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Autore: Pikky    06/06/2013    4 recensioni
SPOILER di tutta la seconda stagione e lievi spoiler della TERZA
Capitan Uncino è già stato a Neverland, da ragazzino. Era un Ragazzo Sperduto che a differenza degli altri è riuscito a fuggire, anche grazie all'aiuto di una sirena, Ariel. Qualche anno dopo la ritrova nella Foresta Incantata e avrà modo di ricambiare il favore.
Tempo dopo, infine, quando torna a Neverland per trovare il modo di vendicare la morte di Milah, la ritrova per caso. Cosa succederà? Cosa li vedrà accomunati? Come potrà essergli utile nei suoi piani di vendetta contro il Coccodrillo?
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Ariel, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo Uno

 

Neverland, quattro anni dopo

 

Ariel seguiva suo padre in silenzio. Sapeva di averla combinata grossa, questa volta.

Quando aveva eluso la sorveglianza di Sebastian, il tritone consigliere di suo padre incaricato di farle da balia durante le sue nuotate fuori dal palazzo di Atlantica, non avrebbe mai immaginato di imbattersi in una sirena della Laguna, che l’aveva colta di sorpresa e imprigionata, grazie ai poteri della sua collana, con l’intenzione di portarla alla Roccia del Teschio. Non si era allontanata troppo da Atlantica, per cui ne aveva dedotto che doveva essere stata la sirena della Laguna ad aver superato troppo i propri confini.

Per fortuna l’intervento di re Tritone era stato tempestivo. Allertato da Sebastian, le aveva raggiunte poco prima che arrivassero alla Laguna e, grazie al proprio tridente, aveva indotto la sirena alla fuga, minacciandola di morte se mai si fosse avvicinata di nuovo ad Atlantica.

Ariel all’inizio era stata grata dell’aiuto, ma poi si era resa conto di essere in un mare di guai, nel vero senso della parola. Avrebbe anche potuto cavarsela da sola, se suo padre non fosse arrivato, e così facendo avrebbe evitato la strigliata imminente. Avrebbe escogitato un modo per salvarsi e per sfuggire dalle grinfie di quella perfida sirena. Ne sarebbe stata in grado, ne era convinta.

– Mi dispiace, papà – sussurrò Ariel ad occhi bassi, toccandogli il braccio per attirare la sua attenzione.

Re Tritone si scansò come se fosse stato scottato e si fermò. Ariel fece altrettanto, alzando pian piano lo sguardo.

– Mi hai deluso, Ariel – decretò re Tritone, amareggiato. – Ormai sei adulta e pensavo che avessi capito il perché dei miei divieti. Li ho sempre posti per il tuo bene. Eppure ti ostini a trasgredirli.

– Lo so, ma… – tentò di ribattere Ariel, ma venne subito interrotta dal padre, che la contraddisse dicendo: – No, non lo sai! Altrimenti oggi non saresti fuggita da Sebastian, cacciandoti nei guai!

– Sono fuggita perché non avevo bisogno di una balia! – ribatté Ariel, stufa di essere trattata come una bambina. Suo padre diceva di considerarla ormai un’adulta, ma coi fatti continuava a contraddirsi. – Se mi avessi permesso di uscire dal palazzo da sola, come ti avevo chiesto, non mi sarei allontanata!

– Lo avresti fatto comunque, invece! – tuonò re Tritone, cedendo il passo all’ira che fino a quel momento aveva cercato di trattenere. – Lo hai sempre fatto, ma ogni volta ti è andata bene! Per fortuna Sebastian mi ha subito avvertito! Se quella sirena ti avesse portato al loro covo saresti stata spacciata. Proprio come tua madre.

Ariel abbassò di nuovo lo sguardo. Sapeva che suo padre aveva ragione. Aveva rischiato grosso, ma non ne poteva più di sottostare a tutti quei divieti e di vivere nella paura costante che dovesse succederle qualcosa di brutto. Voleva vivere, anche se avrebbe significato correre dei rischi.

– So che temi che io faccia la sua stessa fine, papà – tentò allora, in tono conciliante. Forse se avesse spiegato al padre cosa le passava per la testa, avrebbe capito. – Ma…

– Ma cosa? – gridò lui, per niente intenzionato ad ascoltare le fandonie della figlia. – Oggi hai rischiato di fare la sua stessa fine, se non fossi intervenuto io. Non te ne sei accorta? Oggi hai dimostrato di essere una stupida incosciente che non sa badare a se stessa! E visto che le cose stanno così, d’ora in avanti sarò ancora più severo nei tuoi confronti. Intesi?

Ariel avrebbe voluto urlare, dimostrargli che si sbagliava e che sapeva badare a se stessa. Avrebbe voluto riversargli addosso tutto il malcontento e la frustrazione accumulati in quegli anni, ma sapeva che così facendo avrebbe solo peggiorato le cose e non avrebbe ottenuto nulla. Suo padre non l’avrebbe capita, non l’avrebbe mai fatto. E quella ne era stata l’ennesima dimostrazione.

Si limitò dunque ad abbassare docilmente il capo e ad annuire, mordendosi il labbro inferiore per trattenere le lacrime di rabbia e delusione che minacciavano di manifestarsi da un momento all’altro (1).

– Torniamo a palazzo, ora – ordinò re Tritone, prima di riprendere a nuotare. Per lui il discorso era chiuso.

Ariel lo seguì, mentre la sua mente cercava già di elaborare una soluzione definitiva a quella situazione che ormai durava da troppo tempo.

 

La soluzione a tutti i suoi problemi si palesò nella mente di Ariel quella notte, mentre rimuginando continuava a rigirarsi nel letto, insonne.

Doveva fuggire da lì, era l’unico modo.

Non semplicemente da Atlantica, ma da Neverland.

Decise di agire immediatamente; non poteva aspettare.

Dove andare, però?

Erano molti i mondi di cui aveva sentito parlare e di cui era a conoscenza.

Il mirabolante Paese delle Meraviglie? La bizzarra terra di Oz? Quel tetro mondo senza magia noto semplicemente come Terra?

Nessuno di quei luoghi l’allettava particolarmente, se non… Che stupida! Come aveva fatto a non pensarci prima? Aveva dimenticato la Foresta Incantata! Tra tutti, era il luogo che la affascinava di più e che sapeva fosse più simile a Neverland, quindi avrebbe avuto meno difficoltà ad ambientarsi.

Quando ancora era una bambina, la madre, che prima di sposare suo padre aveva viaggiato molto attraverso i vari mondi, le aveva parlato di quel luogo e di quanto fosse il suo preferito, fra tutti quelli che aveva esplorato. Era stato grazie a lei che Ariel aveva iniziato a fantasticare riguardo quel mondo.

Le tornò alla mente quando, anni prima, aveva aiutato Killian a ritornare lì, a casa. Chissà, forse avrebbe potuto cercarlo e farsi dare una mano. Le doveva un favore dopotutto, e sperava che l’avrebbe aiutata. Prima però doveva diventare umana…

Scosse la testa. Non era quello il momento di pensare a cosa fare.

Doveva agire.

Afferrò con la mano destra la propria collana, si rivolse al muro, chiuse gli occhi e si concentrò, mentre con la sinistra creava un portale su di esso.

Riaprì gli occhi e si trovò di fronte ad un cerchio blu che rifulgeva di luce azzurrina. Senza esitazioni e con il cuore che batteva a mille vi nuotò dentro, decisa a fuggire per non tornare mai più.

Finalmente avrebbe potuto essere libera e vivere, serena e senza costrizioni.

 

 

Foresta Incantata

 

Erano passati due mesi da quando Ariel era fuggita da Atlantica.

Due lunghi mesi in cui aveva osservato da lontano il mondo in superficie, girando i mari in lungo e in largo nella speranza di trovare un modo per diventare umana, perché solo così avrebbe potuto esplorare quel luogo che tanto l’aveva affascinata e che continuava a farlo.

In quei due mesi aveva osservato la vita sulla terra, pur mantenendosi a debita distanza, perché anche nella Foresta Incantata le sirene non avevano una buona reputazione. In particolare, si vociferava di una sirena crudele che viveva in un certo lago di Nostos, le cui acque avevano proprietà rigenerative, e che uccideva con l’inganno chiunque osasse avvicinarsi. Di coloro che erano andati a prendere dell’acqua da lì, infatti, nessuno aveva mai fatto ritorno.

Per non correre pericoli, Ariel osservava il mondo da lontano, nascosta dove capitava, desiderando ardentemente di farne parte. L’unico modo, però, era diventare umana ottenendo un paio di gambe.

Un giorno, durante una delle sue escursioni in superficie, nascosta dietro una scialuppa ormeggiata in un porticciolo di un villaggio, udì un gruppo di marinai parlare di una certa Strega del Mare che viveva nelle profondità degli abissi.

In quello stesso momento, Ariel decise che l’avrebbe trovata e che le avrebbe chiesto aiuto.

La magia era la sua unica speranza.

 

Adagiata ad uno scoglio, in piena notte, Ariel teneva in mano quella boccetta da un tempo interminabile, scrutandone attentamente il contenuto, incerta sul da farsi. Se avesse bevuto quella pozione, la sua vita sarebbe cambiata per sempre, in modo drastico. Non avrebbe potuto più tornare indietro.

Quel filtro magico l’avrebbe resa umana, stando a ciò che le aveva assicurato la Strega del Mare.

E l’aveva pagato caro.

  La magia ha sempre un prezzo – le aveva detto la Strega del Mare. (2)

Ariel aveva dovuto cedere la propria voce, in cambio.

A quel pensiero, stappò la boccetta con un gesto deciso e ne bevve il contenuto tutto d’un fiato. Dopo qualche istante, avvertì un dolore lancinante alla coda, come se una spada invisibile stesse cercando di dividerla a metà.

Aprì la bocca per urlare ma non ne uscì alcun suono, proprio come nei suoi peggiori incubi. Quello che le stava accadendo, però, era reale.

Gettò uno sguardo alla coda e notò che davvero si stava dividendo in due. Sussultò. La Strega del Mare non le aveva parlato di tutto quella sofferenza.

Il dolore divenne più forte e la costrinse ad inarcare la schiena all’indietro. Strinse le mani a pugno, ma la sinistra conteneva ancora la boccetta della pozione, che si frantumò in mille pezzi che la ferirono e le causarono ancora più dolore.

Iniziò a piangere, e man mano la vista le si annebbiò. Credeva fosse per via delle lacrime, ma in realtà la causa era dovuta al fatto che il dolore le stava facendo perdere i sensi.

Poco dopo, infatti, svenne.

Si risvegliò qualche ora dopo, quando le prime luci dell’alba filtrarono attraverso le sue palpebre chiuse e i gabbiani iniziarono a gracidare.

Aprì gli occhi e respirò a pieni polmoni, lieta di non avvertire più alcun dolore. Si rizzò a sedere e guardò in basso laddove prima c’era la sua coda e vide che ora facevano mostra di sé un paio di gambe lunghe e slanciate.

Sorrise fra sé e sé: ce l’aveva fatta.

Mosse le gambe su e giù, prima insieme e poi separatamente. Funzionavano. Ora doveva solo mettersi in piedi e camminare.

Piegò le gambe e spostò il peso sui piedi, alzando lentamente il resto del corpo. Quando fu in piedi commise l’errore di guardare in basso e perse l’equilibrio. Portò le mani in avanti per attutire l’urto e non appena toccò terra avvertì un dolore penetrante alla mano sinistra. Solo allora ricordò di aver frantumato con essa la boccetta che conteneva la pozione, la sera prima. La guardò e notò che era sporca di sangue rappreso misto a sangue fresco che sgorgava dalle ferite che si erano appena riaperte.

Dato che una mano era inutilizzabile, puntò i gomiti e si mise gattoni, per poi alzarsi ancora in piedi, questa volta più lentamente.

Non guardò più in basso, ma cercò di fissare l’orizzonte, mulinando le braccia per mantenere l’equilibrio.

Dopo altre due cadute, ce la fece. Riuscì a rimanere in piedi in equilibrio, con le braccia distese lungo i fianchi. Avrebbe urlato di gioia, se avesse potuto.

Non le restava che imparare a camminare, ora.

Lentamente spostò la gamba destra davanti a sé, come tante volte aveva visto fare agli umani. Per un attimo perse l’equilibrio, ma agitando le braccia lo riacquistò. Portò anche la gamba sinistra vicino alla destra, ma nel farlo si sbilanciò un po’ troppo e cadde all’indietro.

Sospirò.

Non avrebbe mai creduto che camminare sarebbe risultato un’impresa così ardua.

 

Ariel vagava in quel bosco da almeno un paio d’ore.

Dopo numerosi tentativi era riuscita a muovere qualche passo senza rovinare a terra, per cui dalla spiaggia si era spostata nel bosco limitrofo, senza avere la minima idea di dove andare.

Vicino alla spiaggia c’era un villaggio, ma aveva deciso di starvi alla larga. Era infatti nuda dalla testa ai piedi; indossava solo la propria collana e prima di interagire con qualsiasi umano avrebbe dovuto recuperare degli abiti, perciò aveva deciso di perlustrare il bosco alla ricerca di qualcosa con cui coprirsi.

Non aveva trovato nulla, ovviamente, se non una moltitudine di alberi e arbusti.

Era stanca e le dolevano le gambe e le piante dei piedi: non era abituata a vagare a lungo servendosi di essi. Con la coda era sempre stato tutto più facile, e un po’ si ritrovò già a rimpiangerla.

Scosse la testa.

La vita da sirena non era stata più molto felice da quando sua madre era morta, e anche allora Neverland non era mai stato un bel mondo in cui vivere. Atlantica era solo una gabbia dorata in cui la vita scorreva tranquilla e senza troppi scossoni, ma era solo una goccia di luce in un oceano di oscurità.

E per Ariel non era abbastanza, non più.

Era certa che nella Foresta Incantata avrebbe finalmente trovato la felicità che aspettava, la vita che desiderava, la libertà che aveva sempre agognato.

Forte di quei pensieri, che le infusero coraggio, proseguì.

I piedi pulsavano, e ogni parte del corpo era piena di graffi causati dai rami e dai rovi che aveva incontrato lungo la strada, ma non le importava.

Continuò a camminare verso un futuro che le appariva incerto ma pieno di speranze, finché non udì dei rumori attutiti dalla lontananza.

Subito si fermò e si mise in allerta, guardandosi intorno. Temendo di incontrare qualcuno, coprì le proprie nudità alla bell’è meglio con i lunghi capelli rossi.

Poi, tutto accadde in un attimo.

Udì l’abbaiare di un cane farsi sempre più vicino e sussultò, ma non fece in tempo a chiedersi cosa stesse succedendo che un qualcosa di lungo e sottile scagliato a tutta velocità la colpì alla coscia destra, conficcandosi nelle sue carni.

Cadde in ginocchio e spalancò la bocca per il dolore, ma da essa non uscì alcun suono.

Strinse le mani a pugno, cercando di fare lunghi respiri profondi. Per prima cosa, infatti, doveva calmarsi, dopodiché avrebbe estratto quell’aggeggio dalla sua gamba, in qualche modo. O almeno ci avrebbe provato.

Non fece in tempo a pensare sul da farsi, che dalla boscaglia emerse minaccioso il muso di un cane, il quale non appena la vide mutò espressione e si mise ad uggiolare e scodinzolare felice, muovendo tutto il cespuglio in cui era rintanato. Ne uscì e le si avvicinò impaziente, iniziando a leccarle il volto.

Nonostante il dolore, Ariel sorrise per quell’improvvisa dimostrazione di affetto.

– Max! cos’abbiamo trovato? – avvertì domandare da una voce che si faceva sempre più vicina. (3)

Udendola, il cane si allontanò da Ariel di qualche centimetro e iniziò ad abbaiare per farsi localizzare. La ragazza si fece immediatamente scudo con i capelli, pudica.

Poco dopo dalla boscaglia emerse un ragazzo dai capelli corvini, gli occhi blu zaffiro e il fisico temprato. Indossava una tenuta da caccia e nella mano sinistra reggeva un arco, mentre la faretra era portata di traverso sulla schiena. Con ogni probabilità doveva essere il padrone del cane, nonché il responsabile della ferita di Ariel. Non appena vide la freccia conficcata nella coscia della ragazza, infatti, sbiancò.

– Per tutto l’oro del regno! – esclamò. – Voi siete una fanciulla! E io vi ho ferita, ne sono mortificato! – iniziò a blaterare, visibilmente agitato. – Permettetemi di aiutarvi – si offrì dunque, gettando a terra l’arco. – Vi porterò al mio castello, dove riceverete ogni cura necessaria. Sono il principe Eric e dispongo dei migliori medici di corte, che metterò a vostra disposizione – decretò, prima di avvicinarsi ad Ariel per inginocchiarsi ed esaminare la ferita.

Ariel indietreggiò, confusa e spaventata.

– Non abbiate timore, non voglio farvi del male – tentò di tranquillizzarla Eric, abbozzando un sorriso. – Non più, almeno.

Ariel continuava a non capire. Perché mai un umano l’aveva ferita e ora si offriva di aiutarla? Lo guardò negli occhi e vi lesse un sincero dispiacere per ciò che le aveva fatto, per cui decise di fidarsi e gli permise di vagliare la ferita.

– Per fortuna non sembra nulla di irreparabile – constatò Eric, con un sospiro di sollievo. – Vi fa male?

Ariel annuì con forza. La ferita pulsava e da essa sgorgava un rivolo di sangue.

– Ce la fate ad alzarvi in piedi, con il mio aiuto?

Ariel si strinse nelle spalle, non sapendo se ne fosse in grado o meno.

– Cosa significa? – domandò Eric, confuso.

Ariel ripeté di nuovo il gesto, causando ancora più perplessità nel proprio interlocutore, che continuava a non capire, finché non ebbe un’illuminazione. – Potete parlare? – chiese infine.

Ariel scosse la testa, abbassando lo sguardo.

– Siete muta?

Ariel annuì, portandosi involontariamente una mano alla gola.

Eric si sentì ancora più in colpa per ciò che le aveva fatto, pur non avendone intenzione. Mai avrebbe immaginato di imbattersi in una ragazza, durante la caccia. Quella parte di bosco rientrava nelle sue proprietà e nessun sentiero correva lì vicino, quindi non c’era mai stato alcun rischio di incontrare qualcuno, né tantomeno di ferirlo.

– Come vi chiamate? – domandò, sperando di ottenere in qualche modo una risposta.

Ariel alzò lo sguardo e con una mano gli fece segno di guardarle le labbra, dopodiché scandì lentamente il proprio nome.

– Mary? – chiese conferma Eric.

Ariel scosse la testa e ripeté l’operazione.

Arwen? – ritentò il ragazzo.

Ariel scosse di nuovo la testa e ci riprovò.

– Ariel? – chiese infine Eric, questa volta indovinando.

Ariel sorrise ed annuì con vigore. Eric ricambiò il sorriso e la guardò di nuovo, accorgendosi solo in quel momento che era nuda, per cui si alzò in piedi e si tolse subito il mantello, per poi chinarsi e drappeggiarglielo sulle spalle, avvolgendola completamente ma stando bene attento a non toccare la freccia.

– Mettetemi le braccia intorno al collo, Ariel – le ordinò dunque, con dolcezza.

Ariel ubbidì ed Eric la sollevò tra le proprie braccia. Avvertì una nuova fitta di dolore ed ebbe un capogiro. Mentre Eric la portava verso il proprio cavallo, la stanchezza e il dolore ebbero la meglio e Ariel percepì le palpebre farsi sempre più pesanti e la vista annebbiarsi, sentendo le forze abbandonarla.

 

 

 

Note

 

(1)  Lo so che Ariel è una sirena ed è in acqua salata, quindi in teoria non sarebbe in grado di piangere, ma concedetemi questa licenza poetica. Mi sono basata sul film Disney, in cui Ariel piange disperata dopo che suo padre le distrugge il suo ‘rifugio’.

Tutta questa scena è un po’ un mix tra ‘La Sirenetta’ e  ‘Il Re Leone’, come spero si sia notato. Ho ripreso, a grandi linee, la scena in cui Simba e Nala scappano da Zazu e vanno al cimitero degli elefanti dove si imbattono nelle iene e vengono poi salvati da Mufasa.

(2)  Frase ripresa, ovviamente, da Tremotino. Non ho inserito direttamente lui perché all’epoca dei fatti, stando ai miei calcoli, non è ancora diventato l’Oscuro. Quindi mi sono rifatta alla fiaba originale di Andersen, dove la Strega del Mare non è malvagia come Ursula, ma chiede comunque ad Ariel la voce in cambio delle gambe.

(3)  Per questa scena mi sono rifatta un po’ al cartone Disney, quando Eric trova Ariel sulla spiaggia, ma l’ho modificata molto. Spero sia piaciuta comunque^^

 

Ciao a tutti! Eccomi qui con il primo capitolo, un po’ noiosetto, a dire la verità.

Mi serviva per introdurre meglio la figura di Ariel e per mostrare il suo passato prima di incontrare di nuovo Hook, quando questo torna a Neverland.

Inizialmente questo passato doveva rientrare in un unico capitolo, ma le cose stavano andando per le lunghe e così ho deciso di spezzarlo in due, per rendere più agevole la lettura.

Spero vi sia piaciuto :) Fatemi sapere cosa ne pensate, sia nel bene che nel male :)

Ringrazio chi ha recensito il prologo, chi mi ha inserito nelle tre categorie e i lettori silenziosi.^^

A presto!

Sara

   
 
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