sincera” affermò Hermione in tono risoluto.

 

“Forse i ragazzi non sono gli unici che ignorano ciò che è ovvio” disse Ginny.

 

“Non c’è niente di ovvio!” sbottò Hermione, riprendendo poi la calma “Ginny, qualsiasi cosa ci sia, sicuramente non è ovvio.”

 

“Lo so” soffiò Ginny da un angolo della bocca “E’ tutto complicato. Invece dovrebbe essere semplice.”

 

In quell’istante si figurò il volto sorridente di Harry che si avvicinava al suo. Tutto avveniva al rallentatore e sembrava troppo reale. Quello sarebbe stato il suo primo bacio. Così l’aveva sempre immaginato. Ma stava aspettando troppo.

 

“Tu hai già un cavaliere, Ginny?” riprese Hermione in tono timido.

 

“Nessuno me l’ha chiesto” confessò lei “Anzi, forse una persona c’è… però…”

 

“Chi è?” chiese Hermione, incuriosita.

 

“Neville Paciock.”

 

“Oh” mugugnò Hermione con un accenno di delusione “Beh… Neville è di sicuro una brava persona.”

 

“Ma io mi sento scomoda con lui” ammise Ginny, costringendosi a trattenere un’altra pungente domanda: sono così scadente da non meritare altro?

 

“In fondo Neville non è un brutto partito… c’è di peggio” tentò di consolarla Hermione “Pensa a Tiger e Goyle.”

 

Ginny fremette all’idea. “Meglio andare sola… Ma in questo caso, preferisco la compagnia anche se non è perfetta.”

 

“Ascolta, Ginny” disse Hermione delicatamente “Non vuoi aspettare Harry? Dato che Cho è già impegnata…”

 

“Non voglio aspettare Harry” sbottò Ginny “Non pretendo tanto. So che se anche lo aspettassi, lui non arriverebbe… forse non sarei nemmeno la sua ultima scelta, forse non mi considererebbe neanche.”

 

“Capisco” approvò Hermione “Per questo andrai con Neville?”

 

Ginny accennò con il capo, lo sguardo basso. “Harry andrà con un’altra, non farà fatica a trovare un’accompagnatrice: ora lui è sia il Bambino che Sopravvisse che uno dei Campioni TreMaghi.”

 

‘Sempre più distante’ trattenne tra le labbra.

 

“E tu andrai con Krum, Hermione, per lo stesso motivo?” le chiese con voce distante.

 

Le parole di Hermione si mozzarono dal principio. “Beh… non… non vedo il nesso…”

 

Ginny le rivolse uno sguardo carico di significato e lei ammutolì. “Tu sei fortunata, Hermione: Ron non ti farà aspettare molto.” 

*

 

‘Ho smesso di aspettare’ si ricordò Ginny, tornata alla realtà. Si osservò allo specchio: era pronta.

 

“Come sei bella, cara Ginny” le arrivò l’ennesimo complimento languido della signora Joshuel.

 

Era una bambola nel suo vestito di nozze, bianco come una camicia di forza.

 

‘Come per Neville’ rifletté stancamente ‘Non ho voluto aspettare Harry e mi sono accontentata. Ora non sono più pulita e mi sto gettando via.’

 

*^*

[Originale]

 

 

Luke Davisson osservò la sua collega che svaniva nell’Interpolvere con un sorriso soddisfatto e tre biondi al seguito.

 

“Bene” sbuffò tra sé “Ora mi spetta una bella ricompensa dall’A.R.A.s.

 

A.R.A.s?” Una voce curiosa gli cantilenò alle spalle.

 

Si voltò per incontrare gli occhi sporgenti di una ragazza bionda.

 

“Non è per caso l’associazione para-criminale che commercia informazioni segrete?”

 

Davisson si sentì fremere interiormente, ma il suo viso da Sorcers allenato all’impenetrabilità rimase impassibile. “Direi che queste sono mere speculazioni scandalistiche.”

 

Negli occhi della ragazza si accese un guizzo. “Io so che sono notizie attendibili. Mio padre ci ha scritto un articolo.”

 

“Interessante” fece Davisson con voce controllata “E su quale giornale l’avrebbe pubblicato?”

 

“Il Cavillo.”

 

Un ghigno si piegò dentro Davisson, ma le sue labbra rimasero immobili. “Ciò significa che tuo padre era il direttore del Cavillo. Mi dispiace molto, ho sentito che è stato catturato dai Mangiamorte.”

 

“Lo so” replicò la ragazza in tono deciso “Ma mi ha lasciato un grande testimone.”

 

“Vuoi continuare le sue speculazioni?” mugugnò Davisson “E’ ammirevole in qualità di figlia, ma ben poco saggio per una ragazza così giovane.”

 

“L’età non è importante se si ha lo spirito di indagine” disse lei con aria sognante “Così diceva mio padre.”

 

Davisson la fissò con un’inaspettata curiosità. I suoi occhi sporgenti avevano qualcosa di singolare e accattivante. Quando lei si perdeva nelle sue sognanti ipotesi cospirative, sembrava quasi pazza, cosa che all’uomo piaceva immensamente. Ma era comunque troppo pericolosa: credeva di sapere troppo.

 

“Ti saluto” le disse lui.

 

“Ciao” si sentì dire dalla ragazza con voce astratta.

 

Fece due passi e si sentì pedinato.

 

Si voltò con aria scocciata. “Senti un po’, ragazzina, perché continui a starmi appiccicata?”

 

“Sto facendo solo delle indagini” attaccò lei, abbassando la voce in tono cospiratorio. “A me piacciono le cose sospette.”

 

Gli occhi di Davisson ritornarono sulla collana di tappi di sughero con un guizzo vispo. “E a me piacciono le cose strambe.”

 

*^*

 [Impact]

 

 

L’interpolvere li aveva trasportati nel Paese natale di Samantha: l’America. Era di fronte a casa Drake e Draco dovette interrogarsi sullo stupore che aveva colto Samantha alla vista di Malfoy Manor.

 

La dimora dei Drake era di dimensioni non poco indifferenti. Più che un maniero, era una villetta circondata da un giardino curato discretamente, a sua volta delimitato da un maestoso cancello.

 

L’inferriata principale era affiancata da due pilastri di ferro che culminavano con statue di aquile in profilo, fiere e rampanti. Il cancello si aprì a comando di Samantha e Draco la sentì sospirare. La famiglia Malfoy percorse il vialetto del giardino ed entrò in casa Drake.

 

Samantha lasciò il fianco di Draco e si avventurò lungo un tratto di atrio con passo svelto e sicuro. “Vi dispiace pazientare qualche istante?” chiese garbatamente alla famiglia “Devo solo annunciare il vostro arrivo.”

 

Draco le fece un cenno d’assenso e lei si avviò oltre l’atrio con un sorriso scalpitante.

 

La famiglia Malfoy si guardò in torno con aria critica. Era evidente già dall’atrio che il tipo di dimora che li avrebbe ospitati era di inconfondibile stile… sconosciuto, ma certamente non tradizionale, posato, gotico, classico o qualunque altro stile che includesse mobili di legno, specchi lucidi, vetrate intarsiate, drappeggi, stoffe, quadri alle pareti. Quell’ambiente sembrava asettico quanto le stanze di isolamento del San Mungo, quasi fatto di plastica e troppo lisco e spoglio, ma contemporaneamente vitale e… babbano.

 

Lucius storse il naso: l’architettura di quella casa non era degna di un mago Purosangue. Draco sembrava disorientato in quell’ambiente, mentre ripensava alle parole di Samantha: ‘Anche la mia è una famiglia di orgogliosi maghi Purosangue.’

 

Uhoo!”

 

Draco lievitò sul posto con i nervi a fior di pelle. Un boato sinistro gli era arrivato alle spalle. Si voltò lentamente e scoprì che quel bizzarro suono tonante proveniva da un essere umano: poteva avere all’incirca la sua età, era alto quasi quanto lui ma la sua corporatura era sicuramente più robusta e formata, e reggeva un vassoio zeppo di tartine con ben poca grazia.

 

Draco socchiuse gli occhi all’indirizzo dello sconosciuto. ‘Deve essere il cameriere.’

 

Lucius e Narcissa squadrano l’individuo con malcelato disdegno. Dal canto suo, il cameriere si limitò a rimandare ai due uno sguardo analitico non molto arguto.

 

“Tre soprabiti neri e biondi” parlò infine quello con una velocità e un accento nasale che avevano dell’irreale “Siete di queste parti? No, non ditelo: ovviamente no. Beh, se siete ospiti ditemi i vostri nomi. Io sono Johnny.”

 

Draco sbatté un paio di volte le palpebre. Nel giro di cinque secondi il cameriere era riuscito a terminare il suo discorso con un’ampia boccata d’aria alla fine.

 

Lanciò un’occhiata d’intesa ai genitori che confermarono il suo atteggiamento diffidente. Fissò il cameriere e replicò: “Io sono Draco Malfoy.”

 

La spalla sinistra del cameriere sembrò cadere di lato. Mentre la sua postura diventava obliqua, osservò i Malfoy, e in particolare Draco, con un ampio sorrisetto vispo.

 

Yup, ma che nome di spicco per un pusher!”

 

Draco agitò la testa con una smorfia, squadrando in cagnesco l’insulso viso del cameriere. Narcissa trattenne un sospiro, sdegnata da tanta scortesia e sgarbatezza; Lucius non trattenne un ringhio di fronte a tanta mancanza di rispetto.

 

Il cameriere spostò il peso sulla gamba destra, destreggiandosi con il vassoio e sollevando leggermente il mento con le sopracciglia corrugate. “Permaloso come una donna” borbottò piano, ma non abbastanza per evitare che Draco lo sentisse.

 

“Come, prego?” non riuscì ad evitare di sfoderare la sua più strascicata voce melliflua.

 

Il cameriere lo fissò per un istante e la sua espressione smarrita mutò in una di gioiosa comprensione: “Ma tu sei inglese! E’ chiaro: voce languida, parlata lentissima, attitudine femminile… tutto sembra coincidere!”

 

Draco restò ammutolito dallo sdegno, cosa che gli capitava molto di rado data la prontezza della sua lingua biforcuta. Lucius spalleggiò il figlio esibendo un’espressione collerica.

 

“Non ho idea di quali siano le tradizioni di questo Paese, ma ti consiglio di assumere un atteggiamento più garbato: facciamo parte di una nobile famiglia Purosangue e siamo ospiti in questa casa.”

 

Il cameriere sembrò molto più interessato all’ultima indicazione. “Ospiti? Ma va’? Ospiti a casa Drake: siete investiti di un grande onore! Sure!”

 

Il volto di Lucius si contrasse dalla rabbia. “Continui a non mostrarci rispetto!”

 

Il cameriere lo fissò incuriosito, tuttavia affatto intimorito dallo sguardo glaciale di Malfoy senior che solitamente riusciva a sopraffare anche gli spiriti più arroganti.

 

“Suscettibile” mugugnò il cameriere con un sorriso raggiante che fece scalpitare Lucius dalla rabbia “Ma non importa. Ora che siete in America, la terra delle opportunità e della libertà, potete tranquillamente abbandonare la vostra posa austera e godervi la vita in assoluta spontaneità.”

 

Il viso del cameriere si era illuminato durante quel suo sentito discorso e Draco non riuscì a trattenere uno strano singhiozzo: quell’essere impertinente gli ricordava qualcuno. La sua pelle leggermente abbronzata e i suoi sorrisi sfavillanti ed energici avevano qualcosa di famigliare. In effetti, a parte la totale mancanza di lineamenti raffinati, il volto del cameriere si poteva considerare decisamente attraente.

 

Quello era il tipo di uomo che avrebbe indotto metà popolazione femminile a sposarlo senza alcun indugio con un rigagnolo di bava alla bocca e l’altra metà a suicidarsi per l’infinita serie di assurdità che gli usciva dalla bocca.

 

“Benvenuti nella vera ed autentica Patria! Là dove dimorano i veri uomini!”

 

Il timpano di Draco vibrò più dell’usuale sotto la potente esclamazione di quello sconosciuto cameriere.

 

Yeah! Vi insegneremo come giungere al fine ultimo di ogni uomo: to be an Amer!”

 

Draco fece una smorfia contrariata. Togliendo le esclamazioni incomprensibili e le risate a squarciagola che intervallavano le esclamazioni incomprensibili, l’inglese di quel soggetto era davvero molto strambo: trascurando il fatto che il timbro della voce era quello di una rauca aquila rapace, il cameriere tendeva a finire le frasi o troncando le parole di netto o alzando a picco la voce in una specie di fugace singhiozzo ululato.

 

‘American Slang’ si chiamava… ma Draco non poteva ancora saperlo.

 

Il cameriere fece roteare il vassoio imbandito con una torsione del braccio per riacchiapparlo con maestria ad occhi chiusi, numero da circo che sarebbe valso un applauso a qualsiasi bestia da cabaret.

 

Yosh, ospiti inglesi! Siamo così patriotticamente felici di accogliere degli immigrati nel nostro sublime Paese!”

 

Draco sogghignò a bocca piena. ‘Appena arriva Samantha gli imporrò di licenziarti, stupido cameriere saltellante. Per quanto bravo tu possa essere – e lo dubito con tutto il mio animo – non potrai mai competere con le mie suppliche: Samantha è in mio potere!’

 

Le sue aspettative si tramutarono in una piacevolissima realtà quando Samantha ritornò nell’atrio con passo deciso ed un gioioso sorriso che, Draco notò con sconcerto, era rivolto al cameriere.

 

Il cameriere piroettò fino a pararsi di fronte a Samantha. “Yoh!” la salutò con un’alzata di mano decisamente troppo confidenziale.

 

Draco si leccò i baffi, assaporando il gusto sempre dolcissimo della vendetta. ‘Ridi, ridi, ridi, idiota… Non hai rispetto nemmeno per la padrona di casa, mi basterà un secondo per convincere Samantha a licenziarti… tra un po’ ti ritroverai ad implorare l’elemosina in mezzo ad una pidocchiosa strada babbana.’

 

Draco si rivolse con compiacimento a Samantha. “Licenzialo subito, Samantha” affermò con un tono sufficientemente imperioso per far inarcare un sopracciglio alla ragazza.

 

Il cameriere smise di roteare mentre i suoi occhi assumevano la circonferenza del vassoio che teneva in mano. “Fire me?”

 

“Licenziarlo, dici?” ripeté Samantha con aria scettica.

 

Draco annuì in modo fatale. “Dovresti insegnare ai tuoi domestici un minimo di rispetto per gli ospiti!”

 

Samantha si voltò finché il suo viso fu parallelo a quello del cameriere: i loro volti erano uno al fianco dell’altro. Draco sobbalzò quasi strozzato dal suo stesso gemito. Fu posto di fronte ad una sconcertante evidenza: il cameriere somigliava molto a Samantha, troppo per essere solo il cameriere.

 

Lei fissò i tre biondi con alle spalle il saltellante non-cameriere che faceva cenni di saluto. “E’ mio fratello Johnny” dichiarò e una generale freddezza piombò sulla famiglia Malfoy.

 

*^*

[Di nuovo la Cicatrice II]

Harry Potter P.O.V.

 

 

La cicatrice fa un male d’inferno.

 

Curioso distrattamente nella stanza in cui mi trovo. Dopo l’accesa discussione col signor Weasley sono venuto qui, in uno dei centri accoglienza del San Mungo, per riposarmi. E’ curioso, ma nessuno mi ha riconosciuto: nessuno ha riconosciuto il Prescelto. Dovrei essere felice perché a me non piace essere riconosciuto.

 

Eppure sono più cupo di prima. Stavo male in quel ridicolo Corteo che aveva organizzato il Ministero perché non c’era Ginny, ma le acclamazioni di quegli altri estranei erano state incredibilmente confortanti. Non mi ero mai compiaciuto dei complimenti degli altri, mi imbarazzavano e basta… Ma ora, invece, li volevo a tutti i costi.

 

Ho capito che tutti gli sforzi che ho fatto in guerra hanno cancellato la mia modestia e ho capito anche un’altra cosa.

 

Adesso sono sinceramente arrabbiato con Ginny. Anche dopo la supplica del signor Weasley ho capito di non poterla aiutare perché non volevo. Era incredibile quello che Ginny aveva fatto: un sostituto…

 

Non importava che lo avesse fatto perché si sentiva sola o perché io le avevo dato il permesso: non doveva farlo e basta.

 

Non poteva scaricare il Prescelto perché si sentiva sola. Era normale, capitava a quasi tutte le coppie. Poi eravamo in tempo di guerra ed era normale che si sentisse smarrita, ma non le dava il diritto di mollarmi così.

 

Adesso quasi non mi riconosco più, non credevo di poter provare una simile arroganza: non poteva mollarmi perché sono il Prescelto. A sentirlo dal fuori sembra così egoistico, strafottente, così decisamente non-da-Harry-Potter, eppure lo credo con tutto il cuore.

 

Se una persona si sforza, combatte, tenta di salvare il mondo, sconfigge il cattivo, non dovrebbe automaticamente ricevere una ricompensa? E quale ricompensa è megliore dell’abbraccio della propria amata?

 

C’è decisamente qualcosa che non va nella mia storia, qualcosa di dannato. Regulus aveva ragione: sono maledetto.

 

Ginny ha sempre tentato di consolarmi mentre mi accarezzava i capelli. Chissà se lo fa anche col Babbano? Spero con tutto il cuore che si ricordi di me quando lo farà con quell’altro. Di sicuro non riuscirà a fare niente senza pensare a me. Sono sicuro che sarà invasa dai sensi di colpa. Meglio così.

 

Non credevo davvero di provare tanta amarezza. Mi è nata di colpo, alla fine della guerra.

 

Qualcuno bussa alla porta. Credevo fosse una qualche infermiera e invece è il mio migliore amico Ronald Weasley. Ma da come mi guarda non si direbbe mio amico.

 

“Cosa hai fatto, Harry?”

 

La sua voce è decisamente ostile. Io non voglio sbilanciarmi, allora gli rispondo con voce pacata. “Ho solo parlato con tuo padre.”

 

“Parlato?”

 

Sì, Ron è decisamente infuriato. Forse è il caso che passi sulla difensiva.

 

“Infatti, Ron. Ho semplicemente parlato con tuo padre. Lui mi ha chiesto di fare una cosa e io ho rifiutato.”

 

“Fare una cosa?” scandisce Ron “Ma sei andato fuori di testa, Harry? Ti ha chiesto di riportare indietro mia sorella non di fare una cosa.”

 

Ora l’irritazione di Ron comincia ad irritare persino me. “Non è colpa mia, Ron, se se n’è andato col Babbano e quindi non sarò io a portarla indietro.”

 

“Ma certo che è colpa tua!”

 

Non credo di aver mai visto il volto di Ron così rosso. Comincio seriamente a preoccuparmi. Ho litigato qualche volta con Ron ma ho sempre sofferto durante e dopo il litigio perché è brutto litigare con gli amici. Ma adesso, vendendolo così arrabbiato, mi scappa un sogghigno sulle labbra.

 

“Vi consiglio di smetterla di scaricare tutto su di me! E’ stata Ginny a volersene andare e se non torna, la mia vita non cambierà.”

 

Non mi importa davvero. Oh Merlino, la cicatrice fa davvero male.

 

Ron ora mi sembra decisamente schifato. “Harry, stai male.”

 

Lo so che sto male, questa dannata cicatrice mi sta spaccando la testa in due. E’ da un po’ che ho paura di ammetterlo, ma…

 

“Ron, credo di essere posseduto.”

 

Devo essere stato molto convincente perché il volto arrossato di Ron sbianca all’istante.

 

“Si tratta di Voldemort, Harry? Ma non lo avevi ucciso?”

 

Sento che la sua voce è terribilmente indecisa e titubante.

 

“Non lo so, Ron” anche la mia voce è indecisa “Io l’ho ucciso ma è come se una parte di lui vivesse qui, dentro di me.”

 

Senza neanche volerlo mi sono portato le dita alla cicatrice.

 

Ron mi fissa esterrefatto. “E’ per questo che ti comporti così? Per colpa della cicatrice?”

 

“Io lo spero” mi sento decisamente disperato “Perché se non è la cicatrice, allora sono io: sono davvero diventato come Voldemort.”

 

“No!” questa volta la voce di Ron è davvero combattiva “Assolutamente no. E’ colpa della cicatrice, tu non potrai mai diventare come Voldemort, lo diceva anche Silente.”

 

Silente: lui aveva sempre ragione. “E’ vero, ma non cambia niente. La cicatrice mi resterà per sempre.”

 

“Almeno prova, Harry. Prova a combattere la cicatrice come facevi a Hogwarts.”

 

Una strana idea si fa spazio nella mia testa, superando il dolore della cicatrice. “E se ci voglio riuscire, dovrò riportare indietro Ginny.”

 

“Sì” ora la voce di Ron è illuminata quanta il suo viso “Bravo, Harry, ora torniamo da mio padre a dare la notizia.”

 

Ho detto che volevo salvare Ginny, ma c’è una parte di me che non lo vuole proprio. La cicatrice mi dice che solo gli stupidi che amano la sofferenza corrono dietro a chi li ha abbandonati.

 

*^*

[Questione di Emblemi]

 

 

“Qualcuno mi trovi un mediatore mago-babbano, non ce ne vengo fuori con questi preventivi in sterline!”

 

Il nuovo Ministro della Magia scalpitava dalla maestosa scrivania del suo ufficio.

 

“Ministro” gli giunse una voce sogghignante da un angolo della stanza “Non sono certo i Babbani che mancano in questo momento.”

 

Albert Gray squadrò il soldato con irritazione. “Colonnello Marshall, non è decisamente il caso di ironizzare sulla rivolta là fuori.”

 

Albert lanciò un’occhiata esasperata oltre la finestra: un’orda impensabile di Babbani e Mezzosangue si stava raccogliendo alle fondamenta del Ministero della Magia dalla mattina presto, quando era stato ritirato l’ordine tassativo di lasciare sgombere le strade: la pulizia era finita.

 

“Deve fare qualcosa, Ministro” riprese Marshall in tono serio ma sempre sogghignante “Per la fine della giornata il Primo Ministro Babbano intende richiamare i concittadini londinesi. Si potrebbe creare un increscioso intoppo di sicurezza magica se al ritorno dei Babbani a Londra molti della nostra razza si dovessero trovare ancora per strada a sbandierare la bacchetta come fanno ora.”

 

Con un grugno contemplò la folla scalpitante: tutti gridavano giustizia, desideravano le teste dei Mangiamorte.

 

“Stiamo perdendo il controllo” sospirò Marshall “Questa gente è quasi psicopatica, ma d’altronde è comprensibile, la guerra è appena finita. Temono ancora che le grinfie di qualche Mangiamorte spunti dall’oscurità per trascinarli verso la morte o il lato oscuro… panico collettivo… E ora pretendono che versiamo tutto il sangue di quei mostri.”

 

“E non solo il sangue dei Mangiamorte” precisò Albert con aria nervosa “Persino i Dissennatori che – Merlino lo sa dall’alba dei tempi – non si possono uccidere. Pretendono l’impossibile: un processo e una condanna a morte collettiva dei Mangiamorte, l’esecuzione che di solito si operava col Bacio dei Dissennatori… e ora gli stessi carcerieri sono nostri nemici. Ormai le prigioni del Ministero sono zeppe di Mangiamorte, Azkaban è inutilizzabile e quella gente là fuori pretende sicurezza” abbassò la voce su un tono più grave e fatale “Finiremo per perdere il controllo.”

 

“L’abbiamo già perso o non lo abbiamo mai avuto, bah?” si chiese Marshall con aria indifferente.

 

Albert lo fulminò con lo sguardo e un ringhio sommesso. “Colonnello Marshall, la prego, cerco solo un poco di solidarietà e sostegno.”

 

“E’ lei che ha voluto accettare l’incarico di Ministro in una situazione del genere” ribatté Marshall “Io l’avevo avvertita di quello che rischiava.”

 

“Lo so, lo so” cantilenò Albert, scocciato “Ma qualcuno doveva pur ricevere questa patata bollente: una Londra distrutta, centinaia di prigionieri di guerra, Dissennatori ancora liberi per i cieli d’Inghilterra e un’orda di sopravvissuti che gridano vendetta.”

 

“Perfetto” si complimentò Marshall “Non avrei saputo descrivere meglio la situazione attuale: un vero casino. Forse fare la guerra era persino più semplice.”

 

“Ovvio” borbottò Albert “E’ più facile distruggere che ricostruire.”

 

“Peccato che eravamo noi quelli che rischiavano la distruzione” puntualizzò Marshall con una smorfia.

 

Albert si stravaccò sulla poltrona con un ampio sospiro. “E mi domando se non sia ancora così. Insomma… muore Colui-che-non-deve-essere-nominato e noi vinciamo automaticamente? Ma come è possibile?”

 

“Bah” fece Marshall “E’ tutta una questione di emblemi: Voldemort era il simbolo della vittoria oscura e morto lui se n’è andata la vittoria, anche se in realtà le forze dei Mangiamorte combinate con quelle delle altre bestie avrebbero potuto distruggerci facilmente… ma si sono arresi perché tagliata la testa del serpente non sapevano più da che parte sbattere. Noi, certo, non avevamo questo problema perché morto un Ministro se ne fa un altro, ma morto Voldemort – Merlino voglia che sia così – non si genera un altro Signore Oscuro.”

 

Marshall si interruppe con aria meditabonda mentre Albert lo fissava con aria di rimprovero.

 

“Forse non è il caso che lei pronunci quel nome.”

 

“Cosa?” sghignazzò Marshall “Voldemort?”

 

Albert socchiuse gli occhi con uno scatto. “La prego.”

 

“Ma la prego lei” replicò Marshall con un’ampia risata “Che senso ha bandire quel nome adesso? Quando Voldemort non è altro che un cumulo di ossa e pappa d’intestini?”

 

Albert gli lanciò un’occhiata carica di significato. “Come diceva lei prima, è una questione di emblemi.”

 

Marshall si ritirò in un silenzio riflessivo che non gli era affatto scomodo.

 

‘Una questione di emblemi… forse basta poco per calmare quella massa di isterici.’

 

“Ministro” disse, rivolgendosi impetuosamente ad Albert “Ho la soluzione.”

 

Albert si illuminò poco, non desiderando ingannarsi con la speranza. “A quale dei miei infiniti problemi?”

 

“A quello più scottante, a mio parere” disse Marshall, reclinando il capo verso la finestra “Quei pazzoidi bellicosi che pretendono giustizia avranno il loro contentino.”

 

Albert si mise in posizione d’ascolto. “La prego, continui.”

 

“Va bene” sogghignò Marshall con enorme soddisfazione “Ora le darò una dimostrazione pratica.”

 

Si accostò alla finestra, spingendo le ante finché si spalancarono del tutto, cozzando contro il muro del Ministero. Le urla di protesta della folla sotto raggiunse entrambi con una potenza degna di un branco di lupi idrofobi.

 

“Portateci le teste dei Mangiamorte!”

 

“Già! A morte tutti!”

 

Marshall li squadrò dall’alto in basso con un misto di stizza e repulsione. Si gonfiò i polmoni d’aria e gridò più forte che poté: “E se invece vi portassi la testa di Voldemort, cosa ne direste? Preferite la testa di Voldemort o quelle di qualche Mangiamorte?”

 

La folla si spense drasticamente. Marshall osservò alcuni visi che lo fissavano dal basso sbiancare paurosamente.

 

“D’accordo, allora” urlò Marshall alla folla “Non siete ancora pronti per ammirare un cimelio di guerra così sostanzioso. Non temete, un giorno avrete la vostra truce vendetta: le teste dei Mangiamorte! Ma che mi dite ora, se invece di qualche pezzetti umani, vi dessi un Eroe?”

 

La folla sembrò sul punto di riaccendersi alla nomina dei Mangiamorte, ma poi si perse, smarrita nella proposta di Marshall.

 

“Attendo la vostra risposta, oh folla inferocita!” gridò il colonnello, non premurandosi di celare il suo tono canzonatorio “Il Ministero farebbe qualsiasi cosa per placare la vostra ira, persino portarvi la testa di Harry Potter… ovviamente staccata dal torace!”

 

La folla non tardò un solo attimo per accendersi di ira.

 

“Come osi, tu del Ministero!”

 

“Stai zitto, quel ragazzo è un vero Eroe!”

 

“Non ho bisogno di sentire altro” ghignò Marshall tra sé.

 

Richiuse la finestra con un sogghigno. “Come previsto: la folla inferocita è innamorata di Harry Potter.”

 

“Questa è la vostra idea, colonnello Marshall?” mugugnò Albert con aria pensosa “Potrebbe funzionare: un Eroe!”

 

“Più di uno” precisò Marshall “Si ricorda, Ministro, di quel bambino del Corteo?”

 

Il viso di Albert sembrò accendersi di colpo. “Jeremy Smith? Sì, certo, è un bambino straordinario: il simbolo della resistenza giovanile.”

 

“Esatto” affermò Marshall con risoluzione “Portiamolo qui al Ministero, offriamogli protezione e tutto quello che gli dovesse servire per crescere: il Ministero diventerà la casa di un Eroe. E’ questo quello che ci serve: che quella folla inferocita si riunisca sotto il vessillo del Ministero e recuperi un minimo di civiltà. E chi viene ascoltato meglio di un Eroe? Basterà che Potter e Jeremy Smith aprano la bocca e quella massa di pazzoidi là fuori prenderà per oro colato ogni loro singola parola.”

 

“Sono d’accordo, è una mossa davvero astuta” disse Albert con ammirazione “Ma credo ci sia un intoppo: per quanto riguarda Jeremy Smith, non vedo perché dovrebbe rifiutare, ma che mi dice di Harry Potter? Tre anni fa ero di stanza al reparto privato di Rufus Scrimegour e venni a sapere che il Ministro aveva tentato di convincere Harry Potter ad affiancarsi al Ministero e il risultato fu un umiliante rifiuto.”

 

“Prevedibile” soffiò Marshall con un ghigno “Scrimgeour era un valoroso combattente e un apprezzabile stratega ma mancava decisamente di tatto e spirito di trattativa.”

 

Albert sembrò smorzare una risata con un colpo di tosse. “Non dovrebbe essere lei a criticare, colonnello Marshall.”

 

“Forse è vero” ammise Marshall con un’espressione rilassata “Quindi combineremo le nostre doti oratorie, Ministro.”

 

Albert lo squadrò con uno sguardo severo. “Vuole giocare al poliziotto buono e cattivo?”

 

“Chi dice che non potrebbe funzionare” ghignò Marshall “E se non dovesse funzionare abbiamo Jeremy Smith come ruota di scorta.”

 

Albert sembrò molto infastidito dalle parole aspre di Marshall. “La prego, colonnello, non si esprima in questi termini. Jeremy è un piccolo eroe.”

 

“Infatti, meglio per noi” replicò Marshall “Anche se dovessimo perdere il cavallo di battaglia, Harry Potter, abbiamo sempre quel piccolo pedone, Jeremy Smith, che in quanto ad immagine non ha nulla da invidiare all’altro: un ragazzino di otto anni che ha sconfitto due Mangiamorte… si tratta soltanto di accrescere la sua fama e, chissà, potrebbe anche darsi che diventi più popolare del Prescelto.”

 

“Già” sospirò Albert con un’aria tormentata “Come ha detto lei, è una questione di emblemi.”

 

*^*

[Autostima]

 

 

Neville salutò il benevolo mezzogigante alla fine del Corteo.

 

“Ciao, Hagrid! Ci vediamo a…” si bloccò, mordendosi la lingua.

 

Non c’era più nessuna Hogwarts; era scomparsa da molto sotto cenere e detriti, eppure non se ne rendeva conto: era come un braccio fantasma le cui dita prudevano ancora.

 

Il viso rubicondo e arrossato di Hagrid esitò appena, probabilmente colto dallo stesso pensiero, ma poi si rilassò in un sorriso bonario. “Sì, Neville, ci si vede in giro.”

 

Neville gli rivolse un ultimo cenno col capo e si voltò verso gli ultimi resti del corteo: Harry se n’era andato da tempo, soffocato da quell’orda di persone che desideravano abbracciarlo. Neville aveva continuato a marciare, aveva persino acconsentito a posare per alcune fotografie… Forse un giorno quelle immagini sarebbero state documenti storici e Neville desiderava entrare nel grande libro della Storia della Magia.

 

Dopo tutto quello che era successo, sentiva di meritare una cosa: rispetto. Rispetto nonostante fosse impacciato e non troppo abile con la bacchetta, nonostante fosse maldestro con le parole e con le ragazze. La sua indole timida lo avevano costretto ad accettare le vessazioni da bambino, opponendosi rarissime volte e con delle lamentele sempre troppo sottili, ma ora voleva la rivincita e sentiva che in quel mondo da ricostruire poteva ottenerla.

 

Marciò verso casa con un’energia effervescente. Sapeva che non avrebbe dovuto averla quando il resto del mondo usciva malridotto da una terribile guerra, ma forse così avrebbe potuto aiutare. Voleva essere padrone della situazione per una volta, poter aiutare invece che essere aiutato.

 

Entrò in casa sua.

 

‘Casa di mia nonna’ pensò con una punta di amarezza.

 

Sentì una voce di donna che rideva e si bloccò all’istante: era la voce di una giovane donna. Si avventurò con passo malfermo verso il soggiorno di casa Paciock e si trovò faccia a faccia con una visione paradisiaca: una donna che doveva da poco aver superato i vent’anni, incredibilmente avvenente, dai capelli scuri e gli occhi d’inchiostro vispi e luminosi, il volto fine, levigato e deciso.

 

La donna si voltò e incrociò lo sguardo di Neville. Il suo sorriso si attenuò un poco e Neville fu certo di trovarsi nel mezzo di una crisi di panico: sapeva di avere la bocca spalancata e un’espressione non particolarmente sicura o attraente, anzi, era certo di sentire gli occhi spalancati in una sua tipica posa inebetita.

 

Ma la donna non sembrò farci caso e riprese a sorridere.

 

“Neville” si sentì chiamare da sua nonna con voce scocciata “Chiudi la bocca. Questa è la signorina Katrina Sheffild, è stata così gentile da aiutarmi a risistemare il salotto.”

 

Neville lanciò un’occhiata alla casa: in effetti era abbastanza sotto sopra e la parete del soggiorno era stata quasi completamente sfondata a causa delle scalpitante di un gigante durante l’ultima battaglia.

 

“Oh” replicò Neville dopo un lungo momento di contemplazione. “Grazie infinite.”

 

Si morse la lingua: era certo che la sua voce fosse uscita traballante ed insicura.

 

Lei sorrise in modo dolce e paradisiaco, o almeno così pensò Neville. “E’ stato un piacere.”

 

Neville sentì la nonna sospirare dalla sua poltrona preferita. “Lo perdoni, mio nipote è un po’ impacciato.”

 

Neville si sentì fumare le orecchie. “Nonna” la rimproverò con voce impaziente “Per favore.”

 

La signora Paciock scosse la testa, insospettita e oltraggiata dall’insolito comportamento del nipote.

 

Neville si rivolse alla donna, sperando in cuor suo di non essere risultato troppo sgarbato e impudente: l’ultima cosa che voleva era fare una figura meschina davanti a lei, eppure aveva l’impressione di mettere sempre il piede in fallo ogni volta che voleva apparire più deciso di quanto fosse.

 

La signorina gli sorrise ancora. “E’ certamente molto deciso e poco impacciato a mio parere, signora Paciock. Naturalmente non volevo mancarle di rispetto.”

 

“Oh, no figurati” ribatté la nonna con uno sguardo di rispetto verso la giovane donna “Puoi dire quello che ti pare su mio nipote. Neville!” la sua voce divenne più dura “Fai fare un giro della casa alla nostra ospite: dovrà pur abituarsi alla sua nuova dimora.”

 

“Nuova dimora?” scandì Neville con il sangue alle orecchie.

 

“Infatti” gli confermò la nonna “Ho bisogno che qualcuno mi aiuti a risistemare tutto e che sia capace di sbrigare qualche faccenda domestica ora che il mio vecchio elfo è morto… Senza offesa cara, tu sei molto meglio di un insulso elfo domestico.”

 

Katrina Sheffild le rivolse un lieve accenno. “Non si preoccupi, signora.”

 

Lei si voltò nuovamente verso Neville che si sentì paurosamente avvampare sotto il suo blando sorriso. Gli fece cenni meccanici con le braccia per invitare la giovane donna a seguirlo, troppo intimorito per aprire bocca.

 

Neville si schiarì la gola mentre Katrina arrivava al suo fianco, colto da uno strano senso di imbarazzo, disagio e determinazione.

 

Anche se non la conosceva affatto, ottenere il suo sincero sorriso cristallino era importante quanto riconquistare la propria autostima.

 

*^*

[Il Dovere dell’Eroe - I]

 

 

Harry entrò nel nuovo ufficio del Ministro: a differenza del resto dell’edificio era tirato a lucido, completamente restaurato ed impeccabile, un ufficio perfetto collocato nel mezzo mentre il resto del Ministero stava cadendo a pezzi.

 

Albert Gray, il Ministro, gli fece un cenno. Harry si accomodò sulla poltrona davanti alla sua ampia scrivania, lanciando un’occhiata all’uomo stravaccato sul divano a fianco dello scrittoio: John Marshall, il vice del Ministro.

 

“Mi avete fatto chiamare, Ministro” Harry ebbe una strana sensazione amara sulla punta della lingua.

 

Albert allacciò le dita sotto il mento, fissandolo con aria compita e seria. “Sì, ed è una questione di fondamentale importanza. Non voglio tergiversare, perciò te lo dico sinceramente e senza troppi giri di parole: ci servi, Harry Potter. Devi aiutarci a risollevare il morale della gente: è un tuo dovere.”

 

‘Di nuovo…’ Harry ebbe un dejà-vu.

 

“E’ un dovere per te schierarti al fianco del Ministero e dare un sostegno morale a tutti.”

 

‘Un dovere? Prima e dopo la guerra…’

 

“Il dovere di chi?” mormorò Harry con una voce grave.

 

Albert sembrava pronto a quell’obiezione perché la sua voce e la sua posa non si smontarono. “E’ dovere del Ministero, ma, come puoi vedere coi tuoi occhi, il Ministero sta rinascendo, non ha abbastanza forza ora.”

 

Harry sbirciò oltre la finestra alle spalle di Albert, come per tacito suggerimento del Ministro: Londra era a pezzi e il Ministero era zeppo di crepe.

 

“Capisco” disse Harry, tuttavia con una voce severa.

 

“Me ne compiaccio” ammise Albert “So dei tuoi trascorsi con Scrimgeour, so che hai rifiutato di appoggiare il Ministero all’alba della Seconda Guerra Magica, ma ora, dimmi sinceramente, cosa pensi di fare?”

 

Harry percepì la voce calma di Albert slittare su una cadenza più nervosa. Il Ministro lo fissava impaziente, le dita intrecciate sotto il mento erano strette come in segno di preghiera.

 

Harry sospirò: “Cos’è cambiato?”

 

L’espressione di Albert sembrò sciogliersi dalla disperazione. Harry rimase impassibile.

 

“Non mi sembri tanto sveglio per essere il Prescelto, Harry Potter” si insinuò Marshall con voce aspra, sdraiato sulla sua poltrona.

 

Harry lo fissò severamente. “Infatti non lo sono.”

 

“Non sei il Prescelto? Ma tu guarda: hai ucciso Voldemort grazie ad un colpo di fortuna, allora. Ho osservato il tuo modo di combattere e, lasciatelo dire, se non fosse stato per un miracoloso evento progettato dal destino non saprei spiegarmi la tua vittoria su Voldemort” mugugnò Marshall in tono ironico.

 

Harry rimase impassibile. “Non ha risposto alla mia domanda.”

 

“Ah, benedetto ragazzo” sbuffò Marshall con impazienza “Prima il Ministero stava in piedi e il tuo contentino a Scrimgeour sarebbe servito solo per smascherare l’orrore che, in effetti, stava devastando il Paese… Ora, invece, il Ministero è ridotto ad una bicocca e il tuo prezioso appoggio servirebbe per risvegliare nei tuoi bravi concittadini, soprattutto i più giovani, la voglia di riassestare questo Paese vittima del dopoguerra. Chiaro? Ora è completamente diverso da prima. Ora, cosa pensi di fare adesso?”

 

“Vorrei solo tornare dalla mia famiglia” mormorò Harry ma dovette mordersi un labbro: era vero ma non sapeva come fare.

 

A Marshall sfuggì un sogghigno. “Tu non hai più una famiglia, Harry Potter.”

 

Harry socchiuse gli occhi, ingoiando il risentimento e concentrandosi solo sulla sua determinazione. “Infatti, e ora vorrei costruirne una.”

 

Sia Marshall che Albert rimasero in silenzio.

 

Il colonnello Gray ebbe un improvviso scatto dalla scrivania, ma si calmò quasi subito, sfiorando Harry con uno sguardo tenero. “So che senti di aver fatto già abbastanza e non vorresti fare altro che tornare dalle persone a cui vuoi bene, credimi, lo so, perché è quello che vorrei fare anch’io: ma ho delle responsabilità. E’ ingiusto ma, tu, il Prescelto, hai la più grande delle responsabilità.”

 

‘E’ ingiusto…’

 

“La prego, non insista” disse Harry con un tono paziente “La mia guerra è finita.”

 

“Già” sbottò Marshall in tono nervoso “Voldemort è morto, tu lo hai ucciso: questo era lo scopo del Prescelto, vero? Ma la morte di Voldemort non ha fermato la guerra… ti pare? Basta che guardi fuori dalla finestra: una massa di Babbani e Maghi che chiedono vendetta. Tu sei un eroe, Harry Potter – e lo disse con una voce sprezzante – devi fare il tuo dovere: calma questo branco di bellicosi vendicativi e salvali dal dopoguerra.”

 

Harry rimase immobile mentre Marshall lo scrutava e la sua voce si faceva più tagliente e fatale:

 

“Perché è questo che rischiamo, Harry Potter: che la guerra si riaccenda.”

 

Albert si mosse dalla scrivania e si avvicinò, poggiando delle mani incredibilmente sudate e pesanti sulle spalle di Harry. “Ascolta, ragazzo” gli mormorò con una voce quasi spezzata “Lo devi fare: devi dire che va tutto bene, tutto assolutamente bene. Devi dire che il Bene ha trionfato.”

 

A Harry scappò un sussulto mentre tentava di schivare lo sguardo pietoso di Albert. “E non è così?”

 

Albert emise un rantolo, quasi una risatina soffocata. “Questo è il dopoguerra: qui il Bene non potrà mai trionfare del tutto.”

 

Harry levò lo sguardo su Albert. “Allora io non posso fare niente.”

 

Sembrò che tutta l’aria nei polmoni di Albert fosse scomparsa in un colpo solo. Affondò le dita nelle spalle di Harry e parlò come soffocato dalle sue stesse parole, con un ritmo disperato e quasi isterico.

 

“Tu sei Harry Potter, il Prescelto. Devi diventare il simbolo dell’orgoglio del Bene, di coloro che hanno lottato contro Voldemort; devi riuscire a sollevare lo spirito di un popolo fiacco e stanco; devi smuovere la volontà di risollevarsi di questa nazione; devi far sperare alla gente là fuori che vale ancora qualcosa, che non sono dei miserabili sopravvissuti per miracolo alla guerra. Devi far credere che questa vittoria è stata schiacciante e gloriosa. Devi far credere alla gente che sotto il vessillo del Ministero potrà trovare la rinascita.”

 

Harry trasse un profondo respiro, fissando Albert dritto negli occhi, in quegli occhi che lo imploravano di accettare, che gli dicevano ‘farai la cosa giusta’. Ma la determinazione con cui aveva varcato la soglia di quel Ministero in rovina non lo aveva abbandonato per un solo istante. “Sono solo bugie e finte promesse.”

 

Le mani di Albert si fiaccarono ed Harry riuscì a ritrarsi dalla sua presa ma non dal suo sguardo: uno sguardo rotto dal dolore e dalla delusione.

 

Poi ci fu un cigolio ed Harry si voltò verso la soglia dell’ufficio: il giovane ragazzino triste del Corteo, Jeremy Smith, lo fissava con un sorrisetto impacciato.

 

“Non preoccuparti, Harry Potter, ci penserò io a fare l’Eroe per entrambi.”

 

Harry indietreggiò subito, oltrepassando il ragazzino e uscì dal Ministero con un terribile fiatone. Appena arrivò all’aria aperta si voltò verso il Ministero: era completamente diroccato, quasi distrutto, in ginocchio e lui aveva rifiutato di offrirgli una mano per rialzarsi.

 

‘Possibile che mi senta in colpa? Non ho già fatto abbastanza? Credo sia arrivato il momento di pensare a recuperare quello che ho perso in guerra.’

 

Involontariamente socchiuse la mano e desiderò stringerla a quella di Ginny.

 

*^*

 [Eagle Vs. Peacock]

 

 

Draco si lasciò cadere su una sedia dalla forma decisamente bizzarra, rivestita di un colore che poteva danneggiare la retina degli occhi se fissato troppo a lungo.

 

Finalmente riuscì a liberare il singhiozzo funesto che aveva tragicamente trattenuto per tutta la giornata: “Detesto questo posto.”

 

Diede una rapida scorsa ai ricordi di quella drammatica giornata.

 

Primo appunto: era in opponibile che ogni membro della famiglia Drake portava stampato in fronte ‘Proud to be American’.

 

Secondo appunto: la componente maschile della famiglia Drake, quindi padre e figlio, era convinta che tutti gli inglesi, particolarmente quelli nobili e biondi, avessero delle doppie tendenze sessuali, tesi sostenuta con ardore da Johnny Drake che lo aveva reso incredibilmente insopportabile agli occhi di Draco.

 

Terzo appunto: i concetti di rispetto ed educazioni erano completamente avulsi alla mente di Johnny e padre.

 

Quarto appunto: la famiglia Malfoy non aveva ancora avuto il ‘piacere’ di conoscere la madre di Samantha, fuori casa per lavoro.

 

Quinto appunto: il padre di Samantha era il capitano della squadra di Quodpot* più agguerrita d’America, le Eagles.

 

Sesto appunto: il sogno americano di Johnny era succedere il padre nel ruolo di capitano delle Eagles, mantenendo intatta la tradizione di famiglia di commettere falli personali, mascherandoli sotto le mentite spoglie di errori tecnici.

 

Settimo appunto: la famiglia Drake era in effetti Purosangue e forse una delle prime ad essersi insediata nella contea di New York durante la colonizzazione inglese. Tuttavia le loro discutibili antiche origini non avevano lasciato altro che un retaggio patriottico e affatto nobile.

 

Ottavo appunto: la casa di Samantha aveva qualcosa di sinistramente babbano.

 

Nono appunto: la famiglia Drake aveva un cameriere di nome Pablo che tutti chiamavano Fidel per motivi oscuri a Draco.

 

Decimo appunto: per quanto riguardava i valori morali e il comportamento quotidiano, la famiglia Drake era l’esatta antitesi della famiglia Malfoy.

 

Draco si massaggiò la fronte: desiderava infinitamente stendersi da qualche parte e chiudere gli occhi, ma aveva il timore che se avesse toccato una qualsiasi cosa all’interno di quella casa, avrebbe ricevuto in cambio una batteriologica malattia.

 

Sbuffò ancora, più pesantemente e una risata tonante gli arrivò alle spalle. Il sangue gli salì velocemente al cervello, mentre le guancie si infiammava dalla rabbia. Si voltò con astio e incrociò l’ampio sorriso di Johnny Drake.

 

“Ohilà, amico Dra’” lo salutò quello.

 

“Buon pomeriggio, Jonathan” gli rispose pacatamente Draco.

 

Johnny storse la bocca, ma il suo sorriso non cedette. “Oh, ti vedo molto  depresso… non sarà per caso quel periodo del mese?”

 

Draco sobbalzò sulla sedia con un’espressione tra l’arrabbiata e l’imbarazzata. “Quale periodo del mese?”

 

“Ma sì che hai capito” replicò Johnny con un sorriso sornione “Per questo sei irritato, depresso e suscettibile.”

 

“Tu sei fuori di testa!” sbottò Draco con le guance color porpora “Io sono un uomo!”

 

Il sorriso di Johnny mutò all’istante in un sogghigno scettico. “Ma chi può affermarlo con certezza? Ad esempio, io non sono certo di cosa nascondiate voi inglesi là sotto.”

 

Draco si inabissò nella sedia con la faccia contratta dallo stupore e da una furia incandescente. “Sei assolutamente ottuso!”

 

Johnny ritornò alla modalità sorridente. “Suvvia, amico Dra’, stavo solo scherzando. Volevo farti sorridere.”

 

“Ti sembra che io stia sorridendo?” gli urlò Draco esibendo una smorfia rabbiosa.

 

“Non so come sorridete voi inglesi” ribatté Johnny in modo pigro, riprendendo subito il suo sorriso smagliante “Ma io sto sorridendo ed è questo l’importante!”

 

“Sai che cos’è la cortesia verso gli ospiti?” inveì Draco non riuscendo più a controllare il tono della voce.

 

“No” rispose semplicemente l’altro “Se ha qualcosa a che fare col galateo caschi male, amico Dra’.”

 

“Già” sibilò Draco con la sua voce più ostile “Avrei dovuto immaginarlo. E’ tipico degli stupidi inetti offendere gli ospiti di casa senza remore.”

 

“Remore?” ripeté Johnny con aria pensosa “E’ un pesce che nuota veloce?”

 

Draco impallidì più dell’usuale. “E’ un sinonimo di rimorso: r-i-m-o-r-s-o! O per caso ti devo spiegare anche il significato di questa parola? O aspetta, magari non conosci neanche il termine ‘sinonimo’, o mi sbaglio?”

 

Johnny lo fissò con un breve attimo di silenzio e poi gli sorrise ampiamente. “Caspita, amico Dra’, sembri proprio una donna isterica.”

 

Draco sentì una terribile pressione alle tempie e digrignò i denti. “Allontanati subito.”

 

“Oh, ma dai, non te la devi prendere” replicò Johnny sventolando una mano “Volevo fare solo un po’ di conversazione. Allora d’accordo, cambiamo argomento… mh… Perché parli in quel modo strano?”

 

“Come? E’ questa la tua tattica per farmi placare: intavolare un’altra critica?” replicò Draco con una voce incredibilmente melliflua “E poi sei tu quello che parla strano.”

 

Nop” borbottò Johnny “Sei tu quello che parla lento e così… non lo so… tipo da donnaccia che vuole rimorchiare.”

 

Il rossore di Draco raggiunse una tonalità spropositata. “Mi hai appena dato della prostituta?”

 

Johnny rise ampiamente. “Amico Dra’, ti sei autoinflitto l’insulto, io non posso fare altro che confermare!”

 

“Chiudi quella bocca” sibilò Draco “Sei tu quello che parla veloce e con quell’insopportabile accento nasale. E non riesci a finire una frase senza gesticolare come una scimmia.”

 

“Sono punti di vista, amico Dra’” spiegò Johnny con aria saggia “Forse tu credi che la mia sia una parlantina strana perché sei abituato al dialetto britannico.”

 

“Dialetto… cosa?” inveì Draco “E’ la tua orripilante lingua mezza masticata il vero dialetto!”

 

Johnny gli rivolse un’occhiata seria e fatale. “Amico Dra’, non bestemmiare.”

 

“Sei tu quello che non capisce niente!” infierì Draco “Secondo te la vera lingua inglese affonda le sue radici in Inghilterra o in America?”

 

Johnny lo fissò con un ampio sorriso trionfatore. “In America.”

 

“Sbagliato!” strillò Draco con disperazione “Perché l’inglese dovrebbe venire dall’America e non dall’Inghilterra? Senza contare che l’America è nata ben dopo l’Inghilterra.”

 

“Che vuoi che ti dica, amico Dra’” borbottò Johnny con aria paziente “Ci sono tanti paradossi al mondo. Ad esempio, i nostri pellerossa sono comunemente noti come ‘indiani’ eppure non vengono dall’India… hai capito?”

 

Draco mugugnò, assomigliando più che mai ad una teiera al punto di massima ebollizione. “Ho capito che sei completamente ottuso, stupido e ignorante.”

 

“Ok” ribatté Johnny, non sembrando affatto offeso “Cambiamo argomento per la seconda volta: sei un nobile? Un gentleman?”

 

Draco si calmò, squadrando Johnny con sguardo insofferente e altezzoso. “Infatti.”

 

“Fantastico!” si congratulò Johnny “Anch’io sono un nobile.”

 

Draco fu talmente scioccato che non riuscì ad esternare la sua opinione: assolutamente no!

 

“La mia famiglia ha un blasone” dichiarò Johnny con orgoglio.

 

“E credi che basti un blasone per legittimare una famiglia nobile?” gli chiese Draco con voce acida.

 

“Certo!” affermò Johnny con decisione “Che altro?”

 

Draco fissò un punto in lontananza, con sguardo assorto. “Non potresti mai comprendere.”

 

Johnny lo osservò di rimando, affatto impressionato. “Ad ogni modo il blasone della mia famiglia è un’aquila.”

 

Draco sbuffò con un sogghigno. “Come la squadra di tuo padre.”

 

Yeah!” esclamò Johnny con un orgoglio allucinante “Qual è il tuo blasone, amico Dra’?”

 

“Vedi, Jonathan” cominciò Draco con la sopportazione che si riserva agli esseri inferiori “Il simbolo della famiglia Malfoy ingloba tutte le qualità che hanno caratterizzato la nostra casata di generazione in generazione: la purezza del sangue, l’eleganza, l’orgoglio, l’amor proprio, anche una sorta di vanità…”

 

Johnny scalpitò dalla curiosità. “Cos’è, cos’è?”

 

Draco socchiuse gli occhi, mormorando fatalmente. “Un pavone bianco.”

 

Johnny riuscì a trattenersi solo per dieci secondi perché il suo autocontrollo non resse oltre: scoppiò in una risata eclatante che fulminò i timpani di Draco.

 

“Pavone! Proprio l’animale giusto! E bianco poi! Il pavone…! Il pavone, simbolo degli animali gay!”

 

Draco digrignò i denti, sibilando parole velenose.

 

“Stupido yankee.”

 

*^*

[Il momento era qui, ma l’abbiamo perso]

 

 

Hermione osservava da un bel pezzo Ron, intensamente.

 

Tentava di costringerlo a guardarla, senza risultati. Ron rimaneva seduto rigido e composto sulla sedia davanti al suo letto, appoggiando il mento sul palmo della mano, concentrato nel gioco.

 

“Tocca a te.”

 

Trattenne un sospiro fra le labbra e annuì, tentando invano di pensare ad una strategia. Mosse a caso (più o meno) una pedina in avanti e aspettò di incrociare il suo sguardo.

 

Nulla. Hermione si morse un labbro, tentando di non inveire contro Ron. Avrebbe reso le cose più difficili, si disse, ma la situazione era precaria. E odiava quando lui la ignorava pur essendo a pochi centimetri di distanza.

 

‘Ron… cosa ci è successo?’

 

“Forse finalmente oggi mi dimettono.” Buttò lì casualmente, studiando la sua reazione.

 

Ron alzò le spalle. “Bene.” E mosse un’altra pedina, mangiandole la regina.

 

A quella mossa Hermione sussultò: non si era accorta di essere così vicina alla distruzione. Ah, naturalmente parlava della partita. Il fatto che tra lei e Ron le cose non funzionassero non centrava nulla. Questo non la stava corrodendo. Affatto.

 

…ma chi voleva prendere in giro? Era troppo intelligente per autoingannarsi. Qualcosa si era rotto. E lei desiderava ardentemente solo riaggiustarlo.

 

Sospirò nuovamente e appoggiò le mani sul tavolino improvvisato con una sedia.

 

Ron alzò gli occhi e la fissò, stupito e un po’ titubante. Hermione inarcò un sopracciglio, con stizza.

 

“Perché eviti il mio sguardo?”

 

Ron fissò la scacchiera, fingendosi concentrato.

 

“Sono impegnato nel gioco.”

 

Hermione sentì il sangue che le annebbiava il cervello, e una crescente voglia di dare un pugno a Ronald Weasley. Ma si limitò (fortunatamente per lui) ad urlare.

 

“Non è vero! Smettila di mentirmi! Dove diavolo è finito il mio fidanzato? Dov’è Ronald Weasley?!”

 

Le dita di Hermione si artigliarono intorno al colletto della camicia consunta di Ron, e la ragazza cominciò a  strattonarlo forte.

 

“Esci fuori Ron! Smettila di essere così… così… sbagliato! Apatico! Tu non sei così, noi non siamo così!”

 

I suoi occhi non la guardavano. La respingevano. Era così… umiliante.

 

Hermione si morse un labbro e si stese sul letto, dando la schiena a Ron e pregando Merlino che lui non si accorgesse che stava piangendo.

 

Hermione…” la voce di Ron era un sussurro, incerto e impotente, come quello di un cucciolo. Hermione avrebbe voluto ritrovare la forza per aggredirlo e dirgli che non era più un bambino e non era impotente, solo un dannato stupido. Ma era esausta di quella sottile tortura che andava avanti da almeno tre giorni – rimpiangeva a confronto la loro relazione in guerra, tesa ma appassionata.

 

Stupido Ron.

 

Cosa le aveva detto una volta Viktor? “Non ti merita, Harmioni.” Non aveva tutti i torti, a volte.

 

Hermione io…”

 

‘Dimmi qualcosa. Qualsiasi cosa.

 

“Io…”

 

Un improvviso bussare alla porta interruppe la voce di Ron. La voce del dottor Williams risuonò severa per la stanza.

 

“Sono venuto per controllarla, signorina Granger.”

 

Hermione deglutì, strizzando gli occhi e premendosi contro le palpebre le dita, calmando le silenziose lacrime che le scorrevano lungo le guance.

 

Si mise a sedere, annuendo, evitando accuratamente il viso di Ronald.

 

“Provi a muovere le dita delle mani.”

 

Hermione obbedì all’ordine impartitegli dal Guaritore e mosse senza difficoltà le dita, mentre questi le tastava la gamba, alla ricerca di anomalie.

 

“Pieghi il ginocchio.”

 

Ancora una volta, seppur con un po’ più di fatica, Hermione compì il movimento. Il Guaritore segnò qualcosa su una cartelletta.

 

“E ora chiuda gli occhi.”

 

Hermione serrò le palpebre e avvertì un tiepido calore avvolgerla. Avendo già fatto test del genere, e grazie ad un ricerca svolta nelle ore libere del sesto anno per orientarsi un po’, sapeva che quello era un incantesimo di ruotine che controllava lo stato di ossa, pressione e febbre. Un incantesimo base che veniva insegnato ai Medimagi come primo rudimento.

 

“Può riaprirli.”

 

Hermione fece come ordinato e fu accolta da un sorriso mite del Guaritore.

 

“Lei sta bene, signorina Granger. Il suo corpo si è stabilizzato in fretta, merito della sua giovane età, suppongo. Può uscire dall’ospedale, la voglio rivedere però tra una settimana; quindi si vada a prendere un appuntamento dalla segretaria… siamo intesi?”

 

Hermione annuì solenne. “Lo farò, la ringrazio signor Williams.”

 

Il volto severo si lasciò andare ad un largo sorriso sotto i baffi sale e pepe. “Di nulla. Ora perdonatemi ma ho molti altri pazienti a cui badare, sapete la guerra…”

 

Entrambi i giovani annuirono e salutarono il Guaritore che si defilò in fretta e furia.

 

Seguirono attimi di silenzio teso e imbarazzato.


“Allora… finalmente torniamo a casa.”

 

Hermione sospirò, ancora sconsolata nonostante la notizia avesse mitigato un po’ la tristezza. “Sì… a casa. Chissà come stanno i signori Weasley.”

 

“Già.”

 

All’improvviso, due braccia la avvilupparono, cogliendola di sorpresa.

 

“Sono… felice che tu stia bene, Hermione. Tanto.”

 

Le spalle di Ron erano rigide, il suo abbraccio goffo  e impacciato, quasi vergognoso. Nonostante la sincerità avvertita in quelle parole, le venne da piangere ancora per la delusione, ma si trattenne.

 

Annuì sulla sua spalla, mentre lui le dava una pacca imbarazzata sulla schiena, le orecchie lievemente rosse. Le uscì un singhiozzo, a metà tra risata e singulto.

 

“Voglio uscire… ma prima che ne dici di andare a trovare Remus e Tonks?”

 

Ron si staccò (con sollievo malcelato) da lei. “Va bene. So dove sta Tonks, sono certo che Remus sarà con lei.”

 

“Allora andiamo, così poi preparo le mie cose e scappiamo da questo ospedale.”

 

‘Odio l’odore di medicinali e quest’atmosfera tesa.

 

Hermione scese dal letto, si mise addosso una leggera vestaglia bianca stringendosela in vita, e indossò le ciabatte; poi si affiancò a Ron che le fece da guida per i corridoi trafficati e frenetici del San Mungo, carico di feriti post-battaglia oltre dei soliti casi.

 

Si sentiva così impacciata con Ron, realizzò mentre camminavano a debita distanza.

 

Era una sensazione che non le era nuova. Hermione ebbe un dejà-vu di lei l’anno prima, quando Lavanda e Ron erano ufficialmente una coppia.

 

Quel che si era istaurato tra loro, ai tempi, era un imbarazzo che li colpiva appena stavano vicini. Hermione ricordava nettamente – forse perché molto simile, ma più profondo – i muscoli tendersi innaturalmente e le parole tremolanti quando parlava con lui.

 

Non riuscivano nemmeno a guardarsi negli occhi.

 

Quando lei li alzava, vedeva quelli di Ron a terra, subito li riabbassava amareggiata: Ron sapeva benissimo il sentimento che Hermione nutriva per lui dal modo in cui quel suo atteggiamento era quello di un bambino colpevole che chiede silenziosamente scusa. L’umiliazione era troppo cocente da macerare e la ferita troppo fresca per ignorarla.

 

Molto spesso si era ritrovata a invidiare Lavanda, che faceva percorrere le lunghe dita smaltate tra i ciuffi rossi e ribelli di Ron, ridendo. Avrebbe voluto esserci lei al suo posto.

 

E, quando finalmente era riuscita nello scopo, ecco che un nuovo imbarazzo li colpiva.

 

Era simile e dissimile, perché gli occhi abbassati di Ron erano ancora colpevoli e imploranti; ma Hermione non aveva una rivale da battere, e questo aveva infiacchito le sue energie e la sua determinazione. Le sembrava così stupido pensare di riuscire a conquistare di nuovo Ron quanto lui era per sua scelta distante.

 

“Ecco, siamo arrivati. È l’ultima in fondo.”

 

Hermione fissò la fine del corridoio, percorso da guaritrici da chignon disfati e da occhiaie profonde.

 

“Dici che dobbiamo bussare?” chiese incerta sul da farsi. Ron alzò le spalle.

 

Nah, la porta è aperta. Entriamo e–

 

Le parole morirono tra le labbra di Ron, che si limitò a deglutire, teso.

 

Hermione, nella medesima situazione, strabuzzò gli occhi e si irrigidì.

 

Tonks e Remus erano nella stanza. Remus, chino su Tonks, le dava la schiena nascondendo la ragazza con la sua statura. Ma inequivocabilmente era chino su di lei e la stava baciando. Anzi, da quel che si poteva immaginare da quell’angolo, stava muovendo le mani sul petto (o la schiena) della moglie, sussurrandole qualcosa che non compresero che fece ridere rocamente Tonks stesa sul letto sotto di lui.

 

Hermione si dondolò, rossa in viso e tremante: ecco chi invidiava ora.

 

Alzò appena lo sguardo su Ron, che a occhi bassi guardava con interesse il pavimento marmoreo. Ancora gli occhi le si inumidirono.

 

‘Dove è finita la nostra complicità, Ron?’

 

Silenziosamente si voltò e prese a camminare in direzione della sua stanza. Ron le fu accanto in pochi secondi, gesticolando agitato e teso.

 

“Dove vai Hermione? Non dovevamo–

 

“Non mi pareva il caso di disturbarli in un momento intimo.”

 

‘Almeno loro ne hanno.’ Avrebbe voluto aggiungere, pungente, ma si limitò a mordesi il labbro e a continuare a camminare impettita.

 

Ron sospirò.

 

*^*

[Luna di Miele]

 

 

Tonsk rise, accarezzando la guancia ispida di Remus con un dito.

 

“Sai tesoro, presto mi dimetteranno…” gli annunciò, e di risposta le labbra di Remus si posarono sulle sua producendo un suono a schiocco.

 

“Finalmente, così mi godrò il bambino e te. Che interessante quadretto: un Licantropo padre che pulisce il sederino del suo piccolo lupetto.”

 

Tonks rise buttando la testa ricoperta da una chioma color cicca all’indietro.

 

“Oddio Remus, è terrificante detto così!” lo apostrofò con un pizzicotto.

 

Lui assunse un’aria pensosa, massaggiandole la schiena con le mani.

 

“In effetti… non mi delizia molto.” Ridacchiò, baciandole il collo.

 

“Sai che penso io?”

 

“Cosa Nimpha?”

 

“Voglio fare una luna di miele. Con la guerra, l’Ordine e tutto il resto non ci abbiamo nemmeno pensato. Però è sacrilego rinunciare alla Luna di Miele, l’utopia di vita perfetta di ogni coppia di novelli sposini! Un’ingiustizia.” Si lamentò teatralmente.

 

Remus sorrise contro la pelle della ragazza. “Aha, e il bambino dove lo metti in questa tua proposta?”

 

“Uhm…” Tonks si mise l’indice sul labbro, pensando. O meglio, fingendo di pensare. In verità aveva pianificato tutto quello da quando Remus era stato ritrovato vivo (si era sentita così vuota nell’incertezza che lui fosse morto).

 

“E se aspettassimo che il bimbo abbia qualche mese? Poi potremo lasciarlo a mia madre e partire per un piccolo viaggio, corto e poco dispendioso.”

 

Remus pareva perplesso. “Ma non dovresti svolgere i tuoi ruoli materni come ad esempio allattare?”

 

Tonks strinse le labbra. “I medici dicono che non posso allattarlo. Finirebbe per mordermi.” Sentì Remus irrigidirsi e aggiunse colorita: “Quegli schifosi razzisti di merda!”

 

Tonks, ti prego…”

 

“Non ricominciamo Remus: non tollero come la gente ci guarda, mi dà fastidio ma non mi interessa. Amo mio figlio e amo te: e se anche dovremo stare attenti tutta la vita, anche se dovessimo combattere ogni battaglia, io ti prometto che mi impegnerò per vincere: perché vi amo.”

 

Gli occhi di Remus erano luminosi. L’indice del Licantropo accarezzò delicatamente la sua guancia.

 

‘Solo mio padre è stato così dolce con me. E c’è chi non lo considera un uomo.

 

“Ti amo, lo sai Nimpha?”

 

Lei sorrise, birichina. “Adesso basta, stai cominciando a diventare smielato.”

 

Remus alzò le sopracciglia. “Ma tutte le donne non vorrebbero così i loro mariti?”

 

Nimphadora alzò le spalle, alzandosi e catturando le sua labbra.

 

“Voglio un marito selvaggio, io. Altrimenti è una noia mortale.”

 

Remus rise e accettò la bocca irruente che si era incollata alla propria.

 

*^*

[Invito]

 

 

William Weasley tossicchiò nell’ennesimo tentativo di attirare l’attenzione della sgarbata ospite, cugina di sua moglie, che infestava il loro piccolo Cottage da più di tre ore.

 

“Tra quanto, quindi, diventerò zia?”

 

Fleur la fissò con espressione di rimprovero. Julie, Julie, ce n’est pas le cas de déranger mon mari avec toutes ces bavarderies.” [Julie, Julie, non mi sembra il caso di disturbare mio marito con tutte queste ciance.]

 

Tache-toi, ma cousine. Je veux seulement faire part de la famille. [Stai zitta, cugina mia. Io desidero solamente fare parte della famiglia.]

 

Tu n’as jamais voulu faire part de la famille. Tu disais toujours que les Delacours n’étaient que des pales blonds insignifiants. [Tu non hai mai voluto fare parte della famiglia. Dicevi sempre che i Delacours non erano altro che dei biondi pallidi e insignificanti.]

 

Julie abbandonò le braccia lungo i fianchi con uno sbuffo. D’accord. Je ne veux pas faire part de la famille. Mais je me sent seule : John n’est jamais chez lui.[D’accordo, non voglio fare parte della famiglia. Ma mi sento sola: John non è mai a casa.]

 

Fleur canticchiò con aria compiaciuta. Oh, Oh ! Etais-tu, par hasard, qui me disais d’avoir trouvé l’incarnation de l’homme parfait ? [Oh, oh! Non eri tu, per caso, che dicevi di aver trovato l’incarnazione dell’uomo perfetto?]

 

Je ne regrette aucun de mes mots. Ribatté Julie con decisione.  Mais – pour Merlin – John est toujours au bureau. Nous n’avons non plus le temps de nous coucher ensemble ! [Non rinnego nessuna delle mie parole. Ma – per Merlino – John è sempre al lavoro. Non abbiamo neanche il tempo di fare una sveltina!]

 

Que tu es rude !” si lamentò Fleur “Tu n’as jamais appris à te porter comme une véritable mademoiselle.[Come sei rude! Non hai mai imparato a comportarti come una vera signora.]

 

Julie sembrò sul punto di sputare per terra. Je n’y tiens pas absolument. [Non ci tengo per niente.]

  

Julie incrociò le braccia al petto con una smorfia di stizza e Fleur fece altrettanto, mulinando la sua fluente chioma argentata nell’altra direzione. Bill restò interdetto tra le due con un’espressione confusa e una mano che grattava tra gli spigliati capelli rossi.

 

Lo svolazzare di un gufo interruppe la muta ostilità delle due cugine Delacour e Bill tirò un sospiro di sollievo che si spense in un mugugno sorpreso quando riconobbe il maldestro sacco di piume di famiglia Weasley.

 

“Strano” bofonchiò, aprendo la finestra a cui picchiettava il gufo “Erlod è il gufo che spettava a Ginny, chissà cosa mi vorrà dire la mia cara sorellina?”

 

Sfilò la lettera dal becco del gufo che, fatti due passi, capitombolò giù dal davanzale con un sogghigno di Julie.

 

“Complimenti, proprio un bel gufo di famiglia.”

 

Zitta!” inveì Fleur con un’espressione collerica “Non apartiene a Bill. ”

 

Bill aprì la lettera con un misto di angoscia e curiosità; il frontespizio recava la scritta: ‘A William Weasley, da Han Joshuel e Ginevra Weasley.’

 

Staccò il timbro di cera che teneva chiusa la busta e spiegò la lettera con le mani che gli sudavano.

 

William Weasley,

Sei invitato al matrimonio di Han Joshuel e Ginvera Weasley

 

Bill accartocciò istantaneamente la lettera, dilatando le narici e stringendo i denti. Fleur gli carezzò le spalle con una mano delicata, suscitando i conati di disgusto di Julie.

 

“Qualcosa non va, mon cheri?” chiese lei tutta uno zucchero “Brute notizie?”

 

“Atroci” replicò Bill, contraendo i lineamenti della faccia sfregiata “Mia sorella si sposa…”

 

Fleur rimase per un attimo interdetta con la bocca semichiusa, indecisa se congratularsi o meno col marito, il fratello della sposa, come l’avevano addestrata le regole del bon ton.

 

“Si sposa con l’uomo sbagliato” terminò lui con tono duro “E’ colpa nostra Fleur.”

 

Fleur sobbalzò piano, colpita dallo sguardo severo del marito e dalla risatina di Julie alle spalle.

 

“Noi l’abbiamo spinta ad andare a quel ballo e… ecco fatto! Le abbiamo trovato il sostituto di Harry!” disse lui in tono ironico e nervoso.

 

Fleur non osò contraddire il marito anche se in realtà aveva più di un valido argomento per sentirsi completamente estranea a quello che era successo: era tutta colpa di Ginny a parere della francese.

 

“Dobbiamo risolvere la cosa” affermò infine.

 

Gli occhi di Fleur si ridussero a due fessure. “Come? Non è tropo da impiscioni?”

 

“Beh, io sono impiccione e cocciuto di natura” replicò Bill con tenacia “E non accetterò mai che mia sorella si sposi con quell’individuo, dovessi arrivare a schiantare entrambi!”

 

Le guance di Fleur si tinsero di rosso. “Come sei audasce!”

 

Alle loro spalle Julie sbuffò con impazienza. “Merlino li fa, e loro si accoppiano: che bel duetto di spocchiosi.”

 

Dopo essere stata fulminata dagli sguardi di entrambi i coniugi, venne invitata ad abbandonare Shell Cottage da una scocciatissima Fleur.

 

“Vado, vado” mugugnò Julie “E cerca di partorire un bel bambino, ma cousine Fleur. Scommetto tutto l’oro che possiedo che sarà una femmina.”

 

*^*

[Dopo la morte, si torna in famiglia - II]

 

 

Draco socchiuse gli occhi, rigirandosi nelle lenzuola fresche di quel letto sconosciuto. Era nella camera di Samantha e lei dormiva rilassata al suo fianco. Avrebbe dovuto sentirsi comodo e confortato, ma quell’ambiente non faceva altro che ricordargli la sua drammatica posizione:

 

Niente sarà più come prima.

 

La famiglia Malfoy era ufficialmente decaduta: in Inghilterra nessuno avrebbe più avuto rispetto per quel nome. Non erano altro che dei criminali di guerra codardi che aveva schivato la morte per un corrotto intrallazzo burocratico. La gente avrebbe sputato per terra alla nomina di ‘Malfoy’.

 

Draco si strinse nelle lenzuola, con le tempie che gli pulsavano: si sentiva totalmente impotente. Non solo non aveva alzato un dito durante l’ultima fatale battaglia, ma aveva lasciato che i suoi genitori venissero catturati e, cosa peggiore, si era fatto salvare da Samantha.

 

L’inclinazione della famiglia Malfoy era sempre stata quella dell’orgoglio e dell’amor proprio e Draco, in quell’istante, sdraiato sul letto di Samantha mentre lei gli carezzava i capelli, riusciva a provare solo irritazione per la sua miseria.

 

‘Niente, non sono capace di fare niente.’

 

Era una cantilena che non riusciva ad esaurirsi nella sua testa. E la mano delicata di Samantha che scorreva tra i suoi capelli non riusciva a fare altro che aumentare la sua frustrazione.

 

La scostò bruscamente con un colpo secco e sentì Samantha borbottare al suo fianco.

 

“E adesso cosa ti prende? Fai i capricci come un bambino?”

 

Draco le ringhiò contro, sentendosi crescere nel petto una grave irritazione. “Stai zitta, per favore.”

 

Si sentì scuotere da mani violente. “Sei uno schifoso ingrato” bisbigliò Samantha “Ti ho salvato la vita, ho scagionato i tuoi genitori, vi ho portati a casa mia e…”

 

“E tuo fratello ci ha umiliati” terminò Draco con un sibilo.

 

“Suscettibile” soffiò Samantha da un angolo della bocca “Stava solo scherzando, lui è fatto così. E poi cos’è questa storia dell’umiliazione? E’ semplicemente stato spontaneo e…”

 

“No” la interruppe Draco “Non è una cosa da poco: i Malfoy meritano assoluto rispetto. Così mi ha insegnato mio padre e così ci è stato tramandato dai fondatori della nostra famiglia. Per noi il rispetto e l’orgoglio sono vitali: non possiamo vivere senza.”

 

Samantha non si preoccupò di nascondere un sogghigno. “Ma guarda, e io che credevo che mentalità del genere si fossero estinte col Medioevo… Ma che vi importa? Capisco che possa dare fastidio, ma arrivare a dire che l’orgoglio è vitale mi sembra decisamene eccessivo e… patetico.”

 

Draco le ringhiò contro. “Sono patetici quei vermi umili che non sanno fare altro che servire e ricevere comandi, che non difendono l’orgoglio e la reputazione, che non sono capaci di tenere alto il nome di famiglia.”

 

“Non sono capaci di tenere alto il nome di famiglia?” ripeté Samantha con un ghigno “Non è esattamente quello che hai fatto tu durante l’ultima battaglia… o, mi correggo… durante tutta la Seconda Guerra Oscura? Non ti sei limitato a lamentarti perché eri un misero e povero Mangiamorte, perché tuo padre non ti rivolgeva altro che sguardi di sdegno, perché tutto il resto del Covo Oscuro si divertiva a punzecchiarti e a umiliarti?”

 

Draco abbassò il capo e un’ombra oscura gli passò sul viso. “Stai zitta” scandì con le labbra che grondavano veleno “Tu non puoi parlarmi in questo modo, chiaro?”

 

“No” replicò Samantha con altrettanto odio nelle parole “Tu non devi osare rivolgerti a me in questo modo. Tu sei ospite a casa mia, tu mi sei debitore perché ti ho salvato la vita e perché ho liberato i tuoi genitori… tu mi devi tutto: è solo merito mio se ora hai la possibilità di rifarti una vita.”

 

“Ma di quale vita stai parlando?” mugugnò Draco con un sogghigno “Con te, con la tua famiglia, in questo Paese?”

 

Il ghigno di Samantha non cedette. “Certo che sì, perché quale altra scelta hai? Sei stato esiliato dal tuo paese, ti credono persino morto e se dovessi tornare indietro tutto ciò che di maestoso c’era della tua famiglia sarebbe sparito. Hai solo me e questo Paese.

 

Draco si sentì tremare e forse Samantha se ne accorse perché la sua voce si addolcì. “Senti, Draco, ti voglio dare un consiglio: prova ad adattarti, fai uno sforzo e vedrai che forse sarai capace di riprenderti qui… con me.”

 

L’espressione rancorosa di Draco si spense. “Io proverò a fare uno sforzo ma…” la sua voce cadde in un sussurro “… non mi adatterò mai a questo posto.”

 

“Tu provaci” disse lei in tono energico “E vedrai che riuscirai a chiamare questo posto ‘casa’.”

 

Draco ridacchiò nervosamente e Samantha gli afferrò una mano, cullandola. “Un'altra cosa” gli disse con un sorriso e un sopracciglio inarcato “Secondo me sei un vero stupido oltre che un ingrato: tenti di far arrabbiare colei da cui dipende la tua vita?”

 

“Sta’ zitta” ripeté Draco con un tono più indulgente e un mezzo sorriso.

 

“No, davvero” ribatté Samantha in tono ironico “Tu non puoi vivere senza di me, sono come l’aria per i tuoi polmoni.”

 

“Presuntuosa” sibilò Draco tra le labbra piegate in un sogghigno.

 

“Piuttosto” continuò lei con un sorriso malizioso “Sei un ingrato, è vero, ma perché non dovresti trovare la forza per ringraziarmi?”

 

“E cosa doveri fare?” le chiese lui con una falsa espressione disinteressata.

 

Le labbra di Samantha si piegarono in modo giocoso. “L’unica cosa buona che hai fatto durante la Seconda Guerra Oscura.”

 

Draco alzò appena le sopracciglia, tra il divertito e l’offeso. Nonostante fosse un semplice gioco malizioso, lo irritava che Samantha si prendesse questa confidenza con lui, trattandolo come se fosse un bambino, e insieme a lei anche suo fratello.

 

Lui era un Malfoy. E soprattutto non era più un bambino.

 

“L’unica cosa buona?” emise uno strano suono altezzoso. “Non è l’unica cosa che so fare.”

 

Samantha alzò lievemente un sopracciglio, sogghignando. “Allora sorprendimi, Draco.” Lo invitò, incrociando le braccia al petto in attesa di una sua mossa.

 

Draco si avvicinò alla ragazza e intrecciò le dita dietro la sua schiena, premendosela contro. Nonostante ostentasse sicurezza, non aveva la più pallida idea di come risultare originale agli occhi di Samantha. Infondo, era stata lei a fare la prima mossa, lei che lo aveva sedotto. L’esperienza, immaginava Draco, aveva conferito a lei più intraprendenza di quanta già non ne avesse.

 

Lei lo osservava incuriosita e con un sorrisetto birichino. “E ora, Draco?”

 

Avvertì il suo respiro contro la pelle, ma le mani di Samantha non si misero come sempre a vagare sul suo corpo. Era strano, abbracciarla così, senza che lei si muovesse. Lo metteva quasi a disagio.

 

‘non sono certo di cosa nascondiate voi inglesi là sotto’

‘…tipo da donnaccia che vuole rimorchiare.’

 

L’eco delle calunnie di Johnny Drake gli fecero ribollire il sangue per la rabbia.

 

Con un movimento repentino, afferrò il capo coperto dalla folta chioma castana di Samantha con una mano e con l’altra le prese fermamente la schiena, piegandola verso il basso.

 

Samantha squittì sorpresa e liberò le braccia per circondare i fianchi di Draco per mantenersi in equilibrio; non fece in tempo a realizzare, che si ritrovò le labbra sottili del biondo contro le sue, che premevano delicatamente ma con fermezza, muovendosi  appena per invitarla ad aprire le sue.

 

Samantha dischiuse la bocca, lasciando che la calda lingua di Draco vi entrasse, accarezzandole il palato con pigrizia. Le venne da sorridere, pensando a come l’avesse presa di sprovvista con quel casqué improvvisato e quel bacio caldo e ancora incredibilmente dolce.

 

A lei piaceva così, Draco. Sapeva che non era un tipo impulsivo e aggressivo, ma pacato e calcolatore: ed era proprio questa caratteristica che lo rendeva interessante anche in quel frangente, perché era diverso da molti ragazzi, originale e accattivante nella sua voce melliflua e nella sua altezzosa megalomania.

 

Per quanto amasse l’America, il tocco gentile di Draco mentre le accarezzava la pelle sollevando un po’ la maglietta o le sua braccia che la sostenevano come se fosse preziosa, era qualcosa di squisitamente da gentleman inglese: lo adorava da impazzire.

 

Quando lui si staccò dalle sue labbra, Samantha gli si avventò contro, spingendolo sul letto matrimoniale e mettendosi a cavalcioni su di lui.

 

Draco la fissava, spaesato e sorpreso. “Cosa stai facendo?”

 

Samantha sogghignò. “Ripago la bella sorpresa.” Rispose ammiccando, cominciando a slacciare i pantaloni su misura del biondo.

 

“Ah… oh.

 

Draco non riuscì a reprimere un sorrisetto sentendo le mani di Samantha che armeggiavano con il bottone dei pantaloni. “Lascia che ti aiuti.”

 

Samantha sentì i polpastrelli tiepidi di Draco sotto il maglione tentare di sfilarglielo. Lasciò perdere la cerniera e alzò le braccia e lui le tolse l’indumento.

 

Draco osservò il petto di Samantha, il ventre piatto e il seno coperto da un reggiseno elegante, e emise un piccolo gemito, avvicinando il viso al costato e posandovi un piccolo bacio a farfalla.

 

Samantha si morse un labbro, tentando di non sorridere per non dargli soddisfazione, riuscendo a togliergli i pantaloni.

 

“Draco…?”

 

“Uhm?” rispose distrattamente lui, impegnato a baciare millimetro per millimetro la sua pelle.

 

Samantha ridacchiò. “Tenta di non gridare troppo, o Johnny penserà che ti ho violentato.”

 

Draco si accigliò, indispettito dalla nomina dello yankee che era destinato – lo sapeva – a rendergli la vita un inferno. “Non dovrebbe preoccuparlo il contrario?”

 

Samantha inarcò appena la schiena, allontanandosi da Draco per poterlo fissare negli occhi.

 

Nah… in realtà è più preoccupato che io diventi una lesbica, dato che sto con te.”

 

Draco allargò gli occhi. “C-cosa…? Come osa quel…” le labbra di Samantha lo zittirono, premendo impetuose contro le sue.

 

Per il momento, decise di non occuparsi di Johnny Drake, preferendo avvertire le morbide forme della sorella contro il petto.

 

Samantha ricadde indietro con un ultimo gemito, appoggiandosi un braccio sulla fronte sudata. Draco al suo fianco ansimava e tentava di riprendere fiato.

 

Ridacchiò. “Credo che Johnny avrà da commentare domani…”

 

Sentì lo sbuffo alla sua destra. “Quello… sgrezzato… di tuo fratello! Se domani… mi dice ancora qualcosa sulla mia… presunta… omosessualità… io…”

 

Samantha gli schioccò un bacio a stampo sulle labbra, appoggiando il gomito sul materasso provato e osservandolo allegra. “Tu cosa? Mi baci di fronte a lui?” lo sfidò con gli occhi che le brillavano, prendendolo in giro.

 

Le labbra di Draco si arricciarono. “Non mi abbasserò a tanto.”

 

Samantha gli accarezzò una guancia, sorridendo. “Lo so. Tu sei troppo inglese, e poco americano.”

 

Lui le scostò la mano, girandosi su un fianco. “Smettetela con questi vostri spiriti patriottici. Mi danno sui nervi.”

 

“Come vuoi Draco. Buonanotte.”

 

Grugnì in risposta, sentendo lo sguardo omicida di Samantha sulla schiena. Di contrasto, lui sorrise, felice di non averle dato la soddisfazione di  essere sempre al centro della sua attenzione. Doveva ricordarglielo più spesso.

 

Aspettò qualche minuto, poi si rigirò sul fianco opposto.

 

Il suo sguardo vagò per tutta la stanza e si fermò sul viso rilassato di Samantha che gli sorrideva.

 

‘Anche lei farà parte della famiglia?’

 

*^*

[Il Dovere dell’Eroe - II]

 

 

“Harry, pensaci almeno.”

 

La voce del signor Weasley era stanca ma non rassegnata.

 

Ginny ti vuole bene, ma… non riesce a ricordarselo.”

 

Harry lo fissò mentre si mordeva il labbro e la disperazione si faceva strada sul suo volto.

 

“Harry, ti prego. E’ un tuo dovere farglielo ricordare.”

 

Harry socchiuse gli occhi.

 

‘Dovere? Ancora un dovere. Devo sforzarmi ancora per essere felice. Devo sforzarmi ancora per essere un Eroe.

 

Socchiuse la mano e desiderò stringerla a quella di Ginny.

 

‘Non importa. Per Ginny posso diventare un Eroe.

 

Harry chinò il capo con un leggero sorriso confidente e il signor Weasley si sciolse dalla consolazione.

 

*^*

 [Filastrocca Infantile]

 

 

Era una notte assolutamente nera.

 

‘Nero e bianco’.

 

Ginny scrutò i drappeggi candidi nell’oscurità mentre una mano si smarriva tra i capelli corvini di Han. Lui sonnecchiava placidamente come di consueto, sdraiato su un fianco, il lato opposto a quello di Ginny, respirando piano e con il viso rilassato.

 

In quei frangenti assomigliava a Harry e allora Ginny sentiva sorgere un’irresistibile voglia di abbracciarlo. Fece scorrere una mano lungo il suo petto e lo circondò con un delicato abbraccio. Il suo piccolo naso si smarrì nei capelli neri di lui, odorando piano.

 

Quel breve tatto riuscì a fargli socchiudere gli occhi. Ginny si rizzò lentamente mentre quegli occhi verdi la scrutavano e le sue dita rimanevano intrecciate nei capelli corvini del ragazzo. Allora nella sua memoria si riaccese una filastrocca infantile:

 

Occhi verdi e lucenti di rospo in salamoia

Capelli neri e lucidi come di corvo in volo

Vorrei che fosse mio – quale divina gioia! –

L’eroe che ha sgominato del Mago Oscuro il dolo.

 

Si distese al fianco di Han, premuta contro il suo corpo finché il respiro ritornò regolare. Allora si staccò da lui e scrutò la stanza buia dove riusciva a brillare solo la seta del suo futuro abito nuziale.

 

Le promesse di matrimonio erano ordinatamente impilate sullo scrittoio accanto al letto: un lungo giuramento di amore eterno e sincero tra Ginevra Weasley e Han Joshuel.

 

‘Era una filastrocca infantile.’

*^*

[Il nuovo Ministro della Magia]

 

 

Albert mugugnò, chinandosi sul voluminoso plico di fogli. Fuori cominciò a piovere. Sentì l’acqua scorrere nelle vecchie condutture dell’edificio, avvertì odore di muffa nell’aria.

 

“Signor Ministro” lo chiamò la vocetta innocente di Jeremy Smith.

 

Albert sollevò lo sguardo e lo vide rannicchiato contro lo stipite della porta.

 

Il piccolo Jeremy mosse appena le labbra, gli occhi erano persi nell’oscurità dietro di lui. “Mi dispiace.”

 

Le dita di Albert tremarono mentre fuori dalla finestra un fulmine si scaricava a terra. Il lampo illuminò la stanza e lo scrosciare dell’acqua invase tutto l’edificio. Qualcosa gorgogliò nell’oscurità dietro Jeremy e gli strisciò accanto.

 

Albert rimase immobile, paralizzato da qualcosa che surclassava il terrore. Quella strana cosa liquida gli arrivò alle gambe e si sentì tutto torpido e molle. Poi le sensazioni si persero in una luce bianca e il suo corpo cadde a terra, sciolto e liquido come acqua di sorgente.

 

Jeremy osservò la scena. Il suo viso si illuminò quando la misteriosa creatura prese le sembianze di un uomo, di Albert Gray, il nuovo Ministro della Magia.

 

“Salve, signor Jolly” bisbigliò il bambino.

 

Lui gli sorrise con il volto di Albert. “Salve a te, piccolo Jeremy.”

 

Mosse i suoi primi passi verso la finestra: fuori l’acqua scorreva dal cielo. Ai suoi piedi il vecchio Albert riposava in una pozza d’acqua.

 

Le labbra del nuovo Albert si mossero ancora. “Questa città è quasi distrutta e noi abbiamo il compito di ricostruirla.”

 

Il piccolo Jeremy si alzò da terra e accompagnò Albert al grande specchio dell’ufficio.

 

“Ora sono il nuovo Ministro della Magia: la sostituzione è completa. Ora sarà semplice far risorgere dalle ceneri di Hogwarts una fenice nera ed eterna.”

 

Jeremy annuì con un sorriso innocente.

 

*=*=*=*=*=*=*=*

 

Finale sospetto: l’oscurità sta ritornando! (Risatina isterica dalle autrici) Abbiamo ritardato in po’, ma: è proprio bello lungo questo capitolo!!!

 

Cosa ne pensate di questo capitolo? Vi piace Harry in modalità posseduto (hi, hi, hi…)? Sappiamo che Ginny è un po’ scoppiata in questo tragico incipit, ma presto si riprenderà… o forse no… le autrici devono ancora decidere (risata satanica -.-). Prima cosa: siamo rimaste fulminate da tanti commenti e siamo già a 11 preferiti!!!… le autrici sono in brodo di giuggiole! Quindi: grazie fan-readers!

 

ninny: Ciao! Non sei l’unica a disperarti, anche noi stesse ci stupiamo del nostro odio per questo piccolo intoppo chiamato Han… sono proprio stupidi a volte Harry e Ginny, vero? XD Grazie della Rec! Bye!

HarryEly: Sì, siamo tornate per vostra sfortuna! *risata diabolica* Siamo felici della tua reazione davanti al nuovo capitolo, anche se le più gasate siamo noi! XD Attenta ai problemi di vista che sono causati dallo stare attaccata allo schermo: non vorremo mai che tu perdessi la vista a causa nostra! XD A parte gli scherzi, grazie del sostegno! *_* Bacio!

Saty: Tu, divina recensitrice, luce dei nostri occhi, o adoratissima Saty! *__* Diciamo che siamo noi quelle emozionate dopo aver letto, carburato tutte le cose belle che ci hai detto: mamma, fanno bene all’autostima le tue recensioni! *_* Se ci fossero solo quelle basterebbero per noi! (anche se ad averne di nuove non fa mai male XD) E ci spiace non poter rispondere punto per punto alla tua rec… a parte che si risponde la cosa… che dire? Ogni collegamento, interpretazione è giusta, quegli spunti personali e le tue emozioni ci regalano sempre un sorriso… davvero, sei la nostra musa Saty, un mito! XD Ti ha ancora intristito questo chap? Eddai… siamo solo un po’ bastardelle… XD Pensa che c’è un po’ si Remus/Tonks anche in questo in mezzo a tutto l’ “ambaradan” di faccende tra Harry/Ginny/Han e Ron/Hermione… almeno questo addolcisce un po’ no? ^.^; Un abbraccio forte forte! *_* Ti adoriamo! :3

Derfel Cadarn: Ciao, grazie della rec! XD Speriamo che anche il secondo ti sia piaciuto come il primo e confidiamo nella tua opinione! *_* A presto! Bye!

Nana92: Dai, mettiamoci su e organizziamoci per la morte accidentale di Han-il-Viscido, Kaho ci sta! È la prima ad avere l’arma in mano! XD Samy si occupa del piano, lei delle uccisioni su commissione! XDDD Adoriamo la tua reazione! *_* Aw, che ne dici di questo capitolo? Bello? Brutto? Dicci mi raccomando! *_* Un bacio!

rosy823: Anche noi ci opponiamo! (e allora che lo abbiamo creato a fare Han? XD Ma per farlo soffrire, ovvio! XD) Però sembra proprio che lo sposi… riuscirà Harry a salvare Ginny? Lo scoprirete alla prossima puntata! XDDD Grazie della recensione, sempre molto  gradita! ^^ Bye!

EDVIGE86: Carissima che bello ritrovarti! Starai ancora sudando perché la situazione Ron/Herm non si è ancora sbloccata… *risata sadica* XD Anche Ginny e Harry sono messi male… colpa di quell’antipatico snob di Hans… Ma almeno ci sono Remus e Tonks, vero? X3 Ci siamo messe a ridere leggendo i tuoi incitamenti ad Harry… ci uniamo anche noi… XDDD Un bacio!

maryrobin: Sembrerebbe proprio di sì… ma con noi tutto è possibile! XD Speriamo che ti sia piaciuto questo capitolo! ^^ Grazie della rec! :3

 

Libido al Massimo: Kaho è stata una maestra, Samy si inchina di fronte alla sua somma bravura. Samy ha letto l’accoppiamento (volgarmente detto) Samy/Dra con la bava alla bocca e un sorrisino da ebete sognante che non voleva proprio sparire. Da Samy: Kaho docet! Ego te laudo!

 

Ecco che Draco ha fatto la piacevole conoscenza della famiglia di Samantha e soprattutto di suo fratello ^_^ Kaho e Samy scalpitano all’idea di descrivere uno yankee che tiranneggia il nostro povero Draco, o amico Dra *_*

Tra parentesi: abbiamo commesso uno spoiler! ^ò^ Uno spoiler non proprio enorme, ma sempre spoiler è stato… attenzione!!!, perché di seguito riveleremo un indizio cruciale (ovviamente è tutta ironia ^_^) di Harry Potter and the Deathly Hallows: il simbolo della famiglia Malfoy è un pavone bianco [white peacock]!!! Samy vi dà il permesso di ridere, di sogghignare o di rimanere indifferenti: lei ha riso parecchio! La Rowling c’ha proprio azzeccato nella scelta di questo animale e Samy è anche un po’ consolata: a partire dal quarto libro temeva che il glorioso stemma dei Malfoy fosse un furetto bianco! Il colore c’è e il pavone è azzeccato all’ennesima potenza! Grazie mamma Row.

 

Curiosità: il Quodpot esiste veramente… o meglio, nel mondo della Rownling esiste veramente. E’ una versione americanizzata del Quidditch con le seguenti differenze: 11 giocatori a testa e una palla in più chiamata ‘quod’ che esplode dopo un certo periodo di tempo; scopo del gioco è insaccare la ‘quod’ dentro un calderone-canestro, il ‘pot’, che contiene una pozione in grado di arrestare l’esplosione. Brava mamma Row, hai proprio tanta fantasia ^_-

 

Siamo a: 2/15 capitoli.

 

Next: “Take It Easy!” (Ci sbrigheremo, anche se questa canzone evoca nella mente di Samy divani e cantucci di riposo ^_^ ndSamyKaho)

 

Dunque alla prossima. Buon Natale!!! Magari ci sentiremo l’anno prossimo. Chi può dirlo… Tra feste su feste c’è sempre il tempo per scrivere la nostra affezionatissima fic per i nostri affezionatissimi (si spera ^_^) lettori! Già che ci siamo vi auguriamo Buon Capodanno! A presto!!!

 

[N.B.: Pregate perché Kaho sopravviva alla festa di capodanno]

 

Samy & Kaho

 

  
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