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Autore: Queen000    06/06/2013    1 recensioni
AU. Rinoa Heartilly si trovò in una situazione che non avrebbe mai immaginato potesse capitare a lei.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rinoa Heartilly, Squall Leonheart
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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LOCKED IN THE DARK
scritta da Queen000, tradotta da Alessia Heartilly
Capitolo VII

Le sembrava tutto così surreale.

Questo era tutto quello che aveva voluto nell'ultimo mese. Riunirsi alla sua famiglia, tornare alla sua vita e fuggire dallo spazio orribile di quella cella buia e malsana. Essere libera dai rapitori, e nella salvezza e sicurezza che le dava la sua casa. E ora aveva tutto quello. Ma non avrebbe potuto essere più infelice.

Ci era voluta molta fatica di sua madre per farla anche solo allontanare da quell'angolo, perché era stata determinata a trovarlo prima di fare qualsiasi altra cosa. Alla fine era stato inutile. Lui aveva approfittato della loro riunione ed era scomparso, senza dubbio per tornare in quel posto orrendo.

Rinoa era rimasta in silenzio per tutto il viaggio, persa nei pensieri che continuavano a girarle in testa. Anche se non vedeva l'ora di tornare a casa, lo temeva anche, sapendo che non appena avesse superato la porta sarebbero cominciate le domande. La polizia senza dubbio aspettava la sua testimonianza e il suo ricordo di qualsiasi cosa fosse successa mentre era prigioniera, molto probabilmente subito, quando era tutto ancora fresco nella sua mente. Tutto quello che voleva davvero era stare sola con i suoi pensieri, sguazzare nella sua autocommiserazione perché non c'era assolutamente niente che potesse fare per migliorare le cose. Non c'era niente che nessuno potesse fare.

E fu esattamente ciò che successe quando entrò dalla porta di casa sua. Suo padre la salutò immediatamente, e tutto in lui tradiva quanto fosse grato che fosse ancora viva e sana e salva, quanto fosse stato preoccupato per lei. Gli uomini e le donne nell'ingresso, tutti vestiti di nero e blu, ebbero almeno la decenza di dar loro qualche minuto prima di iniziare con le domande. Fu portata in soggiorno, dove le fu permesso di sedersi con i suoi genitori mentre le facevano domande su domande, per sapere tutto quello che aveva sentito e visto. Lei disse tutto ciò che ricordava della cella, ma a parte quello si sentì inutile, incapace di dare loro qualcos'altro che li aiutasse di più.

Nonostante avessero saputo da lei tutto il possibile, rimasero nei paraggi, e le ci volle un po' prima di ricordare che aspettavano una telefonata. Una telefonata di Squall, per la precisione. Si chiese se le avrebbero permesso di parlargli, forse cercare di convincerlo a non farlo, ma poi decise che probabilmente non glielo avrebbero nemmeno lasciato fare. E anche se gliel'avessero permesso, non sapeva cosa dire, figurarsi convincerlo che era comunque una pessima idea.

Quindi rimase semplicemente seduta, posando la testa sulla spalla di sua madre e godendosi la loro presenza. Due coppie di poliziotti uscirono per la pattuglia, a un certo punto, e alla fine sua madre la portò di sopra a dormire.

Quando si svegliò la mattina dopo, Rinoa era terrorizzata di ritrovarsi in quella cella. Stesa su quella brandina schifosa con quella stupida lampadina come unica fonte di luce, a chiedersi se e quando sarebbe mai uscita di lì. Quando aprì gli occhi e vide ciò che la circondava era incredula, pensando che fosse un sogno o un desiderio o qualcosa di simile. Le ci volle qualche minuto per rendersi conto appieno, e quando successe non poté evitare di piangere, né poté fermare i singhiozzi sollevati e spaventati che le sfuggirono, lasciandosi ricadere sulla coperta. I suoi genitori entrarono di corsa, essendo stati svegliati dai rumori, ma lei era inconsolabile. Nonostante non fosse intrappolata in quella cella e avesse la libertà di andare dove voleva, le mancava disperatamente, non perché fosse una masochista o desiderasse essere rinchiusa, ma perché quegli occhi grigi che si era abituata a vedere quasi ogni giorno non erano lì a salutarla. Le ricordava che lui era ancora in quell'inferno, e nonostante avesse cercato di farlo ragionare, sentiva di aver fallito.

Ma non poteva nemmeno cominciare a spiegarlo ai suoi genitori. Non l'avrebbero capito. Tutto quello che potevano fare era darle rassicurazioni a cui probabilmente non credevano nemmeno loro, e poi si ritrovò a dover parlare con qualcuno con un sacco di diplomi e certificati nell'ufficio su ciò che provava e lo stress del rapimento. Il resto della giornata si confuse, e non seppe cosa faceva né quando lo faceva. Sì vestì, ma solo perché adesso che era a casa poteva farlo, ma si tenne vicina alla casa, vagando nell'edificio a suo piacimento. Nessuno la disturbò, solo per chiederle se stava bene.

Quando glielo chiese una terza persona, si accorse di odiare quella domanda.

Fu nel pomeriggio che suonò il telefono. La polizia intercettò la telefonata, la registrò e cercò di localizzarla, mentre suo padre parlava. Da come si sedette e i gesti che faceva la polizia perché continuasse a parlare, Rinoa intuì che Squall aveva finalmente deciso di chiamare. Ma la telefonata non durò molto. Non appena suo padre rispose, chiedendo se c'era ancora qualcuno all'altro capo del telefono, la telefonata terminò. I poliziotti si accigliarono, non avendo localizzato la chiamata, ma poi suo padre andrò nello studio seguito da un paio di poliziotti. Rinoa immaginò che qualunque informazione stesse raccogliendo Squall probabilmente aveva qualcosa a che fare con il computer.

Cercò di non pensarci, sapendo di non aver nemmeno avuto la possibilità di chiedere di parlargli, e tornò a vagare. I giorni successivi furono più o meno uguali. Si alzò, si vestì, mangiò qualcosa e continuò a guardarsi intorno, e alla fine si scoprì con una routine per cui esisteva e basta. Nel tempo, vide sempre meno persone in uniforme, e presto rimasero solo quelli di pattuglia, che aggiornavano la famiglia ogni due ore circa, e ogni tanto venivano sostituiti dal personale che dava loro il cambio.

Rinoa era stanca di piangere, eppure non riusciva a smettere di farlo quando un minuscolo e insignificante dettaglio le ricordava lui. Altrimenti si scopriva intorpidita, e sapeva che alla fine sarebbe stata costretta ad affrontare l'assalto delle emozioni che l'avrebbero colpita una volta svanito il torpore, ma per adesso non sapeva cosa pensare, cosa fare, quindi decise di fare di tutto per non pensarci affatto. All'improvviso si accorse di come aveva dovuto sentirsi Squall, che il solo concetto di libertà era terrificante e stressante. Comunque non era la stessa cosa, non ci andava nemmeno vicino. Rinoa aveva dato per scontata la libertà che aveva avuto per tutta la vita. Squall non l'aveva mai provata prima. Se lei si sentiva sopraffatta ora che l'aveva riavuta, non poteva nemmeno cominciare a capire cosa lui dovesse aver passato. Si chiese se questo era parte dei motivi per cui lui aveva voluto restare.

Ma verso l'ora di cena, sentì che suo padre la chiamava dal piano di sotto, e quasi come per un risposta automatica andò al corridoio principale, dove lui e un paio di agenti la aspettavano. Si fermò sul terzultimo gradino e aspettò che dicessero quello che dovevano dirle, ma gli ufficiali scossero la testa e indicarono il soggiorno. Guardò suo padre per capire cosa stava succedendo, ma lui distolse lo sguardo e le fece cenno di ubbidire.

Quindi si trovò seduta sul divano del soggiorno, con la mente che correva mentre si chiedeva di cosa volessero parlarle. Dopo tutto aveva già detto loro tutto quello che sapeva, che altro potevano volere? Ma in qualche modo, stando all'aria cupa sopra di loro, qualsiasi cosa dovessero dirle non era buona.

"Capiamo che hai già sofferto molto," iniziò uno degli ufficiali, con delicatezza. Rinoa quasi alzò gli occhi al cielo, ma per amore di suo padre si fermò prima di poterlo fare. Era stanca che tutti la trattassero come se fosse una statua fragile che poteva rompersi alla minima pressione, ma sapeva che non avevano idea di come trattarla, e non volevano sembrare insensibili. Comunque, voleva solo che si sbrigassero e arrivassero al punto.

"Ma tuo padre ha pensato che volessi sapere cos'è successo negli ultimi giorni," continuò. Accanto a lui l'altra agente rimase in silenzio; cercava di sembrare comprensiva, invece risultò del tutto ignara della cosa. "Ora, sai già che il tuo amico - quello che ti ha aiutato a scappare - voleva darci informazioni sulle persone che ti hanno rapita. Le informazioni che aveva riguardavano un grosso lavoro che stavano programmando. Non possiamo ancora scendere nei dettagli, ma grazie a queste informazioni siamo riusciti ad eseguire molti arresti sulla scena. Non sono stati presi tutti, e stiamo ancora cercando quelli che sono scappati. Abbiamo le loro descrizioni, ed è molto improbabile che si allontanino mentre tutta la città li cerca.

"Avevamo agenti a supervisionare l'arresto, ma siamo riusciti anche a scoprire il nascondiglio. Chiunque si trovasse nell'edificio è stato preso in custodia e attualmente viene interrogato sui vari altri rapimenti che sono capitati nell'ultimo decennio. Sfortunatamente, anche con la descrizione che ci hai dato, non abbiamo ancora trovato il tuo amico."

"Non abbiamo trovato corpi," disse l'altro ufficiale in tono rassicurante. "Il che ci fa sperare che sia ancora vivo e nascosto da qualche parte. Stiamo facendo circolare la sua fotografia nei media, nella speranza di trovarlo e poterlo interrogare."

"È possibile che chiunque sia scappato sappia che era coinvolto nella trappola?" domandò Rinoa, piena di paura a quel solo pensiero.

"È molto improbabile," rispose la donna. "L'informazione sulla trappola era top secret. Ci siamo assicurati che lo fosse per via della posizione del tuo amico nell'edificio."

Non significa che non ci sia stata una fuga, pensò Rinoa, ma scelse di tenere quella riflessione per sé. Soprattutto visto che c'era suo padre nella stanza.

"Nonostante la scomparsa del tuo amico, siamo riusciti a prendere qualcosa dall'edificio," continuò il primo ufficiale prima di allungare una mano a Rinoa, con le dita strette intorno a un sacchetto di plastica. Quando Rinoa lo prese quasi lo lasciò cadere, come se l'avesse bruciata.

Dentro il sacchetto c'era il suo cellulare.

"Era vicino a uno dei computer, e uno degli ufficiali l'ha scoperto mentre stavamo raccogliendo tutti. Abbiamo già cercato impronte, ma sembra che lui le abbia cancellate prima di lasciarlo lì. Insieme al telefono abbiamo scoperto un biglietto, anche se, di nuovo, non siamo riusciti a ottenere impronte per rintracciarlo."

"Cosa diceva il biglietto?" domandò Rinoa, senza sapere se voleva davvero scoprirlo.

"Diceva 'mi dispiace'."

E fu tutto lì. Rinoa seppe subito che Squall aveva scritto il biglietto. Sapeva anche perché l'aveva fatto; i suoi pensieri tornarono all'ultima volta che lo aveva visto. Quella notte sulla panchina quando gli aveva chiesto almeno di pensare di restare a casa con lei, una volta finito tutto. Si chiese se era scappato perché aveva in qualche modo capito che la polizia aveva perso un paio di persone, o se si fidava talmente poco di chiunque da decidere di non correre il rischio restando lì a vedere come andava a finire.

Ricordava vagamente di essersi scusata prima di tornare su per le scale, perché voleva stare il più lontano possibile dagli agenti. Nel profondo si era aspettata di non rivederlo mai più, ma non le evitava il dolore. Senza davvero interessarsi a dove andava, entrò nella prima stanza che trovò e si chiuse in fretta la porta alle spalle, nella speranza che la lasciassero sola. Riuscì a malapena ad arrivare a una delle sedie accanto al muro, ci si raggomitolò e lasciò cadere le lacrime, fissando il telefono che aveva ancora in mano. All'improvviso lo odiò, perché era stato il suo unico legame all'unica persona che l'aveva aiutata nelle ultime settimane, e all'improvviso desiderò che non l'avesse affatto aiutata a scappare. Voleva solo rivederlo, anche se si trattava solo di una volta.

Rimase un po' nella stanza, seduta lì a piangere finché fu troppo esausta per farlo ancora. Alla fine si asciugò gli occhi, gonfi e rossi, e vagamente incuriosita da dove si trovava, si guardò intorno e si accorse che era uno studio. Non era uno studio qualsiasi però, perché quello che suo padre usava era al piano di sotto, sul retro della casa. Questo era stato trasformato in una stanza della sua musica, per l'amore di sua madre per il pianoforte. C'erano fotografie alle pareti, e c'era una scrivania sul lato opposto della porta, più per decorazione che altro.

Ma mentre esaminava ogni singola fotografia che c'era, guardando ognuna con occhi che praticamente le memorizzavano, si fermò su una in particolare. Alzandosi si avvicinò alla fotografia, all'improvviso incuriosita, perché era così semplice rispetto al resto della stanza. Ritraeva una coppia che non potevano essere i suoi genitori: i capelli dell'uomo erano troppo lunghi perché suo padre li sopportasse, e sua madre spesso li tagliava corti. Erano entrambi vestiti bene e sembrava che fossero pronti ad uscire, ma era soprattutto la donna ad attirare gli occhi di Rinoa. L'uomo aveva un enorme sorriso, come se avesse appena vinto la lotteria, mentre la donna sembrava più calma. Il suo sorriso era più piccolo, ma le illuminava i lineamenti e la faceva sembrare anche più bella di quanto sarebbe riuscito a fare il trucco.

Il sorriso le sembrava quasi familiare, e cercò di capire come fosse possibile. Non pensava di averli mai incontrati, e pensò se fosse possibile che invece fosse successo. Ma mentre guardava il viso della donna per scavare nella sua memoria, fissò i suoi occhi e dopo un po' boccheggiò e barcollò all'indietro, scioccata, quasi cadendo sulle ginocchia, dato che le gambe minacciarono di cedere.

Quegli occhi erano familiari.

Cosa più importante, sapeva perché erano familiari.

D'un tratto, parole dette con esitazione e sicurezza le riempirono la testa e si portò entrambe le mani alla bocca, senza sapere affatto cosa fare o come potesse essere successo. Ma nonostante la severità e l'insistenza che nessuno di noi sarebbe sopravvissuto senza di lei, sorrideva molto, disse la voce. Aveva un bel sorriso. Illuminava sempre la stanza. Anche quando mi diceva di smettere di giocare e pulire la mia stanza, non potevo essere arrabbiato con lei quando mi sorrideva così.

"Mamma!" chiamò, incapace di affrontarlo da sola. Doveva dirlo a qualcuno - chiunque - perché non poteva sopportare di non fare nulla. Per tutto quel tempo aveva aspettato qualcosa con cui ripagare il suo debito, e ora ne aveva la possibilità. Ma doveva sapere di avere ragione. "Mamma! Papà!"

La porta si aprì, ma Rinoa non osò distogliere gli occhi dalla fotografia, temendo di averlo immaginato anche quando la prova era proprio lì davanti a lei. "Rinoa?" disse la voce di sua madre, piena di preoccupazione. Prese Rinoa per le spalle e si mise davanti a lei, con la stessa emozione sul viso e nella voce. "Rinoa, cosa c'è? Cosa è successo?"

"Chi è la donna della fotografia," disse Rinoa, evitando di proposito la domanda. Sua madre corrugò la fronte, e Rinoa ripeté la domanda indicando la fotografia. La donna distolse lo sguardo dalla figlia, e osservò la foto.

"Rinoa, non sono sicura..."

"Dimmi solo chi è la donna," sbottò Rinoa, e lo rimpianse subito quando vide un lampo di dolore sul viso di sua madre.

Le ci vollero alcuni secondi per rispondere, e quando lo fece fu esitante, come se avesse paura di farla arrabbiare. Rinoa ignorò l'espressione compassionevole, sapendo che questo era molto più importante. "È la moglie di un amico che avevo al college," spiegò lentamente. "L'ho incontrata forse un anno prima che si sposassero. Quella foto è stata scattata il giorno del loro matrimonio. Ci siamo persi di vista quando si sono trasferiti ad Esthar, circa un anno prima che nascessi tu."

Corrugò le labbra e sembrò esitante a dire altro, ma poi si costrinse a farlo. "Perché mi chiedi di loro, Rinoa?"

"Perché lei ha i suoi occhi," spiegò Rinoa, ben consapevole di quanto sembrasse folle. "E il suo sorriso! Tutto quello che ha lei ce l'ha anche lui, non può essere una coincidenza, non può e basta!"

"Chi ha i suoi occhi?" chiese confusa sua madre.

"Il mio amico!" sbottò Rinoa. "Quello di quel posto, quello che la polizia non trova! Quella donna ha gli occhi di Squall!"

*****
Nota della traduttrice: come sempre, grazie a Little Rinoa per il betareading e ogni commento sarà tradotto e inoltrato all'autrice. Eventuali risposte alle recensioni saranno tradotte e inserite dove possibile come risposta nei vari siti.
Inoltre, piccolo momento di "promozione" personale: ho aperto anche una pagina Facebook mia, dove segnalo gli aggiornamenti delle traduzioni - tutte, anche di altri fandom - e delle mie storie (i cui aggiornamenti sono più rari, ma vabbè...): la pagina è questa :) Alla prossima! - Alessia Heartilly

   
 
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