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Autore: pheiyu    09/06/2013    3 recensioni
Pitch è tornato, più spietato che mai, e vuole vendetta. Nella notte di Halloween riusciranno i cinque, più qualche strampalato aiuto, qualche vecchio amico e un nuovo combattuto spirito, a salvare sé stessi e i bambini?
Genere: Azione, Comico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Jack Frost, Jamie, Kozmotis 'Pitch' Pitchiner
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 7

FRIGHT NIGHT


Sleep walking in the dead of night,
Black cat crosses your path,
Knock knock on the door three times,
And you knock knock on the door!
I used to talk to demons but not anymore
On fright night, you tuck me in.

           Fright Night, Ariel Pink’s Haunted Graffiti


Assomigliando ad un ricciolo di panna che troneggia sulla cima di una torta biancheggiante di nebbia, Tiddy Mun soppesò Candelora.
"Dobbiamo allearci per sconfiggere l'Uomo Nero. Ci aiuterai?"
– Voi volete che mi unisca ai Guardiani? –
Mun si passò la punta del mignolo dentro all'orecchio e con ostentazione tornò a sporgersi verso Candelora. – Credo dipenda dal mio udito un po' annebbiato, ma non sono sicuro di aver sentito bene. Ripeti un po'. –
– No, hai sentito benissimo. – fece Candelora, alzando il mento. – Abbiamo bisogno del tuo aiuto. –
Mun rimase immobile, poi si morse pensosamente l'interno della guancia, infine prese a ridacchiare, sussultando come se stesse subendo un violento attacco di singhiozzo.
– Ecco da che cosa dipende! Che stupido! Ci stavo per cascare! È da talmente tanto tempo che non mi addenso che temo il mio senso dell'umorismo si sia perso da qualche parte sulle Alpi! –
Candelora si apprestò a ribattere ma si bloccò di colpo, sbattendo le palpebre.
Un boomerang era spuntato minacciosamente a pochi millimetri dalla gola di Mun e la zampa di Bunnymund che lo stringeva con perizia - per quanto ancora sporca di fango - non mostrò la minima esitazione.
Il silenzio calò improvvisamente tra di loro come una gelida mannaia.
– Quando tornerò indietro ammazzerò North, ma magari ammazzerò prima te... – Bunnymund sogghignò – …tanto per pareggiare i conti. –
Se avesse accusato quella minaccia Mun non lo diede a vedere, limitandosi a mantenere un'espressione vagamente divertita sul volto opalescente.
Candelora strinse i pugni ed esalò: – Smettetela! Dobbiamo collaborare! Non minacciarci a vicenda! –
– Io per ora non ho ancora minacciato nessuno. – fece notare Mun scrollando le soffici spalle con uno sbuffo caliginoso. – E credo di non sbagliarmi se dico che l'irascibilità del nostro amico melmoso qui dietro dipenda esclusivamente dal fatto che non si lavi abbastanza. – Mun materializzò la propria mano ad un soffio dal naso e la agitò con indignazione. – Anch'io sarei intrattabile se puzzassi come un uovo marcio. –
Il boomerang per tutta risposta si appoggiò contro la pelle iridescente di Mun e il ghigno di Bunnymund si trasformò in una smorfia d'ira.
– Attento, spumino. Fossi in te non scherzerei così tanto. –
– L'umorismo sottile di una battuta dipende dai punti di vista, non credi?  –
– No, non credo. E smettila di mettere "dipende" in ogni dannata frase. –
– Questo dipenderà dalla tua propensione o meno ad abbassare in breve tempo questa tua irritante arma. –
Candelora si pigiò le mani sugli occhi e batté spazientita un piede per terra, cercando di reprimere il prurito che sentiva alle mani. Non avrebbe mai colpito Bunnymund - era impossibile per il suo cuoricino sopportare di imprimere una tale offesa al corpo del suo amato - ma si rese ben presto conto di non poter alzare nemmeno un dito pure su Tiddy Mun, visto che erano andati lì appositamente per chiedere il suo aiuto.
Era un situazione senza via d'uscita.
Intanto Bunnymund e Tiddy Mun continuarono a squadrarsi come due cani randagi intenti a decidere chi dei due avesse il pelo più ritto. La nebbia si mosse a disagio, serpeggiando intorno a loro, e li accerchiò più fittamente, simile ad uno stretto anello di impenetrabile barriera.
– Bunnymund, abbassa quel boomerang! – esclamò Candelora con forza, cercando di salvare il salvabile.
– Ascolta il saggio consiglio della tua amica. – le fece eco Mun, dissolvendosi come d'incanto in ampie volute bianche. – Anche perché hai già avuto modo di constatare che con me il tuo boomerang non funziona. –
Guardandosi intorno, Bunnymund serrò la presa sulla sua arma ma non ritornò in posizione d'attacco. Candelora si ritrovò a sperare che lui dicesse qualcosa sul fatto che lei non fosse veramente una sua amica - magari specificando che era qualcosa di più - ma non accadde nulla di simile.
– Non sperare che finisca qui. – decretò invece Bunnymund, riuscendo per una volta a risultare quasi ragionevole. – Chiariremo questa faccenda a tempo debito. Nel frattempo, però, per quanto mi secchi ammetterlo, Candelora ha ragione. Siamo qui per chiedere il tuo aiuto non per combatterti. –
Per dimostrare quanto le sue parole fossero veritiere rinfoderò il boomerang e alzò le mani disarmate in segno di buona fede.
– I Guardiani non chiedono aiuto. – commentò la voce di Mun, sgorgando da una bocca pallida comparsa sarcasticamente a mezz'aria. – I Guardiani lavorano da soli. La motivazione di ciò dipenderà mica dal vostro ego smisurato? –
Prima che Bunnymund potesse replicare, Candelora gli pestò un piede - pur se a malincuore - e rispose al posto suo: – Io non sono un Guardiano, eppure collaboro con loro. Si tratta di unire le nostre forze in  nome di un ideale più alto. –
Lei non la pensava esattamente così, ma aveva una mezza idea che quelle fossero le parole adatte a convincere un tipo come Mun. Capì di avere catturato almeno in parte il suo interesse quando lui sorrise, facendo comparire anche il naso e un paio di occhi velati sopra alla bocca.
– La mia risposta dipende univocamente dal tipo di ideale proposto. –
Candelora rifletté velocemente.
– Più nebbia per tutti…? –
Finalmente comparve anche il corpo longilineo dalle tonalità biancastre di Mun, che con una elegante capriola atterrò proprio di fronte a Candelora.
– Avrete il mio aiuto. – dichiarò solennemente, facendo vibrare la nebbia attorno al suo corpo di genuina eccitazione. – Quando si parte? –
Candelora ebbe la curiosa impressione di ritrovarsi al centro di una nuvola tale era la concentrazione di vapore acqueo intorno a lei; Bunnymund invece si limitò a biascicare: – Vedi di darti una calmata. Qui non si vede più nulla. –
Mun gli rispose con un tono d'accondiscendenza, come se stesse parlando ad un emerito cretino.
– Se i tuoi occhi funzionassero a dovere vedresti che c'è nebbia. –
– Hah! Davvero molto spiritoso. – lo sfotté Bunnymund.
– Lo so. – replicò Mun, pacatamente. – Ma guarda il lato positivo della faccenda. Grazie alla mia nebbia nessuno sarà costretto a vedere il tuo brutto muso. –
Candelora alzò gli occhi al cielo: il viaggio di ritorno al Polo Nord sarebbe stato molto, ma molto lungo.

***

Lasciando una scia di sabbia dorata dietro di sé, Sandman salì le scale che portavano al laboratorio di North con aria esausta.
Portare Flibbert Gibbert al Polo Nord si era rivelata un'impresa incredibilmente stancante, o quantomeno logorroica. Infatti, dopo qualche ora passata a fare speculazioni sulle possibili catastrofi che si sarebbero abbattute se lei avesse lasciato il suo adorato lago con l'inseparabile Gibbert al suo interno, Flibbert si era lanciata in addolorati pianti su quanto fosse affezionata alla sua immagine speculare e sull'impossibilità di abbandonarla da sola senza nessuno a farle da adeguata compagnia.
Sandman dopo qualche minuto passato con un fazzoletto dorato in mano a tentare di consolare l'inconsolabile Flibbert, aveva avuto una brillante idea. Brillante in tutti i sensi.
Aveva materializzato di fianco a sé uno specchio gigantesco dalla forma ovale, splendente come un sole e dalle decorazioni finissime a motivi floreali, e lo aveva posto di fronte a Flibbert.
La ragazza aveva sussultato in preda ad una commozione indescrivibile e aveva abbracciato lo specchio con trasporto, facendo ondeggiare i suoi ricci ambrati nell'aria mattutina. Dallo specchio, l'immagine di Gibbert le aveva sorriso di rimando, eseguendo lo stesso identico movimento.
Sandman aveva sospirato, sollevato, e Flibbert Gibbert aveva decantato per ore la sua totale devozione, nonché la sua completa intenzione, di seguire il Guardiano ovunque egli l'avesse voluta portare, donandosi alla sua causa anima e corpo.
Anche mentre erano in viaggio sulla sua nuvola dorata, Flibbert Gibbert non aveva chiuso bocca nemmeno per un attimo, divagando su così tanti argomenti e discutendo imperterrita su così diversificate e svariate opinioni che Sandman aveva, ormai, solo che confusi ricordi a riguardo.
– Quando ero ancora in vita avevo un nome diverso. Non ricordo quale, però. Tu si, Gibbert? Oh, nemmeno tu ricordi…? Non importa. Però so per certo che ero molto bella e pure che avevo diversi pretendenti. Occhi di miele, era uno dei miei epiteti preferiti. Un giorno - da molti definito sventurato ma che io ricordo con particolare calore, anche tu, vero Gibbert? - mi sono specchiata in quel magnifico lago. E che cosa vi ho visto? La donna più bella e più intelligente dell'intero creato! Oh, sublime visione, si! , eri proprio tu Gibbert! Siamo diventate inseparabili, migliori amiche per la vita e per sempre! Hanno tentato di separarmi da me stessa, dalla mia dolce metà, - oh, se ci hanno provato! - ma io ho resistito! Pur di non dargliela vinta mi sono affogata in quello stesso lago per non dovermi separare da te Gibbert! E adesso guardaci! Unite per l'eternità!
Pensa, Guardiano! Ero così desiderosa di non separarmi mai dalla mia immagine che certe malelingue dicevano che me ne fossi innamorata! Quanta malvagità! Ma come si possono pensare certe cattiverie? –
Sandman a quel punto aveva una sfocata immagine di Gibbert che annuiva con occhi umidi di dolci lacrime e poi il ronzio della voce di Flibbert che ripartiva, cantilenante come sempre.
– Da allora vivo vicino a Gibbert e lei vive vicino a me. Siamo l'una lo specchio dell'altra. L'una la salvezza dell'altra. Se non ci fosse Gibbert, io morirei dal dolore! E se fossi io a mancare sarebbe lei a …–
Sandman scacciò quei ricordi scuotendo la testa e varcò stancamente la porta del laboratorio di North, trovando quest'ultimo intento ad intagliare una nave pirata da un ceppo di ghiaccio.
– Oh, Sandy! Tu fatto presto! Come è andata con Flibbert Gibbert, eh? –
Sandman non gli rispose nemmeno. Puntò la poltrona di velluto rosso nell'angolo e vi ci si lasciò cadere, addormentandosi quasi istantaneamente su uno dei braccioli.
Al piano di sotto la voce di Flibbert Gibbert prese a riempire le orecchie degli yeti e dei folletti con il suo interminabile cicaleccio.

***

Jack Frost rimase immobile mentre lo spirito di Halloween copriva lentamente la distanza che lo separava da Pitch Black, fermandosi di fronte all'abside al cui centro s'innalzava l'altare di pietra.
– Sono qui, Pitch. – annunciò con voce incolore, nonostante i suoi occhi spenti rimanessero fissi sulla figuretta al fianco dell'Uomo Nero. – Ora sei felice? –
– Piccolo Halley! – ridacchiò quest'ultimo. – Mio piccolo e dolce Halley! Mi chiedi davvero se sono felice? –
Pitch Black si portò una mano alle labbra, mordendosi la nocca quasi volesse evitare di ridere. Le sue ombre, al suo impercettibile comando, strisciarono sulle pareti come tanti serpenti, frusciarono come mille ali di insetti molesti e zampettarono rapide come ragni sul pavimento di marmo.
– No, non sono felice. – ghignò con voce untuosa, mentre un pericoloso riflesso dorato si manifestava nelle sue iridi, colmandolo con la sua presenza. – Non vedi, caro Halley, che sono raggiante? Grazie a te compirò la mia vendetta! –
– Come ti pare, non mi interessa. – La voce solo all'apparenza manifestava sicurezza; nel profondo Halley tremava. – Ora però lascia andare mia sorella. –
– Tua sorella..? – Il sorriso di Pitch si accentuò fino a diventare null'altro che una superficiale smorfia statica. – La sai una cosa, Halley? Io rispetto molto la stupidità tutta umana di voi piccoli spiriti. È una delle poche cose che mi regali un'idea genuina di eternità. –  (*)
Halley serrò tra le sue dita il corto bastone della lanterna ma Lumin, quasi del tutto spenta, sbuffò solo un flebile fumo malsano.
– Che cosa vuoi dire? –
Pitch smise di sorridere e le ombre si mossero tutte all'unisono - mostruosa orchestra nelle mani di uno spettrale direttore - riversandosi dall'alto, lanciandosi dai lati ed ergendosi dai lustri marmi, accerchiando ed imprigionando Halley in una morsa.
Sentendo i suoi piedi staccarsi da terra e le braccia venire bloccate strettamente lungo i fianchi, Halley gemette. Subito Satia scattò in piedi ad occhi spalancati.
– Fermati! Aspetta! Avevi promesso di non torcergli un solo capello! –
– Oh, davvero!? – chiese Pitch, sinceramente sorpreso. – L'ho fatto? –
Halley si dimenò nella stretta delle ombre senza riuscire a liberarsi. Riversa sul pavimento, Lumin era ancora troppo debole per riuscire a reagire o ad aiutare il suo protetto. Pulsando piccoli lembi infuocati disse a Pitch tutto quello che pensava di lui: fu davvero un peccato che nessuno dei presenti fosse in grado di capire il fuochese.
– L'hai promesso. – esclamò Satia di nuovo, aggrappandosi con entrambe le mani al manto di Pitch ed alzando i suoi occhi grigi ad incontrare quelli  impassibili di lui. – Si, hai dato la tua parola! –
– D'accordo, mia diletta. –
Pitch sospirò e mosse il mento in un silenzioso ordine ad una delle sue ombre. Questa si avvicinò ad Halley ed allungò una sinuosa estremità sulla testa del ragazzo, afferrando e strappando un singolo capello.
– Ecco. – fece Pitch con semplicità quando quel capello venne depositato nella sua elegante mano pallida, mostrandolo a Satia – Questo è il capello che non gli torcerò. Ora possiamo procedere. –
A nulla valsero le proteste della ragazza, subito allontanata dalle ombre di Pitch. Halley sentì la propria testa venire spinta verso il basso e vide le braci di Lumin brillare agonizzando ai suoi piedi, accendendosi e spegnendosi come una lucciola in preda ad un malore. Qualcosa di pesante gli venne calato sulla nuca, stringendosi attorno al suo collo fin quasi a soffocarlo. La morsa però non si intensificò e una volta lasciato cadere al suolo dalle ombre che avevano adempiuto al loro dovere, Halley scoprì di avere una specie di morsetto attorno alla gola, un semplice cerchio nero, opaco e rigido.
– Grazie a quello non potrai scappare, né tradirmi. – fece Pitch, parco di spiegazioni. – Se farai una qualsiasi cosa che possa danneggiarmi, sarà tua sorella a pagarne le conseguenze. –
Quasi a sottolineare quel dettaglio, un'ombra più densa delle altre si allargò fino ad assumere le dimensioni di un maestoso serpente bluastro che, sibilando, si attorcigliò intorno a Satia.
– E per te, mia diletta, vale lo stesso ragionamento. Prova a fare qualcosa di stupido, come ad esempio fuggire o contrastarmi, e il piccolo giochetto al collo del tuo amato fratellino farà in modo di strangolarlo del tutto. Se non vuoi che soffra, rimanitene buona, senza fiatare. –
– Maledetto! – gridò Satia, lanciando un'occhiata afflitta ad Halley e facendo decadere le schegge nere - che aveva prontamente creato - dritte al suolo.
Con un'esclamazione colorita Jack Frost finì in quel preciso istante di aprire una crepa in una delle colonne di stalagmite grazie alle basse temperature del suo ghiaccio: la concrezione si sbilanciò, inclinandosi di lato, e si spaccò con un devastante boato, sollevando nugoli di polvere e di detriti neri, per poi precipitare esattamente sopra all'altare dove si trovava Pitch.

***

Le ombre sciamarono eccitate nella baraonda improvvisa che si era venuta a creare, muovendosi disordinatamente e nutrendosi della paura che aleggiava nell'aria come un polline velenoso. Halley gridò tossendo il nome di Satia e Jack vide i capelli rosati dello spirito che aveva liberato sollevarsi oltre la nuvola di scorie nerastre. Pitch riemerse con furia dai detriti che gli erano franati addosso e i suoi occhi metallici si incontrarono con quelli di Jack Frost, esattamente dall'altra parte della navata. I loro sguardi si compenetrarono e si riconobbero; quello di Pitch si socchiuse d'ira e quello di Jack brillò di minaccioso avvertimento.
Prima di partire all'attacco, le parole di Pitch risuonarono come un rombo di tuono dentro alla cattedrale nera.
Mie ombre! Prendeteli!
Sorgendo dal pavimento, un'onda di mareggiata composta da ombre e da buio si sollevò nell'aria, dirigendosi verso Jack e lo spirito dai capelli color confetto. Uno stuolo di neri guerrieri si armò di lance e picche, oscuri destrieri purosangue nitrirono fiato caldo dalle narici dilatate; il serpente gigantesco che aveva catturato Satia strusciò il suo corpo squamato contro le spesse pareti di pietra, spalancando le fauci dai lunghi denti, brillanti come onice ed acuminati come vetri spezzati. La testa del rettile scattò verso il basso ed immediatamente il grido della ragazza risuonò contro ogni parete.
Halley raccolse al volo la lanterna di Lumin e si slanciò nella direzione del grido, correndo a perdifiato, totalmente dimentico di ogni altra cosa. Sopra la sua testa, nell'incavo della cupola, sotto la luce impietosa della luna, le saette di lapislazzuli di Jack si scontravano con le falci nere di Pitch. Halley evitò uno di quegli attacchi che rimbalzando contro la parete rischiò di colpirlo; l'onda d'urto lo spedì al suolo e con lui anche lo spirito liberato perse l'equilibrio.
Lumin lanciò qualche baluginio preoccupato, ma riaprendo gli occhi, arrossati dalla polvere in sospensione nell'aria, Halley si ritrovò a fissare un corpo riverso.
– Will!? –
La stalagmite che la imprigionava era stata spaccata per metà e lei era caduta al suolo, i capelli azzurrini le si allargavano scomposti intorno al volto come tante cascatelle d'acqua limpida. Una delle falci di Pitch l'aveva mancata per pochi millimetri e sulla sua guancia c'era solo un sottile taglio rosso ad evidenza di quel fatto. Halley posò Lumin vicino alla spalla di Will, affinché la tenesse d'occhio.
– Aspettami qui, Lumin. Io torno subito. –
A nulla valsero le faville angosciate della lanterna perché Halley si rialzò e scomparve inghiottito dall'oscurità.
Dall'altra parte della navata lo spirito dai capelli rosati si guardò intorno, l'arco rotto ancora stretto nella mano. Con un ruggito le ombre si gettarono su di lui da ogni lato. Scintille argentate brillarono intorno all'arco. Poi accadde l'impensabile.
Sopra al tetto della cattedrale, tra guglie e pinnacoli, gli attacchi di Pitch e Jack stavano dando vita ad un'architettura di scheletriche protuberanze e di dissennate simmetrie. Le alte grida d'attacco e i bassi mugugni di parata, si alternavano agli scoppi di ghiaccio e di buio dei due contendenti. Ben presto il peso divenne eccessivo persino per i contrafforti della solenne struttura e Jack si accorse di quel particolare quando ormai era troppo tardi per porvi rimedio.
Con un lungo gemito tutta un'ala laterale si contorse su sé stessa, collassando sulle proprie pareti tinteggiate di ombra e di gelo, trascinando con sé anche Jack e Pitch.
I massi di granito caddero nella navata sottostante, schiacciando ogni cosa si trovasse sul loro percorso.
Halley udì solo il rombo di qualcosa che si sgretolava alle sue spalle e poi venne investito da un vento di pietrisco e macerie che lo sbatté contro il muro opposto. Lumin sputò scintille e cercò col suo potere di proteggere Will, mentre le ombre venivano colpite dalle pietre, sgretolandosi in tanti mucchi di sabbia nera. Un barlume argentato si innalzò a protezione di un giovane spirito, facendogli da scudo e al contempo da riparo.
Tirandosi in piedi, Jack rimase in equilibrio sopra ad una roccia appuntita e si guardò intorno freneticamente. 
La voce di Pitch risuonò di colpo alle sue spalle, nitida e melensa.
– Oh, JACK! Da quanto non mi divertivo così! –
Jack Frost si voltò giusto in tempo per parare un bolide di densa oscurità; Pitch si materializzò di fronte a lui e lo colpì al volto.
Con rabbia ripresero a combattersi: due scie luminose che danzavano in un folle ballo all'ultimo respiro.

***

Satia guardò con occhi velati il serpente che incombeva su di lei. Era stanca, esausta. Le sue schegge non servivano contro qualcosa che non era vivo, che era solo mera ombra scolpita in una forma congeniale all'Uomo Nero.
Il serpente spezzò in quell'istante le tenaglie di pietra nera che lei gli aveva formato intorno al muso per tenerlo lontano e renderlo inerme. Il sibilo irritato le dimostrò solo che aveva ottenuto di farlo arrabbiare ancora di più, nient'altro.
Con un colpo della possente coda, il rettile la mandò contro il muro retrostante. La spalla sulla quale tutto il suo peso si premette per un critico istante prese a pulsare in modo doloroso; il volto bruciò come se fosse stato ustionato.
Arrendersi, smettere di combattere: ecco cosa voleva. Il dolore era troppo per continuare a sfidarlo e sperare che non esigesse qualcosa in cambio.
– Sorellona! –
Al suono di quella voce Satia si voltò. Dall'altra parte della stanza, appena oltre la porta che il serpente aveva appena finito di spaccare con la sua mole, c'era Halley. Di colpo tutta la paura che poteva aver provato si sollevò come un drappo di seta dal suo animo ed il dolore la abbandonò come se non fosse mai esistito. Lui era lì. Ed era vivo. Stava bene. Capelli neri gli solleticavano le orecchie in morbidi riccioli, occhi profondi e preoccupati la fissavano in ansia. Satia lo ricambiò, sentendo i suoi occhi colmarsi di speranza e di gioia. Troppo tardi si accorse che lei non era la sola ad aver notato la presenza del ragazzo.
Il serpente stridette, un sibilo agghiacciante che perforò i timpani dei due fratelli, prima di gettarsi su Halley. Il ragazzo sobbalzò, preso alla sprovvista e non riuscì a muovere più le gambe. Ombre sibilline gliele tenevano bloccate, saldamente ancorate alla liscia pietra.
– Scappa!! – gli urlò Satia con più fiato di quanto i suoi polmoni potessero sostenere.
Corse nella sua direzione, una corsa disperata contro il tempo Manovrò le sue schegge a formare una barriera semisferica che diede protezione al ragazzo ma non a lei. Il serpente morse con le sue fauci la barriera, mandandola in mille frastagliati pezzi. Alcune schegge schizzarono verso di lei e le si conficcarono in profondità nelle carne. Sangue cremisi stillò dalle ferite - delicata rosa nei cui petali crudeli spine si erano divertite ad infierire - e Satia sentì le ginocchia cedere sotto il suo stesso peso.
Halley aggirò i frammenti più grossi impiantati nel pavimento e si affrettò ad andare in suo aiuto.
Stupido. Vattene. Non venire qui!
Satia vide il serpente ripartire all'attacco e Halley, di spalle, non accorgersi di niente.
Si costrinse a rialzarsi e, con ogni muscolo teso nello sforzo, decretò il suo ultimo gesto…
L' amor che move il sole e l'altre stelle. (**)
Il serpente spalancò la sua mascella e le schegge nere di Satia, opportunamente sagomate a formare una mano dalle lunghe dita, presero Halley, togliendolo dalla traiettoria del rettile.
Il secondo dopo era troppo tardi per scappare o per salvarsi a sua volta.
Satia chiuse gli occhi e sussurrò: – Ricorda, Halley. È per sempre.  –
La mano tesa di Halley nella sua direzione, il grido muto che lesse sulle sue labbra, implorante, e poi la bocca del serpente si chiuse intorno a lei.
Un dolore lancinante la trafisse nel corpo, eppure un retrogusto dolce permeava sulla sua bocca da cui un rivolo di sangue scendeva delicatamente.
Respirare in ogni caso non era più necessario.
Non è la morte ad essere eterna.
Ricorda Halley.
Solo l'amore è per sempre.

***

Un grido di puro dolore risuonò nell'aria. Sia Jack che Pitch si bloccarono, ascoltando quel richiamo di disperazione. Per quanto stravolta dal pianto, però, Jack Frost riconobbe quella voce.
Halley.
Pitch sorrise e facendosi risucchiare dal suo vento nero, si diresse verso il luogo dal quale era arrivato quell'urlo, costringendo Jack a seguirlo.
Il terreno era sconquassato dalla battaglia ed entrambi videro senza difficoltà Halley, accucciato con la fronte sulle ginocchia in mezzo ad una stanza dal tetto divelto, le mani premute sulla testa.
Non appena vide Pitch la rabbia alterò tutti i lineamenti del volto di Halley, rendendolo irriconoscibile. Jack sussultò a quella vista: che ne era stato del ragazzo burbero ma gentile che ricordava?
Il serpente sibilò e chinò il capo in segno di sottomissione all'Uomo Nero, senza muovere più un solo muscolo.
– Mio piccolo Halley! – esclamò Pitch, ricevendo in cambio un'occhiata di odio cristallizzato.
Halley, senza nemmeno riflettere partì all'attacco, e Pitch intuendo lo svolgersi dei fatti neanche fosse stato presente, gli sorrise falsamente.
– Non credo che ti convenga attaccarmi se vuoi rivedere tua sorella. –
Halley si bloccò, come fulminato sul posto.
– Tu menti! –
– Io non mento mai, Halley. Dovresti saperlo ormai. –
I pugni chiusi del ragazzo che tremavano di folle ira entrarono in contrasto con i suoi occhi sperduti.
– Tu menti sempre! –
– Se anche fosse…hai una scelta, piccolo spirito? –
Halley sentì il morso al suo collo farsi più insistente e i suoi occhi scattarono sulla snella figura di Jack Frost, quasi cercasse un sostegno esterno a sé stesso.
– Preferisci non rivederla mai più? – insisté Pitch. – Oppure vorresti possedere una seppur pallida speranza di riabbracciarla? –
– Non ascoltarlo! – gli gridò Jack, avanzando di qualche passo. – Non starlo a sentire! –
– Io non... – fece Halley, scuotendo la testa. – Mi dispiace, io…–
Pitch continuò inesorabile, la voce dolce e suadente: – Cosa possono darti i Guardiani? Niente. Cosa posso darti io invece? Tua sorell…–
– È colpa tua se lei è morta! – lo interruppe straziato Halley, diviso tra vendetta e speranza, accecato dal dolore. Incapace di distinguere il cancro che lo corrodeva dall'interno dalla carne sana che cercava in tutti i modi sopravvivere.
 – È solo colpa tua, Pitch! –
– No, Halley. Pensaci bene. Non mentire a te stesso. –
Il silenzio così denso che sembrava essere in grado di soffocare con la sua sola presenza. La voce dell'Uomo Nero per una volta tanto - questa tra tutte le altre - non necessitava di una menzogna per sussurrare la verità.
– Se è morta è stato solo merito tuo. –
Halley sussultò e arretrò.
Quando la verità ferisce più delle bugie, a cosa è meglio credere?
– No, io… io non…–
– Oh, Halley. – disse Pitch, scuotendo la testa. – Che cosa le hai fatto? –
– Non ascoltarlo! – esclamò Jack. – Non sei stato tu! –
La risata di Pitch si sollevò alta nel cielo stellato, sotto la luna che stendeva i suoi raggi uniformemente su tutte le superfici.
– Ma lui sa che è colpa sua! –
Halley abbassò lo sguardo, tremando a causa di qualcosa che non era il freddo che sentiva sulla pelle intirizzita, e Jack capì di averlo perduto. Dalle macerie si innalzò una fiamma potente, rossa e abbacinante, manifestazione della furia di Halley in quella che era la sua anima estrusa dal suo corpo: Lumin. Pitch alzò le mani, ruggendo la sua approvazione, come una diva dalla maestria consumata per dare il benvenuto ad una rinata lanterna, più infuocata che mai.
– Jack, perdonami. –
– Halley, cosa...? –
Il pugno colossale di Lumin si abbatté nel punto dove un istante prima si trovava Jack Frost. I due ragazzi si osservarono a lungo e Jack colse la richiesta nella sguardo dell'altro.
Non restare qui.
Annuendo, si levò in volo, atterrando dove si trovava Will e, poco distante, anche lo spirito dai capelli rosa.
Pitch ghignò e allungò una mano nella direzione di Halley.
– Sai che cosa voglio. –
Vendetta.
Halley annuì: non servì nemmeno che guardasse nella direzione di Lumin perché lei eseguisse il suo muto ordine.
Jack si librò in volo portando con sé i due spiriti privi di sensi. Lumin, come un titano del fuoco s'innalzò tra loro, bloccandogli il passo; Jack però trasse di tasca la palla sferica di North e, dopo l'esclamazione di sconcerto di Pitch, sparì dentro al varco a spirale.
L'Uomo Nero si tastò il manto scoprendo in ritardo che Jack Frost aveva appena vinto quella battaglia, ma di sicuro non la guerra.
Lumin sbuffò fiamme dalla bocca come un autentico drago e guardò Halley in attesa di ordini. Halley ripeté la stessa operazione solo voltandosi verso Pitch.
– Non importa. – disse Pitch, accompagnando quelle parole con un gesto noncurante del polso. – Avremo altre occasioni per schiacciare, non solo Jack Frost, ma tutti i Guardiani. –
Dagli occhi vacui di Halley non trasparì la minima emozione. Solo un breve scintillio vi si materializzò quando il serpente nero avvolse le proprie spire attorno a Pitch con fare vezzoso.
Pitch vi si sedette come se il corpo del serpente fosse il suo trono, appoggiandoci la schiena e allungando le esili braccia dietro la testa spigolosa.
– Tra pochi minuti sarà Halloween! – fece l'Uomo Nero – E io ho a disposizione un intero esercito. L'esercito di mostri che tu comandi, Halley, d'ora in poi si muoverà secondo i miei desideri, spargendo terrore ovunque io lo ritenga necessario. Quando si apriranno i cancelli, scateneremo l'inferno. –
Il ghigno dei suoi denti apparve tra le sue labbra scarne, più bianco persino della luce argentata della luna.
– La notte della vera paura è appena cominciata. –




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Pah! Citazioni nel testo:
(*) Voltaire
(**) Dante, La divina commedia

Questa volta l'angolo delle mie cretinate verrò sostituito da un più che doveroso angolo dei ringraziamenti. U.U
Ringrazio AmyMassa96 e blackfwolf che hanno messo questa fic nelle loro preferite e che sostengono questa mina vagante della mia storia con una solerzia che è commovente *l'autora si asciuga il fiume di lacrime che inonda i suoi occhi sbrilluccicosi* ringrazio Chihiro, Kaity e _Gufetta che l'hanno messa nelle storie da ricordare. E soprattutto ringrazio DarkshielD che sta seguendo fin dalla nascita questo sclero personale che ho l'ardire di chiamare ff!
Un bacio a tutti!
Salut!
  
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