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Autore: RobTwili    06/06/2013    7 recensioni
Harper e Jared.
Pri e Jedi.
Si conoscono dall’asilo e hanno frequentato il college assieme, sempre e solo da buoni amici.
Jared ha visto Harper in tutti i modi possibili, Harper riesce a sopportare Jared nonostante l’amore incondizionato che lui ha per Pixie, la sua BMW.
Sono single, entrambi, visto che sembra che nessuno sia in grado di sopportare i loro reciproci difetti. Harper ha infatti una teoria: tutti i ragazzi che le piacciono sono dotati di una corazza invisibile che fa rompere le frecce di Cupido, impedendo a tutti di innamorarsi di lei.
Ma se la freccia di Cupido scoccasse improvvisamente, verso quella persona che hai sempre avuto al tuo fianco?
Storia momentaneamente sospesa
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CBA


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A Kevin, che c’è sempre.
 
 
Se mi avessero chiesto il motivo per cui quella notte non avevo chiuso occhio, probabilmente non avrei saputo spiegarlo; o meglio, non avrei saputo decidere quale fosse.
Harp ogni mezz’ora si alzava per andare in bagno e nemmeno si curava di fare poco rumore o di non sbattere la porta; e poi, il letto era diventato improvvisamente scomodo e il cervello attivo.
Quando mi ero alzato –verso mezzogiorno, visto che Harp mi aveva chiesto di partire al pomeriggio per riposare –ero sceso in cucina senza nemmeno vestirmi; un paio di boxer grigi andavano più che bene per fare colazione, visto che sicuramente ci saremmo fermati in qualche fast food quel pomeriggio.
Non avevo tenuto conto di Harper però, che era scesa in cucina pochi minuti dopo di me e aveva sgranato gli occhi quando mi aveva visto senza maglia.
«Potresti anche vestirti, sei in cucina, non in piscina». Un tono acido e nemmeno uno schiaffo sulla schiena per scherzare: si prospettava proprio una bella giornata per rimanere per ore solo con lei, in uno spazio ristretto.
«Buongiorno» mormorai, allungando il braccio per scompigliarle i capelli, visto che sapevo quanto quel gesto la infastidisse. Non avevo tenuto conto però della sua possibile reazione quella mattina; nel momento in cui si girò per guardarmi, capii che anche Satana in persona si sarebbe spaventato di fronte a quello sguardo.
«Buongiorno un corno. Non ho dormito e il pensiero di rimanere per tutte quelle ore con te mi fa quasi pensare che preferirei andare a un concerto di… non lo so. Justin Bieber probabilmente. Mi divertirei di più». La serietà con cui pronunciò quelle parole mi fece rimanere serio per qualche secondo, prima di iniziare a ridere per quella battuta cretina.
«Ammetti che ti divertiresti di più se fossi io a cantare Justin Bieber… Ohh babe, babe...» canticchiai, alzandomi in piedi e muovendo il sedere, mentre agitavo le braccia con la padella che stringevo tra le mani. Sentii Harp dietro di me trattenere a stento una risata e sorrisi senza farmi vedere da lei; non mi odiava come credevo, era solamente un po’ arrabbiata.
«Sei un cretino». Sentii subito il suo piede colpire il mio sedere per spingermi in avanti: stava cercando di farmi perdere l’equilibrio; per questo, grazie a tutti gli anni di skateboard che avevo fatto, riuscii a rimanere in piedi, fermandomi prima di sbattere contro uno degli scaffali della cucina. «Muoviti a fare colazione che poi partiamo». Ingurgitò in un solo boccone la fetta di pane che aveva spalmato di Nutella e con tutto il mento sporco, come se fosse una bambina, mi diede le spalle, andando verso la scala.
Ridacchiando per l’immagine del mento di Harp con la nutella sopra –e fermandomi all’improvviso, al pensiero delle mie labbra che la pulivano –mi tirai un pugno sulla spalla prima di correre al piano di sopra per indossare un paio di pantaloni della tuta e una maglia: volevo rimanere comodo durante quel lungo viaggio, mi sarei magari cambiato una volta arrivato nel Motel che Harp aveva prenotato.
 
Mezz’ora dopo eravamo in macchina: finestrini abbassati, vecchio cd a un volume decisamente troppo alto e i piedi nudi di Harp appoggiati al cruscotto. Sapeva benissimo che non le permettevo di appoggiare le scarpe su Pixie, per questo, come avevamo stabilito, teneva le scarpe sul tappetino e faceva attenzione a non lasciare impronte con quei suoi piedini in giro per la mia macchina.
«Muoviti Jar, cambia canzone, lo sai che la odio!» urlò, tappandosi entrambe le orecchie con le mani e canticchiando, come se fosse una bambina. Ridacchiando divertito per quella scena e iniziai a cantare a volume decisamente alto la canzone, perché Harp potesse sentirmi. «Cretino, cambia» urlò ancora più forte per sovrastare la mia voce.
Ok, mi ero divertito abbastanza, potevo smetterla di cantare una canzone anni ottanta improponibile solo per farle un dispetto. Allungai la mano per cambiare la traccia, ma inavvertitamente anche Harp fece lo stesso, sfiorando le mie dita con le sue.
Nel momento in cui le nostre mani si toccarono, sentii un brivido percorrermi il braccio e riuscii a rimanere concentrato sulla guida solo perché con la mano sinistra strinsi il volante, prendendo un respiro profondo. Non sapevo che diavolo fosse successo, ma era chiaro che anche lei aveva sentito qualcosa, visto che era rimasta con il braccio a mezz’aria e lo sguardo perso.
«Devi cambiarti le scarpe, queste con la suola di gomma portano corrente. Cavolo che scossa che ho preso» mormorò, scuotendo la mano per riprendersi.  Annuii, dandole ragione e continuando a guidare, con lo sguardo fisso davanti a me.
Guidai per un altro paio d’ore prima di fermarmi in una stazione di servizio perché Harp doveva fare pipì, così ne approfittai per fare benzina prima che potessimo inoltrarci nel deserto del Nevada, visto che stava anche facendo buio. Quando risalimmo in macchina, mi soffermai per qualche istante a guardare i raggi rossi del tramonto che colpivano i capelli di Harp, rendendoli ancora più rossi.
Anche le lentiggini sul suo naso e sulle guance risaltavano, di fronte a quella luce così forte e naturale. Quando Pri si voltò verso di me, incuriosita perché non ero ancora partito, finsi di guardare una ragazza dietro di lei che stava pulendo il vetro della macchina in una posizione decisamente equivoca.
«Muoviti, maiale» urlò, ridendo e tirandomi un pugno sul braccio. Risi assieme a lei, fingendomi interessato per qualche altro secondo al sedere della ragazza e poi misi in moto, partendo.
Non sapevo se fosse stato per quella bugia o perché in qualche modo ormai era da più ore che stavamo assieme, ma sembrava che le cose tra me e Harp fossero quasi tornate normali: scherzavamo, ridevamo, ci pizzicavamo e prendevamo a parole, cantavamo muovendoci in modo idiota a tempo di musica; come sempre, come quando andavamo a Miami per le vacanze di primavera.
Poi però, qualcosa nel mio cervello mi convinse a fare una domanda che forse non avrei dovuto nemmeno pensare. Eravamo nel bel mezzo del nulla e, l’opzione random del lettore musicale di Pixie giocò un brutto scherzo: Torn di Natalie Imbruglia iniziò. Non feci caso alla strada –anche perché era isolata ed eravamo solo noi –iniziai a cantare assieme a Pri che, con una bottiglietta di Pepsi improvvisò un microfono. Poi però, nel momento in cui la nostra amica Nat pronunciò «Im cold and I am shamed lying naked on the floor» ricordai quello che era successo tra di noi e parlai prima di pensarci.
«Pri, hai pensato a quello che è successo in cucina?». Abbassai, dai comandi sul volante, la musica per sentire la sua risposta che non arrivò. Sentii solamente il rumore della bottiglietta che le scivolava dalle mani, cadendo sul tappetino. Senza distogliere lo sguardo dalla strada –perché non volevo affrontare quello di Harp –cercai di capire cosa stesse facendo, ma il suo urlo rispose a tutte le mie domande silenziose.
«Ferma la macchina. Ora». Si slacciò la cintura di sicurezza e, pensando che si sentisse poco bene, accostai subito, fermandomi così all’improvviso che la polvere del ciglio della strada entrò in macchina.
Harp aprì lo sportello e uscì, iniziando a camminare, senza nessuna spiegazione. Guardai prima il sedile vuoto di fianco a me, poi lo sportello aperto e infine la sua figura che si allontanava, a piedi nudi; misi in folle, scendendo e correndo verso di lei, fino a quando non la raggiunsi.
«Harp, che ti prende?». Strattonai un suo braccio costringendola a voltarsi verso di me. Gli occhiali da sole scuri nascondevano i suoi occhi e non riuscivo a capire che cosa pensasse, ma la mano stretta a pugno mi fece capire che qualcosa non andava. Speravo davvero non fosse per la domanda che le avevo fatto, ma qualcosa mi faceva pensare che fosse proprio quello il motivo della sua sfuriata.
«Vado da sola da mio fratello, visto che non sai mantenere una promessa. Avevamo detto di non parlarne e tu l’hai infranta. Stavo riuscendo a non pensarci Jar, per cinque minuti ci stavo riuscendo e tu hai rovinato tutto. Vado a piedi, tu riprenditi la tua macchina e vai dove vuoi, non ho più bisogno di te». Non si era fermata un attimo, facendoci allontanare di qualche centinaio di metri dalla macchina. Per quanto fossi triste per la sua reazione, non riuscivo a rimanere serio perché sembrava davvero convinta di andare a piedi.
«Harp, non fare l'idiota, sali in macchina, siamo in mezzo al deserto del Nevada, ed è quasi buio» spiegai, cercando di farla ragionare. Sapevo che quando Harp si intestardiva non bisognava mai farle capire che stava sbagliando o diventava ancora più ostinata; bisognava semplicemente calmarla e farla ragionare, o sfogare. In quel momento, in mezzo al deserto, ero quasi sicuro che farla sfogare fosse la soluzione migliore.
«Andrò da Ken a piedi» continuò, saltellando dopo aver pestato un sasso che probabilmente la infastidì, visto che continuava a camminare senza scarpe. Trattenni una risata, raggiungendola e fermandomi davanti a lei perché non potesse continuare a camminare.
«Non vorrei dirtelo, ma fai prima a tornare a casa, sono meno miglia». Dopo la mia frase vidi distintamente le sue labbra socchiudersi per formare una O e pochi secondi dopo, forse indecisa su cosa fare, mi diede le spalle, iniziando a camminare in direzione contraria. «Quindi torni a casa? Vado io da Ken?» scherzai, pronto allo scoppio.

«Mi prendo le scarpe, non posso attraversare due stati a piedi nudi, non sono Mowgli» sbraitò, spostando gli occhiali da sole sopra al capo in un gesto arrabbiato.
«Ora ti fermi e mi dici che succede Harper, perché mi sono stancato». Serio, arrabbiato e deluso, sapevo che avrebbe iniziato a urlare ma alla fine si sarebbe calmata e tutto sarebbe andato nel verso giusto.
«Cosa succede? Avevi detto che non ne avremmo più parlato, Jar. Avevamo promesso che non avremmo più parlato di quello che era successo in cucina. Perché continui a ricordarlo? Perché vuoi confondermi? Non voglio pensarci, è… non lo so cosa, ma è strano. Una parte di me è imbarazzata perché ho fatto sesso con il mio migliore amico e l’altra pensa che non è stato per niente male e che un’altra bottarella magari con più calma  te la darei. Capisci perché non voglio più pensarci? Perché per te non è lo stesso e lo so, probabilmente con il vostro linguaggio in codice dei maschi tu hai detto a loro che mi hai trombata e avrai anche comunicato un voto, ridendo delle mie tette piccole e del fatto che non ci si può far tanto, lo so. E quindi io speravo di non doverci più pensare, ma no! Perché siamo nel bel mezzo del deserto del Nevada, senza scarpe a dire che chissà per quale motivo ci siamo ritrovati in cucina. Nudi. Ti basta come spiegazione o vuoi altro? Ora inizierai a dirmi che noi donne facciamo milioni di castelli in aria per una trombata ma no, non è così, non faccio castelli in aria, perché non ci penso». Prese un respiro profondo, prima di tirare un calcio a un sasso che attraversò la strada.
Se mi avessero chiesto una sola parola per descrivere Harp in quel momento avrei usato pazza.
Ok, una volta per tutte dovevamo chiarire. «Harp, non l’ho fatto volutamente. Non ho parlato con i ragazzi per vantarmi di quello che abbiamo fatto, non sanno niente e il motivo per cui ogni tanto ne parlo è perché ci penso spesso. Stavo solo cercando di capire quello che è successo, ma credo che siamo sulla stessa barca. Non mento, ok? Sono un uomo e se dicessi che non mi sono divertito che è andata male o che ora non sto meglio sarebbero stronzate. E non c’entrano niente le tue tette. Quello che cercavo di capire era quello che tu non hai ancora chiaro. Sono diviso in due, non so come possiamo ignorare quello che è successo, visto che non è stato così male… è solo questo. Forse dobbiamo solo scherzarci su, prenderci in giro come il solito. Io ti dico che non hai tette, tu mi dici che non sono dotato, che non potrò mai soddisfarti o cose così e tutto tornerà come prima dai. Un incidente di percorso, lo chiamiamo così?» proposi, sorridendo.
Vidi un sorriso timido posarsi sulle labbra di Harp prima che annuisse, guardando i suoi piedi nudi.
«Dai, abbracciami Pri» bofonchiai, allargando le braccia in attesa che mi raggiungesse e strofinasse il suo naso sul mio petto, come sempre. «E adesso andiamo da Ken, o almeno andiamo in Motel, perché inizio ad essere stanco di guidare». Le lasciai un bacio tra i capelli accarezzandole la schiena prima di sciogliere l’abbraccio e andare verso Pixie.
 
«Stai scherzando, vero?» domandai, lasciando cadere lo zaino che mi ero portato. Mi guardai attorno, cercando di scovare qualche porta segreta che potesse farmi capire che c’era un altro letto in quella stanza, o almeno una poltrona. Ma no, perché lì, in quello squallido motel, sembrava che ogni stanza fosse dotata di un letto e lo spazio necessario per camminare –logicamente in fila indiana –da quello al bagno.
«Ho cercato quello più economico, non ho guardato la grandezza della stanza o se i letti erano matrimoniali o singoli. Scusami Jared se quando ho prenotato non ho pensato che potevi intestardirti e seguirmi» sbottò, incrociando le braccia sotto al seno mentre spostava le coperte con un piede.
Non era un motel sporco, solo tanto… piccolo. Decisamente il più piccolo che io avessi mai visto; ora capivo perché quella camera fosse costata una miseria ad Harper. Cercai di camminare verso il bagno per lavarmi almeno le mani, ma lo zaino che avevo lasciato per terra qualche istante prima mi fece perdere l’equilibrio e per poco non caddi sbattendo il capo contro il muro.
«Jar sei un’idiota» ridacchiò sedendosi sul letto per togliersi le scarpe. Si stiracchiò, muovendo leggermente il collo per rilassarsi dopo il lungo viaggio in macchina. «Vai pure a farti una doccia, poi vado io. Non mi va di uscire, riposiamoci» spiegò, distendendosi sul letto e facendomi capire che era davvero piccolo.
«Ok, grazie». Non avevo nemmeno voglia di litigare; quel viaggio mi aveva davvero sfiancato. Era notte, ero stanco e sudato e volevo solo riposare, visto che la sera prima non ero riuscito a riposare se non per qualche ora.
Lasciai che l’acqua scorresse sul mio corpo, rilassandomi, e uscii dallo stretto bagno solo con i pantaloncini che mi ero portato da casa. Harp sorrise e si alzò, passandomi di fianco e chiudendosi subito dopo in bagno; pochi istanti dopo sentii il rumore dell’acqua che scorreva e, distendendomi a letto, socchiusi gli occhi rilassato.
Risi, ripensando ad Harp che camminava a piedi nudi in mezzo al deserto, impossessata da qualche strano demone che la faceva sembrare pazza e poi cercai di scacciare infastidito una mosca che si era appoggiata al mio braccio. Quando però lo scostai, qualcuno rise e io aprii gli occhi, confuso.
«Ti eri addormentato, stavo cercando di non svegliarti ma volevo prendere un cuscino. Vado a dormire in macchina, qui non ci sono due letti». Quando riuscii a capire il significato di quelle parole, mi alzai a sedere di scatto, arrabbiato.
No, Harp non sarebbe andata a dormire in macchina, non gliel’avrei mai permesso. «Non essere cretina, vado io a dormire in macchina. Tu ti metti qui, comoda. Io ho deciso di venire con te, tu avevi prenotato questo letto per  te». Mi alzai, ma Harp mi bloccò, appoggiando le sue mani sulle mie spalle e costringendomi a rimettermi seduto.
«Come ai vecchi tempi? Dormiamo entrambi sullo stesso letto, l’abbiamo già fatto, ricordi?» scherzò, togliendosi le infradito e sedendosi di fianco a me sul letto.
Mi irrigidii appena, insicuro. Era una buona idea? Dopo tutto quello che era successo nei giorni precedenti? «Sei sicura?» domandai, sperando che avesse cambiato idea. Non volevo farla sentire rifiutata, perché davvero, per me dormire con lei non significava nulla, ma avevo paura che potesse in qualche modo sentirsi imbarazzata.
«Dobbiamo solo dormire, Jared. Non fare il maiale. Ora distenditi su». Si distese, scalciando una mia gamba perché potessi spostarla.
Dormire, certo. Dovevamo solo dormire. Cosa mi ero messo in mente? Cosa avevo pensato. Mi distesi dietro Harper, tenendo la schiena appoggiata al muro dietro di me e schiacciandomi il più possibile contro la parete fredda. «Puoi spegnere la luce» azzardai, sperando che per lei non fosse un problema. Se dovevo anche dormire con la luce accesa non sarebbe stata una buona idea, visto che la spallina della canottiera nera che indossava Pri si era leggermente spostata sulla spalla.
Ma cosa diamine stavo guardando? Alzai gli occhi al soffitto distogliendo lo sguardo e maledicendomi per quello stupido pensiero.
«Buonanotte Jar» mormorò Pri, avvicinandosi a me per darmi un bacio sulla guancia per la buonanotte e sentii la sua mano sfiorare il collo per capire dove fosse il mio viso. Mi spalmai ancora di più verso il muro dietro di me, reprimendo quel brivido che stava nascendo lungo la mia schiena.
Ma c’era il riscaldamento acceso in quella stanza? Perché improvvisamente quei pantaloni sembravano di troppo e avevo caldo. Il corpo di Pri era come una stufa. Cercai di spostarmi i capelli dalla fronte con una mano e Harper, con un sospiro si spostò di qualche centimetro verso di me.
«Cazzo» pensai, chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro. Non se ne era accorta, vero? Non si era accorta che qualcosa non andava. Era solo la mia impressione, no?
«Jar, perché sei allegro andante con brio?» ridacchiò, appoggiando la testa sul mio petto. Negare, negare l’evidenza doveva essere l’unica cosa da fare. Per forza.
«Cosa?» domandai, respirando silenziosamente per rilassare tutti i muscoli del mio corpo, anche quelli involontari. Non poteva davvero aver sentito. La sua schiena era solo appoggiata leggermente a me. Non…
«Perché laggiù sei sveglio?». Merda. Alzai gli occhi al cielo, sentendomi arrossire perché se solo avesse acceso la luce mi sarei sentito come lo sfigato della scuola che si fa trovare con una canadese nei pantaloni mentre guarda lo spettacolo di fine anno delle cheerleader.
«Non so di che parli». Mentire di nuovo era la via. Mi immaginavo Wilson ridere se solo gli avessi raccontato quella situazione e sapevo che lui mi avrebbe consigliato di mentire. Per questo, quando sentii il corpo di Pri premere contro al mio per farmi capire a cosa si stava riferendo non riuscii a trattenere un: «Cazzo» che uscì con un tono di voce un po’ troppo alto. Non potevo più negare, era evidente.

«Esatto, parlavo di lui. Perché?». La sentii muoversi e pochi istanti dopo il suo respiro caldo si stava infrangendo contro il mio collo. Si era girata, ora eravamo faccia a faccia. Nonostante ci fossero tutte le luci spente, riuscivo a vedere –grazie al neon rosso dell’insegna del motel –l’ombra e lo scintillio dei suoi occhi; non riuscivo però a cogliere la sua espressione per capire cosa stesse pensando.
«Non lo so, è caldo e ho bevuto» mi giustificai, come se potesse essere una scusa sufficiente per quello che mi era successo. Rimaneva comunque una delle figure di merda più grandi della mia vita. Non era successo a nessuno di eccitarsi con la propria migliore amica. Be’, forse era successo a molti, ma essere scoperti era un altro paio di maniche.
«Una birra» puntualizzò, facendomi sentire ancora peggio. Non potevo nemmeno utilizzare la scusa dell’essere ubriaco perché una birra non mi faceva di certo effetto; soprattutto visto che l’avevo bevuta quasi un’ora prima, durante la cena.
«Harp… lasciamo stare». Anche alle mie stesse orecchie risultavo abbattuto. In verità mi sentivo male perché sapevo di averla delusa. Lei si fidava di me, ed era la seconda volta che la deludevo quel giorno; prima in macchina parlando del fattaccio e ora, a letto, facendole capire che c’era qualcosa di sospeso… in tutti i sensi.
«Io non sono presa meglio» confessò, facendomi smettere di respirare. Se cercava di peggiorare la situazione ci stava riuscendo bene, visto che dopo la sua frase, mi ero appiattito ancora di più contro al muro.
«Harp…». Il suo nome era uscito dalle mie labbra con un mugugno, un qualcosa di indefinito… mi vergognavo di me stesso, non ero nemmeno più un uomo. L’intera razza maschile mi avrebbe detto che non ero degno di possedere due palle.
«E se… visto che abbiamo un letto stretto, ottimizzassimo gli spazi? Tipo tu sotto e io sopra, così stiamo meglio». Non riuscivo a cogliere la sfumatura nel suo tono di voce, ma non mi sembrava che stesse ridendo. Sembrava davvero seria. Forse Harp era diventata improvvisamente sonnambula e parlava nel sonno?
«Harp mi stai chiedendo di…»… non riuscivo nemmeno a completare la frase, per paura che mi arrivasse un ceffone, dicendomi che ero un maiale e che ero sempre pronto a cogliere occasioni del genere al volo.
«Sì, Jar, ti sto chiedendo di trombare, dannazione. Ci scarichiamo un po’, è meglio no? Piuttosto di andare con gli sconosciuti, noi ci conosciamo, e poi qui siamo più comodi. Solo stanotte, perché siamo in questo motel con un solo letto. Che dici?». Si mise a sedere, accendendo la luce. Aveva i capelli sciolti che ricadevano sulle sue spalle e… dannazione, quella spallina nera era definitivamente scesa. Abbassai lo sguardo, percorrendo il suo piccolo e magro corpo e soffermandomi sulle sue gambe nude, scoperte da quei corti shorts che indossava.

«Oh… be’, se la metti così» mormorai, sollevandomi appena per sistemarmi e stare più comodo. Carpe diem, diceva qualche poeta greco o latino. Lascia che la carpa dia, dice sempre Wilson. Una trombatina solo perché quel letto era decisamente stretto per stare uno di fianco all’altro, niente altro. In amicizia, ecco.
«La metto come vuoi» scherzò. Non sapevo se fosse per rompere la tensione che si era creata o cosa, ma ci riuscì, perché iniziai a ridere, colpendola scherzosamente con una mano sul braccio.
«Harp, sei scema». Mi asciugai una lacrima con il dorso della mano, notando come si fosse fatta improvvisamente seria. Forse ci aveva ripensato, forse era meglio così. Poi le cose si sarebbero complicate ancora di più, no?

«Però mettiamo delle regole, visto che sarà una cosa di puro piacere personale, senza sentimenti. Vorrei che il mio punto fosse chiaro: tipo dei paletti. Che cosa non ti piace? Io per esempio odio quando mi mordono il collo, mi infastidisce e non mi eccita». Sgranai gli occhi: Harp la pazza aveva colpito ancora, facendomi capire che con lei quello che pensavo era sempre sbagliato. Perché ora mi stava chiedendo le mie preferenze… forza Jar, era il momento di essere uomo e non la femminuccia che pensa sempre ai sentimenti. Una trombata, dannazione. L’avevano fatto tutti.
«Odio che mi graffi la schiena perché se vado in palestra ho i segni rossi» specificai, ricordando che una volta avevo visto uno con dei graffi così evidenti da risultare ridicoli.
«Non farmi il solletico, non leccarmi perché mi sembri un cane e poi non mi eccito più e non urlare come se fossi in un film porno. Non incitarmi nemmeno, cose come «Dai che ce la fai, Pri» non funzionano e potrei tirarti un pugno». Aveva contato tutte le cose nelle dita di una mano, per non dimenticarsi nulla. Mentalmente mi appuntai tutto: no collo o solletico, non leccare, non incitare, non urlare… la lista sembrava lunga e non ero sicuro di poter ricordare tutto quanto nel mezzo dell’azione.
«Non fingere perché lo capisco, ho un metodo infallibile» la avvertii, notando i suoi grandi occhi verdi sgranarsi per la sorpresa. Si riprese subito però, ricordandosi di qualche altra regola che avrei dovuto rispettare.
«Non aggrapparti alle mie minitette, non mordere il mio stomaco e non tenerti sulle mie spalle». Che lista lunga, dannazione! Come pretendeva che potessi agire normalmente quando avevo così tante cose da tenere a mente? Mi vietava di fare qualsiasi cosa!
«Ma posso fare qualcosa, oltre a spingere?» domandai ironico, alzando anche un sopracciglio. Perché se non potevo toccarle il collo, farle il solletico, leccarla, incitarla, urlare, aggrapparmi alle sue tette, morderle lo stomaco e tenerle le spalle… non mi rimanevano molte cose da fare.
«No, non fare nulla. Anzi, sto io sopra, tu stenditi» ordinò, sedendosi meglio sul letto.

Cazzo, in che guaio mi ero cacciato? Era proprio brutto ritirarsi all’ultimo momento?
 
 

 
Ragazze io non so nemmeno come scusarmi.
Sono passati due mesi e mezzo dall’ultimo aggiornamento quando avevo promesso che sarebbe passato meno tempo, in più sono indietro con le risposte alle recensioni e con i messaggi privati, giuro che ho letto tutto e adesso inizio a rispondere, mi dispiace così tanto per il ritardo.
In ogni caso, spero che il capitolo sia qualcosa di decente, ne ho scritto metà ora, in mezz’ora perché mi sentivo in colpa per il ritardo e volevo assolutamente pubblicare, quindi mi dispiace se ci sono schifezze che non ho fatto a tempo a sistemare.
Mi scuso anche per la volgarità, nell’ultima parte mi sono sfuggite davvero frasi poco carine (sì, Harp, sto parlando con te, e anche con Wilson e le sue perle di saggezza).
Voglio anche dire che nella prima parte del capitolo non era mia intenzione offendere Justin Bieber e la sua musica, quello che cercavo di fare era scherzare, visto che i gusti musicali di Harper non sono proprio quelli della musica di Justin. Non mi permetterei di offenderlo.
E poi… ah sì, nomino Torn, che è una canzone di Natalie Imbruglia di qualche anno fa, molto carina.
e… ah sì, in questi mesi di assenza da EFP ho pubblicato l’ultima (credo sia il momento di dirlo) OS “Look after you” che riguarda la long story “You saved me” (se qualcuno volesse leggerla, consiglio vivamente di non leggere la OS ma la storia prima, visto che la OS è spoiler).
E come sempre ricordo il gruppo NERDS’ CORNER in cui cercherò di essere comunque più presente, anche se ci sono sempre. Accetto chiunque.
A presto (stavolta prometto di metterci meno, perché la situazione è un po’ spinosa, lo so).
   
 
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