Tu eri lì, in mezzo a quelle persone che ballavano e che io definivo "un gregge di pecore inferocito", e subito milioni di ricordi si inabissarono nella mia mente: le nostre uscite, il tuo odore, le tue mani, le tue labbra e i tuoi baci. I momenti in cui facevamo l'amore e in cui io ero tua e tu eri mio. I momenti in cui ci appartenevamo, in cui il mondo era nostro. E non potevo negare che mi mancavano. E non potevo negare che tu mi mancavi. Eri così bello, così disinvolto, e io ti osservavo, ti osservavo mentre ti divertivi, ti osservavo mentre eri felice anche senza di me, o forse lo sembravi. Forse fingevi, forse eri rimasto il solito "bravo attore". 
Alzasti lo sguardo verso di me, e io il tuo sguardo lo riconoscerei anche in mezzo a mille persone, anche dopo aver passato anni senza vederlo. Ci osservammo, e i tuoi occhi esprimevano tutto ciò che la tua bocca non aveva il coraggio di esprimere. Eravamo lontani uno dall'altra, ma con quello sguardo potevamo sentirci più vicini che mai, più vicini di quando passavamo i lunghi pomeriggi d'inverno a dormire stretti, abbracciati. E non una parola, non un gesto: io e te ci salutammo con uno sguardo. E non avrei potuto desiderare saluto migliore, perché mi perdevo e continuerò a perdermi per sempre nel ricordo dei tuoi occhi, e se non ti rivedrò più, sappi solo che tu sei stato il migliore, tu sei stato il primo, tu sei stato l'unico.