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Autore: The queen of darkness    06/06/2013    3 recensioni
"Mi chiamo Kagome Higurashi.
Sono viva.
E sono appena tornata a casa".
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Miroku fissava il buio con occhi critici, quasi dovesse analizzarne la composizione da vero esperto.
Le gambe, a lungo tenute incrociate sul palo sottile della staccionata, avevano iniziato a fare male, ma non si sarebbe spostato. Diversi giorni prima, quand’era accaduta la tragedia, un bagliore accecante aveva tagliato l’aria, squarciandola per qualche secondo; forse, se lui fosse stato attento, sarebbe riuscito a cogliere il ritorno dei due compagni.
Kagome e Inuyasha erano spariti in un lampo di luce bianca, lo ricordava bene. Il fascio gigantesco li aveva inghiottiti nel proprio turbine, e per qualche istante di terrore era addirittura rimasto accecato. Quella scena gli aveva ricordato spaventosamente quella che aveva preceduto la scomparsa di suo padre; era stato il primo giorno della sua vita in cui aveva guardato alla morte quasi con rassegnazione.
Quello che più lo turbava, comunque, era la totale mancanza di logica. La sfera aveva promesso che, una volta assolto il proprio compito, entrambi sarebbero dovuti tornare ai loro mondi, senza potersi più re-incontrare di conseguenza. Tuttavia, quando se n’erano andati erano insieme, le loro mani erano giunte, le dita intrecciate. Nessuno dei due era più tornato nel passato, o quello che lui considerava presente. Si erano semplicemente volatilizzati.
Forse il luogo d’origine di cui la sfera parlava era addirittura quello primordiale, ovvero l’aldilà. Non avrebbe avuto senso lo stesso, però, che fossero morti entrambi, visto che non era nei patti. Avevano combattuto la sfera nell’altro mondo, quando erano scomparsi l’avevano già oltrepassato.
Solo e semplici congetture, niente di più. Odiava non avere delle certezze su cui fare affidamento, la cosa lo stava mandando fuori di testa, e sapeva benissimo di non essere in grado di trovarne.
-Miroku? – chiese una voce dolce, dietro di lui. –È tardi, torna dentro.
Il monaco non rispose subito. Chiuse stancamente gli occhi, esausto a causa della veglia e consapevole di non potersi arrendere.
Aveva riconosciuto Sango, la donna che presto sarebbe diventata sua moglie, richiamarlo con preoccupazione sincera. Era da quel maledetto giorno che assisteva passivamente alla sua stoica decisione, senza trovare il coraggio di dissuaderlo, preda del suo stesso dolore. Quella scomparsa così improvvisa era stata lacerante anche per lei.
Lui sospirò leggermente quando sentì uno scialle scivolargli sulle spalle, con amorevole cura; sentì il fiato di Sango, per un solo istante. Poi la ragazza si allontanò a rispettosa distanza e si appoggiò dall’altra parte della palizzata, come se lo temesse.
In un certo senso, Sango aveva paura. Paura che l’uomo che amava fosse impazzito, paura che le sue promesse venissero meno, paura di rimanere sola a dover affrontare lo smarrimento. Erano dubbi fondati, terrori radicati nella ragione.
-Va bene – concesse il monaco. Sistemò la stoffa sulle sue spalle. –Grazie.
-Figurati – rispose, sorridendo. Il suo sguardo era però rivolto alle nuvole, che coprivano le stelle.
Miroku si prese qualche istante per guardarla, o meglio, ammirarla, in tutta la sua bellezza. Era davvero straordinaria.
-Sai – disse lei, nostalgica, - tra poco Kohaku partirà. Shippo ha fatto sapere di essere arrivato ieri. La vecchia Kaede ha firmato una sorta di accordo con i villaggi limitrofi. Rin ha cominciato ad imparare il mestiere.
Il monaco non disse nulla; era vero. Capiva quello che lei voleva dirgli, ma era difficile da accettare, da mettere in atto. Sango gli stava fornendo un chiaro esempio di scorrere della vita: gli altri, sebbene faticosamente, si stavano riprendendo dalle sventure e cercavano di costruire un futuro solido, all’insegna della pace.
Naraku aveva gettato un’ombra nelle loro vite che difficilmente sarebbe sparita. Avevano sempre paura di vederla incollata al suolo in una qualsiasi giornata di sole.
Eppure, nonostante le complicazioni, le distanze e le ferite, si erano ripresi. Il mistero sulle sorti dei due si allungava, ma tutti sapevano bene che le vicende spirituali erano difficili da immaginare o da risolvere. Ne avevano avuto più di un esempio davanti agli occhi, stampato sulla pelle, e la cicatrice non sarebbe sparita mai più.
Anche Miroku rivolse lo sguardo al cielo, come per esprimere una supplica o una preghiera, una richiesta, una speranza, faceva lo stesso. Sapeva che sarebbe rimasta inascoltata. All’improvviso, si accorse che quelle vane e fioche impressioni sul loro ritorno erano state molto più effimere di quello che aveva pensato, e rendersene conto lo fece sentire svuotato.
Saggiamente, la sterminatrice di demoni lo sorresse quando si alzò in piedi, vista la debolezza delle membra.
-Adesso cosa farai? – chiese Miroku. Notando la sua occhiata terrorizzata, si affrettò a spiegare, - voglio dire, in questo periodo dubito che ci sarà ancora bisogno degli sterminatori.
Sango si aggiustò il braccio dell’uomo sulla spalla. –Ci penserà Kohaku, a continuare la lotta. Io non voglio; ho dato tutto per questa causa, e ora mi rimane davvero poco. Non voglio perdere anche quello che ho – aggiunse, sorridendo malinconicamente.
-È coraggioso, per essere così giovane – osservò il bonzo.
La donna annuì in silenzio. In realtà, entrambi sapevano quanto fosse preoccupata per lui, per la sorte che l’avrebbe spinto in terre lontane fra le braccia dei pericoli.
-E tu, invece? – domandò, cercando di farsi coraggio, - Cosa farai?
-Mah… - osservò Miroku. – Ho tutta l’intenzione di sposare una donna meravigliosa, e di farne dei figli. Vivrò in una casa modesta, con lei, e cercherò di darmi da fare per renderla felice.
Lei arrossì. –Sono certa che lei lo è già.
Il ragazzo rivolse il suo sguardo alla volta celeste, oscurata dalla promessa della pioggia. –La ammiro molto, per questo.
Non ci fu bisogno di dire altro, almeno per il momento. Sango lo aiutò a finire la strada in silenzio, e fu questione di pochi istanti prima che la capanna della vecchia Kaede spuntasse davanti a loro. Era difficile orientarsi al buio, ma l’orto non era lontano dalla casa principale, e il sentiero procedeva dritto, senza curvature. Per questo riuscirono a raggiungerla in fretta, incuranti della frescura serale.
-Buonasera! – salutò allegramente Miroku, sforzandosi di fare finta di nulla.
-Buonasera, buonasera – borbottò la sacerdotessa, seguita dalla voce squillante di Rin, decisamente sincera in quanto ad entusiasmo.
Sango lo fece sedere su una stuoia vicino al focolare, dove già sobbolliva tranquillamente una grossa pentola colma di riso.
-Accidenti, Venerabile Kaede, come mai tutto questo cibo? – disse, sinceramente sorpresa, la sterminatrice. Si accomodò vicino al futuro marito e gli riallacciò il fazzoletto per reggere il braccio, dolorante da quando la battaglia si era conclusa. Era lo stesso che un tempo aveva ospitato il Foro del Vento, dove al suo posto vi era adesso una cicatrice argentea.
-Dobbiamo distribuirle ad alcune famiglie del villaggio – cinguettò Rin. –Le donne hanno partorito da poco e non riescono a cucinare.
La ragazza rimase evidentemente sorpresa da questa risposta, ma ringraziò e accettò sorridendo la propria ciotola fumante, reggendo le bacchette fra le dita sane. Una, purtroppo, aveva dovuto subire una brutta frattura, tanto che le sorti della falange erano rimaste incerte fino al giorno prima. Alla fine la sua mano sarebbe rimasta integra, per fortuna.
Miroku, mentre mangiava, osservava la bambina. Fino a poco tempo prima aveva avuto non poche difficoltà a trovarsi circondata da esseri umani, paradossalmente. Sapeva sorridere ed essere felice solo con Sesshomaru nei dintorni, e dava il meglio di sé per strappargli una qualsiasi reazione. Erano bastate poche giornate al villaggio perché diventasse loquace e spensierata come sempre, dedita al lavoro con una singolare solerzia.
-Rin, ora che Sesshomaru è partito, cosa farai? – chiese gentilmente Miroku.
La bambina posò le bacchette sull’orlo della scodella, con attenzione. Gli occhi scuri si arrovellarono per trovare una risposta soddisfacente, mentre riordinava le parole.
-Il Signor Sesshomaru mi ha chiesto di rimanere qui – disse, - per imparare un mestiere. Ha detto che se, quando l’ho imparato, voglio restare qui, potrò farlo, altrimenti potrò andare con lui e seguirlo, come ho sempre fatto – fece un sorriso larghissimo: - È per questo che sto cercando di fare in fretta.
Come al solito, la sua dedizione nei suoi confronti era soprendentemente. Chissà quali doti nascoste doveva avere il demone per attrarla così tanto.
-E voi, invece, venerabile monaco? – chiese, innocentemente.
-Io sposerò questa bella signorina al mio fianco – disse, abbracciando con una mano i fianchi di Sango, che arrossì.
-Ohh! – esclamò la bambina. – E lei sposerà voi?
-Certamente – confermò ridendo. Gli piaceva parlare con lei, aveva sempre il potere di tirarlo su di morale.
-Siete un uomo fortunato – disse allora lei, prima di dedicargli un altro mite sorriso e riprendere a mangiare.
Il cibo era un ostacolo che Kaede aveva dichiarato insormontabile. Rin era magrissima, per costituzione; il kimono nascondeva gran parte della spigolosità del suo busto, la sottigliezza degli altri e l’incredibile piattezza del ventre. Non sembrava che fosse sul punto di morire per malnutrizione, perché Sesshomaru si era sempre assicurato che fosse in salute, però ad un occhio esterno sarebbe parso che lei stesse vivendo un’astinenza quasi totale dal cibo.
In un certo senso, era così: la bambina, abituata a ritmi irregolari nell’alimentazione, non riusciva a capire che bisogno ci fosse di fare tre pasti ogni giorno, e ne saltava qualcuno. Era stata abituata a cercare da mangiare solo quando aveva fame, e questo poteva avvenire ad ogni ora del giorno; aveva imparato ad arrangiarsi, ma le scadenze erano dettate soltanto dal suo orologio biologico.
Alla sacerdotessa bastava che lei fosse abbastanza in forze almeno per sostenere i lavori, e di energia la bambina ne aveva da vendere, quindi il problema era minimo, agli occhi del monaco. Peggiore gli era sembrato quello della sua avversione verso gli uomini o, peggio ancora, il suo timore di essi, ma in parte era stato risolto.
C’era da dire, però, che Rin era una bambina pulita e ordinata. Ogni volta che poteva si lavava mani, piedi e viso, senza contare il bagno fatto ogni mattina all’alba. Inoltre, da qualche anno aveva orgogliosamente imparato a lavarsi il kimono, con sommo stupore di Kaede: quando Sesshomaru stava via per giorni e la lasciava sola in compagnia di Jaken, aveva ancor meno aiutanti per il suo vestiario, tanto che aveva osservato per un po’ delle donne fare il bucato fino ad imparare i loro metodi.
Con estremo candore, la bambina aveva raccontato che da quel giorno ne aveva approfittato per lavare anche i panni del servo di Sesshomaru, giusto per rendergli il favore di tenerle compagnia. Anche se il mostricciatolo verde era più che altro un fastidioso impiccio, lei non si sarebbe mai azzardata a definirlo così e, a differenza di ogni pronostico, era lieta ogni volta che poteva vederlo.  
-Rin…perdona la domanda, ma vedi ancora Sesshomaru? – chiese Sango, ad un certo punto.
La bimba scosse la testa, affranta. –Dice che per me è meglio stare senza la sua presenza. Quando torna, mi fa trovare degli splendidi regali, ma non mi da la possibilità di rendergli grazie…davvero non lo capisco. Anche se chiedo sempre a Jaken di portargli i miei saluti, dubito davvero di essere ascoltata.
-Non preoccuparti – disse lei, materna, - vedrai che vi re-incotrerete presto.
Nemmeno Miroku era tanto convinto da questa prospettiva, ma si affrettò a consolarla.
Il resto della cena passò abbastanza velocemente. Nessuno parlò molto, come sempre, però l’atmosfera non sembrò appesantirsi significativamente. Kaede era immersa nei suoi pensieri; quello stesso giorno era scesa a patti importanti per la sopravvivenza del villaggio, e pareva che il territorio si sarebbe allargato. Inoltre, la non belligeranza fra uomini e demoni sembrava funzionare in tutti i territori dell’est, compreso Musashi, e nuove ragazze attendevano di poter essere ordinate sacerdotesse.
Miroku, come al solito, stava riflettendo sul suo futuro e Sango, assorbita dal cibo, era in ansia per Kohaku. Avrebbe dato notizie molto di rado, le uniche informazioni certe poteva averle solo da Totosai, e non lo vedeva nemmeno troppo spesso. Da un lato, sapeva che sposandosi sarebbe stata più lontana dal fratello, ma dall’altro sentiva già di soffrirne.
Verso sera, sparecchiarono tutto e si affrettarono a pulire le stoviglie. Rin si alzò e andò ad attingere acqua dal pozzo, mentre Kaede preparava diversi involucri con dentro la cena delle famiglie impossibilitate a procurarsela, affidando sempre alla sua assistente il compito di distribuirla.
-Che sonno! – esclamò il monaco, ad un certo punto. Si stiracchiò con aria teatrale e coprì uno sbadiglio con la mano sinistra. –Penso proprio che andrò a dormire.
Giunse i palmi in un breve inchino, prima di congedarsi. Prima di alzarsi e andarsene, diede una pacca leggerissima sul fondoschiena di Sango, che arrossì immediatamente ma decise di non punirlo: reggeva le scodelle con entrambe le mani e non riusciva a spostarle senza farle cadere, per questo si limitò ad un’occhiataccia.
Uscì ridacchiando, fingendo di muoversi verso il proprio alloggio provvisorio. Quando fu sicuro che nessuno lo vide, però, si recò di nuovo al suo posto di osservazione e, sedutosi a gambe incrociate sul palo orizzontale, si mise ad osservare il cielo crudelmente immobile, in attesa di un qualsiasi segnale di ritorno. 
  
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