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Autore: itsmartjna    06/06/2013    13 recensioni
Quel giorno Louis ripensò a tutta la sua vita.
Alla prima volta che era andato a scuola.
Alla prima festa di compleanno.
Alla visita oculistica in cui aveva capito di non vederci più.
Alla morte della sua mamma.
All’incontro con Harry.
Ai mesi con Harry.
Alla sua voce.
Alla sua risata.
Ai suoi ‘Ti amo’.
Alla prima volta che avevano fatto l’amore.
Alla sua morte.
E quando il dolore raggiunse il suo apice, smise di lottare.
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Harry non aveva mai realmente considerato i ragazzi che frequentavano la sua scuola.
In realtà tendeva a parlare solo con chi era strettamente necessario e con chi riteneva fosse opportuno.
Non era certo un tipo di compagnia. Era sempre rinchiuso in un ostinato silenzio, perennemente imbronciato.
In pochi l’avevano visto sorridere davvero. Ciò era capitato solo in rare occasioni, ad esempio quando l’insegnante di arti musicali gli aveva assegnato il ruolo di protagonista nel musical che si sarebbe tenuto a fine anno scolastico o quando aveva avuto una bella A+  nel compito di storia. Un sorriso timido e un po’ tirato, ma pur sempre un sorriso che aveva fatto capolino su quel viso praticamente privo di emozioni.
Bello e tenebroso. Ecco gli aggettivi preferiti con cui, soprattutto dalle ragazze che gli sbavavano dietro, veniva descritto. 
Capelli ricci, occhi verde smeraldo e labbra rosee e piene. Quando sorrideva, mostrava due belle fossette ai lati delle guance ma era raro vederle.
Questa sua aria schiva gli aveva portato anche l’appellativo di snob, dovuto al poco interesse che aveva verso le nuove conoscenze. 
Quando poi aveva trionfato al musical, facendo assoli perfetti e meritandosi scrosci di applausi da parte del pubblico, le antipatie nei suoi confronti erano anche aumentate. In pochi si erano congratulati con lui sinceramente.
Gli altri ormai erano certi che Harry li evitasse perché non erano alla sua altezza. Non erano abbastanza bravi a scuola, o abbastanza talentuosi, o abbastanza famosi. 
Harry continuava ad essere sempre lo stesso, nonostante la sua fama stesse velocemente aumentando così come la sua popolarità a scuola. 
Nessuno riusciva a smuoverlo più di tanto da quella strana apatia che sembrava pervaderlo.
Finchè un giorno qualcosa cambiò.
 
Quando Harry lo aveva visto per la prima volta, aveva semplicemente alzato gli occhi dal vassoio di cibo che aveva davanti  per scrutare il volto di quello sconosciuto che vedeva aggirarsi per la mensa sottobraccio ad una ragazza castana. 
Un piccolo guizzo di curiosità lo aveva pervaso, per poi spegnersi subito dopo. Dopotutto, a lui non importava più di tanto di sapere chi fosse il nuovo arrivato. 
Ma forse semplicemente perché sentiva di annoiarsi, decise di seguirlo con lo sguardo. 
Notò che si muoveva lentamente, a piccoli passi, senza badare molto a dove mettesse i piedi. La ragazza al suo fianco gli stringeva premurosamente la mano, quasi guidandolo finchè non arrivarono ad un tavolo libero. Subito la ragazza spostò una sedia e tenendolo saldamente per un braccio, quasi avesse paura che potesse cadere, vi fece accomodare il ragazzo, che ora dava le spalle ad Harry. 
Lei gli si sedette di fronte, prendendogli la mano e cominciando a parlare sommessamente.
Harry rimase interdetto da quella situazione. 
Non capiva esattamente le ragioni dei gesti di quella ragazza.
Insomma, quello lì sembrava essere anche più grande di lui e non capiva perché avesse bisogno di aiuti per camminare o per sedersi. Era ridicolo.
Frustrato per essersi posto tutte quelle domande che normalmente non si sarebbe mai fatto, Harry si alzò e congedatosi dai pochi compagni radunati attorno a lui, uscì a rapide falcate dalla mensa.
 
Quando Harry lo aveva visto da vicino per la prima volta, il ragazzo era seduto su una delle panchine del cortile della scuola, stavolta solo e con gli occhi chiusi.
Una specie di lungo bastone argentato era appoggiato alla seduta di ferro, molto vicino alla sua mano.
Come spinto da un impulso irrefrenabile, che a Harry parve nuovamente pura curiosità, il riccio si era avvicinato un po’ alla panchina, per poter osservare meglio lo sconosciuto.
Il ragazzo aveva i capelli castani e luminosi, spettinati, con un ciuffo portato sul lato destro del viso. Una semplice t-shirt nera gli fasciava il petto e un paio di pantaloni beige gli coprivano le gambe. Ai piedi aveva un paio di essenziali Vans nere.
Non era nulla di particolarmente sorprendente, aveva pensato Harry.
Perciò aveva girato i tacchi e se ne era andato, maledicendosi per quella curiosità malsana che lo stava pervadendo.
In quel periodo Harry era ancora molto superficiale, ma questo l’avrebbe capito solo in seguito.
 
Quando Harry gli aveva parlato per la prima volta, lo aveva fatto perché il ragazzo era fermo davanti all’armadietto del riccio che vi si stava recando per prendere alcuni libri.
Lo sconosciuto con quel bastone argentato in mano, fissava il corridoio nel quale il riccio camminava perciò Harry si aspettava che si sarebbe spostato per lasciargli raggiungere la sua meta. Invece il ragazzo non si era spostato di un millimetro e continuava a fissare Harry con un’espressione alquanto vacua.
Infastidito da quell’atteggiamento, Harry gli aveva dato una leggera spinta con la spalla per farlo allontanare.
Il  ragazzo aveva sussultato e il suo sguardo aveva vagato di qua e di là per la stanza, prima di posarsi su un punto indefinito della spalla di Harry.
Quest’ultimo allora si era schiarito la voce nel tentativo di farsi capire.
Lo sguardo dell’altro aveva vagato ancora un po’, per poi scontrarsi definitivamente con quello di Harry. Ed Harry aveva notato per la prima volta il colore dei suoi occhi, azzurri come il limpido cielo invernale ma quasi spenti.
Era rimasto inquietato da quegli occhi che non davano segno di volersi staccare dai suoi, come incantati.
Vedendo che il ragazzo non accennava a spostarsi, Harry si decise a parlare e lo fece con un tono scocciato.
«Scusa, ti leveresti da qui davanti? Devo aprire il mio armadietto, se non ti dispiace.» 
Il ragazzo davanti a lui aveva sussultato leggermente e prontamente aveva risposto, con la sua voce cristallina e quasi infantile.
«Mi dispiace, non sapevo di essere davanti a degli armadietti, scusami, mi sposto subito.»
E immediatamente si era spostato di lato, afferrando saldamente il bastone e impugnandolo davanti a lui a tastare il pavimento.
Harry era alquanto perplesso. Gli sembrava di vedere un bambino che giocava, non uno studente universitario a scuola. 
Non gli era mai capitato di vedere un ragazzo così strano. Continuò ad osservare per qualche minuto il ragazzo che spostava il bastone qua e là, facendolo sbattere sulle ante degli armadietti o sul linoleum del pavimento. 
Harry si stava irritando a causa di quel ticchettio fastidioso che la punta del bastone produceva ogni volta che toccava un oggetto.
«La vuoi smettere? Mi sembri un ritardato con quel cazzo di bastone.»
Subito il castano si era fermato, una piccola ruga di preoccupazione a solcargli la fronte. Poi si era voltato verso Harry e fissando il pavimento aveva risposto.
«Sei sempre così gentile con le persone?- e fece un sorrisino tirato - No perché sai, una sensibilità ce l’avrei anche io.»
Il riccio si morse la lingua per non ridere. 
Era talmente abituato ad essere escluso dalle conversazioni che ora parlare con un perfetto sconosciuto gli faceva uno strano effetto.
«Che cazzo me ne frega a me della tua sensibilità, io devo mettere i miei libri a posto e tu mi irriti con quel rumore.» 
E così facendo Harry aveva aperto rumorosamente l’armadietto, aveva afferrato un paio di libri e l’aveva richiuso maldestramente. 
Di certo non si aspettava di trovare il ragazzo ancora fermo lì, a pochi metri da lui, il bastone teso davanti alle proprie gambe.
«Ma non hai lezione tu?» aveva chiesto Harry in direzione del ragazzo.
«Sì, avrei matematica, ma non riesco a trovare l’aula.» 
Harry sbuffò. 
Era tipico dei nuovi studenti perdersi nella facoltà, ma le mappe erano appese un po’ ovunque perciò se la sarebbe potuta cavare benissimo.
«Beh, basta che guardi una di quelle mappe che vedi appese nei corridoi e troverai subito l’aula che cerchi. Ci si vede.» 
Aveva risposto Harry, visibilmente irritato, voltandosi per proseguire verso l’aula di musica.
Aveva rivolto parola sì e no a una decina di persone in due anni di studi e quella era stata la più lunga conversazione che avesse avuto con un ragazzo nuovo.
Aveva fatto appena una decina di passi quando la sua marcia fu interrotta da una voce.
«Ehi, dove vai? Fermati per favore!» l’aveva chiamato il castano.
Harry si era voltato riluttante.
Desiderava solo raggiungere la sua aula senza troppe cerimonie, non voleva certo continuare a parlare con quello sconosciuto.
Il ragazzo si stava avvicinando lentamente, lo sguardo sempre puntato a terra e il bastone davanti, a colpire gli oggetti che gli si trovavano davanti.
«Si può sapere perché cazzo lo fai? È estremamente irritante.» aveva sentenziato Harry con voce fredda, non appena il ragazzo gli si era avvicinato abbastanza.
Quello aveva sospirato e chiuso leggermente gli occhi, strizzandoli appena, per poi riaprirli.
«Non lo farei se solo non mi servisse per non cadere e capire dove sto andando.» aveva poi risposto quell’altro se possibile, aggrappandosi ancora di più al rigido metallo del bastone.
«Ma sei cretino allora? Basta che alzi lo sguardo da terra e poi puoi constatare tu stessi dove stai andando, senza fare tutto questo casino.» 
Il ragazzo aveva sospirato amaramente, corrugando la faccia in un’espressione di dolore per poi alzare il volto e girovagare qua e là con lo sguardo.
«Lo farei…» e guardò di nuovo negli occhi Harry «…se solo non fossi cieco.»
Il riccio boccheggiò. Era stupefatto.
Si azzardò a scrutare gli occhi acquamarina dell’altro rendendosi conto solo in quel momento che quella vacuità nello sguardo era causata proprio dal fatto che  non poteva vedere.
Un’ondata di imbarazzo e pietà lo investì in pieno. Sentiva il senso di colpa che piano piano aumentava e le parole con cui si era rivolto scortesemente al ragazzo gli rimbombavano nella testa.
Avrebbe voluto carezzargli il volto per rassicurarlo, chiedergli scusa, portarlo alla sua aula e farlo sedere come aveva fatto la ragazza a mensa ma non lo fece.
Ed Harry fece il codardo.
Incapace di restare un solo minuto in più davanti a quel ragazzo, spaventato da quel genere di emozioni che lo stavano travolgendo, scappò lontano, verso l’aula di musica che rappresentava una salvezza momentanea.
Non pensò a come avrebbe potuto reagire l’altro, non pensò ai pericoli che poteva correre stando solo, non pensò a nulla. Pensò solo a sé stesso e a rifugiarsi lontano da quelle sensazioni così strane che quel ragazzo gli faceva provare.
 
Quando Harry l’aveva sentito cantare per la prima volta era stato una settimana dopo la grande rivelazione.
Diretto all’aula di filosofia, Harry camminava con una cuffietta infilata nell’orecchio e l’altra penzolante sul petto. I The Script risuonavano nell’orecchio destro del riccio, distraendolo da quel via vai di gente nei corridoi.
Era quasi arrivato all’aula quando il suo sguardo venne catturato da uno spiraglio proveniente dalla sala musica.
Era strano perché a quell’ora non doveva esserci nessuno a lezione perciò mise in pausa il suo I-Pod, si tolse le cuffie e poggiò lo zaino appena fuori dalla porta.
Spinse la porta per entrare e si accorse subito di una voce che cantava. 
Una voce bella e limpida, a tratti acuta e penetrante, ma estremamente piacevole da ascoltare.
Poi il riccio entrò nell’aula e si rese conto da chi proveniva quella bellissima melodia.
Il ragazzo cieco era seduto a terra, gli occhi spalancati fissi sul pavimento, le mani che si muovevano a ritmo della canzone.
Harry era stordito da quella visione.
Improvvisamente gli ritornò in mente l’episodio della settimana precedente e con esso tutte le emozioni che gli aveva suscitato. Fu preso da un irrefrenabile istinto di darsela a gambe, ma la coscienza gli suggerì di aggiustare le cose col ragazzo.
Così si appoggiò allo stipite della porta e attento a non far alcun rumore, si mise ad osservare il ragazzo.
Una cuffia grigia gli imprigionava i capelli castani, spettinati come l’ultima volta che l’aveva visto. La t-shirt bianca che portava gli metteva in risalto i bicipiti appena scolpiti e i bermuda neri facevano lo stesso con i suoi polpacci.
Il mento era ricoperto da una peluria fine e corta, una barbetta di un paio di giorni al massimo. Gli occhi di quel solito azzurro acquamarina, così bello ma spento.
Lui era bello, una bellezza rara, una di quelle bellezze particolari, ma pur sempre bello.
Harry rimase almeno cinque minuti buoni a fissare le labbra sottili e rosee del ragazzo che si muovevano per formulare i giusti suoni per cantare.
Era totalmente ipnotizzato.
Il suo corpo si rifiutava di proseguire verso l’aula dove il professore di filosofia lo attendeva. Ma dentro di sé stava lottando.
Non riusciva ad ammettere di provare un certo interesse per quel ragazzo ma era sicuro che fosse dovuto alla sua ‘anormalità’ più che al suo bell’aspetto.
Perciò resto semplicemente in silenzio.
‘…be my babe. And I’ll look after you.’ concluse il ragazzo.
Al riccio partì un applauso spontaneo. Era stato magnifico sentirlo cantare.
Il ragazzo si spaventò e si alzò in piedi di scatto, gli occhi che vagavano da un lato all’altro della stanza senza poter vedere nulla.
«Chi sei?» chiese in direzione del rumore delle mani.
Harry smise di applaudire e si avvicinò un po’ al ragazzo.
Non potè fare a meno di notare che da vicino era ancora più bello.
«Sono quello stronzo insensibile che ti ha lasciato solo l’altra settimana.» gli disse Harry a un centimetro dall’orecchio.
Il ragazzo sorrise leggermente.
«Ah, menomale, credevo fosse qualche insegnante. Visto che ci sei, mi passeresti il mio bastone?» chiese tranquillamente il ragazzo, sempre col sorriso stampato in faccia.
Harry era confuso. Si sarebbe aspettato tutt’altra reazione.
Si aspettava qualche insulto o che lo cacciasse via, ma non era successo niente di tutto ciò. 
Titubante, recuperò il bastone metallico e lo mise nel palmo della mano del ragazzo, che aspettava pazientemente. Non appena lo ebbe afferrato saldamente, chiuse gli occhi e si rilassò.
«Che ci fai da queste parti ehm…?- si interruppe poi - Non so ancora il tuo nome…»
Harry deglutì. 
«Harry Styles » disse soltanto il riccio.
«Oh bene. Io sono Louis Tomlinson. Allora Harry, che ci fai da queste parti?» chiese l’altro sempre col sorriso stampato sul volto.
Harry non comprendeva il senso di tutta quella conversazione, perciò si limitò a dare voce ai suoi pensieri.
«Sei bravissimo. E non capisco come mai tu stia qui a parlare con me piuttosto che insultarmi per essermela data a gambe dopo che tu mi hai detto di essere…insomma.»
«Beh, almeno tu mi hai rivolto la parola. Qui non mi calcolava nessuno e anche se tu l’hai fatto in un modo non proprio cortese mi hai fatto capire che non sono invisibile. Sei la seconda persona con cui parlo da quando sono qui, a parte Ginny. E grazie per il complimento, non me lo merito.»
Il riccio aggrottò leggermente la fronte in cerca di una risposta sensata a quell’affermazione così stupida. Come poteva pensare di non essere bravo? Sfiorava gli acuti come nessun altro e passava armoniosamente da un’ottava all’altra.
«Credimi, io di canto ne capisco qualcosa, e tu sei davvero molto bravo.»
«Studi canto?» gli chiese Louis.
«Tra le tante cose, sì » si affrettò a rispondere Harry continuando a fissare il ragazzo davanti a lui. 
Lo attraeva come una calamita.
«Allora voglio sentire te cantare.» sentenziò Louis deciso.
Dato che non poteva vederlo, voleva almeno sentire la sua voce mentre cantava .
Harry scosse la testa vigorosamente. Non gli andava di cantare per quel ragazzo, non ancora.
«No Louis, mi dispiace. Proprio non mi va adesso.» disse Harry facendo di nuovo per uscire.
«Se proprio non vuoi cantare, non farlo. Ma non andartene per favore, non lasciarmi di nuovo solo.» lo supplicò Louis ancora in piedi al centro della stanza., aprendo gli occhi e cercando inutilmente il riccio con lo sguardo.
Il riccio non sapeva come comportarsi. Non gli era mai capitato di trovarsi in una situazione così intima con nessuno dei suoi compagni, anzi quasi tutti erano contenti quando lui sloggiava.
Ma decise comunque di farlo felice e si riavvicinò al ragazzo.
«Grazie.» gli sussurrò semplicemente Louis, prima di abbassarsi fino a sedersi a terra. Col palmo della mano battè sul pavimento davanti a lui per invitare Harry a sedersi.
Harry obbedì e si posizionò di fronte al ragazzo. Gli piaceva quella posizione.
Poteva osservarlo tranquillamente da lì.
Ma ancora si sentiva inquieto a stare in quel posto. Gli sembrava che di sbagliare.
Forse era semplicemente l’abitudine della solitudine che gli faceva quell’effetto.
Non era da lui iniziare una conversazione, ma quella volta lo fece, era troppo curioso ed era troppo tardi per tornare in classe e seguire la lezione.
«Sei nato così? Dico così…»
«Cieco?» lo interrupe Louis.
«Sì, cieco.» Harry si morse il labbro inferiore temendo di essere andato troppo personale.
Louis si passò un mano tra il ciuffo ribelle che usciva dal cappello e sospirò.
«No, fino a 12 anni vedevo. Ho conosciuto il mondo e i suoi colori, visto la bellezza di un sole al tramonto, guardato la spuma delle onde di un mare in tempesta, goduto delle mille sfumature dei fiori. Ma col passare del tempo i miei occhi sembravano appannarsi e non riuscivo più a distinguere le forme, i contorni, i colori.
Mi hanno diagnosticato una cataratta in stato avanzato ad entrambi gli occhi purtroppo non curabile. A 14 anni ho smesso di vedere completamente. E ora che ne ho 23 la situazione non è cambiata.» concluse il ragazzo, tenendo gli occhi serrati.
« E’ un peccato, perché hai degli occhi così belli.» disse Harry sovrappensiero, tappandosi la bocca immediatamente e maledicendosi per aver pensato ad alta voce.
Louis sorrise teneramente, arrossendo leggermente.
«Scommetto che anche i tuoi sono bellissimi.» disse poi.
Stavolta fu Harry ad arrossire e farfugliò un paio di parole insensate.
Non si riconosceva. Arrossire, farfugliare, fare complimenti. Insomma, lui non era mai stato il tipo.
Si teneva lontano da certe situazioni ormai da qualche anno, dopo essere stato rifiutato da un ragazzo di poco più grande di lui di cui Harry era innamorato.
La vergogna era stata talmente grande che il riccio si era chiuso nel suo guscio che nessuno riusciva a penetrare.
Louis intanto attendeva risposta.
«Io beh…sono verdi.» disse solamente Harry.
«Indubbiamente belli, ma dimmi qualcosa in più, fammi qualche paragone. Fammi capire di che sfumatura di verde.» gli disse Louis impaziente.
Anche lui era interessato a capire qualcosa in più di quel misterioso ragazzo.
Harry aggrottò le sopracciglia leggermente confuso. Davvero non sapeva a che tipo di verde associare i suoi occhi.
«Uhm, allora…sono verdi come il muschio, almeno credo. E con qualche  pagliuzza color prato estivo qua e là.» 
«Saranno sicuramente bellissimi» gli disse Louis.
Poi d’un tratto come preso da chissà quale pensiero, cominciò a cantare.
‘Your smiling but where close to tears, even after all these years. We just now got the feeling that where meeting, for the first time uuuuhhh’
Harry riconobbe immediatamente la melodia.
«The Script, eh?» chiese conferma a Louis.
Lui interruppe il canto per confermare. 
Quasi automaticamente Harry aveva ripreso da dove il ragazzo aveva lasciato.
La sua voce vibrava per le pareti dell’aula, espandendosi in quella perfetta cassa sonora e giungendo anche alle orecchie di Louis, che ascoltava rapito.
«Harry hai una voce eccezionale.» sentenziò dopo un po’ Louis.
Harry smise di cantare e fissò intensamente il castano.
«Io credo che tu stia esagerando, Louis.»
«Non credo, Tommo ha sempre ragione.» disse quello ridendo.
Harry rise insieme al ragazzo.
Sentendosi stranamente felice e compiaciuto per quel complimento.
Insomma la sua bravura era risaputa, ma in pochi gli avevano mai fatto i complimenti per quello che riusciva a fare con la voce.
La campanella che annunciava la fine delle lezioni riscosse entrambi.
«Che lezione hai ora?» chiese Harry a Louis alzandosi e recuperando lo zaino abbandonato.
«Penso inglese.» rispose Louis alzandosi e allungando il bastone davanti a sé.
Ma non ce ne fu bisogno. Harry lo afferrò da sotto al braccio e lo prese a braccetto.
«E’ anche la mia lezione, andiamo insieme allora.»
Louis sentiva il cuore battere all’impazzata. Per la prima volta, qualcuno che non fosse sua madre, si preoccupava realmente di lui.
Era una sensazione piacevole. Avrebbe voluto urlare a tutti di essere pieno di gioia e che sentiva già quel ragazzo era speciale per lui.
Harry si sentiva strano, ma felice, finalmente.
 
Quando si erano abbracciati la prima volta dopo due mesi, Harry credeva di essere impazzito.
Lui che abbracciava un altro ragazzo era una cosa abbastanza sconcertante. Si era sempre tenuto così lontano da ogni tipo di contatto fisico con la gente, che non ricordava nemmeno più la sensazione piacevole del calore di un altro corpo umano addosso.
Ma ormai Louis faceva parte della sua vita, ogni giorno di più.
Tra i due era nata una grande intesa e non si separavano quasi mai. A scuola tutti guardavano di sbieco la strana coppia. 
Il cieco e il muto, li chiamavano.
In realtà Harry non era mai stato più soddisfatto della sua vita.
Ora la sentiva completa, sapeva di avere una persona speciale al suo fianco e nulla era servito a separarli. Il riccio sorrideva più spesso, in lui qualcosa era profondamente cambiato.
Harry e Louis passavano ore ed ore insieme nell’aula di musica, a cantare tutto il repertorio di canzoni che conoscevano a volte accompagnati dal dolce strimpellare della chitarra del riccio.
Harry si perdeva spesso ad osservare l’amico. I suoi occhi soprattutto, gli avevano rubato l’anima. E il riccio più volte si sorprese di pensare di poter assaggiare quelle labbra, di potergli accarezzare quelle guance e di poter toccare i suoi capelli perennemente spettinati.
 
Quando Harry capì di essersi legato irrimediabilmente a Louis, fu una notte molto tormentata per lui.
Louis era fantastico. Aveva una forza d’animo da vendere, non si era mai abbattuto nonostante tutto. Sorrideva sempre, cantava con tutta la passione che aveva in corpo.
Era sempre allegro, con la battuta pronta e spesso si prendeva anche in giro da solo pur di far ridere Harry. 
E poi era bello, bellissimo. Con una felpa, con una t-shirt, con una tuta dismessa. Era sempre perfetto agli occhi di Harry.
Ma ormai il riccio aveva imparato a conoscerlo e dietro tutta quella allegria, c’era una grande tristezza. Tantissime volte Louis aveva espresso come desiderio di poter vedere anche solo per un momento il volto di Harry, il volto di quel ragazzo a cui tanto si era legato.
Harry aveva constatato che nonostante la cecità, Louis era la persona più meravigliosa che lui avesse mai conosciuto.
E sentì la morsa della gelosia che gli attanagliava lo stomaco quando un giorno vide un biondo che, chitarra un mano, accompagnava il canto melodioso di Louis.
Si sentiva schifosamente tradito. Quel posto lo aveva sempre occupato lui e ora era stato preso da un perfetto sconosciuto.
Il biondino sorrideva beato guardando inebetito Louis, che a sua volta sorrideva rilassato con gli occhi che fissavano il pavimento.
E dire che lui e Harry erano solo amici.
Il riccio era  semplicemente corso via da lì, come aveva fatto la prima volta che Louis gli aveva detto di esser cieco. Non voleva stare male ancora.
Per tutta la notte pensò e ripensò a quella scena e più la sua mente la focalizzava nitidamente, più lui sentiva di aver voglia di dare un pugno a quel biondo che lo aveva privato di quel ragazzo unico, anche solo per un giorno. 
All’alba arrivò alla conclusione che lui non provava più solo amicizia per Louis.
Si infilò sotto la doccia velocemente e l’acqua gelata lo risvegliò dal torpore tipico di chi ha passato una notte insonne a rimuginare su chissà quali cose.
Indossò una semplice t-shirt grigia, dei jeans e le converse bianche, intrappolando i suoi ricci arruffati nel berretto di lana grigio che Louis gli aveva regalato. 
Quello era il berretto di Louis indossava spesso e che aveva deciso di lasciare ad Harry.
«Così sarà un po’ come se io sia sempre con te» aveva detto porgendolo ad Harry che aveva accettato un po’ perplesso quello strano dono.
Ora era felice di indossarlo. In parte sentiva come se la confessione che stava per fare pesasse di meno. Forse era perché con quel cappello sentiva Louis un po’ più vicino, più raggiungibile.
Come ogni mattina si recò da Louis. Stanza numero 155, al primo piano, vicino ai laboratori di chimica.
Bussò energicamente. Sentì delle risatine e poi un colpo di tosse.
«Chi è?» chiese una voce nuova.
«Sono Harry.» disse il riccio un po’ inquieto. Non capiva a chi appartenesse quella voce e non era neanche così sicuro di volerlo scoprire.
La serratura scattò e una chioma bionda gli si parò davanti agli occhi. Ci mise un attimo per mettere a fuoco la figura del ragazzo in piedi davanti a lui.
Occhi blu, un sorriso leggermente accennato, alto almeno dieci centimetri meno di Harry.
Il riccio alzò lo sguardo e sorpassò la testa del biondo con gli occhi. Vagò con lo sguardo fino ad individuare la sagoma di Louis ancora stesa sul letto, in boxer.
Quella vista non fece certo bene al riccio che sospirò rumorosamente per poi oltrepassare il biondo e recarsi direttamente al letto di Louis.
«Non si usa nemmeno salutare o presentarsi?» chiese il biondino con tono acido richiudendo la porta e lasciandosi cadere pesantemente sul letto a fianco a quello in cui stava Louis.
Harry non gli diede nemmeno ascolto. Piuttosto il suo sguardo era ancora fisso sul corpo seminudo dell’amico, così perfetto, così invitante.
«Hazza?» chiese Louis dopo una manciata di secondi.
«Sono qui Loueh. Che ne dici di vestirti e di fare colazione? Ci aspettano a lezione.» Harry parlò velocemente sia per il nervosismo, sia per l’irritazione di vedere quell’intruso nella camera di Louis.
Louis ridacchiò leggermente, stiracchiandosi e aprendo gli occhi. Harry pensò che come al solito Louis non avrebbe potuto vedere il sole di quel giorno e nemmeno il ciliegio in fiore che stava proprio di fronte alla sua finestra.
La mano di Louis perlustrò le coperte fino a trovare quella di Harry sfiorandola delicatamente.
«Rilassati babe. Innanzitutto quello è Niall, il mio nuovo compagno di stanza. Sai Haz, sa suonare la chitarra anche lui, come te.»
Harry si voltò a guardarlo con uno sguardo tutt’altro che amichevole.
Il biondo sussurrò un «Piacere» biascicato e ritornò a leggere un libro di Freud.
No, decisamente a Harry non stava simpatico. L’idea che lui potesse condividere la stanza con  l’unica persona con cui Harry sarebbe stato volentieri era sufficiente a fargli ribollire il sangue.
Il riccio non si riconosceva nemmeno più. Tutte quelle emozioni per un ragazzo…
In quel momento avrebbe solo voluto spiegare tutto a Louis, ma la presenza di quell’estraneo glielo impediva.
Louis intanto si era alzato in piedi e afferrando il bordo del comodino. 
«Ma dove cazzo ho messo quel bastone?» imprecò sottovoce tastando inutilmente la superficie del mobiletto in cerca del metallo freddo del bastone.
Harry non fece nemmeno in tempo a voltarsi per cercare il bastone che il biondo con uno slancio degno di un atleta si era alzato dal letto, scaraventando il libro a terra, e aveva già afferrato il bastone posandolo nella mano di Louis.
«Eccolo qua!» disse con un sorriso compiaciuto voltandosi ad osservare la faccia di Harry. Quest’ultimo si trattenne dal mandarlo a quel paese.
Louis lo afferrò disperatamente, come era suo solito fare e lo stese davanti a sé.
«Grazie Nialler!» lo apostrofò Louis cercando di arrivare all’armadio.
Harry gli fu subito accanto. Il cercare i vestiti era la cosa che il riccio faceva sempre per l’altro. Chiedeva a Louis cosa volesse indossare quel giorno e che colore.
Sembrava sciocco, ma era stato proprio il maggiore a far cominciare quella routine.
Gli piaceva immaginarsi i suoi vestiti, i colori, le fantasie, le trame dei tessuti e i dettagli. 
Se li faceva descrivere da Harry tutte le mattine e li sceglieva in base alle sue descrizioni. Questa routine gli dava una parvenza di normalità. Louis si immaginava vestito di tutto punto, al fianco di un ragazzo sicuramente bellissimo.
Il riccio lo aiutava a vestirsi ad eccezione della biancheria, che era l’unica cosa che Louis indossava da solo.
«Che vuoi metterti oggi Lou?» chiese il riccio non appena arrivarono davanti all’armadio, spalancandolo e facendo vagare lo sguardo tra le pile ordinate di vestiti che lui stesso riordinava ogni giorno.
Louis ci riflettè qualche istante e un piccolo solco gli si formò tra le sopracciglia.
Poi decise.
«La t-shirt dei Rolling Stones. La felpa nera e i pantaloni blu scuri con le Vans.» disse Louis, estremamente soddisfatto della sua scelta.
Harry raccolse gli indumenti e cominciò ad infilarli al castano.
Anche per lui quella era diventata un’abitudine. Si sentiva bene quando poteva toccare Louis, anche se era solo per sfiorarlo mentre gli infilava i vestiti.
Si sentiva estremamente attratto da lui, ma non più per compassione o pietà.
Era l’amore a guidare ogni suo gesto, ma Harry ancora non ne era consapevole.
Appena lo finì di vestire, Harry gli sistemò i capelli come gli piacevano tanto e Louis si chinò cercando di baciargli la guancia come ringraziamento. 
Ma Harry involontariamente voltò il capo e il bacio di Louis finì sull’angolo della sua bocca.
Sembrava che una scarica elettrica l’avesse pervaso. Là dove si erano sfiorati Harry sentiva divampare il fuoco. Lento, passionale. 
Un fuoco che lo corrodeva perché Harry non sapeva se Louis avrebbe accettato i sentimenti che il riccio provava nei suoi confronti.
Il minore sentiva l’impellente bisogno di dire tutto a Louis, ma ancora una volta la presenza di Niall lo fermò.
Allora prese la mano di Louis e lo trascinò verso la porta, raccogliendo anche il suo zaino e ficcandoci dentro un paio di libri a caso. Non gli interessava delle deboli proteste di Louis che si lamentava del modo in cui Harry lo stava trascinando.
Voleva solo allontanarsi da quella stanza e dal sorriso irritante di quel biondino a cui avrebbe volentieri spaccato la faccia.
Il biondo lo fissava allibito mentre Harry si dirigeva verso la porta con Louis alle calcagna.
«Dove credi di andare trascinandolo così?» chiese il biondo scattando in piedi e facendo per afferrare Louis dalla mano libera.
Harry grugnì in risposta e gli sbattè la porta in faccia. Finalmente allentò la presa sulla mano di Louis e gliela carezzò leggermente. Si pentì di aver stretto così forte.
Ancora una volta aveva pensato solo a sé stesso, ancora una volta era fuggito.
Louis si massaggiò la tempia e aprì gli occhi, rivolgendoli sul petto di Harry.
«Ma che ti è preso? Non mi hai fatto nemmeno salutare Niall. Io a volte non ti capisco davvero Harry. Ho capito che non ti sta simpatico, ho capito che è una gran scocciatura ogni mattina dovermi vestire, dovermi accompagnare a lezione, dovermi far…» ma con un dito sulla bocca, Harry lo zittì.
«Hai finito di sparare stronzate? Devo parlarti seriamente. Ma non qui.»
Louis mugolò qualcosa contrariato ma si lasciò guidare tranquillamente dalla mano di Harry. Ormai aveva imparato a fidarsi completamente del riccio.
Harry lo condusse in un’aula vuota, ad eccezione di un paio di banchi e altrettante sedie.
Il riccio fece accomodare l’altro in una sedia mentre lui faceva avanti e indietro visibilmente nervoso.
Harry cercò di riordinare le idee. Ma nella sua testa le parole erano agitate come uno sciame di api alla ricerca disperata di polline e cercavano di venire fuori tutte insieme confondendogli ancora di più le idee.
Louis attendeva placido, giocherellando col bastone argenteo e tracciando segni geometrici invisibili sul pavimento. Sapeva che Harry stava ragionando e non voleva mettergli fretta.
Il riccio alla fine decise di arrivare subito al sodo.
Era l’unico modo che conosceva. Diretto e deciso, come la prima volta che si era dichiarato, anche se la reazione dell’altro non era stata quella che si aspettava.
Si concentrò esclusivamente sull’immagine di Louis davanti a lui, alla sua straordinaria bellezza e parlò.
« Sai Louis, sono ormai sei mesi che ci conosciamo. Sei mesi di noi. Sei mesi che ogni giorno ti guardo, ti studio, ti scruto. - fece una pausa passandosi una mano tra i capelli - Sei mesi che vedo i tuoi magnifici occhi, i tuoi occhi color cielo. Ogni giorno io ho il privilegio di poterli vedere, di poter cogliere tutte le sfumature di azzurro e verde che li attraversano. Posso vedere i tuoi capelli castani con i loro riflessi quasi dorati alla luce del sole. Posso vedere il tuo fisico, proporzionato e possente. Ma più di tutto, ogni giorno vedo il tuo carattere, la tua forza, la tua tenacia e la tua determinazione. Louis io mi eri promesso che non mi sarei mai più legato ad una persona. Ma tu hai sconvolto tutti i miei piani…Sei piombato nella mia vita improvvisamente e hai cambiato tutto. Mi hai insegnato ad amare Louis. Sì, hai capito bene, mi hai insegnato come si ama davvero.» a queste parole Harry fece una pausa, sconvolto dalla verità delle parole che aveva appena pronunciato.
Scrutò il maggiore con la coda dell’occhio. Louis era immobile, gli occhi fissi e spalancati, il volto inespressivo.
Improvvisamente Louis pianse. Singhiozzò e si coprì il volto con le mani.
Harrry scattò in avanti e corse ad abbracciarlo, ma Louis lo scansò. Il cuore di Harry sembrava essersi spezzato.
Un rifiuto. Un altro. Eccola l’ondata di dolore che tanto temeva.
Si portò istintivamente una mano al cuore, sorpreso di sentirlo martellante sotto il suo palmo.
Poi Louis parlò, asciugandosi le lacrime e contendendo i singhiozzi.
«Harry, ti prego. Come puoi esserti innamorato di me? Io non posso darti nulla. Sono un povero cieco che ha bisogno di essere seguito tutto il giorno, non posso lavorare, non posso leggere, non posso scrivere, non ti vedo. Tu meriti di meglio. Io non voglio che tu ti senta legato a me per compassione, perché ti senti in dovere di aiutarmi. No Harry, non è questo che voglio. Se fossi stato un ragazzo normale avrei gioito delle tue parole. Sei un ragazzo stupendo, hai un grande cuore e me l’hai donato ma io non sono all’altezza di curarmene. Io non sono nulla in confronto a tanti altri, sono solo un povero sfigato.» 
Harry gli si avvicinò, distrutto da quelle parole. Non poteva capacitarsi che Louis pensasse quelle cose di sé stesso. 
Gli afferrò la mano e gli baciò il palmo aperto. Così fece per il polso, la piega dell’avambraccio, la spalla nascosta dalla maglietta e il collo nudo. 
«Non potrei mai stare con te per compassione. Mai. Dovermi occupare ogni giorno di te non ha fatto altro che farmi innamorare ancora di più. Passerei le ore a guardarti o a sentirti cantare o semplicemente ad ascoltare le storie della tua vita. Tu sei un ragazzo speciale, Louis. E lascia che ti dica una cosa…- e si accostò al suo orecchio sussurrando - Sarò la tua guida, quando dovrai camminare e non saprai dove andare. Sarò la tua forza, quando sarai stanco di lottare e vorrai riposarti. Sarò la tua voce, quando non vorrai cantare e vorrai solo ascoltare. Sarò i tuoi occhi, affinchè tu possa vedere attraverso le mie parole tutte le meraviglie di questo mondo. Sarò il tuo amico, per sostenerti e consigliarti quando ce ne sarà bisogno. E sarò il tuo amante, per dimostrarti tutto l’amore che io provo quando sto con te.»
Louis tremò a quelle parole.
Tremò di emozione, di gioia, d’amore. Sì, d’amore, ne era certo.
Cerco con le mani il volto del minore e quando finalmente lo trovò, lo percorse tutto con i polpastrelli, cercando di imprimere ogni singolo particolare nella sua mente, benchè le immagini si fermassero a nove anni prima.
Accarezzò le guance morbide, gli zigomi cesellati, il naso, gli occhi, le sopracciglia. Affondò una mano nei ricci e li toccò come fossero oro prezioso.
E Harry lo lasciò fare, rapito dalla spontaneità di quei gesti e rammaricato di vedere quegli splendidi occhi chiusi.
Poi Louis gli sfiorò le labbra e Harry le schiuse. 
Louis lo stava esplorando, Louis era desideroso di sapere come fosse fatto Harry perché le parole non gli bastavano più.
«Ho capito una cosa Harry. Io non ho bisogno di occhi per amare. Io ti amo già, ti amo per quello che sei. Del resto non mi importa.»
 
Quando si baciarono per la prima volta, entrambi si sentivano a casa. Nessuno dei due aveva il coraggio di ammettere che in sei mesi era la cosa che più attendevano di fare.
Harry gli si era avvicinato e sussurrando un ‘Ti amo’ pieno di amore, aveva fatto scontrare le sua labbra con quelle del maggiore. Si erano persi l’uno nell’altra, esplorandosi desiderosi di conoscere qualcosa in più dell’altro. 
Le lingue si erano sfiorate e stuzzicate, ma sempre con dolcezza seppur con un pizzico di impazienza. Poi Louis aveva morso leggermente il labbro inferiore di Harry che gemette di piacere. 
Quando si staccarono erano felici.
Una felicità penetrante, un senso di potenza che li travolgeva entrambi.
Ormai giravano mano nella mano per ogni corridoio e aula della scuola, non avevano paura. Tutti i compagni di Harry li fissavano, chi ammirato, chi divertito, chi schifato.
Ma a loro non interessava. Erano insieme e questo contava.
 
Ma Louis non poteva sapere che quel giorno la sua vita sarebbe cambiata ancora una volta.
Un anno dopo il loro fidanzamento, passeggiavano per le vie di Leeds, la città dove vivevano. Harry teneva un braccio attorno alla vita di Louis che continuava a tastare il marciapiede col bastone. 
Harry camminava sul lato esterno, quello rivolto verso la strada.
E fu un attimo. Qualcosa di metallico si scontrò sul fianco di Harry. Il colpo lo fece volare di alcuni metri, mentre Louis veniva schiacciato sulla vetrina del negozio davanti al quale stavano passando.
Harry non realizzò che un Suv l’aveva appena investito, voleva solo alzarsi per controllare che Louis stesse bene. E ci provò in tutti i modi, ma sentiva di non riuscire a muovere un muscolo. Provò a urlare, ma dalla sua gola uscì solo un rantolo strozzato.
La gente cominciava ad accalcarsi attorno al suo corpo e Harry sentiva mancare l’aria. 
Voleva vedere Louis, voleva vedere che stesse bene, che lui non si fosse fatto nulla. Ma i piedi di tutte quelle persone glielo impedivano.
Sentiva il dolore, ora. Intenso, bruciante, irrazionale. Ogni parte del suo corpo chiedeva pietà, implorava la fine di quel supplizio.
Alla fine raccolse le forze e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
«Louis! Louis!»
E Louis gli rispose. Harry vide qualcuno che afferrava Louis e lo trascinava lì da lui.
Harry fu felice di vederlo illeso, solo con qualche graffio qua e là sul corpo.
Louis gli si inginocchiò a fianco. Non poteva vederlo e chiedeva in continuazione a tutti come stesse. Ma nessuno ebbe il coraggio di dirgli delle ferite profonde che Harry aveva e della chiazza cremisi che si stava allungando piano piano sull’asfalto scuro.
«Resisti amore mio, l’ambulanza arriva! Arriva subito!» farneticava Louis baciando la mano di Harry in ogni punto, sentendo il sapore metallico del sangue che gli pizzicava la lingua.
Ma Harry si sentiva estremamente stanco. Eppure non era mai stato così lucido. Capiva perfettamente ciò che stava succedendo. E un’improvvisa consapevolezza lo invase.
Lui non ce l’avrebbe fatta. 
Sentiva di non farcela, sentiva di non essere abbastanza forte. 
Alzò lo sguardo e si scontrò con le iridi azzurre del ragazzo. Del suo ragazzo.
Louis piangeva, singhiozzava, urlava di fare in fretta. 
«Amore, io lo so che tu sei forte. Ricordati, sei la mia guida, sei i miei occhi, sei la mia forza. Io non cosa faccio senza di te?»
Le parole giunsero ovattate ad Harry, ma si sforzò comunque di rispondere.
«Louis tu ce la farai. Sei forte amore mio, sei una roccia. Continua a cantare, ti prego. Non smettere mai. La tua voce è troppo bella per essere sprecata. Non ti dimenticherò mai. Grazie di tutto amore. Ti amo.»
E mentre pronunciava questo Harry sentì che era tutto finito, perché il buio lo avvolse e i suoi occhi videro il volto di Louis per l’ultima volta.
Louis piangeva disperatamente, aggrappandosi alle mani degli sconosciuti per ricevere una spiegazione. Harry non poteva essere morto, Harry non poteva averlo abbandonato.
Urlò fino a che i polmoni non bruciarono per lo sforzo, urlò in ambulanza, in ospedale e urlò quando gli comunicarono ufficialmente che Harry non ce l’aveva fatta.
 
Da quel giorno Louis smise di vivere realmente.
Louis Tomlinson era morto quel pomeriggio di giugno insieme a Harry Styles.
Non poteva pensare che i loro sogni per il futuro erano stati infranti. Si sarebbero dovuti sposare, avrebbero adottato dei bambini e si sarebbe amati fino alla fine.
La morte di Harry gli aveva lasciato un’enorme voragine nel petto. A Louis non interessava più della sua vita. 
Si può vivere una vita senza vedere ma quando ti viene tolto il grande amore, la vita non vale più la pena di essere vissuta. Louis era il fantasma di sé stesso.
Dal giorno dell’incidente non era più uscito dal college, passava le ore a cantare e a strimpellare note a caso con la chitarra del suo Harry.
Ma la sua voce appariva troppo debole e sciatta senza quella roca e forte di Harry a sostenerla e ben presto smise anche di cantare.
Tutti erano preoccupati per lui. Primo tra tutti Niall, che gli era sempre stato vicino in quei mesi. Ma la solitudine che provava Louis poteva essere colmata solo da Harry.
Ogni tanto gli sembrava di sentire ancora la  risata di Harry o la sua voce che canticchiava qualche canzoncina e Louis ne era contento.
Non gli interessava se stava impazzendo.
Era chiuso nel suo mondo di ombre e luci  e ogni senso era colmato da Harry. 
Pensava ad Harry, udiva Harry, sentiva il sapore di Harry ancora sulle labbra e gli pareva di sentire il suo tocco su tutto il corpo.
Louis smise anche di mangiare. 
Il suo corpo si svuotava sempre di più del grasso, dei liquidi e tutto quello spazio veniva occupato dall’amore bruciante che lui ancora provava per Harry e dal dolore per la sua perdita.
Louis pregava ogni giorno di poter morire. Niall lo cercava di convincere in ogni modo a mangiare qualcosa ma Louis era determinato.
Ormai indossava solo gli abiti di Harry, li sceglieva a caso, a seconda del loro profumo. Non gli interessava essere abbinato, come faceva un tempo con Harry.
Niall lo rimproverava ogni giorno.
«Hai 24 anni per la miseria! Non sei vecchio, hai ancora una vita davanti, vivila cazzo!»
Louis non parlava nemmeno più. Aveva ascoltato fino allo sfinimento la playlist delle loro canzoni.
Aveva pianto tutte le lacrime che aveva in corpo, ormai era esausto. Stanco di lottare.
Quattro mesi dopo la morte di Harry, anche Louis stava per lasciarsi andare.
Quel giorno Louis ripensò a tutta la sua vita.
Alla prima volta che era andato a scuola.
Alla prima festa di compleanno.
Alla visita oculistica in cui aveva capito di non vederci più.
Alla morte della sua mamma.
All’incontro con Harry.
Ai mesi con Harry.
Alla sua voce.
Alla sua risata.
Ai suoi ‘Ti amo’.
Alla prima volta che avevano fatto l’amore.
Alla sua morte.
E quando il dolore raggiunse il suo apice, smise di lottare.
Sorrise beato e andò incontro alla morte, accogliendola impaziente come una vecchia amica.
«Harry, ti sto raggiungendo. Scusa se non ho fatto ciò che mi avevi chiesto, perdonami. Ti amo.»
Louis era morto nella consapevolezza che non sarebbe mai riuscito ad amare nessuno come aveva fatto con Harry. E nessuno l’avrebbe mai amato così incondizionatamente come aveva fatto Harry.

 
L’amore ti cambia, l’amore ti lega alle persone. 
L’amore è un sentimento troppo potente, è un sentimento che dura per sempre.
L’amore va oltre le apparenze, le carenze fisiche, le malattie.
E questo Louis e Harry lo sapevano bene.






Taaa-dan.
Eccomi qua, con la mi aprima OS sui Larry. 
Innanzitutto, faccio i miei complimenti a tutti coloro che hanno avuto il coraggio di arrivare fino a qua.
La Shot è lunghissima, lo so e mi dispiace (non è vero ahah).
Spero di non aver annoiato nessuno e se l'ho fatto, perdonatemi.
Ho bisogno di sapere cosa ne pensate di questo papiro. Ne ho un bisogno impellente.
Siate buoni e recensite per favore.
Ringrazio Erika per il bellissimo banner. Per la prima volta una mia storia ha un banner YEEEAH.
Poi ringrazio Ronnie, Chiara e Domenico per i consigli.
Segnalatemi gli eventuali errori!
Un grosso bacio,
Martina.
  
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