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Autore: dreamlikeview    07/06/2013    14 recensioni
Un aspirante scrittore, una lettera, una storia d'amore da raccontare, una da vivere...
E un amore che deve sbocciare. Riuscirà lo scrittore a trovare la sua ispirazione? Riuscirà a ritrovare l'amore?
[Larry as Romance.]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
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DESCLAIMER: I One Direction non mi appartengono - che brutta cosa - non rappresento in maniera veritiera il loro carattere, e non intendo in alcun modo offenderli. Niente di tutto ciò è scritto a scopo di lucro, non ci guadagno nulla a parte un po' di soddisfazione personale quando tutto ciò è apprezzato. 

ENJOY! 












Chiusi in una scatola ricordi come lettere
le tue mani semplici spesso inconsapevoli
scrivono di te. di quei paesaggi nordici
di quelle strane favole,
che ritornano a me, riportandomi a te.
(L'immagine - Sonohra.)
 

 
 

Louis Tomlinson era un ragazzo un po’ problematico, forse troppo; ma soprattutto era fortemente empatico. Viveva su di sé tutte le sofferenze, le felicità, le paure, qualsiasi sensazione di qualsiasi persona, sia importante per lui, che non, e per questo tendeva a tenersi a distanza dagli altri. Giudicava le emozioni come cose personali, e non gli avrebbe mai fatto piacere che qualcuno provasse la sua stessa emozione, positiva o negativa che fosse, in un determinato momento della sua vita.
Era leggermente abitudinario, non andava mai a dormire senza aver bevuto una tazza di latte con i biscotti – rigorosamente quelli alla vaniglia con le gocce di cioccolato – come faceva da piccolo, quando viveva ancora a Doncaster; lavorava in una piccola libreria nella città di Manchester, dove si era trasferito da due anni. Viveva in un piccolo appartamento in uno stabile, che una volta era stato una villa situato nella periferia della città, e si spostava solo, e rigorosamente con la sua vespa rossa. Era fissato con l’ordine e con la pulizia, fin da quando da piccolo sua madre lo aveva bacchettato a dovere, inculcandogli le regole basilari della vita in casa, da solo o no che fosse.
E Louis non si era mai lamentato.
Ora, all’età di ventitre anni viveva da solo, lontano da casa, in un piccolo appartamento che si manteneva da solo. Si era diplomato, e non era andato al college per motivi economici, il suo padrigno era andato via da casa un anno prima, e sua madre si era ritrovata da sola a badare ad una famiglia di quattro bambine e un ragazzo, quasi uomo. Per questo, Louis, subito dopo aver preso il diploma, aveva preso i soldi conservati per il college ed era andato via di casa, restando comunque in buoni rapporti con la sua famiglia. Dopo un po’ di girovagare, dopo aver fatto qualche lavoretto sottopagato e aver cambiato casa per diverse volte, aveva trovato sistemazione in uno stabile poco lontano dal centro di Manchester, una villetta di quattro appartamenti, dei quali uno era occupato da lui; due anziani vivevano  nell’appartamento accanto al suo, e al piano di sotto c’erano due coppie abbastanza giovani. Lui era l’unico single in quello stabile, ma gli andava bene così.
Louis, comunque, come tutti i ventitreenni, aveva un sogno nel cassetto, che sperava di realizzare, presto o tardi. Voleva diventare uno scrittore. Fin da piccolo aveva amato immaginare storie fantastiche, e trascriverle. Certo, da piccolo le disegnava solamente, perché non era poi così bravo ad articolare periodi e frasi, ma poi crescendo si era perfezionato sempre di più e mille bozze giacevano nel suo cassetto. Era stato investito in pieno dalla sua nuova vita, che quasi aveva dimenticato che quelle giacevano lì nel cassetto superiore della sua scrivania. Sapeva che prima o poi, avrebbe rimesso mano alla scrittura, era solo questione di tempo.

 

*

 

Era una sera di giugno calda, ma piovosa, nella città di Manchester.
Louis se ne stava tranquillamente seduto sulla sua poltrona bianca, e sul bracciolo teneva il telecomando. Stava guardando un film, decisamente un troppo noioso. Sbadigliò sonoramente, stiracchiando le braccia verso l’alto. Era stata una giornata sfiancante in libreria. Mille e mille persone erano giunte chiedendo una copia di un libro che stava spopolando in quel periodo, e Louis proprio non si capacitava cosa ci trovassero tutte quelle ragazzine in “Cinquanta sfumature di grigio” non era per niente il suo genere. Ne aveva sfogliate un paio di pagine, ma per lui – che simpatizzava per i classici o per i fantasy – non era niente di che, anzi non aveva nemmeno catturato la sua attenzione. Per questo, si limitava a vendere le copie di quel libro, senza proferir alcun giudizio, in fondo, quello era il suo lavoro, no?
Nonostante ciò, proprio non riusciva a non domandarsi la gente cosa ci trovasse in quel maledetto libro. Reclinò la testa all’indietro sullo schienale della poltrona e chiuse gli occhi. Afferrò il telecomando dal bracciolo e iniziò a fare zapping, aguzzando l’udito, affinché captasse le note musicali di un qualsiasi canale di musica. Almeno si sarebbe rilassato dieci minuti prima di andare a letto. Non appena trovò il canale, lasciò il telecomando e tirò le ginocchia al petto, lasciando la testa contro lo schienale della sua poltrona, cullato dalle note di una canzone che lui non conosceva, si addormentò, senza rendersene conto. Era davvero distrutto.
Dormì in quella posizione scomoda per tutta la notte, e il giorno dopo si svegliò con il torcicollo, e dovette massaggiarsi il collo per diversi minuti prima di riuscire a muoverlo decentemente. Sbuffò e si alzò.
Odiava quando era eccessivamente stanco, e non riusciva a raggiungere il letto per poter dormire correttamente.
Lui ci teneva particolarmente per la sua salute, e non voleva affatto comprometterla. Si stiracchiò stancamente e si recò nella cucina per prepararsi la colazione, come sempre d’altronde, quando passò per il piccolo ingresso, ricordò che la sera prima non avesse controllato la posta, e indossando le sue pantofole colorate, dopo aver recuperato le chiavi della cassetta postale, uscì dal piccolo appartamento, andando nel cortile dove nella sua piccola cassetta metallica trovò una lettera. Chi diavolo gli scriveva una lettera?
Perché era arrivata a lui? Insomma, erano nel ventunesimo secolo, si usavano le e-mail, non le lettere, dov’erano nell’età della pietra? Scosse la testa e aprì la cassetta estraendo la lettera, leggermente ingiallita.
Forse avevano sbagliato, poteva anche essere così, no?
Una leggera brezza estiva proveniente dalla sua destra, gli arrivò sulle spalle lasciate scoperte dalla canotta grigia che indossava, lo fece rabbrividire, e si decise a risalire di nuovo al secondo piano della villetta, rinchiudendosi nel suo appartamento. Non sopportava il vento, sapeva che lo avrebbe fatto ammalare, e lui non ci teneva per niente.
Si recò in cucina con ancora quella lettera in mano, chiedendosi chi fosse stato ad inviargli una lettera ingiallita. Cos’era un pessimo scherzo dei suoi compagni del liceo? Girò la lettera, e vide il suo indirizzo, ma quello non scritto non era il suo nome.
Sig.na Jones Grace”
Chi diavolo era questa Grace Jones? Perché la lettera era indirizzata a lei, ma era arrivata a casa sua?
Da bravo ficcanaso, qual era, Louis aprì la busta ed estrasse una lettera scritta a mano.
Wow, è ingiallita e scritta a mano, dev’essere molto antica! – pensò Louis, girandosi la lettera tra le mani. L’aprì, e vide che non era molto lunga, era meno di una pagina, scritta con una calligrafia impeccabile, e qualche sbavatura, magari era stata scritta con quelle penne antiche, quelle con la forma delle piume e il calamaio pieno d’inchiostro, o forse la penna sbavava. Non lo sapeva, ma adesso si era incuriosito. Voleva sapere cosa contenesse quella lettera, e quindi senza indugi la lesse.
 
“Cara Grace,
sono partito da due anni ormai, e qui siamo sempre in movimento. Spero che stavolta riesca ad inviare la lettera. Te ne ho inviate talmente tante, che ne ho perso il conto, ma ci sono stati mille problemi.
Penso sempre a te. Ogni volta che sopravvivo, sento che è un passo in più verso di te. Sai, qui senza di te, è orrendo. C’è sempre fumo ovunque, c’è puzza di morte ovunque, c’è tristezza ovunque. Piccola mia, tu stai bene?
Non vorrei mai ti capitasse qualcosa di brutto. Ho detto a tua madre, prima di andar via di portarti al sicuro, ora posso dirtelo, perché so che non leggerai mai questa lettera, a meno che io non sia morto qui in battaglia. Oh, spero non accada, altrimenti penso che mi raggiungerai all’altro mondo e mi ucciderai tu, vero?
Sto straparlando come sempre.
Piccola mia, sappi che sei sempre nei miei pensieri, e ogni volta che sopravvivo a qualche battaglia, penso che sono ad un passo dall’arrivare da te, forse questo già l’ho scritto, sai sono un po’ agitato, stanotte ripartiamo, quindi devo consegnare la lettera immediatamente e sto scrivendo molto in fretta. Lo sento, che ti ritroverò, e poi saremo felici.
Grace, ovunque sarai, ti verrò a prendere. Non posso permettermi di perderti.
Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Dannazione, mi sei venuta addosso, e hai riso! Ti rendi conto?
Tu ridevi, e io mi innamoravo di te.
“mi dissero che per farla innamorare, dovevo farla ridere, ma ogni volta che rideva, mi innamoravo io”
La ricordi questa frase? Ah... è così maledettamente vera.
Non ho ancora capito cosa tu mi abbia fatto, esattamente, Jones, ma c’è qualcosa che mi spinge a voler tornare da te.
Sai? A volte ho paura, quando arriva qualche bomba o c’è qualche sparatoria, ho paura di non riuscire a tornare da te, ho paura di non essere abbastanza forte per tutti e due, Grace. Io devo essere forte anche per tutti gli altri. Ci sono tanti ragazzi della nostra età, e tu così giovane hai promesso di aspettare il mio ritorno, vero?
Non ricordo… il nostro bambino sarà nato sicuramente, quindi, digli che gli voglio bene, tanto bene. E penso sempre anche a lui. Non dimenticherò mai il giorno che ti ho conosciuta, il giorno che ti ho detto di amarti, il giorno che ci siamo sposati, e il giorno che mi hai detto che il nostro piccolo sarebbe nato.
Spero sia uguale a te, con i tuoi ricci furiosi e i miei occhi verdi, lo so che ti piacciono i miei occhi verdi, non mentirmi, Jones! Resterei ore a scriverti, ma non posso, amore mio. Devo muovermi.
Sappi che qualsiasi cosa succeda, qualsiasi cosa accada, io ti amerò, sempre, per sempre.
Ti amo,
per sempre tuo,
Harold Styles”
 
Louis lesse quella lettera con il fiato sospeso, le lacrime agli occhi, e un sorriso ebete sul viso.
Era davvero possibile amare così tanto una persona? Oh, insomma, non era possibile.
L’amore per lui era un concetto astratto, che si trovava solo nei libri, che non era ricreabile nella realtà. Perché nessuno amava davvero qualcuno. Lui aveva smesso di credere nell’amore. O meglio, non ci aveva mai creduto, forse solo da bambino, all’età di sei anni vi aveva creduto, ma poi aveva smesso.
Quando all’età di dieci anni, sua madre e il suo padrigno gli dissero che l’uomo che lo stava crescendo non era il suo vero padre, ma che quello vero fosse scappato via quando lui aveva pochi mesi, il suo concetto di amore perfetto iniziò a vacillare, non facendogli credere all’enorme quantità di stronzate dette nelle favole, quando poi otto anni dopo, quando aveva diciotto anni la madre gli disse che stava divorziando dal padrigno, allora Louis capì l’amore non era altro che un ammasso di cazzate, ammucchiate per fare film strappalacrime, libri altrettanto strappalacrime e illudere le ragazzine che ancora ci credevano. Ma ora, con quella lettera tra le mani, pensava che forse non era proprio tutto inventato.
Con cura ripiegò la lettera e la reinserì nella busta che aveva aperto, chiudendola con la massima attenzione. Doveva assolutamente trovare questa donna, e consegnarle la lettera. Anche se erano passati settant’anni, doveva ricevere quella lettera. Controllò l’orario, ed effettivamente era presto, il suo turno sarebbe iniziato solamente due ore più tardi, aveva tutto il tempo di recarsi all’ufficio postale, e poi da qualcuno che avrebbe potuto aiutarlo nella ricerca della donna. Lasciò la lettera sul tavolo, in bella mostra, e andò a prepararsi per uscire.
Aveva una strana idea in mente, qualcosa che forse gli avrebbe cambiato la vita, insomma. Lui voleva fare lo scrittore, e… aveva trovato una lettera d’amore a casa sua. Poteva mica ignorare un segno del genere?
Oh, no di certo. Non l’avrebbe ignorato. Magari era quella la sua fortuna, magari…
Stava divagando troppo con la fantasia. Non sarebbe mai riuscito a combinare nulla, insomma, quale donna avrebbe mai permesso di raccontare la propria storia in un libro? Magari tentare non nuoceva, ma doveva andarci piano, insomma. Dopo settant’anni la donna poteva anche essere morta, e lui si sarebbe ritrovato con una lettera indirizzata a casa sua, e ancora un cumulo di polvere. Ma com’era che diceva sempre sua madre?
Insegui, Louis, se non insegui i sogni non si realizzeranno mai. Tenta, tenta sempre fino a che non riuscirai.
Armato di quei pensieri positivi, prese la sua tracolla, e vi infilò dei fogli, la lettera, una penna nera, il suo cellulare e il portafogli. Appena fu lavato, vestito e pronto, infilò un berretto,  e, afferrate le chiavi della vespa e del suo appartamento, uscì di casa, raggiungendo la vespa nel piccolo cortile che circondava lo stabile. Vi montò e, dopo aver indossato il casco, mise in moto, dirigendosi per prima cosa al centro postale.  Parcheggiato il veicolo, si accinse ad entrare nell’ufficio, e una volta dentro, tolse il casco, posando il berretto all’interno di esso e lo appese al braccio. Dovette far un po’ di fila, prima di riuscire a parlare con chi di dovere, ma riuscì nell’impresa in meno di mezz’ora. Dannazione, dopo un’ora avrebbe attaccato al lavoro, e doveva muoversi.
Non appena si trovò di fronte alla donna dietro lo sportello, tirò un sospiro di sollievo.
“Posso esserle utile?” – chiese lei, con il sorriso sulle labbra, mentre il ragazzo estraeva la lettera dalla sua borsa.
“Sì, per favore, mi servirebbe sapere, ecco… mi è arrivata questa lettera stamattina, ma… non sono io il destinatario. Potrebbe, uhm, dirmi qualcosa sulla donna? O dove posso chiedere informazioni?”
La donna prese la busta e la rigirò tra le mani.
“Probabilmente la donna viveva nello stabile dove vivi tu, e quindi la lettera è arrivata a te, devono esserci stati problemi con le poste, e la lettera è stata rispedita solo ora, non lo so. Magari se chiedi al comune, sapranno dirti di più, ragazzo.” – spiegò la donna. Louis annuì convinto, capendo tutto. In effetti,  sì, all’ufficio postale non avrebbe risolto granché. Ma il lavoro chiamava, avrebbe rimandato al pomeriggio la ricerca della misteriosa donna della lettera.
 
Fortunatamente, quel giorno aveva metà giorno libero, quindi per lui fu facile, staccarsi presto dal lavoro in libreria ed andare al comune a chiedere informazioni, doveva trovarla, doveva almeno consegnarle la lettera che aveva aspettato per anni, insomma, meritava di leggerla. Aspettò con impazienza che qualcuno lo aiutasse, ma non risolse granché, non c’era nessuno lì. Quando finalmente trovò il reparto giusto, si avvicinò ad uno degli sportelli, sbuffando quando vide l’uomo dietro lo sportello alle prese con una partita al solitario sul PC invece che aiutare lui che aveva aspettato la bellezza di due ore il suo turno.
“Ehm, scusi?” – fece, senza ottenere risposta. Tentò con la tosse finta di attirare l’attenzione, ma quello niente –“ehi! Dico a lei, può ascoltarmi per favore?” – strillò quasi esasperato, e solo allora quello gli diede attenzione.
“Credevo non ci fosse più nessuno oggi. Cosa vuoi, ragazzino?”
Ma insomma, che scortesia!
Louis trattenne uno sbuffo internamente, ed estrasse nuovamente la lettera dalla tracolla. La trattava come un oggetto prezioso, qualcosa di estremamente raro. Non lo sapeva, certo, ma secondo lui quella lettera era importante per qualcuno.
“Io ho ricevuto questa lettera, che non è indirizzata a me. Mi chiedevo se può darmi informazioni su Grace Jones” – chiese educatamente, come la sua mamma gli aveva insegnato.
“E perché dovrei dirlo ad un ragazzino come te? Non sei nessuno per saperlo!” – esclamò burbero quello.
“Senta, non è per niente da me cercare informazioni su una persona, la prego, devo ridarle la lettera, è di suo marito, chissà da quanto tempo la aspetta. E’ importate, dannazione!”
Quello borbottò qualcosa, ma Louis non prestò attenzione, attese che digitasse sui tasti del PC i dati richiesti e in men che non si dica, quello stampò un plico con i dati di dov’era vissuta, e dove vivesse adesso questa Grace Jones e consegnandolo a Louis, quasi riluttante.
“Io non ti ho mai dato nulla, non vorrei che tu facessi qualche rapina e incolpassero me.”
“Molto gentile, grazie.” – borbottò Louis, afferrando tutte le carte prima che quell’uomo burbero cambiasse idea e non gliele desse più. Le infilò con cautela nella tracolla e con cura rimise dentro anche la lettera indirizzata a lei, arrivata a lui. Con un cenno del capo salutò l’uomo burbero ed uscì dal comune, risalendo sulla sua moto, e dirigendosi di nuovo a casa. Quella sera avrebbe indagato un po’ su come rintracciare la donna, e su come raggiungerla per consegnarle la lettera.
Perché diavolo faceva tutto quello?
Era una sconosciuta, non sapeva chi fosse, e non sapeva nemmeno se fosse ancora in vita, ma qualcosa dentro di lui, lo spingeva ad andare avanti nella ricerca. Doveva riuscirci, lo sentiva come un suo dovere da bravo cittadino. Per lui, ritrovare quella lettera era stato un colpo di fortuna, e magari per riconoscenza la donna gli avrebbe permesso di utilizzare la sua storia per un suo romanzo. La cosa suonava molto contraddittoria, visto che Louis non credeva nell’amore, e la storia avrebbe parlato d’amore, ma, dannazione, voleva davvero scriverlo.
Appena arrivato a casa, si sistemò nella sua cucina, con gli occhialoni neri e spessi, il ciuffo che gli ricadeva davanti agli occhi, e il plico consegnatogli dall’uomo burbero del comune. Consultò tutto, non diede nulla per scontato, e leggendo tutto arrivò a capire che Grace Jones era nata a Manchester, proprio nella villa dove lui ora occupava uno degli appartamenti, e lì aveva vissuto fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, poi nel 1943 si era trasferita nel Cheshire, ad Holmes Chapel con tutta la sua famiglia, e lì era rimasta.
Bene, aveva una pista. Holmes Chapel era a circa quaranta minuti da dove viveva lui, quindi poteva arrivarci con l’autobus. Si sentiva quasi emozionato. Aveva trovato davvero la donna che cercava, per la quale era arrivata la lettera, per sbaglio, nella sua cassetta postale, probabilmente la lettera era finita proprio nella sua per puro caso, visto che fuori c’erano quattro cassette postali, ma quello era stato un colpo di fortuna per Louis.
Ora, doveva capire solo come mettersi in contatto con lei. Avrebbe potuto chiamare ed avvisare, ma… come poteva dire?
“Salve signora Grace, mi chiamo Louis Tomlinson e per sbaglio mi è arrivata una lettera indirizzata a lei?” – provò parlando da solo –“no, no, le faccio venire un infarto. Sarà anziana, mmh… come posso dire per non farle venire un infarto?” – si alzò di scatto e prese a camminare avanti e indietro per la stanza. Una cosa era sicura, il giorno dopo, di domenica, sarebbe andato ad Holmes Chapel, e avrebbe portato la lettera alla donna. Era suo dovere consegnargliela, male o bene che fosse. Non poteva tenerla, era comunque una cosa privata e personale, lui si era impicciato troppo, leggendola e non poteva non consegnarla. Era davvero motivato a trovarla, e l’avrebbe fatto, fosse stata l’ultima cosa che avesse fatto. No, okay, così suonava un po’ drammatica, ma il concetto era quello. Preparò la borsa con le cose trovate quel giorno, l’indirizzo della donna, e l’eventuale numero di telefono.
Era la prima volta, da quando si era trasferito, che si impegnava davvero per qualcosa che non fosse il suo lavoro. Quasi aveva di nuovo anche l’ispirazione per scrivere, quasi.
Andò a dormire davvero presto, e una volta a letto, provò ad immaginare cosa sarebbe accaduto se avesse avuto successo, o se avesse fallito. Poteva trovare di tutto ad Holmes Chapel. Una vecchia burbera e antipatica, una nonnina simpatica e dolce, una mummia. La sua fantasia vagava, come non aveva mai fatto. Forse stavolta ce l’avrebbe fatta a concludere qualcosa. Tutti i suoi fallimenti gli avevano insegnato che arrendersi non era mai la soluzione giusta, e se ne accorgeva solo ora, dopo essere stato una giornata intera a cercare una donna sconosciuta, per la quale aveva ricevuto una lettera. Sentiva qualcosa dentro, che gli suggeriva che quella era la cosa giusta da fare, sentiva che quella volta qualcosa sarebbe andato per il verso giusto, doveva andare per il verso giusto.
Si addormentò felice, forse emozionato, non lo sapeva, ma nel suo cuore c’era solo spirito positivo.
 
La mattina dopo, di buon’ora, Louis si alzò dal letto, e si preparò con cura. Non voleva apparire strambo, o formale, o… qualsiasi altra cosa. Voleva essere semplicemente impeccabile, per fare bella impressione sulla donna.
Certo, lei non sapeva nemmeno chi fosse lui, rischiava un infarto trovandosi di fronte un ragazzo sconosciuto che sosteneva di aver trovato una lettera indirizzata a lei, ma Louis ci teneva a fare bella figura su di lei, perché… non lo sapeva effettivamente il perché, ma voleva davvero impressionarla, per non spaventarla.
Si preparò per bene, indossò una maglia a maniche corte blu, un paio di jeans normali, sistemò i capelli, e decise di tenere gli occhiali per sembrare più intellettuale.
Uscì in fretta afferrando la tracolla, le chiavi e tutto ciò che gli serviva, avviandosi verso la stazione degli autobus con la moto, e la lasciò nel parcheggio antistante quella, chiedendo poi informazioni su quale autobus dovesse prendere per andare ad Holmes Chapel, comprò il biglietto e certo che l’autobus sarebbe partito dopo diversi minuti, ne approfittò per andare nel bar più vicino e comprare la colazione, che aveva dimenticato di fare, troppo preso dai suoi pensieri. Una volta acquistato tutto, salì sull’autobus indicatogli e attese che quello partisse.
Dopo una decina di minuti, l’autobus partì, e per quaranta minuti Louis dovette ascoltare la storia di una donna, che gli raccontava che andasse a trovare suo figlio avvocato, gli sembrava scortese mettere le cuffie e isolarsi dal mondo, non era da lui essere maleducato. Quindi per quei benedetti quaranta minuti infiniti, ascoltò ciò che la donna gli diceva, fino a che non giunsero a destinazione. Appena arrivati, Louis educatamente salutò la donna, e afferrando le sue cose, uscì dal mezzo di trasporto e si avventurò per le vie di quel paese che per lui era totalmente sconosciuto.
Percorse le stradine per un po’, consultando il plico preso al comune con l’indirizzo, e dopo aver chiesto ad un paio di passanti le indicazioni, giunse davanti alla villetta della signora Jones. Era una piccola villetta, un po’ isolata rispetto alle altre. Le pareti esterne erano di un tenue rosa pastello, e il giardino antistante era completamente pieno di fiori di ogni genere, predominavano le rose, ma potevano esserci anche margherite, gerani di vari colori e tanti tipi di fiori a Louis sconosciuti. Quello che sorprese Louis fu il fatto che il giardino non fosse circondato da alcuna recinzione, e che non vi fossero presenti cancelli esterni. Probabilmente quella era una zona sicura.
Percorse il piccolo vialetto che lo divideva dalla porta d’ingresso, e quando fu di fronte ad essa, titubò qualche istante. Forse non era stata un’idea geniale andare lì, forse avrebbe dovuto farsi gli affari suoi, forse…
Prima che potesse pensare all’ennesimo forse, il suo dito meccanicamente si posò sul campanello, e un suono un po’ stridulo gli ferì le orecchie, facendolo sussultare appena. Louis prese a sudare freddo, mentre i suoi piedi poggiavano su uno zerbino ocra con su scritto “Welcome” a caratteri cubitali neri. Si fissò i piedi, per tutto il tempo dell’attesa, fino a che la porta non si aprì. Non ebbe il coraggio di alzare la testa, fino a che una voce soave, roca e maschile giunse alle sue orecchie.
“Desidera?”- chiese, appunto, la voce. Louis deglutì un paio di volte, prima di alzare lo sguardo, e perdersi letteralmente. Di fronte a sé, c’era un ragazzo. Un ragazzo, che se Louis non fosse stato sicuro che si trovasse davanti a lui in quel momento, avrebbe scambiato per etereo, finto, irreale. Dei ricci scuri, disordinati e indomabili gli ricadevano sulla fronte e sul viso chiarissimo, gli occhi – dannazione, che occhi! – di un verde a metà tra lo smeraldo, il verde prato e il verde pastello, un’esplosione di verde che fece mancare il fiato a Louis, la pelle chiara, troppo chiara per essere umana, e l’altezza decisamente maggiore alla sua. Non appena percepì lo sguardo perplesso dell’altro, tornò in vita, cercando di darsi un contegno. Non aveva mai visto ragazzo più bello in vita sua.
“M-mi chiamo, uhm, Louis Tomlinson, e-e ecco, insomma, mi è arrivata una lettera… per la signora Grace Jones, e-e volevo consegnargliela, ecco, vivo nell’appartamento dove lei viveva… circa settant’anni fa, e-e…” – non riusciva a parlare per l’agitazione, gesticolava ad ogni parola, cercava di staccare gli occhi da quelle iridi meravigliose, cercava di darsi un contegno che non riusciva a trovare, in più a tutto questo si aggiungeva l’imbarazzo, cosa a cui non aveva pensato minimamente.
“Grace Jones è mia nonna, io sono Harry Styles.” – sorrise il riccio, cercando di capire se il ragazzo strano che era arrivato da lui dicesse la verità o no –“posso vedere la famosa lettera?” – chiese.
“Oh sicuro” – borbottò Louis, aprendo la tracolla e cercando la lettera. Dopo alcuni istanti con una cura incredibile la prese tra le mani piccole, e la consegnò al ragazzo, Harry, che gliel’aveva chiesta. Il giovane inarcò una spalla, appoggiandosi allo stipite della porta, e a Louis si seccò la saliva in gola, tanto che trattenne il fiato. Harry, quel dio greco che aveva accolto Louis, indossava una canotta bianca, sotto la quale, dopo quel movimento, si delinearono tutti i muscoli del ragazzo, mettendo in bella mostra anche i bicipiti del ragazzo, e cielo, dove sono capitato, in paradiso?  - pensò il castano guardandolo fisso.
A Louis non erano mai piaciuti i ragazzi, ma nemmeno le ragazze. Lui non considerava proprio l’amore, né l’attrazione fisica,  lui era quasi asessuato, anche se non si poteva dire che lui fosse l’eterosessualità fatta persona, molti suoi atteggiamenti erano dannatamente femminili. Non provava interesse per nessun essere vivente, a meno che non fossero state le sue sorelle o sua madre. Non si affezionava nemmeno ai suoi amici, né tantomeno gli piacevano. Invece quel ragazzo stava avendo su di lui un effetto davvero strano. Il riccio aprì la lettera, e con meno cura di come avesse fatto Louis, la estrasse aprendo anche il foglio. Con gli occhi fissi sul foglio, la fronte un po’ aggrottata, l’espressione concentrata, e i ricci a contornare quel viso angelico – sotto il modesto parere di Louis – Harry prese a leggere la lettera indirizzata a quella che probabilmente era sua nonna, e un sorriso timido nacque sul suo viso.
“Harold Styles era mio nonno…” – borbottò –“io porto lo stesso nome, in realtà Harry è il diminutivo di Harold, non so nemmeno perché te lo sto dicendo, però…” – si morse il labbro –“mia nonna sarebbe felice di ricevere questa lettera. Ti va di entrare, Louis Tomlinson?” – fece infine, sciogliendosi in un sorriso che mozzò il fiato a Louis per qualche istante, ma che con un pizzico di lucidità, annuì. Il riccio si spostò dalla porta, e ripiegando con cura la lettera, la ridiede al castano, che lo guardò aggrottando le sopracciglia.
“E’ di tua nonna, mica mia” – sorrise – “non mi appartiene.”
“Ma l’hai ritrovata tu, quindi sei tu che devi restituirla, mh?”
“Oh… d’accordo” – borbottò timidamente, riprendendo la lettera tra le mani, e sorridendo appena, mentre il riccio gli faceva segno di entrare in casa. Lentamente Louis mosse qualche passo all’interno della casa, guardandosi intorno stupefatto. Quella casa era davvero accogliente. Le pareti erano chiare come l’esterno, la stanza luminosa, a destra della piccola anticamera, la quale con le scale poco più avanti divideva l’ingresso a metà, c’era un salotto con un divano coperto da un lenzuolo ricamato, una libreria  piena zeppa di libri e altre cose che Louis non riuscì a vedere dalla posizione in cui si trovava, a sinistra invece una porta chiusa probabilmente conduceva alla cucina. Harry lo condusse a destra, dove Louis ebbe l’intera visuale del salotto. Il divano era davvero ricoperto da un lenzuolo ricamato, di fronte ad esso c’era un televisore non molto grande, dall’altro lato di fronte alla libreria c’era una sedia a dondolo, piazzata davanti ad un caminetto spento. Sulla sedia a dondolo era seduta una donna anziana, i capelli bianchi raccolti in una croccia ben ordinata, gli occhi socchiusi, coperti da un paio di occhiali rotondi e piccoli, i ferri per la lana tra le mani, l’espressione rilassata, e con i piedi coperti dalle pantofole si dondolava sulla sedia mentre tesseva qualcosa con la lana.
“Nonna, c’è un ragazzo che vuole consegnarti qualcosa!” – esclamò il riccio, avvicinandosi a lei.
“Oh Harry caro, chi è? Un tuo amico?” – chiese la donna con una voce arrochita dall’età.
“No, nonna. E’ un ragazzo di…” – lo guardò interrogativo, non ricordando da dove provenisse, o forse non gliel’aveva proprio chiesto, oh, poco importava.
“Manchester, vengo da Manchester, vivo nello stabile dove lei viveva settant’anni fa, e… beh, ecco, mi è arrivata una lettera indirizzata a lei, probabilmente si era smarrita nelle poste, ed è stata recuperata solo in questi giorni. Mi sentivo in dovere di consegnargliela.”
“Devi essere un ragazzo davvero determinato per compiere un viaggio solo per consegnarmi una lettera, uhm?” – indugiò sul nome, e il ragazzo si lasciò scappare un sorriso divertito, e scosse appena la testa.
“Louis, mi chiamo Louis Tomlinson, signora.” – rispose indirettamente alla domanda del ragazzo, che una volta più vicino a lei, le mise tra le mani la busta della lettera. Lei prima posò sulle gambe la lana e i ferri, e poi si rigirò la lettera tra le mani, quasi studiandola a fondo, tastandone la consistenza, passò le dita esili sulla carta ingiallita, quasi volesse evocare ricordi antichi. Per tutto il tempo, aveva tenuto gli occhi chiusi, e Louis quasi si era sentito in colpa, forse la donna era stata presa dalla cecità senile, e non avrebbe potuto leggere nulla.
Ma poi un sorriso si dipinse sul viso della donna, sulle gote rigate delle rughe, comparvero due fossette adorabili, quasi quanto quelle del riccio, che fissava la nonna con gli occhi spalancati quasi fuori dalle orbite.
La donna si sistemò gli occhiali sul naso, e con delicatezza aprì la busta estraendone il foglio. Pian piano lo aprì del tutto, e iniziò a leggere la lettera che probabilmente aspettava da una vita. Louis poteva notare il velo di lacrime negli occhi della donna, ma poi un sorriso dolce increspò le sue labbra, gli occhi sorrisero con le labbra, e la donna sembrò acquistare felicità. Felicità pura, qualcosa di intangibile, qualcosa che Louis  non sapeva spiegare a parole, qualcosa che lasciò basito anche il nipote della donna, qualcosa di inspiegabile, la donna sembrava ringiovanita di settant’anni, il suo viso risplendeva di una luce nuova, una luce di felicità, di parole custodite nel cuore, di speranze, di cose che né Harry, né Louis riuscirono a vedere. A lettura ultimata, la donna regalò al castano un sorriso sincero, pieno ancora di quella felicità che l’aveva avvolta durante la lettura di quel foglio che ad occhi di semplici umani poteva sembrare una banale lettera d’amore, scritta in periodo di guerra, ma per occhi innamorati, quali quelli della donna, quella lettera voleva dire tanto.
Una lacrima le rigò il viso, percorrendole tutta la guancia, fino a soffermarsi sul mento, dal quale crollò verso il basso, adagiandosi con grazia sul tessuto che la donna stava tessendo.
Harry immediatamente fu vicino alla nonna con un fazzoletto, pronto a raccogliere le sue lacrime, ma la donna lo fermò. Non ne aveva bisogno, non aveva lacrime da versare, non più.
“Tu, ragazzo mio, non puoi sapere che gioia mi hai regalato, restituendomi questa lettera. Ti devo molto. Come posso ripagarti?” – chiese con gentilezza, guardando il ragazzo dritto negli occhi.
Per un attimo nella mente di Louis passò il flash. Era l’occasione perfetta per farsi raccontare tutta la storia, e cavarne qualcosa di bello per il suo libro, ma la bramosia di sapere non era mai stata tra le sue ambizioni, e nemmeno i pettegolezzi. Non gli piaceva immischiarsi negli affari della gente, nemmeno per i suoi scopi personali. Avrebbe trovato altri spunti per un suo probabile libro, gli bastava aver regalato un sorriso con il suo gesto.
Per questo, le sue labbra si aprirono in sorriso luminoso, e scosse la testa energicamente, lasciandosi scappare un risolino.
“Oh, niente, davvero. L’ho fatto con piacere. E poi non era giusto tenerla, non era mia.” – disse, quindi. Ma la donna, anziana e saggia, scosse a sua volta la testa.
“Louis, sembri un ragazzo meraviglioso, ma le bugie non si dicono, a nessuna età. Ti va di fare due chiacchiere davanti ad una tazza di tè?” – chiese con gentilezza, indicandogli il divanetto poco distante dalla sedia a dondolo della donna, che Louis poco prima non aveva per niente notato.
“Beh, non è educato rifiutare del tè, no?” – sorrise a sua volta.
“Accomodati, allora. Harold, prepari tu il tè?” – chiese poi al nipote, sorridendo, che annuì energicamente e con un cenno di mano si recò nella piccola cucina che si trovava dall’altro lato dell’ingresso, che poco prima avevano attraversato.
Louis timidamente si sedette sul divanetto di fronte alla donna, e iniziò a scrutarla attentamente. Era una via di mezzo rispetto a quello che aveva immaginato, aveva l’espressione severa, saggia tipica delle donne d’altri tempi, allo stesso tempo era dolce, e gentile come tutte le nonne dovevano essere. Un mezzo sospiro gli scappò dalle labbra, lui sua nonna non l’aveva mai conosciuta, ma non ne aveva mai fatto un dramma, tanti ragazzi non conoscevano mai i propri nonni.
La donna gli rivolse un’occhiata eloquente, sorridendogli con dolcezza.
Louis cercava di nasconderlo, ma si sentiva maledettamente in imbarazzo davanti a lei, ed anche davanti al nipote. Non sapeva perché, ma sentiva, di essere inadeguato a quell’intimità che c’era tra nonna e nipote. Era qualcosa che si palpava a mani nude, qualcosa che nessuno poteva spiegare a parole. Da cosa lo aveva capito? Dagli sguardi che si erano lanciati prima e dopo la lettura della lettera. Harry appariva tranquillo e pacato, ma il suo sguardo preoccupato era visibile anche ad occhio nudo, chiunque l’avrebbe notato, persino un cieco, mentre la donna guardava il nipote con lo sguardo tipico di una nonna, fiero, orgoglioso, uno sguardo pieno d’amore, un amore quasi materno forse di più.
“Allora, Louis, tu cosa fai nella vita?” – chiese pimpante la donna, risplendente della nuova felicità datale dalla lettera.
“Beh, io? Diciamo… che lavoro in una libreria, a Manchester.”
“Ami i libri, quindi?”
“Oh, da morire. Sogno di essere uno scrittore, ma… ecco, non ho mai finito nessun lavoro iniziato. Arrivato al secondo capitolo, mi veniva il blocco.” – le parole uscivano dalla sua bocca senza controllo, non se n’era nemmeno accorto di star confessando uno dei suoi più grandi segreti a qualcuno – “…poi il lavoro mi ha preso del tutto, e non mi sono più messo al lavoro.” – si strinse nelle spalle, perché lui avrebbe tanto voluto scrivere –“ma la speranza è l’ultima a morire, no?”
“Giusto, ragazzo.” – sorrise la donna – “e scommetto che dopo aver letto la lettera di mio marito, ti è venuto in mente di chiedermi la nostra storia, per poter prendere spunto, vero?” – chiese cogliendo il cipiglio di Louis.
Il ragazzo avvampò immediatamente, portò le mani davanti a sé e le mosse velocemente scuotendole.
“Oh, no, no!” – esclamò troppo velocemente – “i-io, n-no! Da-davvero, n-no! N-non volevo ap-profittare, n-no!”
Ma come diavolo se n’era accorta? Non era possibile, aveva un sesto senso o cosa?
“Ragazzo, sei davvero adorabile, sai? Saresti perfetto per mio nipote, sei spontaneo.” – ridacchiò la donna –“te lo si legge negli occhi che sei curioso, ma troppo timido per chiedere.”
Louis avvampò ancora di più. Era così evidente la sua voglia di sapere? Era così evidente che voleva prendere spunto da quella lettera per scrivere qualcosa di suo? No, dannazione, aveva fatto l’ennesima brutta figura.
Prese a torturare il tessuto dei jeans, mordendosi freneticamente il labbro inferiore.
Le gote erano terribilmente arrossate, i suoi occhi guardavano per terra, il piede destro picchiettava per terra con insistenza, la donna invece lo scrutava attentamente, mentre era intendo a compiere quei movimenti curiosi, proprio in quel momento un goffo Harry arrivò con un vassoio enorme, tre tazze da tè, pasticcini, e altre cose che Louis dal suo punto di vista non riusciva a capire cosa fossero. Con un piede, Harry trasportò uno sgabello circolare e lo portò fino a dove Louis e la nonna si trovavano, e una volta lì, adagiò il vassoio sullo sgabello.
“Un cameriere provetto” – borbottò Louis, osservando, ora come il riccio versasse con cura il tè nelle tazze, metteva una zolletta e mezza in una tazza, lo mescolava con cura, e lo consegnava alla donna con un sorriso meraviglioso a decorargli le labbra. Poi verso dell’altro liquido in un’altra tazza e si voltò verso di lui con un sorriso e:
“Quanto zucchero?” – chiese sorridendo. Louis avvampò di nuovo, e gli fece segno con le dita ‘tre’, aveva la bocca come paralizzata. Non sapeva cosa dire, e non voleva rompere quell’atmosfera che era venuta a crearsi in quel salotto. Harry con la stessa minuzia mise le tre zollette nell’altra tazza e lo mescolò per un po’, passandolo al castano con un sorriso adorabile sulle labbra, e il ragazzo subito prese la tazza tra le mani abbozzando un sorriso timidissimo.
Poi il riccio prese un’altra tazza, versando dell’altro tè, e mettendo ben cinque zollette di zucchero. Forse era dal tè dolce, che Harry prendeva tutta la dolcezza che emanava. Louis non lo conosceva affatto, eppure sapeva dentro di sé che quel ragazzo fosse dolce. Era una sensazione a pelle.
Louis sembrava rapito dai movimenti di Harry, sembrava perso in quelli, e cercava in tutti i modi, un modo per non pensare al fatto che quel ragazzo l’avesse quasi folgorato con uno sguardo.
Grace parve capirlo, e fece un cenno al nipote, per fargli intendere che avesse fatto colpo. Harry non era un tipo chiuso, o apatico, era un tipo piuttosto socievole, anche se estremamente timido, ma gli veniva quasi facile, dopo anni di esperienza, nascondere la sua timidezza, tuttavia, quando si era trovato davanti quel ragazzo, quel Louis Tomlinson, qualcosa dentro di lui era scattato, e Grace l’aveva intuito. Certe cose, non sfuggivano all’occhio attenta di una nonna. Aveva visto il luccichio negli occhi del nipote che mancava da tempo, non era stupida. Sapeva che il nipote fosse attratto dal suo stesso sesso, se n’era accorta quando il nipote alla proposta di vedere la figlia di un’amica di famiglia, aveva storto il naso. Certo, per una donna d’altri tempi, era difficile da accettare, ma era suo nipote, l’avrebbe amato comunque, e si era accorta che quel giovane appena giunto non fosse tanto indifferente al nipote. Harry non lasciava entrare facilmente estranei in casa.
Harry si era seduto accanto a Louis, e involontariamente aveva portato un braccio sullo schienale del divano proprio dietro alle spalle di Louis, i due erano estremamente vicini. Louis inizialmente era in forte imbarazzo, mentre Harry appariva disinvolto, e Grace li guardava con tenerezza. Se proprio il nipote voleva stare con un ragazzo, avrebbe preferito cento volte quel simpatico e timido ragazzo di Manchester che qualche teppista della scuola che aveva finito da qualche anno Harry, ora si occupava di lei a tempo pieno, non aveva un lavoro, la pensione del nonno e di Grace era abbastanza alta da mantenere entrambi, e per la donna era anche meglio, evitava che il nipote corresse qualche inutile pericolo.
Si trovavano allegramente a chiacchierare con quel ragazzo appena giunto da Manchester, fino a che Grace non sentì  il nipote esclamare: “Da dove hai detto che vieni?” – chiese mordendosi il labbro inferiore.
“Manchester, ma sono nato e cresciuto a Doncaster!”
“Oh, mi piacerebbe vedere Manchester, mi hanno detto che è… bella?” – fece titubante, guardando il ragazzo di fronte a sé con un luccichio strano negli occhi.
“Non sei mai stato a Manchester? Ma insomma, è a quaranta minuti da qui, sì, comunque non è male. Scusa la domanda, ma sembri… grande! Non ti do meno di diciotto anni, è impossibile che tu non conosca Manchester!”
“Ne ho venti, e sono sempre stato qui” – confessò torturandosi le mani strette le une alle altre, e si morse nuovamente il labbro, indeciso se continuare o meno con quella storia.
“Sì, un po’ è colpa mia, vedi, Louis, i genitori di Harry sono… venuti a mancare quando Harry era molto piccolo. Avevo già perso mio figlio, e non volevo perdere anche mio nipote” – intervenne la donna. Louis abbassò la testa mortificato. Non sapeva, non aveva proprio immaginato che Harry fosse solo con la nonna.
“M-mi dispiace, i-io non lo sapevo. Davvero, uh, scusa Harry, davvero, non volevo, mi scusi anche lei, signora Grace, non volevo essere invadente, uhm, io… andrei allora…” – balbettò sconclusionato, guardandosi intorno stralunato e spaesato, fece per alzarsi, ma Harry lo trattenne per un braccio, vincolandolo accanto a sé.
“Non importa, resta. Non mi sono offeso, non potevi sapere. E poi ero davvero piccolo, non ricordo nemmeno com’è successo, su!” – sorrise il riccio, ma Louis, empatico, riuscì a captare il velo di dolore che attraversò i suoi occhi in quel momento, e senza riflettere, fece l’unica cosa sensata che gli venne in mente. Si sbilanciò verso il riccio e lo abbracciò forte. Il ragazzo sussultò, ma apprezzò il gesto ricambiandolo con vigore.
“Io vado a preparare il pranzo, vi lascio fare amicizia, siete davvero dolci insieme.” - ridacchiò la nonnina, dirigendosi a passo lento e cadenzato verso la cucina con un bastone ad aiutarla nei movimenti e Louis, solo in quel momento notò che la donna avesse ancora la lettera stretta tra le mani, e di tanto in tanto la accostava al petto, a sinistra, proprio sul cuore.
“Nonna, ti aiuto, aspetta!” – fece Harry staccandosi da Louis e raggiungendola.
“Harold, quante volte devo dirtelo che sono ancora una giovincella e riesco a camminare perfettamente da sola?”
“Nonna, hai novant’anni, per favore, lasciati aiutare, santo cielo!” – ribatté il ragazzo, prendendo la donna sotto il braccio, e mormorando a Louis un “aspettami qui, torno subito”. Il castano annuì e riportò le mani sul suo ventre giocandoci, mentre Harry accompagnava sua nonna in cucina, le preparava le stoviglie e gli ingredienti che avrebbe dovuto usare e dopo essersi assicurato che non corresse il rischio di cadere, tornò da Louis.
Se c’era una cosa che Harry non sopportava, era l’idea di perdere sua nonna, e restare completamente solo.
“Ehi scusa, fa sempre così.” – sorrise radiosamente.
“Sì, capisco… beh, è normale, si sente ancora giovane. Credo… sia normale, che le signore anziane che vengono in libreria dicono di non aver bisogno di una mano, e invece… puntualmente uno di noi deve aiutarle. Credo, ecco, sì, sia normale.”
“Ma tu sei sempre così logorroico quando sei a disagio, o lo fai solo con me?” – chiese il riccio, ridacchiando.
Un momento, ci sta provando con me? – pensò Louis notando che il riccio si fosse sporto troppo verso di lui, e che lo osservasse da vicino, molto vicino.
“Uhm, io… devo stare zitto? Posso anche stare zitto se vuoi, non mi viene particolarmente facile, però uhm sì. Posso stare zitto.” – fece Louis gesticolando, quando era a disagio parlava tanto e gesticolava, muovendo le mani convulsamente in circolo, stringendo le dita, o articolandole come a voler spiegare il concetto, muoveva la testa accompagnando i gesti delle mani, ed Harry se n’era accorto, per questo scoppiò a ridere, mentre il castano continuava a straparlare. Harry rideva e Louis era rapito dalla sua risata, ma continuava a parlare per giustificarsi.
“Louis?”
“Sì?”
“Sta zitto.”
 
 
Louis trascorse tutta la giornata in compagnia con Harry e Grace, si sentiva a suo agio con loro, quasi come se non fosse stato un estraneo arrivato solo quella mattina. Quasi non provava più imbarazzo a chiedere alla donna di rivelargli qualcosa sulla sua storia d’amore. Qualcosa che non aveva mai scoperto, era proprio l’amore. Non ci aveva mai creduto, se non da piccolo, per lui era inconcepibile poter amare qualcuno anche a distanza di anni, come Grace amava Harold.
Abbozzò un sorriso timido, prima di riuscire a formulare mentalmente la richiesta, con la maggiore educazione possibile, senza apparire invadente.
“I-io, mi sento in imbarazzo a chiederle, signora Grace, qualcosa riguardo, la sua… ehm storia?” – la donna gli sorrise prendendo fiato, ma Louis riprese a parlare alla sua velocità supersonica, tipica di quando era agitato –“è-è che mi piacerebbe davvero tanto sapere qualcosa, io non so niente dell’amore, davvero, non l’ho mai provato, né ci credo, e-e vedere lei che ama ancora suo marito dopo settant’anni, diavolo, settant’anni! Mi stupisce, io davvero…”
“Louis!” – esclamò Harry appoggiandogli una mano sulla spalla, per calmarlo. Quel ragazzo era davvero isterico a volte, e questo divertiva da morire Harry, che ora gli accarezza lascivamente lo spazio lasciato scoperto dalla maglietta tra il collo e la spalla per tranquillizzarlo.
“Che… c’è?” – sussurrò talmente a bassa voce che solo Harry, seduto accanto a lui, poté sentirlo.
“Sta calmo, la nonna non ti mangia mica, vero nonna?”
“Oh no.” – sorrise – “ma mi aspetto che tu scriva un libro, e lo finisca, siamo intesi?”
Louis si lasciò andare contro lo schienale della sedia rilassandosi. Erano in cucina, radunati attorno al tavolo prendendo del caffè, e Grace non riuscì a trattenersi dal sorridere maternamente alla vista del nipote così premuroso con qualcuno. Harry era un po’ freddo con le persone, Grace non ricordava quale fosse stata l’ultima volta che aveva visto il nipote manifestare affetto verso qualcuno che non fosse lei.
“Sicuramente!” – esclamò Louis pimpante. Non vedeva l’ora di scoprire cosa si nascondesse dietro al mistero dell’amore. Ignorava totalmente cosa potesse solo significare la parola amare. Per lui era un concetto inspiegabile, era astratto, per questo moriva dalla voglia di sapere tutto su quella storia d’amore che lui aveva per caso scoperto.
Non aveva mai creduto alle storie inventate come Romeo e Giulietta, Tristano e Isotta, Ron ed Hermione, Paolo e Francesca, Renzo e Lucia, Amore e Psiche, Ulisse e Penelope, Lancillotto e Ginevra, Orfeo e Euridice, Orlando e Angelica, Teseo e Ippolita, Amleto e Ofelia. Sebbene avesse letto e studiato il tema dell’amore, perché era quello più ricorrente nella letteratura inglese e non, lui semplicemente non credeva che si potesse amare in modo così logorante da arrivare alla morte per amore, per lui erano solamente parole scritta, senza un vero valore, senza che quest’amore fosse stato davvero provato dallo scrittore, o da qualcuno che egli conosceva.
Ma forse il suo concetto d’amore stava per essere rivoltato come un calzino, forse quella donna gli avrebbe dato una prova vivente e tangibile che l’amore vero, quello puro come l’anima di un bambino piccolo, esisteva davvero. Lo poteva leggere nei suoi occhi. Per questo aguzzò l’udito, e si concentrò per immagazzinare più nozioni possibili.
“Io e Harold ci siamo conosciuti quando eravamo dei ragazzini, vivevamo entrambi a Manchester” – esordì la donna con un sorriso, dopo aver preso un respiro profondo –“gli sono caduta addosso mentre facevo la spesa. Lo ricordo ancora, lui indossava gli abiti tipici dei campagnoli, una di quelle salopette orrende e un cappello di paglia, scoppiai a ridere subito, e lui mi seguì immediatamente. La sua risata, la ricordo ancora, era qualcosa di stupendo. Era una sinfonia più bella delle sinfonie di Beethoven.” – sorrise, aveva gli occhi chiusi, e  un tenero sorriso sulle labbra –“è stato amore a prima vista. Da quel giorno non ci siamo più lasciati.” – parlava sorridendo e Louis non poteva credere ai suoi occhi, quella donna sorridesse ancora dopo tutti quegli anni ricordando il marito. Sua madre non aveva mai parlato così di suo padre, ne era sicuro –“Era il lontano 1937, siamo stati amici per più di tre anni, prima di renderci conto di essere innamorati, in quei tre anni ne abbiamo combinate di tutti i colori, avevamo solo quattordici e sedici anni.” – le guance della donna si tinsero appena di rosso prima di continuare – “il nostro primo bacio è stato sotto la pioggia, io avevo diciassette anni, e lui diciannove. Si era arruolato già da due anni. Nel ’39 il Regno Unito è entrato in guerra, lo sai, vero?” – la donna fece una pausa, mentre Louis annuiva ed Harry le passava un bicchiere d’acqua e subito dopo aver bevuto riprese il racconto – “quindi lui doveva partire, ma non voleva partire per la guerra senza avermi detto ciò che provava. Poi, però, lui non mi spiegò mai il perché, riuscì a restare a casa ancora un anno. Quello fu l’anno migliore della mia vita. Ci sposammo circa otto mesi dopo, e…” – un altro timido sorriso si dipinse sulle sue labbra, un sorriso che esprimeva amore da tutte le direzioni –“…abbiamo concepito il nostro bambino, Edward, il padre di Harry” – disse allungando una mano verso il nipote e affondando la mano nei ricci fluenti e morbidi del ragazzo, che arrossì appena – “poi è partito. Per i primi tempi riusciva a scrivermi di tanto in tanto, poi… basta. E’ tutto finito. Credevo mi avesse dimenticata, avesse dimenticato il figlio che aspettavamo, ma mi aveva promesso che sarebbe tornato, e io che l’avrei aspettato.” – una lacrima le rigò una guancia veloce e rapida –“poi la guerra è finita, e lui non è tornato. Nel frattempo Edward era nato, e dovevo occuparmi di lui.” – sospirò rassegnata –“poi mi arrivò un telegramma… che diceva che mio marito fosse morto in battaglia. Ma non ho mai smesso di aspettarlo. In qualche modo dovevo sconfiggere il dolore, no? L’ho aspettato, l’ho aspettato per tanto, e poi sei arrivato tu, con la lettera datata 1943 di mio marito. E ha trovato il modo di tornare da me. Harold non si smentisce mai.”
Louis aveva gli occhi lucidi. Non credeva che si potesse davvero aspettare per così tanto tempo, qualcosa che si era certi, non sarebbe mai più tornata indietro, eppure quella donna sorrideva ancora, Louis lo vedeva il sorriso sulle labbra della donna. Aveva dedicato la sua vita alla famiglia per non pensare al marito morto in battaglia, aveva cresciuto un figlio da sola, e poi si era occupata del nipote, perché la vita ingiusta le aveva portato via anche il figlio, lasciandole solo il nipote, che ora le teneva le mani, incitandola ad andare a riposare un po’. Harry si preoccupava davvero tanto per quella donna, era chiaro.
 “Nonna, hai preso le pillole per il cuore?” – chiese Harry, mentre la manteneva con un braccio sul fianco e con l’altro intrecciato alla sua mano.
“Sì, Harold, le ho prese, ‘sta tranquillo.” – brontolò – “mi raccomando, giovanotto. Mi aspetto un bel libro con la mia storia.” – disse poi rivolgendosi a Louis, che sorrise annuendo. Sicuramente si sarebbe messo a scrivere in poco tempo, una volta a casa l’avrebbe fatto sicuramente.
“Certo, non si preoccupi, lo farò!”
Harry la accompagnò di sopra, nella camera da letto, mentre Louis rimase solo con i suoi pensieri.
Esisteva davvero l’amore, quindi?
 
 
“E’ carino quel ragazzo” – ridacchiò Grace, mentre Harry la faceva sedere sul letto matrimoniale nella sua stanza.
“Sì, molto carino. Specialmente quando parla tanto e gesticola, è così carino!” – esclamò Harry tingendosi di rosso. Sapeva che sua nonna approvasse il suo interesse verso i ragazzi, ma non voleva mai spingersi troppo oltre.
“Mi piace molto di più lui, che quello lì con i capelli rosa che hai fatto venire l’ultima volta.” – fece la donna stendendosi sul letto stancamente.
“Nonna, ne abbiamo già parlato, Nick è solo un amico, non mi piace, tranquilla.”
“Meglio.” – borbottò lei socchiudendo gli occhi, mentre il nipote con delicatezza la copriva con un lenzuolo, e le lasciava un bacio sulla fronte, prima di lasciarla sola in camera per farla riposare. Non voleva affatto che lei si sforzasse troppo. Era troppo fragile e delicata. E Harry sapeva che era davvero tanto anziana, non era stupido, sapeva che prima o poi, il momento di salutarla per sempre sarebbe giunto, ma lui non ci pensava, e cercava di far vivere sua nonna più al lungo possibile. La portava una volta a settimana dal dottore per i controlli di routine, restava la maggior parte del tempo a giocare con lei a briscola nel salotto di casa, o guardavano un film insieme, si faceva fare buffi cappelli di lana da lei, controllava costantemente che non si stancasse e che prendesse le sue medicine, e tante altre piccole cose che gli assicuravano di tenerla sottocontrollo, e che non si affaticasse troppo, vista la sua veneranda età. Non poteva farci niente se sua nonna era tutta la sua famiglia, tutto ciò che gli era rimasto. Aveva solo quattro anni, quando i suoi genitori lo avevano lasciato, non aveva mai saputo come, Grace si era sempre rifiutata di raccontarglielo, perché sosteneva che fosse troppo piccolo. Col passare del tempo, aveva anche smesso di domandare, aveva capito che sua nonna era un osso duro, e non gli avrebbe mai rivelato nulla. Lei sosteneva per non traumatizzarlo, e infatti aveva ragione, crescendo senza sapere come fossero mancati i genitori, Harry era cresciuto quasi normalmente, con la nonna, senza genitori, ma senza particolari traumi infantili, del resto, a quattro anni, non avrebbe mai capito cosa fosse accaduto davvero. Grace, però, spaventata da ciò che era accaduto al figlio, aveva sempre tenuto il nipote con sé, proteggendolo da tutto e da tutti, ma Harry sapeva che sua nonna non aveva davvero voluto impedirgli di vivere la sua vita, che l’aveva fatto solo proteggerlo, per non perderlo, ed Harry non le aveva mai fatto una colpa di questo, alla fine anche a lui faceva piacere passare del tempo con lei, ascoltare le sue storie. Certo, aveva fatto le sue esperienze, ma nel circondario di Holmes Chapel, ogni volta che usciva, sapeva che sua nonna rimasse a casa ansiosa, che lo aspettasse sveglia fino ad ore improponibili, e quando metabolizzò davvero la cosa, iniziò a non tornare più tardi, e pian piano aveva anche smesso di uscire con i suoi amici la sera, perché gli anni per sua nonna aumentavano, e lui non voleva perdere nemmeno un istante con lei.
“Oh Harry” – mormorò la donna quando lui fu sotto la porta, in procinto di tornare da Louis al piano di sotto.
“Sì, nonna?” – sorrise il riccio, rivolgendole di nuovo lo sguardo.
“Magari qualche volta, puoi andare a Manchester, quel Louis mi ha fatto una bella impressione.”
Harry annuì ridacchiando appena, e borbottando un “dormi, nonna” affettuoso, prima di tornare da Louis, e passare altro tempo con lui.
Se c’era una cosa che Harry aveva capito durante quella giornata, era che non voleva perdere i contatti con quel ragazzo dagli incredibili occhi azzurri, dalla parlantina esagerata e la timidezza che lo rendeva adorabile.
 
 
Era passato un mese. Un mese durante il quale, Harry e Louis avevano mantenuto i contatti tra di loro, scrivendosi messaggini tutti i giorni, chiamandosi di tanto in tanto, e finalmente Louis aveva ottenuto un “sì” al suo invito fatto un mese prima al riccio, a casa sua, a Manchester. Harry era sempre titubante quando Louis gli ripeteva che poteva andare da lui quando voleva, ma lui era come terrorizzato all’idea di lasciare la nonna da sola per qualche ora, figurarsi per un paio di giorni, ma poi Grace l’aveva convinto, e Harry aveva detto a Louis che sarebbe andato da lui durante il fine settimana di metà luglio. Louis non lavorava il sabato e la domenica, e il venerdì sera poteva tranquillamente andare a prendere Harry alla stazione degli autobus.
Louis, intanto, aveva iniziato a scrivere qualcosa. Non era tanto, aveva scritto, circa, una decina di pagine, che probabilmente rappresentavano un’introduzione, della storia. Si era premurato di descrivere con minuzia il periodo storico, facendo anche qualche ricerca, nulla di impegnativo, soltanto le cose basilari, per poter dare un’ambientazione degna di tale nome e degna della storia che si accingeva a scrivere. Era emozionato, non si era mai impegnato così tanto in qualcosa, e voleva che Grace fosse orgogliosa del suo lavoro, visto che gli aveva concesso la sua storia. E quando Harry sarebbe andato da lui, avrebbe iniziato a leggere, perché l’aveva implorato di mandargli qualche pezzetto in chat, ma lui si era rifiutato, dicendogli che avrebbe dovuto leggerlo dal vivo.
 
Non vedo l’ora che tu venga qui da me, ci sono tante cose che voglio farti vedere, vedrai, ti divertirai qui!
L. x”
 
Inviò Louis ad Harry il giovedì sera. C’era una cosa che non riusciva a spiegarsi, che lo tormentava fin da quando aveva visto per la prima volta Harry. Uno strano formicolio nello stomaco, come se tanti piccoli esseri ci camminassero dentro, una strana sensazione al petto, che faceva quasi male, quasi fosse un infarto fulminante, ma che provocava solo un accelerazione del suo battito cardiaco, e uno strano tremore di tutto il corpo, oltre al sentirsi perennemente incantato davanti alla sua figura. Inizialmente aveva creduto di avere una qualche malattia terminale, o qualcosa di simile, non aveva capito che era semplicemente innamorato, e non l’avrebbe ancora capito, era ancora troppo chiuso verso i sentimenti, per capirlo davvero. Era imbarazzante, era come un senso di adorazione – vera e propria – verso quel ragazzo, partendo dal fisico fino al carattere, Harry era semplicemente perfetto. Ogni volta che il riccio gli mandava qualche foto stramba di lui, non riusciva a trattenersi dal ridere. Sembrava felice come non lo era mai stato in vita sua, e non capiva perché. Non poteva semplicemente sentirsi felice con qualcuno, com’era possibile ciò? Non era da lui. Lui era quello che allontanava le persone, era quello che era freddo ed insensibile, che non si affezionava per paura di perderle, provando le stesse emozioni, e invece con Harry era tutto diverso. Adorava il suo sorriso da bambino, le sue guance paffute e la sua risata, ma soprattutto la sua voce. Ogni volta che si sentivano, Harry gli canticchiava qualcosa, e – dannazione – la voce di Harry era sensazionale. Louis gli aveva anche proposto di iscriversi a qualche talent show, ma il ragazzo si rifiutava sempre, diceva che se avesse partecipato a qualche talent, sarebbe stato lontano dalla nonna, e non poteva permettersi di lasciarla sola.
 
Anche io non vedo l’ora di essere lì! Mancano solo ventiquattro ore, renditi conto. Io non vedo l’ora di leggere ciò che stai scrivendo, la nonna è impaziente, gliel’ho spiegato che ti ci vuole tempo, ma è cocciuta. Ormai l’hai conquistata, Louis Tomlinson, credo che voglia a tutti i costi leggere il tuo libro anche se sa già come andrà a finire, quindi muoviti a finirlo.
Non vedo l’ora di vederti, comunque.
H. x”

 

*

 

Bum, bum, bum…il cuore di Louis martellava furiosamente nel petto. Era da un’ora alla stazione dell’autobus, e attendeva che questo arrivasse. Era il suo Harry che arrivava, mica qualcun altro. Era impaziente, si torturava le mani, e mentalmente pensava a come avesse organizzato la casa, se avesse dimenticato qualcosa fuori posto, o qualsiasi altra cosa. Il divano per se stesso l’aveva sistemato – Harry avrebbe dormito nel suo letto, era un ospite, non poteva dormire sul divano, nossignore, sua madre gliel’aveva insegnato – la casa era in ordine, come al solito, aveva perfino preparato la cena. Era stato al telefono tutto il pomeriggio con sua madre. Era incapace in cucina, riusciva solo a preparare il caffè, o all’evenienza il tè, senza creare danni, quindi per la donna al telefono non era stato facile istruire il figlio che voleva fare bella figura con un amico che andava a trovarlo. Poi, ovviamente, dopo aver preparato la cena – dolce incluso – aveva pulito la cucina da cima a fondo, rassettandola, sentendosi orgoglioso di sé, per una volta.
Bum, bum, bum…Louis poteva sentire il suo cuore battere fortissimo, quando vide l’autobus arrivare. Poteva sentire il suo stomaco saltare, fare capriole, perché, dannazione, si sentiva così stupido? Era solo un ragazzo, dopo tutto, era solo Harry.
Bum, bum, bum… il cuore di Louis batteva sempre più forte, specialmente quando vide l’autobus fermarsi nella piccola piazzola.
Bum, bum, bum accelerò il ritmo quando le porte si aprirono. Da un momento all’altro, Harry sarebbe sceso da lì, sarebbe arrivato da lui, ma che diavolo gli prendeva? Perché era così agitato ed emozionato?
Bum, bum, bum, fu sul punto di esplodere, quando la gente iniziò a scendere da lì. Il respiro era affaticato, come se avesse appena finito di correre una maratona di mille chilometri.
Bum, bum, bum, le gambe tremavano al solo pensiero che l’avrebbe visto a momenti. Mancava poco, la gente già era quasi tutta scesa.
Bum, bum, bum, eccolo, il cuore era impazzito letteralmente impazzito, Harry era appena sceso dall’autobus e si guardava intorno alla ricerca del ragazzo che sarebbe dovuto arrivare.
Bum. Il cuore di Louis parve fermarsi quando incontrò lo sguardo di Harry.
Bum. I passi di Harry.
Bum. Il suo corpo che si muoveva verso Harry.
Bum. La vicinanza dei loro corpi.
Bum. Un abbraccio.
Tutto finì. L’attesa, l’ansia, l’agitazione, il senso di paura di fallire. Ogni cosa si dissolse con quell’abbraccio, il profumo di Harry inebriò le narici di Louis, prendendone il possesso, facendolo sentire un po’ stupido, perché cavolo lui era uno che teneva lontano da sé i sentimenti, lui non poteva affezionarsi a nessuno, altrimenti avrebbe sbagliato tutto, avrebbe rovinato tutto com’era successo ai suoi genitori biologici, poi a sua madre e al suo patrigno. Aveva sempre rovinato tutto affezionandosi alle persone, e non voleva che accadesse qualcosa anche con Harry, ma ormai c’era dentro, non poteva tirarsi indietro. Non aveva ancora capito cosa fossero quelle dolci sensazioni che gli attanagliavano lo stomaco ogni volta che sentiva il nome “Harry”. Era inquietante come cosa, qualche sera prima, guardando la tv un tizio aveva pronunciato “Harry” e lui era sobbalzato, in mente gli erano tornati gli occhi verdi indefiniti del ragazzo, i suoi magnifici capelli riccissimi, il suo sguardo tenero e verde, le guance paffute, le fossette, quel sorriso mozzafiato e pensandolo il suo stomaco si era contorto, le guance arrossate e la mente si era letteralmente fritta… Ma ora, Harry era tra le sue braccia, niente poteva essere sbagliato, no? Ora, i loro profumi erano fusi, ora erano stretti l’uno all’altro, dopo un lungo mese e due settimane di distanza, e il cuore di Louis batteva freneticamente nel suo petto, si stringeva in una morsa e poi esplodeva, quasi.
Harry alzò il viso dalla spalla di Louis, proiettando lo sguardo in quello del ragazzo di fronte a sé. Gli occhi brillarono, fondendosi gli uni agli altri, i cuori saltarono perdendo un battito, in quel momento tutto sembrò perfetto, perché c’erano solo loro due, e nient’altro. Harry si sbilanciò un po’ troppo addosso a Louis, e lo zaino che aveva sulla spalla, scivolò lungo il suo braccio, scontrandosi con la spalla di Louis, che sussultò appena.
“Oops!” – esclamò il più piccolo, portandosi un braccio dietro la testa, e sorridendo innocentemente.
“Ciao!” – ribatté Louis, scuotendo la testa e  sorridendo ancora. Gli veniva particolarmente facile sorridere quando con lui c’erano gli occhi, le fossette, il viso di Harry, o meglio, gli veniva facile sorridere quando si trattava di Harry, e basta. Quel ragazzo era stato un fulmine a ciel sereno nella sua vita, incontrollabile, imprevedibile, indelebile, ma stabile nella sua mente.
“E così… siamo a Manchester!” – ridacchiò appena –“credevo… fosse più, non lo so, bella?”
“A dire il vero, siamo nella periferia, io abito qui vicino. Domani ti porto al centro, dove lavoro.”
“Mmh sì…” – frugò nelle tasche dei suoi pantaloni estraendo il cellulare – “devo chiamare mia nonna, e avvisarla che sono arrivato, altrimenti si preoccupa” – Louis sorrise teneramente guardandolo. Era così carino quando si preoccupava per la nonna. Appoggiò una mano su quella di Harry che stava componendo il numero di telefono di casa della nonna.
“Haz, ti faccio chiamare da casa, ci mettiamo solo cinque minuti, ho la vespa, vieni!”
“Tu sei uno che va sul motorino? Ti facevo un tipo da auto.” – borbottò il riccio seguendolo incerto. Louis lo scortò fino alla sua famosa vespa rossa, per poi porgergli un casco, una volta accanto ad essa.
“Quale parte della frase ‘non vado da nessuna parte senza la mia vespa rossa’ non è chiara al tuo cervellino pieno di ricci?” – ridacchiò, allacciandosi il suo. Harry titubante lo mise in testa, guardandosi intorno, si fidava di Louis, cosa lo fermava, allora? Perché non si decideva e basta a salire su quella moto e non andava con lui a casa sua? Qualcosa lo bloccava, qualcosa che lo faceva restare con i piedi puntati per terra.
“Haz?” – lo chiamò il più grande –“ehi, ti sei offeso? Hai paura della vespa?”
“N-no” – balbettò il più piccolo. Come dirgli che l’unica volta che aveva messo piede su una moto, aveva rischiato di non tornare a casa vivo? Come poteva dirgli che Nick aveva rischiato di farlo cadere perché andava troppo veloce? Come poteva confessargli la sua paura incontrollabile di salire su uno di quegli aggeggi infernali? Ma era Louis, poteva fidarsi di lui, no?
“I-io… una volta… ecco, Nick era davanti a me, e… andava veloce.” – deglutì ricordando quella serata infernale, che non avrebbe mai più voluto ripetere in tutta la sua esistenza – “s-stavamo per cadere, l-lui non rallentava, i-io cadevo… non sentivo quasi più la sella sotto di me, e-e scusa, non ce la faccio” – deglutì stringendo le mani tra loro, torturandosele, terrorizzato. Louis immediatamente si tolse il casco, e lo appese al manubrio.
“Dammi il casco, andiamo a piedi.” – sorrise – “non voglio traumatizzarti il tuo primo giorno qui con me” – Harry lo ascoltò e gli passò l’altro casco – che il castano si era procurato pochi giorni prima appositamente per lui – così Louis lo mise accanto al suo, tolse il cavalletto, e avanzò trascinando la vespa –“avanti, vieni tanto saranno una decina di metri a piedi.” – sorrise incoraggiante. Harry si mise subito al suo fianco e camminarono verso casa di Louis.
In silenzio, senza fiatare, Harry si guardava intorno, tutto gli sembrava meraviglioso. Era in una città sconosciuta, con un ragazzo che però conosceva bene. Attraverso quei messaggi, infatti, aveva imparato a conoscerlo bene. Ad apprezzarne i difetti, perché Louis ne aveva davvero tanti, e ad amare i pregi. Ogni tanto gli arrivava alle orecchie uno sbuffo affaticato di Louis, e un po’ si sentiva in colpa. Per quella sua stupida fobia, Louis stava trascinando il mezzo di trasporto da solo.
“V-Vuoi una mano?” – chiese ad un certo punto, notando una vena di stanchezza sul viso dell’altro ragazzo.
“No, siamo arrivati, svoltiamo a destra e c’è lo stabile.” – sorrise affaticato l’altro, continuando a trascinare la maledetta vespa rossa. Harry sorrise vedendolo, e decise che, sì, di Louis poteva davvero fidarsi. Gliel’aveva appena dimostrato, se ci fosse stato Nick al posto suo, l’avrebbe quasi obbligato, perché in fondo non c’era niente di male, a salire su un’infernale vespa, no?
Non appena arrivarono davanti allo stabile, Louis estrasse un mazzo di chiavi e dopo aver selezionato quella giusta, la inserì nel cancelletto e con una piccola spallata, lo aprì, trascinò la vespa fino all’interno e la accostò ad un muretto. “Forza, non aver paura, entra!” – esclamò al riccio che era rimasto a fissare  i suoi movimenti quasi in trance. Il ragazzo scosse energicamente la testa, risvegliandosi dai suoi pensieri davvero poco casti su Louis e lo seguì, tirandosi dietro il cancelletto.
“Però, ora capisco il perché di quel bicipite allenato” – sussurrò il riccio, passandogli accanto, facendo arrossire fin troppo Louis, che sorrise come un ebete.
 
 
Louis non sapeva come si erano ritrovati sul divano di casa sua, abbracciati a guardare un film horror, e un’altra cosa che Louis aveva imparato di Harry, era che odiava i film horror. Stavano semplicemente facendo zapping quando la loro attenzione era stata catturata da un film. E lì avevano lasciato, perché non sembrava poi così brutto, ma al primo assassino saltato dal nulla, Harry era sobbalzato, e a circa metà film si era praticamente appiccicato a Louis, affondando il viso sul suo petto, stringendo la sua maglietta tra le mani, e quando Louis aveva suggerito che forse era meglio che togliessero il film, il riccio si era opposto, non era così male trovarsi tra le braccia di Louis, in quel momento. Anzi, era davvero bello il modo in cui Louis gli accarezzava i capelli, la schiena, il collo e qualsiasi punto toccabile del corpo del ragazzo per tranquillizzarlo in quel momento. Harry era sicuro che Louis avesse allungato una mano un po’ troppo sul suo didietro, ma non gli aveva dato poi così tanto fastidio. Tuttavia, l’empatia di Louis colpì ancora, e tremò impercettibilmente, sebbene non gli avessero mai fatto paura i film horror, sentiva la paura di Harry su di sé, ma cercò di non badare a questo, perché avere quel ragazzo tra le sue braccia era la cosa migliore che potesse mai accadergli nei suoi ventitre anni di vita. Si sentiva davvero vivo, come non si era mai sentito prima d’ora.
Harry era arrivato da due giorni, era già giunta la domenica, e non se n’erano accorti. Il sabato Harry aveva insistito per andare a Londra, anche se distava circa due ore da dov’erano loro, ma Louis non aveva resistito troppo agli occhi dolci e al labbro tremulo dell’altro, e l’aveva accontentato. Avevano preso il treno, erano stati tutta la giornata a Londra, e Harry si era divertito come un bambino. Aveva ammirato tutto ciò che lo circondava, aveva sorriso a Louis, si erano scattati almeno una trentina di foto, tra cellulari e cabine per fototessere, erano stati ad Hyde Park, Louis aveva comprato un buffo cappello ad Harry, avevano pranzato insieme, e la sera sfiniti avevano ripreso il treno ed erano tornati a casa di Louis, in tutto ciò non erano mancate telefonate alla signora Grace, che rassicurava il nipote ogni volta, dicendogli che stesse bene e non avesse bisogno di tutte quelle telefonate, perché se c’era una cosa che Louis aveva capito di Harry, era il fatto che per lui fosse difficile staccarsi da sua nonna, era come dipendente dal pensiero che lei stesse costantemente bene, che lei non avesse problemi. Erano solo tre giorni, non poteva succedere nulla in tre giorni di assenza, e ad ogni telefonata, Louis sentiva Grace dire al nipote di divertirsi, e di godersi il soggiorno. Quel ragazzo era un puro concentrato di tenerezza e dolcezza. Come aveva fatto a non incontrarlo prima? Assurdo!
Avevano passato la domenica a casa, stanchi per il giorno prima, Harry aveva ficcato il naso un po’ ovunque, leggendo le prima dieci pagine del famoso libro che Louis doveva scrivere, scoprendo foto di Louis da bambino adorabili e Louis era sicuro che una l’avesse messa nel suo zaino per ricordo. I tre giorni erano trascorsi in fretta, comunque, troppo in fretta per i gusti di Louis, e il giorno dopo Harry sarebbe dovuto andare via.
“Louis” – mormorò con la testa sul suo petto –“devo dirti una cosa”
Alzò la testa, puntando gli occhi in quelli di Louis, sorridendo con essi, con le labbra, e con tutto il viso. In quel momento, sembrava un angelo. Louis non aveva mai visto qualcosa di più bello di quel ragazzo che aveva davanti. Era davvero bellissimo.
“Dimmi, piccolo” – l’appellativo gli scappò dalle labbra involontario, quasi come  fosse stata una cosa naturale, davvero, quel ragazzo era il suo piccolo. –“cioè, Harry, volevo dire Harry. Insomma, hai capito, no? Volevo dire Harry, io… ecco…” – prese a gesticolare, agitato, non accorgendosi che il ragazzo sul suo petto stesse ancora sorridendo e che l’appellativo non gli aveva dato per nulla fastidio, anzi, l’aveva convinto ancora di più a fare quel passo che temeva tanto, che Louis temeva, perché non appena, con leggerezza, dolcezza, e calma, le labbra di Harry si posarono su quelle di Louis, il maggiore restò per un attimo spaesato, con gli occhi spalancati per la sorpresa, per la paura. Perché lui non provava niente, non poteva davvero provare qualcosa. Quelle maledette farfalle che sentiva nello stomaco erano frutto della sua immaginazione, o scatenate da una qualche malattia terminale che gli aveva preso lo stomaco. Non lo sapeva.
Quando, però, spostò lo sguardo sul riccio, lo vide fermo, immobile, in attesa di una risposta, gli occhi chiusi, le labbra premute contro le sue, i ricci che cadevano scompostamente sul suo viso, non ci pensò due volte, prese il viso del ragazzo tra le mani, accarezzò con i pollici le guance morbide del più piccolo, e rispose al bacio con dolcezza, sporgendo le labbra verso di lui con timidezza, che non si fece attendere oltre, picchiettò con la lingua sul labbro inferiore del più grande, e lo baciò piano, con lentezza, con dolcezza, senza fretta. Louis timidamente rispondeva, non si era mai lasciato andare così tanto  con qualcuno, ed era davvero tanto inesperto, ma il riccio gestì alla perfezione la situazione, infatti baciandolo, si alzò sedendosi sul bacino di Louis, che sussultò sentendolo così vicino, così… stretto a lui. Louis infilò le mani nei capelli di Harry, massaggiandoli con dolcezza, mentre l’altro ragazzo si sistemava meglio sul suo bacino, e lo stringeva forte – perché Harry era più grosso di Louis, in tutti i sensi – baciandolo ancora, e ancora e ancora, fino a quando le loro labbra non furono stanche di cercarsi, e trovarsi, quando la necessità di ossigeno fu chiara per entrambi, le labbra si allontanarono, le fronti rimasero in contatto, i cuori all’unisono, gli occhi negli occhi.
Verde contro azzurro. Una battaglia senza vincitori né vinti.
“Mi piaci da morire, Louis”
“Anche tu, Harry, anche tu…”
Che avessero appena scoperto l’amore?

 
 
 
 

Un anno dopo.

 

Era trascorso un anno da quel bacio.
Un anno da quando stavano insieme. Un anno da quando Louis aveva iniziato a credere nell’amore, un anno durante il quale Harry non aveva smesso un attimo di provare qualcosa per il castano, un anno durante il quale Louis passava ogni domenica a casa Styles, in cui aveva trovato un’altra famiglia, perfetta per lui, un anno durante il quale aveva portato Harry a casa, presentandolo come suo ragazzo, un anno durante il quale aveva raggiunto il massimo della sua ispirazione, portando a termine il suo primo libro.
Semplicemente un anno di loro.
Era il novantunesimo compleanno di Grace, Louis le aveva portato la primissima copia del romanzo, Love wins war, death and timeche narrava dell’amore tra Grace Jones e Harold Styles, durato settant’anni, che né il tempo, né la morte avevano sconfitto, amore che non aveva niente da invidiare ad un amore come quello di Romeo e Giulietta, anzi, era anche meglio, quello dei primi due era vero, vissuto e consumato. Il proprietario della libreria dove lavorava aveva deciso di essere il suo editore, e dopo un anno di lavoro, ventitre anni di sogni, Louis aveva coronato il suo. Il suo primo libro sarebbe stato in vendita dal giorno dopo. La prima copia, appunto, doveva essere della donna che l’aveva aiutato, l’aveva supportato, facendogli due regali preziosissimi, suo nipote, quello che ora era l’amore della vita di Louis, e l’aveva aiutato a realizzare il suo sogno.
Louis arrivò pimpante a casa Styles, ormai aveva anche una copia delle chiavi, Grace diceva sempre che era come uno di famiglia, doveva poter entrare quando voleva. Aprì la porta di casa entrando, notandola stranamente silenziosa.
“Haz, amore?” – chiamò non appena fu dentro – “nonna Grace?” – chiamò ancora, senza ottenere risposta. Si portò una mano al viso scuotendo la testa, forse dormivano ancora, erano le nove del mattino. Salì in camera di Harry di soppiatto, ma entrando non trovò nessuno, e la stanza era perfettamente in ordine. Qualcosa non andava, ne era sicuro.
Controllò il cellulare, magari avendolo impostato in modalità silenziosa non aveva sentito qualche messaggio o qualche telefonata, ma il cellulare non mostrava nulla a parte l’orario. Louis si massaggiò il mento, pensieroso.
Che diavolo era successo? Perché non c’era nessuno?
Compose il numero di Harry e attese qualche istante che qualcuno rispondesse, dopo una decina di squilli, durante i quali Louis stette in ansia, e la linea quasi non cadde, qualcuno dell’altro lato rispose.
“Pronto…?” – mormorò la voce stanca e roca di Harry, dalla quale Louis capì che fosse successo qualcosa.
“Ehi, amore, ma dove sei? Sono venuto a casa e non c’è nessuno, è successo qualcosa?” – chiese preoccupato, notando che il respiro del fidanzato fosse affaticato, e sapeva, conosceva quel ragazzo alla perfezione ormai, che fosse anche provato da qualcosa.
“S-sì, s-sono in ospedale, la-la…” – la voce gli si spezzò, mentre cercava di parlare –“la nonna…”
“Aspettami lì, arrivo subito. Cinque minuti e ti raggiungo.” – lo interruppe, senza farlo finire. Aveva capito tutto. Grace si era sentita male durante la notte, e Harry l’aveva passata lì, probabilmente senza voglia di far nulla, visto che non l’aveva per nulla avvisato di ciò che fosse accaduto. Velocemente fu fuori casa, chiuse la porta alle sue spalle e corse verso l’ospedale. Sapeva quale fosse, aveva accompagnato una volta Harry che doveva ritirare le analisi della nonna. Corse velocemente per la strada, arrivando in cinque minuti contati nell’ospedale, dove chiese in quale stanza si trovasse Grace Jones, e una volta che gliel’ebbero comunicato, corse verso la stanza a perdifiato, trovando il piccolo che stringeva la mano della donna, che dormiva sul letto ospedaliero. Il battito del suo cuore era dato da una macchina che emetteva un fastidioso bip lento. Raggiunse il fidanzato e lo abbracciò da dietro.
“Lou…” – mormorò quello, spingendo la testa contro il petto dell’altro ragazzo che abbassò le mani fino al suo ventre, accarezzandolo.
“Haz, sono qui, tranquillo” – gli sussurrò all’orecchio –“come sta?”
“Hanno detto che ora sta bene, ha avuto un infarto, Lou, avevo così tanta paura, non sapevo cosa fare… poi ho chiamato l’ambulanza, e… non mi sono mosso da qui tutta la notte, voglio solo… che stia bene, è-è… senza di lei, i-io…”
“Shh, amore, shh” – sussurrò il più grande stringendolo forte tra le braccia, cercando in qualche modo di rassicurarlo, cosa che però non riusciva a fare. Harry era stanco, provato e distrutto. L’unica cosa che temeva era perdere Grace, e stava accadendo, era così reale. Non si trattenne, una volta che Louis lo ebbe girato verso di sé, scoppiò in un pianto liberatorio contro il petto del ragazzo. Era scosso da forti singhiozzi, che erano soppressi contro la maglietta di Louis, che lo stringeva forte, cercando di calmarlo, che gli accarezzava la schiena, che cercava in qualche modo di alleviare la sofferenza del suo ragazzo, che inevitabilmente sentiva su di sé tutta la sofferenza del ragazzo, come se la stesse provando lui in quel momento, come se tutto fosse così assurdamente sbagliato, perché lo era. Non potevano essere felici e basta? Dovevano avere per forza problemi del genere?
“Harry…” – la voce sottile, arrochita e stanca di Grace arrivò alle orecchie dei due ragazzi. Harry si staccò in fretta dal petto di Louis, avvicinandosi alla nonna, prendendole la mano con entrambe le sue, stringendola forte.
“Nonna, nonna… sono qui, nonna…”
“Oh piccolo mio…” – sorrise stancamente –“c’è anche Louis?”
“Sì, sì è qui, mi ha raggiunto da poco…” – sorrise impercettibilmente indicando il ragazzo dietro di lui, che si avvicinò alla donna, inginocchiandosi e appoggiando una mano su quelle del riccio, per fargli capire che  lui c’era, che non lo lasciava, che voleva aiutarlo, in qualsiasi modo.
“Oh, ma quanto siete belli insieme, ragazzi miei” – tossì appena, guardandosi intorno, soffermando lo sguardo su Louis. - “Hai belle notizie per me, vero? Lo leggo nei tuoi occhi, ragazzo.”
Louis annuì, e dalla sua tracolla estrasse il libro. Non era grande, non era un mattone. Contava cento pagine, dieci capitoli, compresi prologo ed epilogo.
“Sì, hanno pubblicato il libro. Ho mantenuto la promessa” – sorrise porgendoglielo. La donna lo prese tra le mani, lasciando quella del nipote, che sorrise stringendolo al petto come se quello raccogliesse tutta la sua vita, tutto quello che voleva.
“Bravo ragazzo, io l’avevo detto che saresti diventato qualcuno.” – sorrise stancamente – “mi raccomando, prenditi cura di Harry, non merita di stare da solo.”
Harry spalancò gli occhi, scuotendo la testa. Non stava accadendo realmente. La nonna non aveva detto davvero a Louis di prendersi cura di lui, non voleva davvero dire quello. Aveva sentito sicuramente male.
“No, no…” – sussurrò appena, scuotendo la testa, stringendo la mano della donna –“nonna, no, no… ho bisogno di te, non te ne andare…” – singhiozzò, senza riuscire a contenersi. – “starai bene, devi stare bene…”
“Bambino mio, prima o poi sarebbe accaduto, lo sai anche tu. Devi essere forte, va bene? C’è Louis con te.”
“No, nonna, no…” – singhiozzò ancora, stringendole le mani, cercando di tenerla a sé, cercando di non farla andare via, ma lei con un ultimo sorriso, lo aveva lasciato. Quando il bip prolungato della macchina raggiunse le sue orecchie, Harry scosse ancora la testa incredulo, perché non poteva davvero esser accaduto a lui, sua nonna non se n’era andata davvero, none era davvero accaduto quello che danni temeva. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, abbassandosi sul petto della nonna, piangendo. Louis era corso a chiamare gli infermieri, i dottori, qualcuno che potesse rendersi utile in quel momento, ma non c’era più niente da fare. Era troppo anziana non avrebbe retto ad altre scosse per far tornare in funzione il suo cuore. Per questo, fece l’unica cosa che gli era possibile. Si avvicinò al ragazzo e lo prese tra le braccia cullandolo, ma Harry si liberò della sua presa, allontanandosi da lì, allontanandosi da Louis, dall’ospedale, dalla nonna appena morta.
“Harry, fermati!” – gli urlò dietro Louis.
“Non ho bisogno di te, fottiti!” – gli urlò da lontano con un singhiozzo, correndo via da lui, correndo via da tutto il dolore, lasciando Louis da solo.
 
Nei giorni successivi, Louis si era occupato dell’organizzazione del funerale di Grace, dato che Harry non voleva saperne di uscire dalla sua stanza, dove si era chiuso da quel giorno ed era uscito solo per il funerale, che si era svolto con una cerimonia semplice, senza troppa gente, solo quelli che la conoscevano meglio, ma dopo aver speso tante parole belle per la donna che si era occupata di lui in tutti quegli anni, ed aver salutato tutti, accettando le condoglianze, Harry si era chiuso di nuovo in camera sua, e non usciva nemmeno sotto richiesta esplicita di Louis, che non sapeva più come comportarsi con lui, come aiutarlo. Non sapeva come poteva fare a farlo star meglio, non sapeva niente. Voleva solo che il suo ragazzo non soffrisse così tanto. Aveva provato ad entrare in camera sua, a parlargli, ma niente. Harry lo aveva chiuso fuori, in realtà Harry voleva solo proteggersi. Allontanava Louis per evitare che anche lui lo abbandonasse. I genitori lo avevano abbandonato da piccolo, gli amici lo avevano abbandonato perché dedicava la sua vita alla nonna, la nonna lo aveva lasciato da solo, e Louis… Harry non riusciva nemmeno ad immaginare cosa sarebbe potuto accadere se anche Louis lo avesse lasciato. Non lo sapeva, e lo temeva. Era qualcosa di più grande di lui, non poteva davvero permettersi di perdere tutto, anche lui. Allontanandolo lui stesso, avrebbe sofferto di meno, ne era sicuro.
Louis però era imperterrito. Ogni sera si trovava fuori dalla stanza di Harry, bussava, gli lasciava il vassoio con qualcosa da mangiare, cercava di parlargli, cercava di farlo ragionare, cercava di stargli accanto, provava a dirgli che non l’avrebbe mai abbandonato, lui ci sarebbe stato sempre, che niente li avrebbe mai separati, ma niente Harry non rispondeva, e tutte le sere, Louis dormiva sul divano di casa Styles, attendendo che il suo ragazzo uscisse dal suo stato di silenzio stampa.
Una sera, durante la quale Louis si era addormentato stanco con la tv accesa, il telecomando ancora stretto nella sua mano, senza coperte, con solo una tuta dismessa addosso, gli occhiali ancora sul viso, e l’espressione tormentata sul viso, Harry era uscito dalla stanza, si era diretto da lui, e l’aveva trovato in quello stato. Dopo averlo contemplato per una decina di minuti, aveva preso una coperta, si era steso accanto a lui, cercando di sistemarsi tra le sue braccia, per sentire quella protezione che provava solo con lui, per sentire l’amore sproporzionato che Louis provava nei suoi confronti, per non sentirsi totalmente solo, come si sentiva in quel momento. Louis l’aveva sentito, si era ridestato appena, e l’aveva stretto forte a sé, mentre il piccolo sistemava la coperta su di loro, e cercava di nuovo di stringersi il più possibile a Louis, per sentire che il maggiore c’era, era lì accanto a lui, che non era davvero solo. La sua paura più grande era proprio questa, rimanere totalmente solo, senza nessuno.
“S-sono solo… senza la nonna, sono solo…” – singhiozzò contro il petto del più grande –“ho tanta paura, Louis… ho tanta paura…” – singhiozzò ancora, mentre Louis lo stringeva forte, cercando di infondergli qualcosa che probabilmente non poteva dargli: tutto quello che aveva perso. Ma di una cosa era sicuro. Una cosa non sarebbe cambiata mai, Louis non l’avrebbe mai abbandonato, sarebbe sempre stato al suo fianco, in qualunque caso.
“Harry, tu hai me” – sussurrò con la voce impastata dal sonno – “chiaro? Non sarò come tua nonna, non posso esserlo, ma tu hai me, non sei solo, chiaro, piccolo?” – sussurrò ancora.
“Sempre?” – mormorò Harry, senza alzare lo sguardo dal petto di Louis, troppo timoroso per affrontare la realtà dei fatti, troppo spaventato di perderlo, di non sentirsi all’altezza del ragazzo che amava, paura che anche Louis se ne andasse. Per un attimo, si pentì. Quando Louis fece una pausa lunga prima di rispondere, si pentì amaramente di essere uscito dalla stanza, di essere tornato da lui, di credere alle sue parole.
“Sempre, piccolo, sempre.” – rispose Louis, abbattendo tutti i pensieri negativi di Harry, che, tuttavia, non era ancora sicuro.
“Giuralo. Giurami che non mi lascerai come hanno fatto tutti, come fanno sempre tutti, giurami che resterai con me, giurami che mi ami, giurami che non sono solo, perché io non so più niente, Lou” – deglutì appena, aveva parlato di fretta, come Louis quando era agitato – “se n’è andata, la nonna era la mia ancora, la mia bussola… io non so più niente, lei era l’unica certezza che avevo.” – singhiozzò – “giuralo…” – supplicò il più grande, che lo vedeva per la prima volta piccolo, indifeso, spaesato. Sebbene Harry fosse più grande di lui sia per muscolatura che per altezza, in quel momento sembrava piccolo e indifeso tra le braccia di Louis, mentre lo guardava con uno sguardo supplichevole, pieno di paura, tensione e… qualcosa che Louis non capì, ma ugualmente sentì sul suo corpo, su di sé. Ogni sensazione di Harry era fusa in lui, ma Louis aveva imparato a gestire la sua empatia, e in quel momento sembrava più forte di quel che provava dentro. Era l’unica ancora di salvezza per Harry doveva essere forte.
“Lo giuro. Giuro che non ti lascerò, giuro che ti amo, giuro che resterò sempre con te, sempre, qualsiasi cosa accada, sarò con te. Lo giuro, lo giuro.” – sussurrò – “proverò ad essere io la tua bussola, d’accordo? Ci proverò, ma tu non piangere più.”
“Ci provo…” – sussurrò il riccio. Louis gli prese il volto tra le mani, gli accarezzò i contorni del viso con dolcezza, e lentezza, eliminò le sue lacrime con i polpastrelli e sigillò quella promessa appena fatta con un bacio. Un unico bacio profondo, salato, pieno d’amore, pieno di speranza, pieno di… qualcosa che non era chiaro a nessuno di loro, ma era lì tangibile, vivo, vero. Il loro amore.
“Ti amo, Harry” – sussurrò – “permettimi di essere la tua certezza.”

 
 
 

Tre anni dopo.

 

Harry era agitato. Louis non era ancora tornato da una conferenza stampa, e stava impazzendo.
Dopo la pubblicazione del suo primo romanzo, aveva avuto successo.  Era riuscito a diventare lo scrittore che voleva, spesso Harry doveva portargli delle enormi tazze di caffè, perché scriveva tantissimo, anche fino alle quattro del mattino. Riusciva sempre a trovare storie nuove, nuove ispirazioni. Adesso faceva anche le conferenze stampa, era uno importante, ed era il suo ragazzo, solo il suo. Harry lo amava ogni giorno di più, ogni giorno Louis riusciva a dargli tutto quello che nella sua vita mancava, era una sensazione mai provata prima, era qualcosa di forte, di enorme, di meraviglioso. La cosa più grande mai provata prima. Louis si era trasferito da circa due anni a casa di Harry, a colmare il vuoto lasciato in quella casa da sua nonna. Non si era mai fatto una ragione della morte di sua nonna, ma aveva imparato a convivere con il senso di vuoto da lei lasciato, si era rassegnato, ma con Louis al suo fianco, sentiva di riuscire a sconfiggere quel senso di vuoto, Louis mandava via il buio, Louis era la sua luce, la sua nuova ancora, il suo tutto, la sua certezza. E ora era impaziente, camminava avanti e indietro per il salotto, calciava di tanto in tanto qualcosa di invisibile per terra perché maledizione era l’una di notte passata, e Harry era in ansia.
Louis aveva giurato, tre anni prima, che non l’avrebbe mai lasciato solo, che sarebbe stato sempre con lui, che qualunque cosa fosse accaduta, sarebbero stati insieme, che lui non sarebbe mai stato più solo, non doveva preoccuparsi tanto per lui. Non doveva, eppure lo faceva.
Controllava il cellulare ogni istante, la paura era una cosa che odiava con tutto il cuore.
Si fidava di lui, si era fidato fin dal primo momento che l’aveva visto, ne aveva avuto la conferma quando non aveva insistito per farlo salire sulla moto e l’aveva trascinata fino a casa sua… quelli erano i primi ricordi della loro relazione, e dopo quattro anni, il sentimento non era cambiato per nulla. Ma in quel momento, Harry avrebbe tanto voluto dargli uno schiaffone, su una di quelle guance magre e leggermente abbronzate, perché diamine se aveva intenzione di tornare tardi, avrebbe anche potuto mandare un messaggio, un segnale di fumo, qualcosa, non farlo preoccupare in quel modo. Camminava ancora avanti e indietro per la stanza, la voglia impellente di picchiare il suo ragazzo, e la preoccupazione alle stelle, quando la porta di casa, lentamente si aprì. La figura snella e decisamente più bassa della sua entrò in casa. Harry cercò di mantenere l’espressione dura e si sedette sulla poltrona, quella di sua nonna, accanto al camino, guardando la figura del ragazzo avanzare a tentoni nel salotto, illuminato solo dalla flebile luce del camino semi-acceso.
“Haz? Dormi?” – sussurrò avvicinandosi alla poltrona.
“No, sono sveglio” – sussurrò duramente accavallando le gambe e incrociando le braccia al petto, assumendo un broncio innervosito, ma adorabile.
“Sei arrabbiato?” – chiese Louis infilandogli una mano dei capelli morbidi e ancora ricci del fidanzato.
“No, cosa te lo fa credere?” – sbottò allontanando bruscamente la testa dalla mano di Louis, che sbuffò appena sentendo e capendo che il ragazzo fosse arrabbiato con lui per qualche motivo.
“Diavolo, Haz, sta calmo!” – sbottò Louis, a quel punto – “sembri una donna con il ciclo o una donna incinta!”
“Se il grande scrittore che è in te, ogni tanto ricordasse che il suo ragazzo è a casa preoccupato, forse io non sembrerei una donna incinta, eh?” – urlò quasi, senza guardarlo, tenendo lo sguardo puntato davanti a sé, in un punto vuoto del fuoco scoppiettante. Il respiro era affaticato, gli occhi stanchi e pieni di lacrime represse. Non voleva che Louis lo abbandonasse e comportandosi così, non faceva altro che allontanarlo sempre di più da lui, sempre di più da quello che erano. Si stava distruggendo con le sue stesse mani, e non se ne accorgeva, e sapeva benissimo, che se un giorno Louis avesse fatto le valige, andandosene, il suo cuore non avrebbe retto, si sarebbe autodistrutto, perché Louis era tutto ciò che gli era rimasto. Il ragazzo ancora in piedi davanti alla poltrona sospirò, e si inginocchiò davanti alla poltrona, prendendo tra le sue mani quella più grande del più piccolo.
“Harry…” – sussurrò baciandogli il dorso della mano.
“Non fare così, Louis, no!” – sbottò ancora –“mi guardi con quell’aria da  cucciolo smarrito, poi mi baci e io ti perdono, no!” – continuò senza staccare la mano da quella di Louis - “ero preoccupato, poteva esserti successo di tutto! Non mi hai mandato nemmeno un messaggio, cosa ti costava un messaggio, Louis, eh?!”
“Harry” – lo chiamò per la seconda volta, stringendogli la mano.
“No, cazzo, no! Louis, devi smetterla, devi avvisarmi quando fai tardi, devi…”
“Harry!” – alzò leggermente la voce, evitando di urlare perché sapeva che ad Harry desse fastidio quando alzava troppo la voce, anche se il riccio poteva farlo quando voleva –“ti prego, sta zitto”
“No, non sto zitto, Louis, non stavolta, tu…”
Louis serrò la mascella. Era agitato, lui era arrivato tardi per un motivo ben preciso, lui voleva fare una cosa. Era tornato tardi perché aveva provato e riprovato quella parte nella sua mente, e ora tutti i suoi calcoli erano svaniti. Respirò profondamente, estraendo dai pantaloni uno scatolino, lo strinse in una mano e decise che quello era il momento giusto per farlo. Doveva solo prendere coraggio.
“Sposami” – disse solo.
“… mi hai fatto preoc-… che cosa?”
Sul suo viso si dipinse un’espressione sorpresa, dolcissima e adorabile. Alla fine, Louis lo aveva contagiato, anche Harry quando era agitato o a disagio parlava tanto, ma quando la sorpresa di una cosa inaspettata come quella lo coglieva, restava senza parole, con lo sguardo immobile perso nei meandri dei suoi pensieri, e Louis si beò di quell’espressione così adorabile del suo ragazzo. Era una di quelle cose che non avrebbe mai cambiato di Harry, perché lo amava così esattamente com’era. Isterico, ansioso, ma terribilmente dolce e adorabile.
“Ho detto sposami, Haz, diventa mio, per sempre.” – sussurrò prendendogli una mano, stringendola forte nella sua decisamente più piccola di quella del riccio, e aprì con l’altra mano lo scatolino, porgendo ad Harry un semplicissimo anello d’argento, circolare con all’interno la data di quando si erano conosciuti.
“L-Louis… è per questo che…” – indicò prima lo scatolino e poi se stesso.
“Sì. Non riuscivo a decidere, ho fatto tardi alla conferenza e mi hanno trattenuto. Volevo avvisarti, ma lo sai, non mi permettono di fare telefonate.” – scrollò le spalle, mentre il riccio, finalmente, realizzava ciò che Louis gli aveva proposto e sorrideva con il suo sorriso tutto fossette. Si lanciò dalla poltrona su Louis, facendolo finire con la schiena per terra, caduta attutita dal tappeto sul quale si trovavano.
“Sì, sì certo che ti sposo!” – urlò di gioia il riccio, cospargendo il viso del castano di baci.
Magari Louis non aveva creduto all’amore, una volta, ma adesso doveva ricredersi. L’amore esisteva.
L’amore aveva un nome.
 
 
“Vuoi tu, Harold Edward Styles prendere come marito il qui presente Louis William Tomlinson per amarlo fino alla fine dei tuoi giorni?”
“Sì, lo voglio” – rispose Harry sorridendo, fasciato dal suo smoking nero, che gli avvolgeva alla perfezione il corpo. Spostò lo sguardo sul ragazzo, che stava sposando, fasciato anche lui da uno smoking nero, e giurò di non essere mai stato più felice in vita sua.
“E vuoi tu, Louis William Tomlinson, prendere come marito il qui presente Harold Edward Styles per amarlo fino alla fine dei tuoi giorni?”
Lo sguardo di Louis saettò immediatamente in quello di Harry. Si perse in quelle gemme smeraldo che aveva davanti, si perse negli occhi del ragazzo che da quattro anni era nel suo cuore. Non poteva essere più felice. In quel momento, gli sembrava di toccare il cielo con un dito.
“Sì, lo voglio. Lo voglio!” – esclamò felice come non lo era mai stato in vita sua.
Harry gli rispose al sorriso, e attesero qualche istante. Firmarono i documenti, si scambiarono le fedi, e finalmente udirono le parole che fin da quella mattina avevano atteso, impazienti.
“Vi dichiaro sposati, può baciare lo sposo.”
Harry afferrò Louis per i fianchi, attirandolo possessivamente a sé, era felice da far schifo, non si sentiva affatto solo, si sentiva potente, grande. Sentiva di avere tutto in pugno, perché Louis era suo, per sempre, ed era tra le sue braccia.
“Visto? Ho mantenuto la mia promessa, non ti ho lasciato, e ora sono legato a te da qualcosa di grande, di immenso, Harry non so come dirti quanto ti amo, e-e io che non credevo nemmeno che esistesse. Mi credi se ti dico che sono felice? Così felice da far schifo? Non lo sono mai stato, i-io…” – deglutì prendendo fiato, fissando le labbra di suo marito, marito wow, sorridendo come un ebete –“e non so dirti bene tutto, e mi dirai, cazzo uno scrittore che non sa cosa dire, è…”
“Louis?” – lo interruppe bruscamente.
“Sì?”
“Sta zitto” – rise scuotendo la testa –“e baciami, ora.”

 
 
 
 

Un altro anno dopo.

 

“Vedi, Darcy?” – sorrise Harry stringendo con un braccio il minuscolo corpicino della bambina. Lui e Louis l’avevano adottata da circa un mese. Era piccola, piccolissima, aveva un anno, ma era la bambina più bella che avessero mai visto. Se n’erano innamorati subito. Gli occhi azzurrissimi, e i capelli ricci, scuri. Sembrava una fusione tra Harry e Louis perfetta, e loro non avevano resistito al primo sorriso che aveva fatto loro, quando convinti di volere una famiglia, visto che erano sposati da un anno, erano andati all’orfanotrofio e li avevano portati in giro per la struttura, dove loro avevano guardato ogni bambino, immaginandolo come il proprio. Louis ormai era uno scrittore famoso, in quattro anni di carriera quattro dei suoi libri erano diventati best seller, e il suo primo libro, quello che l’aveva portato dov’era ora, era stato premiato diverse volte; nessuno avrebbe mai detto di no ad uno come lui, anche se era omosessuale ed era sposato con un ragazzo. – “quella è la nonna” –  Harry indicò la lapide della donna che lo aveva cresciuto, con un luccichio particolare dentro agli occhi.
“Haz, vuoi restare un attimo solo con lei?” – sussurrò il più grande, che era accanto a lui e gli cingeva i fianchi con un braccio, osservandolo con tutto l’amore che aveva dentro di sé.
“Solo… cinque minuti, Louis?”
“Certo, dà a me la bambina” – sorrise lo scrittore, prendendo la figlia tra le braccia, sorridendo ancora all’amato, e allontanandosi di pochi passi. Harry cadde sulle sue ginocchia, e allungò una mano verso la fotografia che ritraeva sua nonna.
“Ciao nonna, sai? Louis ha mantenuto la promessa, mi rende davvero felice. Io… non so come farei, se non ci fosse lui, intendo.” – sorrise come se aspettasse una risposta dalla donna - “no, ehi! Nessuno ti sostituirà mai, mai, nonnina mia.” – sorrise tristemente – “ti voglio bene, tanto bene nonna. Non mi sono ancora… arreso, sono passati cinque anni, e io non mi sono ancora arreso, la mattina spero ancora di svegliarmi e trovarti con me…” – trattenne un singhiozzo –“mi manchi, da morire, mi manchi tantissimo, ma in questi momenti, arriva sempre Louis ad abbracciarmi e mi allevia il dolore.” – fece un’altra paura. Faceva fatica a parlare di seguito in quel momento. –“lo so, lo so che vuoi che io sia felice, e credimi lo sono, ma sarei più felice se ci fossi tu.” – ridacchiò scuotendo la testa – “lo so, lo so che non posso avere tutto. E credimi, ho Louis, ho Darcy, sono felice, davvero. Davvero tanto. Con loro due sono completo, ma mi manchi, cosa posso farci?” – sospirò – “se sono arrivato fino a questo punto, nonna, è solo merito tuo.” – girò lo sguardo verso il punto dove c’era Louis che teneva la loro piccola tra le braccia e l’alzava in alto per farla divertire. Harry sorrise dentro di sé. Quella era l’immagine più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita. Quella era la sua felicità. Suo marito e sua figlia insieme, la sua famiglia, lì vicino a lui, accanto a lui.
Posò un fiore sulla tomba di sua nonna, e baciò la foto posta su di essa.
“Ciao nonna, grazie di tutto” – sorrise – “ci vediamo presto, lo prometto.” – un altro bacio sulla fotografia – “sarai sempre nel mio cuore.”
Si alzò dalla sua postazione, e corse verso Louis, abbracciandolo da dietro, ritrovando il sorriso guardando la bambina ancora sollevata a mezz’aria dal marito, lei sorrideva, era felice, e Harry non avrebbe mai potuto sperare in meglio.
“Allora, a che giochiamo?” - sorrise stringendo il marito tra le braccia, facendo congiungere il suo petto con la schiena del più grande, che si portò automaticamente la bambina al petto, e la strinse forte.
“Uhm… se vuoi giochiamo a Papà Harry che perde miseramente la gara con Papà Louis uscendo di qui, ma potrei anche risparmiarti l’umiliazione davanti a tua figlia, sai… non dev’essere carino perdere davanti a qualcuno che, uhm, ami, e…”
“Louis?”
“Sì?”
“Dici la cosa migliore, quando stai zitto.” – rise il più piccolo, correndo verso il cancello del cimitero, rinvolgendo un ultimo saluto alla nonna, in fondo, se lei non avesse mai ricevuto quella lettera, lui ora non sarebbe così felice. Non avrebbe incontrato Louis, non si sarebbe mai sposato, non avrebbe una figlia. Sarebbe solo.
In quel momento, ebbe la certezza assoluta che Louis non l’avrebbe mai lasciato solo, che avrebbe mantenuto la promessa fatta. Del resto, Louis era – insieme a tutti i suoi pregi e difetti – un perfettino.
Doveva per forza mantenere la parola data.
Harry si fidava di lui, ciecamente.
E mentre vedeva la figura di suo marito correre ridendo verso il cancello, con i ricci ormai corti, le solite spalle larghe, le sue curve dolci, quell’aria da bambino che lo accompagnava anche a venticinque anni, Louis pensò davvero che due anni prima avesse ragione.
Aveva scoperto cosa fosse l’amore.
L’aveva provato sul proprio corpo. Aveva sofferto, si era innamorato, e aveva fatto suo – in tutti i sensi – quel ragazzo che fin dalla prima volta aveva sconvolto le sue convinzioni. L’amore non era quello che si leggeva nei libri, non era quello perfetto, non era nemmeno quello vissuto. L’amore era qualcosa che a parole Louis non sapeva spiegare, o forse sì, ma con un nome. Solo in quel modo avrebbe potuto rappresentare cosa fosse per lui il vero amore. Lui l’aveva scoperto, dopo tanto tempo.
L’amore aveva un nome.
Quel nome era Harry Styles.

 

*

 

Forse un giorno, qualcuno avrebbe trovato le milioni di foto dei due ragazzi.
Forse un giorno, qualcuno avrebbe trovato le bozze dei libri di Louis.
Forse un giorno, qualcuno avrebbe solamente raccontato del loro amore, così come si raccontano le storie di grandi coppie della letteratura, come Romeo e Giulietta, Tristano e Isotta, Ron ed Hermione, Paolo e Francesca, Renzo e Lucia, Amore e Psiche, Ulisse e Penelope, Lancillotto e Ginevra, Orfeo e Euridice, Orlando e Angelica, Teseo e Ippolita, Amleto e Ofelia.
Forse un giorno, qualcuno avrebbe detto voglio un amore come quello di Harry e Louis, nient’altro.
 

Immagina che il mondo somigli a ciò che sento
un amore per amore siamo noi.
Immagino l'argento dei tuoi capelli un giorno
saremo sempre giovani io e te.
(Io e Te - Sonohra)

 




NO, JIMMY PROTESTED!

Chi mi ama?
Ahah, non ho tanto da dire. Questa shot ha una durata di scrittura di una settimana tonda quasi.
Ho preso spunto dal film "L'ultimo San Valentino" che ho visto sabato scorso, e "Letters to Juliet" che ho visto l'anno scorso, ma che ho amato lol
Comunque.
A me piace da morire.
(VEDETEEE DUE CANZONI DEI SONOHRA, AMORI MIEI *-*)
Ringraziamo la mia Lu per il banner.

E mi prendo la libertà di dedicare questa shot a mia nonna, che amo con tutto il cuore.
Ogni riferimento a me stessa e il mio sogno nel personaggio di Lou è VOLUTAMENTE casuale, e non mi vergogno di averlo scritto :')

Beh, mi dissolvo, perchè è tardi, e Lu mi lincia se non pubblico subito.

CIAAAAAAAO!
*woosh*

P.s vi amee cosììì, vi ame cosìììì e vi ame anche un po' così. :3  *sparge amore* 
   
 
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