Le avvisaglie della fine

Lily corse, corse finché non avvertì un dolore al petto, o forse era solo lo strazio che in quel momento stava vivendo.

Alice era stata ricoverata al San Mungo.

Solo questo era riuscita a comprendere, quando James le aveva detto dell’attacco ai Longbottom.

Non aveva voluto crederci e aveva costretto il marito a portarla all’ospedale magico.

E lì per la prima volta, nella sala d’attesa del reparto, comprese il vero significato dei termini ansia e terrore.

Avevano aspettato ore insieme con amici, conoscenti e parenti.

Lei aveva atteso per ore nella speranza che Alice sarebbe sbucata, all’improvviso, con uno dei suoi sorrisi così da poter dire a tutti di andare a casa, che loro erano salvi, forse un po’ malridotti, ma che in fondo stavano bene; che lei stava bene.

Aveva atteso invano.

Alice, la sua Alice non sarebbe mai più uscita da quel luogo.

La sua coraggiosissima Alice, la sua innocentissima Alice, la sua ottimista Alice... era impazzita.

Aveva pianto come mai prima davanti al suo letto; davanti quel fantoccio ormai inutile ed indifeso.

Era fuggita da quell’orrenda visione, oh da quella così falsa visione; ma Alice non c’era più, così come Frank.

Il bacio di un Dementor, per lei, sarebbe stato più dolce.

E corse così tanto che le sembrò di uccidersi per il dolore, la fatica.

Pianse, pianse lacrime che sempre sarebbero state versate.

Alla fine, dopo ore, ritornò da James, tornò da Harry con una promessa nel cuore, una promessa che si leggeva chiaramente nei suoi occhi: avrebbe cresciuto Neville come se fosse stato suo figlio.

Quel piccolo avrebbe conosciuto la vera Alice, la sua vera mamma attraverso l’amore che lei aveva nutrito per quella fantastica gryffindor.