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Autore: shadow_sea    08/06/2013    7 recensioni
Il seguito di "Come ai vecchi tempi".
Questa volta le avventure del comandante Trinity Shepard fanno riferimento agli eventi narrati in Mass Effect 3.
Come nella storia precedente, la mia intenzione è quella di scrivere storie che traggano spunto dal gioco originale e se ne discostino allo stesso tempo, sempre attente a non stravolgere la trama o i personaggi. Le storie che troverete qui sono frutto di considerazioni ed emozioni personali, sono frutto del mio amore appassionato per questa trilogia e per Shepard ma, soprattutto, per Garrus Vakarian.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Garrus Vakarian, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shepard e Vakarian'
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Nome: Trinity Shepard.
Grado: Comandante nella Marina dell’Alleanza, Specialista Tattica e Ricognizione.
Profilo: Terrestre. Cresciuta sulla terra, ma non ha mai conosciuto i suoi genitori. Ha dovuto vivere di espedienti negli anfratti più squallidi e oscuri delle colossali megalopoli del mondo natale degli Umani, lottando ogni giorno per sopravvivere. Desiderando una vita migliore, si arruolò nell'Alleanza appena diventata maggiorenne.



TRINITY


C’era una volta in America



- Hai mai vissuto in una casa simile, Shep? - chiese Garrus dal divano del salone a piano terra dell’appartamento di Anderson sulla Cittadella, cercando inutilmente qualcosa di decente nei programmi televisivi della serata.
- Non ho mai avuto una casa prima d’ora - rispose lei porgendogli una bottiglia e tenendone un’altra per sé, prima di sedersi sul divano accanto al turian, appoggiandogli la testa contro la spalla.
- Credevo fossi nata sulla Terra...
- I miei primi ricordi riguardano la Terra, non so se ci sono davvero nata.
- Alloggiavi in una caserma?
- E’ una storia lunga, Garrus...
- Ma non c’è niente in televisione, potresti raccontarmela.
- Ti annoieresti.
- Preferisci concedermi un altro ballo al Silver Coast?
- Te la sei cercata, Vakarian! ora ti sorbirai la storia della mia adolescenza.
- Cercherò di restare sveglio, comandante...

- I miei ricordi cominciano nello spazio buio di una cantina umida in cui compaiono i volti confusi di alcuni ragazzi addossati ai muri, su materassi improvvisati - cominciò a raccontare rannicchiandosi sulle ginocchia di Garrus - Una coppia di adulti si occupava di noi: ci fornivano del cibo e a volte qualche articolo di vestiario. In cambio, noi dovevamo portare a casa soldi e oggetti di valore. Se quello che avevamo racimolato durante il giorno non li accontentava ci picchiavano.
- Al mattino venivamo svegliati dal marito, un uomo grosso e pieno di peli neri sulla faccia, e cacciati fuori; potevamo tornare solo a notte fonda. Ricordo un ragazzo che per un paio di mesi tossì tutte le notti, ma neppure a lui fu mai consentito restare nella cantina durante le ore diurne. E per un periodo ci fu una ragazza piccola e magra che piangeva sempre. Lei veniva picchiata spesso e da un giorno all’altro sparì e non tornò mai più.
- Bell’ambiente per crescere - commentò Garrus abbastanza stupito che una civiltà avanzata come quella terrestre consentisse l’esistenza di simili piaghe sociali. Su Palaven non sarebbe mai potuto accadere nulla di simile: il senso civico era insito nella natura dei turian.

- Eravamo sempre affamati e arrabbiati. A volte l’odio profondo che provavamo verso tutto e tutti ci spingeva a litigare fra di noi. Ci pestavamo a sangue per motivi futili e ci rubavamo le poche cose che riuscivamo a procurarci... molto spesso perfino il cibo - continuò a raccontare lei, con quel tono pacato e sereno che usava spesso per descrivere avvenimenti o sensazioni troppo forti.
- Io non vivevo troppo male lì dentro. Ero brava a rubacchiare e quindi mi picchiavano di rado. Nessuno degli altri ragazzi mi dava più fastidio, da quando avevo rotto i denti a quello che si credeva il nostro capo. Lo avevo preso per i capelli e gli avevo sbattuto la testa contro lo spigolo di una parete perché voleva prendersi un paio di stivali militari che avevo rubato da un negozio.
Garrus ridacchiò immaginandosi la scena, nonostante la pena che provava per quel racconto.

- Un giorno arrivò fra di noi una ragazza strana: aveva qualche anno più di me, forse era dodicenne. Era vestita come un manichino dei centri commerciali e parlava come negli olofilm. Venne subito battezzata Princesa, principessa, e quel nomignolo le restò appiccicato per sempre; non ricordo il suo vero nome.
- La prima sera che passò con noi rimase seduta in un angolo, mangiando quello che era riuscita a prendere dal mucchio di viveri che ci venne gettato in terra. Quando il ragazzo con i denti rotti provò a strapparle dalle mani una mela, lo atterrò con un movimento fluido e rapido. Poi gli premette uno stivale sul collo e sibilò Non provarci mai più o ti stacco la testa - continuò a raccontare Shepard con un tono in cui traspariva rispetto.

- Non so come passò la sua prima giornata fuori ma, quando tornò nella cantina quella sera, non aveva nulla con sé. L’uomo barbuto si arrabbiò e le strillò addosso insulti vari, ma per tutto quel tempo lei lo guardò come se stesse fissando un idiota. In una pausa fra tutte quelle imprecazioni, infilò un paio di frasi Io non rubo. Te l’avevo già detto che pronunciò in tono deciso.
- Il giorno successivo mi andò particolarmente bene: avevo trovato un portafoglio pieno di soldi che qualcuno aveva dimenticato su un tavolo di un ristorante. Quando Princesa tornò nella cantina mi avvicinai a lei e le porsi un mazzetto di banconote. Lei mi guardò con disprezzo, senza prenderle, e si rintanò nel suo solito angolo.
Shepard guardò Garrus e gli sorrise, sicuro che lui avesse capito quanto lei avesse ammirato la fermezza e l’orgoglio dimostrato da quella ragazza.

- Ricordo altre notti passate in quella stanza, con lei in un angolo e io in quello diametralmente opposto. Eravamo le sole che stavano sempre per conto proprio. Non parlavamo con gli altri e nemmeno fra di noi e nessuno ci dava mai noia.
- Era passata una settimana dall’arrivo di Princesa, quando l’uomo barbuto venne giù e se la portò di sopra. Da quel giorno le fu permesso di restare in cantina durante il giorno, ma l’uomo la veniva a prendere ogni notte e spesso lei tornava a giorno fatto, dopo che noi eravamo stati cacciati fuori.
- Pochi giorni dopo lei non tornò più nella cantina, ma sono certa che rimase nell’edificio perché qualche volta mi capitò di intravederla, mentre ci facevano uscire la mattina o quando tornavo a notte fonda. Era ancora vestita bene, ma in modo diverso. Solo qualche anno dopo divenni abbastanza grande da capire cosa significassero quei vestiti corti e attillati.
- Che a te non piacciono affatto - commentò Garrus ricordando la mattina in cui l’aveva incontrata nell’ascensore della Normandy, tutta agghindata in un vestito che, appunto, era corto e attillato.
- Ho scelto una strada diversa da quella di Princesa - gli sussurrò lei nell’orecchio, divertita.
- Per fortuna… - commentò lui ridendo, prima di alzarsi e andare a prendere un paio di bottiglie dal mobile bar poco più avanti.
Fecero un brindisi e poi Shepard continuò a raccontare.

- Non so quanta importanza ebbe quella strana figura per me, ma so che pensai spesso a lei, ammirandone la forza, il coraggio e la determinazione.
- All’età di circa quindici anni me ne andai da quello schifo di posto. Durante le mie scorrerie nei vicoli della città avevo trovato un piccolo scantinato al quale si poteva accedere da una minuscola grata di un condotto fognario. Nessuno sembrava scendere mai lì sotto dal piano superiore. Aspettai un paio di settimane, per essere sicura, e poi una sera non tornai nella cantina: avevo trovato un tetto che poteva essere solo mio - finì Shepard in tono conclusivo.

- Cosa successe dopo? - la incitò Garrus, visto che lei non sembrava avere nessuna intenzione di continuare il suo racconto.
- Molte altre cose... Quando ero nella cantina non avevo ancora neppure un nome. Fu un sergente della sicurezza a battezzarmi con il nome di sua nipote e con il cognome di un astronauta - rispose lei - ma credo che per oggi sia abbastanza. E’ ora di andare a letto.
- Non puoi confessarmi una cosa del genere e poi pretendere che vada a dormire! - protestò Garrus.
- Possiamo andare a letto, intanto... non dobbiamo dormire subito - propose Shepard in tono malizioso, inginocchiandosi davanti al turian e cominciando a baciarlo sulla bocca.
- Ma neppure per idea... - protestò lui di nuovo, scostandola con decisione - Avremo una serata assolutamente casta fino a quando non mi avrai raccontato tutto. E guarda che sono un turian, non credere di riuscire a sedurmi contro la mia volontà.
- Posso sempre provarci... - sussurrò lei in risposta, facendo scorrere le dita sul collo di Garrus e baciandogli la pelle morbida della gola fino a quando il corpo del turian indicò un chiaro stato di eccitazione.
- Perdi solo tempo: il mio corpo può gridare quanto vuole, ma io non gli darò retta - affermò il turian con voce tranquilla - ci allenano a superare prove molto peggiori fin dalla nascita.
Poi, di fronte all’espressione delusa di Shepard, Garrus aggiunse sottovoce - in realtà quelle prove non sono mai state molto peggiori di questa.
Se la tirò in braccio e le fece appoggiare la testa su una sua spalla. Poi le ordinò - Continua.

- I primi tempi che vissi nello scantinato non portarono grossi cambiamenti nel mio modo di vivere, ma apprezzavo la libertà che mi ero conquistata: uscivo e rientravo quando volevo e potevo accumulare anche piccole scorte in previsione dei periodi difficili senza temere che qualcuno mi rubasse qualcosa.
- Dopo il primo mese mi feci coraggio e provai a vedere dove sbucasse il piccolo cunicolo che saliva verso l’alto. Avevo trovato un rifugio alternativo in una strada poco lontana e quindi potevo correre il rischio di essere scoperta. Tutt’al più avrei cambiato tana.
A questo punto Shepard si alzò e andò a prendere i rifornimenti nel mobile bar.
Un brindisi, un bacio quasi casto e si decise a continuare il racconto.

- Impiegai qualche giorno per riuscire ad aprire la botola che chiudeva il passaggio: prima mi dovetti procurare degli attrezzi da scasso in un negozio. Quando infine riuscii a forzare la serratura, mi ritrovai un locale buio. Dopo qualche secondo i miei occhi si abituarono all’oscurità e capii di essere in un grande ripostiglio. Gli scaffali erano pieni di prodotti per effettuare le pulizie e in terra c’erano due grandi macchinari che spesso avevo visto utilizzare per lucidare i pavimenti dei negozi.
- La porta del locale aveva una piccola vetrata e così sbirciai fuori: si trattava di un grande negozio di armi che avevo visto più volte nel corso delle esplorazioni intorno al mio rifugio. Pensai che mi sarebbe davvero piaciuto dare un’occhiata in giro, ma ero certa che ci fossero varie telecamere in funzione, così tornai da dove ero venuta, attenta a nascondere ogni traccia dell’effrazione.
- Il pensiero di quel negozio vicinissimo, ma inaccessibile, occupò la mia mente per oltre una settimana: alla fine decisi di entrarci durante il giorno, per studiare se ci fosse un modo per eludere la sorveglianza delle telecamere. Riuscii a procurarmi dei vestiti passabili, adatti a un ragazzo di buona famiglia, e mi rasai la testa pensando che un maschio avrebbe dato meno nell’occhio.
Mentre parlava dello scempio dei suoi capelli Shepard non distolse gli occhi dalla faccia di Garrus, sicura che ne sarebbe stata ben ricompensata. E infatti il turian emise una sorta di involontario gemito e le infilò una mano nella chioma rosso mogano, facendoci scorrere lungamente le dita, in un gesto di rassicurazione che non era riuscito a trattenersi dal compiere.

- La mattina dopo entrai nel negozio come un normale cliente e studiai la disposizione delle telecamere. Ce ne erano parecchie in giro, ma l’area davanti al ripostiglio ne era priva perché non c’era bisogno di sorvegliare quella zona: lì c’erano le casse automatiche per effettuare i pagamenti.
- Capii che sarei riuscita ad arrivare al banco delle pistole strisciando dietro diversi banconi, ma non ai reparti con armi più potenti. Di certo, però, non avrei avuto alcuna difficoltà a procurarmi tutte le munizioni che potevo desiderare.
- Quanto tempo hai resistito alla tentazione di rubare una pistola? - le chiese Garrus provando a immaginarsi il bagliore di gioia degli occhi della sua Shepard all’idea di procurarsi un'arma. Il comandante rise a lungo.
- Entrai quella sera stessa: scelsi una pistola che mi sembrò perfetta per le mie mani da ragazza e tutte le munizioni che riuscii a infilarmi nei vestiti. Poi tornai nel rifugio, tolsi tutte le mie cose e per precauzione mi spostai nell’altro, che distava poche centinaia di metri.
- Avere addosso quell’arma mi fece sentire molto più sicura e così cominciai ad ampliare pian piano i miei giri di ricognizione, anche perché volevo trovare una zona in cui potessi esercitarmi con la pistola, visto che non potevo certo entrare in un poligono di tiro con un’arma rubata e senza alcun tipo di documento di identità.
- Ecco, giusto… l’identità… Non avevi ancora un nome? - chiese Garrus interessato.
- Né nome, né cognome - confermò lei - ora ci arrivo…
- Non avere fretta. Mi piace questa storia - chiarì lui, temendo che Shepard tagliasse corto.
- Ok, Vakarian. E’ divertente raccontare: non l’ho mai fatto - gli confessò lei, contenta che lui fosse davvero interessato a quella lunghissima narrazione di eventi così lontani.

- Fu in quel periodo che mi capitò di scoprire un posto speciale e di incontrare la persona che mi cambiò la vita - gli disse sapendo che quell’esordio avrebbe avvinto il turian. Lo fissò per un po’ in silenzio fino a quando lui la incitò - Smettila, vai avanti - con un tono in parte divertito e in parte impaziente.
- Birra e bacio - rispose lei ridendo, costringendolo ad alzarsi per andare al mobile bar e a continuare a baciarla fino a quando si ritenne sazia e soddisfatta.

- Prima di trovare il posto giusto per esercitarmi nel tiro al bersaglio, finii per puro caso nello spazioporto della città. Quegli scafi lucidi che dormivano quietamente sulla banchina mi affascinarono immediatamente. Passai molte ore a fissare il traffico delle navi spaziali in partenza ed in arrivo, ascoltando il ruggito dei loro motori, ammirando la grazia con cui quei giganti danzavano appoggiandosi lievemente al suolo o distaccandosene per fuggire verso chissà quali cieli sconosciuti e per me inimmaginabili.
- Smisi perfino di cercare il mio poligono di tiro riservato e tornai quasi ogni giorno allo spazioporto. Non avevo pensato che la mia presenza pressoché quotidiana avrebbe attirato l’attenzione di qualcuno, o forse ci avevo pensato, ma avevo deciso di correre quel rischio - spiegò a Garrus che assentì con un sorriso partecipe, immaginandosi benissimo l’innamoramento istantaneo del suo comandante verso le navi spaziali.

- Un giorno mi si avvicinò un agente di sorveglianza, un sergente, senza che io me ne accorgessi. Feci un vero salto quando lui mi rivolse la parola e lo fissai con uno sguardo spaventato, pensando che mi avesse individuato come piccola ladruncola e si apprestasse ad arrestarmi. Lui dovette ripetere la frase che mi aveva appena rivolto, perché io mi ero talmente spaventata da non averla sentita.
- Ti vedo spesso qui intorno osservò con gentilezza. Io annuii con espressione ancora un po’ tesa, ma cominciando a tranquillizzarmi: se avesse voluto arrestarmi non si sarebbe perso in chiacchiere inutili. Aspetti lo sbarco di un parente o hai un genitore che presta servizio su una di queste navi? mi chiese subito dopo. Io feci cenno di no e lui mi fissò incuriosito. Sono belle commentai semplicemente.
- E sicuramente ti sembravano davvero splendide, anche se magari erano semplici navi mercantili… - osservò Garrus mentre fissava lo sguardo sognante di Shepard, perso nel ricordo di quegli scafi.
- Beh, non erano di certo come la Normandy - rise lei in risposta.

- E’ stato quel sergente a cambiare la tua vita? - chiese Garrus incuriosito.
Shepard annuì e riprese a raccontare - Alla mia confessione semplicissima, lui mi lanciò uno sguardo interdetto, sorpreso dal timbro della mia voce. Pensavo fossi un ragazzo commentò, osservando la mia figura con occhi diversi.
- Ero alta, per la mia età, magra e un po’ sproporzionata. Mi sentivo sgraziata e impacciata, con le gambe troppo lunghe e il seno quasi assente. In più vestivo da maschio e avevo i capelli quasi rasati.
Garrus provò a figurarsela come lei si era descritta, poi scosse la testa rinunciandoci.

- Non ricordo se ricevette una chiamata o cos’altro accadde quel giorno, ma so che si allontanò. Io rimasi ancora a lungo dietro la vetrata, a guardare quelle navi.
- Lo incontrai nuovamente dopo un paio di giorni e questa volta fui io a salutarlo. Lui passò molto tempo a raccontarmi la storia di alcuni di quegli scafi, dicendomi da dove venivano e dove stavano dirigendosi e mi cercò di descrivere alcuni di quei luoghi dai nomi così affascinanti. Queste conversazioni divennero un’abitudine per entrambi, ogni volta che ci trovavamo insieme in quello spazioporto.
- Ricordo che sorrideva spesso mentre mi faceva quelle narrazioni. Probabilmente era colpito dal mio stupore e dall’interesse assoluto che gli dimostravo. Immagino di avergli fatto più domande di quelle alle quali avrebbe potuto rispondere in una vita intera, ma non si spazientì mai e mi fornì tutte le risposte che conosceva.

- Ti innamorasti di lui? - chiese Garrus incuriosito.
Shepard lo guardò sorpresa e cominciò a ridere.
- Non sono geloso. Non del tuo passato, Shep - chiarì lui - Sai quali sono le abitudini della mia gente.
- Oh sì, non credo che dimenticherò mai la tua Lietka - gli rispose lei guardandolo male, per gioco. Poi aggiunse - Era vecchissimo quell’uomo. O almeno a me era parso tale. Probabilmente aveva solo una settantina di anni.
- Non so quante volte ci incontrammo prima che lui mi comunicasse che si sarebbe preso una breve vacanza e che sarebbe andato con moglie, figli e nipoti sul pianeta di un altro sistema solare, lontanissimo dalla Terra. Quando vide la mia espressione delusa mi suggerì di andare al cinema a vedere una pellicola e mi assicurò che me ne sarei innamorata. E fin dalle prime scene capii quanto avesse avuto ragione.
- Che olofilm era? - chiese Garrus.
- Non ricordo il titolo, così come non ricordo più bene la trama, ma il protagonista era il capitano di una nave spaziale che doveva esplorare un sistema solare sconosciuto e le immagini di quello scafo argenteo che solcava i cieli della galassia disseminati di stelle e nebulose colorate mi impressionò profondamente. Credo che spesi quasi tutti i soldi che avevo messo da parte (dopo aver conosciuto quell’agente avevo difficoltà a continuare a vivere rubacchiando in giro) per passare intere ore nei cinema.

- Quel sergente tornò? - si informò Garrus, completamente avvinto da quella storia.
- Oh sì! - rispose lei con entusiasmo, mentre gli occhi le brillavano al ricordo della gioia che aveva provato nel rivederlo nello spazioporto.
- Mi salutò con affetto e mi disse che durante quella lunga vacanza aveva pensato spesso a me.
- Risi di gioia e gli confessai che mi era mancato molto, lui e le sue storie, e che il film che mi aveva suggerito mi aveva regalato le emozioni più intense che io riuscissi a ricordare.
- Bene mi rispose Ci speravo. Volevo suggerirti di entrare nella Marina dell’Alleanza.
- Io lo guardai stupita e poi scossi violentemente la testa, mentre sentivo che le lacrime mi accecavano. Dovette passare un bel po’ di tempo prima che riuscissi a calmarmi a sufficienza per spiegargli i motivi per cui quella strada mi era preclusa.

- Perché, Shep? - chiese Garrus in tono perplesso.
- Non ero nessuno, non conoscevo il mio nome, non sapevo neppure se ne avessi mai avuto uno. Quell’uomo rimase a guardarmi stupito e credo che per la prima volta da quando ci eravamo incontrati si comportò da agente di sicurezza quale effettivamente era e mi fece lunghe e accurate domande a cui risposi onestamente, vergognandomi a morte.
- Una volta che ebbe finito di interrogarmi io rimasi a fissarmi i piedi, sicura che lui mi avrebbe portato in cella o che si sarebbe tenuto alla larga da me in futuro. Invece lui mi allungò il suo fazzoletto - confessò Shepard ridendo mentre fissava Garrus che rise a sua volta commentando - Meno male che incontri sempre uomini con un fazzoletto in tasca…

Quando smisero di ridere Shepard continuò il suo racconto - Mi portò nel suo ufficio, mi indicò una fotografia e mi chiese se mi piacesse. E’ una ragazza molto bella, Signore gli risposi onestamente. Mi riferì che era sua nipote, mi disse come si chiamava e aggiunse che Trinity sarebbe stato il mio nome di battesimo. Poi mi mostrò un poster attaccato al muro: era un volto stilizzato, che non mi appariva familiare. Seppi dal sergente che raffigurava Alan Bartlett Shepard, il primo astronauta statunitense a volare nello spazio, e che Shepard sarebbe stato il mio cognome.
- Mi accompagnò poi da un collega a cui chiese di registrare le mie impronte digitali e fece inserire le mie nuove generalità. Infine mi salutò, ordinandomi di non perdere più il mio tempo sulle banchine dello spazioporto prima di aver superato le selezioni dell’Accademia.

- Magnifico! - esclamò Garrus - Ma davvero non hai mai raccontato a nessuno una storia come questa? - chiese in tono stupito.
Lei scosse la testa in segno di diniego.
- E come andarono le selezioni? Ovviamente fosti presa subito…
- No. Fui rifiutata - rispose Shepard ridendo, tanto che lui credette che lo stesse prendendo in giro.
- No - ripeté lei - davvero fui bocciata.
- E perché? Cosa accadde? - chiese Garrus sinceramente stupito. Il comandante dette un’occhiata all’orologio e poi affermò in tono che non ammetteva repliche - Ora basta. Si va a letto. Il resto della storia lo avrai insieme alla colazione domattina.
- Uhmmm - rimuginò lui pensosamente - Ti ho fatto parlare per tutta la serata: credo di essere in debito con te - ammise accarezzandole i capelli mentre la stringeva fra le braccia.
- Puoi ricambiare al piano di sopra... - rispose Shepard ridendo, appoggiando il viso nell’incavo fra spalla e collo del turian, mentre lui si alzava in piedi senza fatica, continuando a tenerla stretta fra le braccia.

La mattina dopo la svegliò con un leggero bacio sulla fronte e con il profumo del caffè appena fatto. Aspettò che lei lo bevesse e poi le mostrò un vassoio.
Quando gli lanciò un’occhiata di rimprovero, Garrus ridacchiò senza scomporsi e glielo appoggiò sulle ginocchia: pane tostato, burro e marmellata di arance amare, la sua colazione preferita.
- O mangio oppure racconto il resto della storia - lo sfidò lei, sperando, per una volta, di avere in mano le carte vincenti.
Garrus la guardò spalancando gli occhi, rifiutandosi di accettare quell’aut aut sleale, ma di fronte all’espressione ferma del comandante esplose in un paio di imprecazioni turian, mise il vassoio sul tavolo e si sdraiò accanto a lei, appoggiandole la testa in grembo.

- Appena uscita dall’ufficio del sergente mi informai sulle date degli esami di ammissione. Non andai più allo spazioporto, ma trovai un posto sperduto poco fuori della città: presi l’abitudine di esercitarmi con la pistola, ringraziando la fiducia che il sergente aveva riposto in me, quando non mi aveva costretto a consegnargliela o a restituirla al legittimo proprietario.
- Il giorno dell’esame mi mischiai nel gruppo di ragazzi in coda davanti alle porte.
- Ricordo che ci consegnarono una fascia con un numero da stringere intorno al braccio, poi ci divisero in gruppi da venti e ci portarono in una specie di stadio. Lì ci fecero correre e ci fecero seguire un percorso attrezzato.
- Non ci fornirono i risultati che avevamo ottenuto, ma io mi sentivo molto soddisfatta perché in ogni competizione ero risultata prima, nonostante il mio gruppo fosse composto da molti ragazzi.
- Non stento a crederti - osservò Garrus sapendo che quella donna poteva battere facilmente molti maschi di molte razze in numerose discipline.

- Poi ci portarono in un poligono di tiro e ci spiegarono rapidamente il funzionamento di una pistola. Non riuscii a vedere il punteggio che avevo ottenuto per la lontananza della sagoma, ma notai come uno dei militari avesse chiamato dei colleghi e si fosse messo a parlare con loro indicando il mio bersaglio. Lo presi come un segno positivo.
- Infine fummo condotti in un’altra stanza con dei piccoli banchi. Ci dettero dei fogli di carta e una penna e ci dissero che avevamo mezzora di tempo.
- Fissai i compagni più vicini, cercando di capire in cosa potesse consistere quella prova, ma uno dei militari che passava fra i banchi mi rimproverò dicendo che sarebbe stato stupido provare a copiare, perché i test servivano solo per capire la personalità dei candidati - rivelò Shepard con un tono in cui Garrus riconobbe l’eco della vergogna che lei doveva aver provato nel sentirsi accusare di copiare da qualcun’altro.
- Ma davvero volevi copiare? - le chiese in tono perplesso.
- No, volevo comprendere cosa dovessi fare con quello stramaledetto pezzo di carta. Dopo qualche secondo pensai di aver capito abbastanza: la prova consisteva nel barrare delle caselle. Le dannate caselle erano in gruppi di cinque e, tornando a sbirciare il vicino che avevo sulla destra, capii che ne andava barrata solo una a scelta. Presi la penna e cominciai.

- Dopo mezzora i militari ritirarono i fogli che avevamo davanti e cominciarono a correggerli, passandoli via via a un capitano che stava seduto dietro a una scrivania. Lui prendeva un foglio alla volta, chiamava un nome e poi prendeva dei fogli da un altro mucchio di carte, che immaginai riportassero i risultati che ciascuno di noi aveva ottenuto nelle prove precedenti. Seguiva un colloquio di lunghezza molto variabile e poi il candidato usciva dalla stanza, dopo aver ritirato i risultati ottenuti nelle diverse prove e un altro foglio che immaginai contesse l’esito complessivo dell’esame.
- Quando rimasi solo io, la persona dietro la scrivania disse Suppongo che questo test sia tuo. Avvicinati. Io mi diressi verso la scrivania e rimasi lì in piedi in silenzio. Perché non hai scritto il tuo nome sul foglio? mi chiese quel capitano. Mi sono scordata, Signore gli risposi. Il capitano si limitò a prendere i fogli con i risultati delle prove atletiche e di tiro a segno e commentò Credo di non aver mai visto risultati di questo genere prima d’ora, ma immediatamente dopo aggiunse Ma neppure di quest’altro genere, agitandomi davanti agli occhi il foglio con le caselle che avevo barrato.
- Io restai in silenzio perché non sapevo bene cosa potessi rispondere e lui mi chiese se fossi andata lì perché qualcuno della mia famiglia mi aveva costretto. Gli risposi che non avevo alcuna famiglia e che il mio desiderio più grande era quello di diventare un’allieva di quell’Accademia.
- Spiegami allora perché alla domanda relativa alle motivazioni che ti hanno portato qui stamattina hai barrato a risposta Mi piacciono le divise.

- Spiriti, Shepard! Ma davvero avevi risposto così? - le chiese Garrus guardandola con stupore e soffocando nelle sue stesse risate.
Lei rise e continuò imperterrita a raccontare - Sentii la faccia che mi andava letteralmente a fuoco e lui mi dette un’occhiata pensierosa, prima di chiedermi E cosa pensi delle razze aliene? Gli risposi che alla domanda in generale non sapevo rispondere: gli alieni erano come noi, c’erano le brave persone, ma anche i coglioni. Aggiunsi frettolosamente un Signore che speravo distogliesse la sua attenzione dal mio linguaggio poco appropriato alla situazione, ma lui si limitò a sorridere divertito, dichiarando Hai barrato la casella: gli alieni sono stupide razze inferiori.

- Forse avrei fatto meglio a lasciare quel foglio in bianco commentai fissando con attenzione la punta dei miei stivali, mentre avrei voluto sprofondare di parecchi chilometri sotto il livello del terreno. Suppongo che tu non sappia leggere, anche se si fa fatica a credere che oggigiorno ci sia ancora qualcuno in queste condizioni commentò il capitano. Sissignore, cioè… No, Signore... risposi a bassa voce.
- Non puoi entrare in Accademia senza saper leggere e scrivere fu il suo responso, allungandomi tutti i fogli. Capisco, Signore risposi avvilita, avviandomi verso l’uscita.
- Spiriti! Non sapevi leggere? - chiese Garrus rendendosi finalmente conto che lei aveva barrato caselle a casaccio.
- E già… non mi era mai servito prima di quel momento - ammise lei ridendo.

- E cosa facesti a quel punto? - le chiese Garrus continuando a ridacchiare all’idea che il famoso comandante Shepard fosse diventato adulto prima di saper leggere e scrivere.
- Tornai allo spazioporto con la coda fra le gambe…
- Cioè? Quale coda? - chiese lui guardandola con aria perplessa.
- E’ solo un modo di dire… si riferisce ai cani…
- Cani… - ripeté lui prendendo mentalmente nota della parola.

- Insomma… mi sentivo umiliata - chiarì Shepard usando finalmente una parola a lui comprensibile.
- Tornai allo spazioporto e quando vidi venirmi incontro quel sergente che aveva riposto tanta fiducia in me, mi sentii perfino peggio e arrossi violentemente, mentre gli porgevo tutti i fogli che tanto non ero in grado di decifrare. Ricordo che lui ebbe un sorriso entusiasta di fronte ai primi risultati, poi guardò con espressione confusa il foglio con le crocette. Per fortuna non mi chiese spiegazioni, ma si limitò a leggere la relazione conclusiva su cui, mi comunicò, era stampata a chiare lettere la parola analfabeta.
- Fu quasi comica la scena seguente - ammise Shepard mettendosi nuovamente a ridere - Finì che fui io a doverlo consolare mentre lui si riempiva di male parole e si accusava di essere stato un idiota completo.
- Qualche minuto più tardi mi portò nuovamente nel suo ufficio e aprì un cassetto della sua scrivania dal quale estrasse un factotum. Ci caricò vari programmi dal suo computer e poi me lo diede, insieme a un datapad, aggiungendo che era tempo che imparassi a leggere e a scrivere.
- Io lo ringraziai con le lacrime agli occhi e mi voltai per uscire, colma di vergogna, ma anche di una nuova speranza. La frase Non deludermi, Trinity, se vali anche solo la metà di quanto io credo, diventerai un ottimo soldato mi raggiunse mentre stavo aprendo la porta dell’ufficio della Sicurezza. Mi voltai verso di lui e gli risposi convinta Non la deluderò, Signore. Glielo prometto.
- E tu mantieni sempre le tue promesse - commentò Garrus, stringendola fra le braccia.

- Fu l’ultima volta che lo incontrai - aggiunse il comandante, appoggiando la guancia contro il petto del turian - Passai tutto il mio tempo a studiare e non andai più allo spazioporto. Appena entrata nell’Accademia lo cercai, ma seppi che era andato in pensione la settimana prima. Provai a chiedere il suo indirizzo, ma mi risposero che era partito su una nave spaziale con sua moglie, senza dire dove fossero diretti.
- E’ davvero una bella storia, Shep - commentò Garrus, dandole un lungo bacio.
- Smettila, turian - disse lei ridendo e saltando giù dal letto - Devo finire i preparativi per la festa di questa sera.
- Giusto! Quanti siamo?
- Verranno tutti! - rispose il comandante al di là della porta aperta del bagno, con un tono carico di gioia, al pensiero che avrebbe finalmente riabbracciato tanti cari amici che non vedeva ormai da lungo tempo.
- Preparati, pigrone - lo incitò, mentre faceva scorrere l’acqua della doccia - Ho bisogno di consigli per prendere qualcosa di speciale anche per te e per Tali.

- Sei dannatamente magnifico e sexy... lo sai, Garrus Vakarian? - fu il commento che bloccò i movimenti del turian che stava finendo di allacciarsi gli ultimi fermagli dell’uniforme.
- La smetterai mai di cercare di farmi arrossire?
- Con te è quasi troppo facile... - rispose lei ridacchiando, con uno sguardo che però rivelava come il complimento appena pronunciato fosse stato sincero.
“Dannazione, Shep. Quando finirà questa maledetta guerra, la prima cosa che farò sarà quella di chiederti di sposarmi” fu il pensiero che attraversò ancora una volta la mente di Garrus mentre stringeva il suo comandante fra le braccia, chiedendosi se fosse una buona idea lasciare quella stanza, con il letto ancora disfatto pronto ad accoglierli.



Nota
Avevo bisogno di raccontare un pezzetto di vita della mia Trinity prima della conclusione di questa storia.
Mi piacerebbe sapere che impressione vi ha fatto leggere qualcosa di assolutamente inventato. E' la prima volta che faccio un tentativo del genere e sono abbastanza insicura.
  
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