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Autore: elenri    10/06/2013    38 recensioni
E Se... Edward (che è assolutamente umano) e Bella vivessero nel 1870? Non ci sarebbe la scuola dove incontrarsi, non esisterebbero auto veloci e ristoranti dove dichiararsi. E se il destino facesse incrociare ugualmente i loro cammini, come potrebbero districarsi attraverso le ferree regole d'etichetta che regolamentavano la vita sociale della seconda metà dell'ottocento?
Questa storia ha partecipato al Contest di LedyCullen C'era una volta....
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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profumo

Ciao, questa OS è stata scritta per il Contest " C'era una volta..."  di LedyCullen, poi sistemata graficamente come piace a me, (e spero che piaccia anche a voi).

Si tratta di un E se..., cioè Edward e Bella che si incontrano a Forks  nel 1870 , senza scuola, senza auto, senza ristoranti dove andare...

Spero che questa storia in costume vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate.

Invito chi non la conoscesse a leggere la mia Long  The Crew

Vi abbraccio, Teresa

«Stai dormendo, Isabella?» La voce dolce di mia madre mi risveglia dal torpore causato dal viaggio.

Ero partita con la mia famiglia, subito dopo il mio sedicesimo compleanno, da Colorado Springs, vicino a Denver, il quindici settembre dell’anno del Signore 1870 e ho attraversato  in treno, in tre lunghi giorni, i territori aspri e selvaggi delle Montagne Rocciose, per poi passare per quelli piatti e desolati della Sierra Nevada. Era stato il viaggio più lungo e avventuroso della mia giovane vita. Sono certa che non capiti a molte ragazze di attraversare tre Stati dell’Unione verso ovest: lo Utah, il Nevada , la California, (fino a Sacramento dove ci aspettava la coincidenza per Seattle),poi l’Oregon e lo stato di Washington verso nord, ma mio padre non smetteva di ricordarmelo.

A lui, Charlie Swan, Ranger Federale dell’Unione, era stato offerto il posto di Sceriffo della cittadina di Forks, nella penisola di Olimpia.

Ora sono qui, stretta nella mantelletta di lana fatta a mano, rassegnata ad affrontare l’ultima tappa di questo infinito viaggio.

Con accortezza scendo dal vagone fumoso dell’Union Pacific con in mano una grossa borsa da viaggio di pelle marrone ed un lembo del vestito di cotonina beige e nero che avevo scelto prima di partire sperando non mostrasse troppo le tracce dei lunghi giorni trascorsi sul mezzo a carbone.

Ad aspettarci ad Olimpia, troviamo un carro coperto da un telo bianco guidato da un uomo barbuto di età indefinita, che indossa un pastrano color fango. Con un sospiro stanco, lascio che l’uomo carichi il mio bagaglio sul cassone posteriore colmo delle nostre masserizie e salgo sul sedile per i passeggeri.

«Come è tutto verde qui», sussurro a mia madre, mentre un brivido mi percorre la schiena.

«Dovremo procurarci nuova lana per confezionare mantelle e coperte» risponde guardandosi intorno pensierosa.

Il rumore degli zoccoli dei cavalli, che trottano sulla strada sterrata costeggiata da un’ombrosa foresta di conifere, fanno da desolante sottofondo allo smarrimento che mi sento affiorare. Non che a Colorado Springs avessi chissà che vita mondana! Ma quel paio di amiche con cui trascorrevo i pomeriggi a ricamare o a ciarlare di libri, già mi mancano.

Dopo più di tre ore di traballante viaggio tra i boschi, il mezzo si ferma davanti ad una casetta in legno a due piani, semplice ma graziosa. Mentre la osservo con cura, un calessino trainato da un cavallo baio si dirige verso di noi. Ne scende una signora dall’aspetto gentile, vestita con un abito chiaro a fiorellini blu, con il capo coperto da un vezzoso cappellino di paglia allacciato sotto al mento. E’ accompagnata da una ragazza alta e mora, più o meno della mia età, che regge un cestino portavivande.

«Benarrivati. Voi siete la Signora Swan, immagino. Mi chiamo Emily e sono la moglie del reverendo Weber e questa è mia figlia Angela». La donna ci accoglie con un largo sorriso indicandoci la ragazza con lei.

«Oh, molto piacere» le risponde cortesemente mia madre. «Sono Renée Swan, e questi sono mio marito Charlie e mia figlia Isabella».

«Il piacere è mio, cara. Vi porgiamo il benvenuto nella nostra piccola città con questo dono, spero non ci consideriate troppo invadenti». Angela allunga timida il cesto con un leggero inchino.

«Domani è domenica, e ci troviamo tutti riuniti alla funzione delle undici. La chiesa la potrete trovare in fondo a questa strada a destra. Dopo la messa,come ogni anno, il comitato cittadino ha organizzato un pic-nic per la festa di fine estate. Saremmo onorati di avervi come nostri ospiti».

Salutiamo la signora Weber e sua figlia ed entriamo finalmente in casa. La veranda, rialzata di tre gradini, si apre su due grandi stanze di cui una è adibita a cucina. Tre camere da letto occupano lo spazio al piano superiore.

Niente acqua corrente , ma non mi aspettavo di trovarla, poiché è ancora considerato un privilegio di chi vive nelle grandi città. Appena fuori dalla porta posteriore, però, scorgo un comodo pozzo alimentato con una pompa a mano.

 

****

 

 

E’ domenica mattina. Mi sto preparando con cura per la funzione in chiesa. E’ la prima uscita pubblica del nuovo tutore dell’ordine e della sua famiglia e mamma vuole assolutamente che si faccia una buona impressione. La vedo correre indaffarata a stirare la cravatta di papà mentre ripete, instancabile, la sua litania di raccomandazioni.

«Isabella, metti il bustino che ormai sei una ragazza. Indossa un abito elegante… ma non troppo: non sappiamo che famiglie troveremo, non sarebbe educato ostentare troppa ricchezza».

“Elegante, ma non troppo. No sciatteria, ma niente ostentazione…”.

Alla fine, stretta nella gabbia delle stecche di balena, che rappresentano il mio nuovo status di donna, opto per un abito in cotone rosa antico damascato, abbinata ad una cuffietta di pizzo. Avrei preferito indossare qualcosa di più colorato, che mi facesse scordare quel malinconico velo grigio che ricopre il cielo sin dal mio arrivo, ma pazienza!

Arriviamo con leggero anticipo ed entriamo nella struttura in legno alta e stretta, illuminata da ampie vetrate che la rendono accogliente. Angela e sua madre sono in fondo alla navata e, nei loro abiti fruscianti, si stanno occupando delle candele. Ci accolgono con un cenno della mano e ci accompagnano verso il secondo banco dall’altare.

“Bene, non ci sarà modo di passare inosservati”, penso sconsolata.

Accanto a noi si siedono le due donne insieme a due bambini di circa dieci anni che presumo siano i fratellini di Angela. La chiesa si riempie rapidamente, mentre il brusio aumenta. Io mantengo il capo fisso all’altare vuoto, sicura che tutti gli sguardi curiosi siano rivolti a noi. Il banco davanti viene riempito da una famiglia vestita con eleganza raffinata. Gli uomini in abito scuro alti e fieri, occupano il loro posto salutando con un discreto cenno del capo. Al loro fianco una donna di classe dall’aria austera è seguita da una ragazza poco più grande di me, alta e bionda, come il resto dei suoi parenti. «E’ la famiglia del Banchiere Hale, che è anche sindaco della nostra città», ci spiega sottovoce la signora Weber. «Nella fila affianco, ci sono i Newton, proprietari dell’emporio. Dietro di noi, invece ci sono il Dottor Cullen con la famiglia. La moglie, la signora Esme, insegna cultura e economia domestica alle ragazze». Mentre l’ascolto mi arriva, dal banco dietro, una gradevole fragranza che mi colpisce le narici. Si tratta di un intenso aroma che odora di cuoio lavorato, misto a foglie di tabacco, che ad ogni respiro mi cattura procurandomi inspiegabili brividi sulla pelle.

Resisto alla tentazione di guardare verso l’origine  dell'odore, fino alla conclusione della messa. Ma in ultimo, mentre sto per alzarmi, cedo e lancio alle mie spalle un’occhiata curiosa. Vengo però colta da un improvviso capogiro e le gambe mi cedono di schianto come fossero di gelatina, riportandomi seduta sul legno dal quale mi ero sollevata, fortunatamente, solo due dita.

La fonte del mio turbamento è un bel giovane uomo di poco più di vent’anni, che mi osserva intensamente. Il cuore mi perde un battito, le dita delle mani si contorcono nervose tra di loro, coperte dai guanti di pizzo. Appare molto alto e longilineo, pur da seduto. Il suo viso serio, dall’incarnato pallido tipico delle persone che ho incontrato qui, mostra un’inaspettata finezza. I capelli tra il biondo scuro ed il castano, domati dalla pomata, si scompigliano in un ciuffo che gli ricade sulla fronte. Le basette, belle e curate, accarezzano l’angolo esterno della mascella quadrata.

Fremo nella mia sfacciataggine, cosciente che sto esitando troppo ad alzarmi, ma fatico a distogliere lo sguardo dal suo viso e ne studio i tratti incantata: il naso dritto, gli occhi chiari e luminosi, le labbra rosse e leggermente dischiuse.

Inspiro turbata seguendo quel soffio d’aria che indovino uscire dalle sue labbra.

Il mio cuore, di nuovo, perde un altro colpo e uno sconosciuto frullo di ali di farfalla mi invade lo stomaco. Abbasso la testa e mi nascondo dietro la tesa traforata del cappellino, imbarazzata dal calore che sento montarmi sulle guance sotto il suo sguardo audace. Alle mie spalle percepisco il suo movimento mentre si alza ed esce dal banco sfiorandomi appena,col tessuto della manica, i capelli sciolti sulla schiena. L’odore del cuoio e del tabacco mi avvolgono di nuovo potenti, mentre un lungo ed intenso brivido mi percorre tutta. Esco con passo incerto alla ricerca della mia famiglia, che si trova sul sagrato circondata da persone che non conosco. Angela, da buona padrona di casa mi conduce verso un gruppo di signorine sedute su una panca del prato.

Mi presenta per prima, ad una ragazza piccola e mora dall’aria vivace. «Carissima, questa è Isabella Swan, la figlia del nuovo Sceriffo. Isabella, lei è Alice, la terzogenita del Dottor Cullen». Si volta quindi verso la ragazza alla sua sinistra che mi presenta come Jessica Stanley, figlia del direttore dell’ufficio postale. La terza, invece è la bionda del banco di fronte al mio e mi viene nominata come Rosalie Hale, fidanzata di Emmett Cullen, fratello maggiore di Alice.

«Angela, hai invitato Isabella al pic-nic?» Le chiede Alice.

«Certo, ed ho anche fatto la mia famosa torta di mele». Le risponde l’altra.

Bene, così mentre la mangeremo insieme, avremo modo di spettegolare sui giovani del paese, compresi i miei fratelli». Alice batte felice le mani guantate e con un dito mi indica due giovani inseriti in un gruppo poco distante.

Il primo, è un uomo di circa venticinque anni, grande e muscoloso, vestito di un fine abito grigio. L’altro è lo stesso su cui ho indugiato lo sguardo in chiesa: alto come il fratello, ma più snello ed elegante. Distolgo lo sguardo rapida, ma lui si volta in tempo per sorprendermi mentre lo fisso. Rossa per la vergogna di essermi fatta cogliere di nuovo, seguo Angela verso la tovaglia adagiata sul prato dalla signora Weber. «Si chiama Edward» mi sussurra lei, «è il figlio di mezzo dei Cullen. Studia Medicina a Boston ed è  una persona schiva. Non rivolge mai la parola a nessuno, men che meno alle ragazze». Ad Angela esce un risolino che maschera con una mano. «Qui siamo tutte più o meno innamorate di lui, ma non ci degna di considerazione. Probabilmente ci considera troppo piccole, o troppo provinciali per i suoi gusti».

«Ma io ho compiuto sedici anni. Sono già in età da marito!» Si lamenta Jessica che ci stava seguendo.

“Li ho anch’io”. Penso languidamente.

Mi accorgo sorpresa della mia reazione, in quanto non mi era mai capitato prima di proiettare pensieri verso il matrimonio.

“Per sposare chi, poi?”Non ho mai flirtato con nessuno, finora mi sono interessata solo alla lettura e alle opere di carità con mia madre. Qui, oltretutto, sono praticamente una sconosciuta.

Nei giorni seguenti mi unisco ai corsi di merletto della signora Cullen. Mentre ricamo racconto ad Alice ed Angela della mia vita a Colorado Springs. Con gioia e nostalgia insieme, descrivo loro il cielo perennemente azzurro e le montagne aspre ed arse dal sole. Parlo loro dei pomeriggi passati a sorseggiare tè con le amiche e delle visite alla riserva indiana per prendersi cura dei piccoli pellirossa.

«Anche noi facciamo assistenza alle popolazioni indigene,  potresti venire con noi la prossima volta», mi invita Alice.

Con lei sto creando un rapporto profondo. Insieme trascorriamo molto tempo a parlare mentre sbrighiamo piccole commissioni per le nostre famiglie. Mi svela di essere innamorata di Jasper Hale, fratello della sua futura cognata, ma che lui, per quanto sicura di essere corrisposta, non si è ancora dichiarato.

«A volte penso che sia un po’ tonto», mi confida un giorno. «Cosa aspetta a chiedere la mia mano, che sia considerata una vecchia zitella?»

La guardo sbalordita.

«Scusa Alice, ma quanti anni hai?»

«Ne faccio diciotto a dicembre» mi sussurra con voce strozzata.

Non ho mai pensato che diciotto anni fossero la soglia della vecchiaia, ma io, probabilmente, ho  fin’ora vissuto in modo infantile.

«Per il mio compleanno ho deciso di organizzare una grande festa da ballo, così vediamo se quel pesce lesso di Jasper riesce a farsi scappare anche questa occasione!». Alice trotterella allegra raccogliendo fiori per il suo mazzetto. Ad un certo punto alza di colpo la testa come colta da un’improvvisa rivelazione:«Sarebbe anche l’occasione giusta per presentarti mio fratello Edward… ho l’impressione che siate fatti l’uno per l’altra» sospira con gli occhi rivolti al cielo.

«Alice, n-non mi sembra il caso» balbetto, « non credo sia interessato a me. Non ci siamo mai parlati». Mentre protesto, sento le guance andarmi a fuoco.

«Oh, non farti ingannare dal suo fare burbero. E’ vero, a volte è un po’ spocchioso, ma quando non pensa ai suoi esami, riesce ad essere anche gradevole. Poi, » dice avvicinandosi come se non volesse far sentire a nessuno quello che sta per dirmi, « ho notato che è molto interessato quando in casa si parla di te». Sobbalzo scossa dalle sue parole.

«Perché, sono argomento di discussione in casa vostra?»

«Certo, mamma ti trova deliziosa ed Emmett si è sbilanciato a dire che sei molto carina, non come la “sua” Rose, naturalmente». Mi prende sottobraccio ed insieme, torniamo in paese.

“Quindi c’è una remota possibilità che suo fratello Edward mi abbia notata?” Scarto subito l’idea, sicura che una ragazzina inesperta come me non possa procurare nessuna attrazione ad un uomo che studia in città.

 

****

 

Le domeniche si susseguono una dopo l’altra inesorabili ed io, ogni volta, le raggiungo sempre più agitata ed inquieta. Mi sono accorta di vivere in fervente attesa di quell’attimo, in cui i miei occhi si incroceranno con quelli di Edward, tra i banchi della chiesa.

Lo agogno quasi come fosse un appuntamento: il meraviglioso e unico momento, in cui ho la possibilità di posare lo sguardo di nuovo su di lui.

Edward, dal canto suo, indugia ogni volta ritardando qualche istante la sua uscita, regalandomi la sua occhiata enigmatica.

Anche stavolta, quindi, lo sento arrivare preannunciato dal suo sensuale profumo. Il cuore mi si stringe pensando al fatto che domani lui se ne andrà a Boston ed io non avrò più la possibilità di bearmi della sua fugace presenza.

Dal giorno in cui Alice mi ha parlato della sua imminente partenza, mi sento  persa, dormo male e quando finalmente mi addormento sfinita, lo sogno: bellissimo in maniche di camicia, che cavalca coi capelli al vento allontanandosi da me. Più di una volta mi sono svegliata con le lacrime agli occhi e un grande dolore al petto.

“Come posso provare nostalgia di una persona che non conosco neppure?”

Il mio cuore si ribella a questa riflessione e mi riporta alla mente il suo profumo che tanto mi ha rapita.

“Ma si può essere innamorati di un aroma?”

 

 

****

 

 

«Bella, ma non hai mai pensato a come potrebbe essere la tua vita con lui?» Mi aveva chiesto Alice giorni fa.

Ormai l’argomento principale delle nostre chiacchierate pomeridiane riguardava quelli che lei continuava a  chiamare “ i nostri ragazzi”: cioè parlava del “suo” Jasper e di Edward. Io insistevo a schernirmi dicendole che non era assolutamente il “mio” Edward, ma lei mi zittiva adducendo la scusa di dar tempo al tempo; che lei sapeva benissimo quello che vedeva e difficilmente si sbagliava nel giudicare le persone.

 

 

****




(Edward)

 

 

Domani parto. Torno ad Harvard per l’inizio del nuovo anno accademico.

A differenza delle altre volte, in cui mi staccavo felice da questo paese sperduto tra le montagne, provo una leggera malinconia. Mi convinco che sia perché mi dispiace lasciare i miei genitori, o mio fratello che ha finalmente finito gli studi in veterinaria e ha deciso di aprire un ambulatorio qui a Forks…

La verità e che, per la prima volta, ho notato una giovinetta carina, che mi ha irrimediabilmente colpito. Mai mi ero soffermato sulle ragazze del posto, perché in fondo, non era mia intenzione restare in paese. Ho sempre ambito alla vita di città, e sono tuttora certo che il mio ruolo di medico, ben più si presti all’ambiente affollato di una grande metropoli.

 

Ma il guaio e successo quella domenica di settembre in chiesa, quando ho posato per la prima volta i miei occhi su di lei.

Sapevamo tutti del suo arrivo. Ci sono così poche novità in questa valle sperduta, che una cosa banale come l’arrivo del nuovo Sceriffo e della sua famiglia, era diventata fonte di pettegolezzo per settimane. Si sarebbero seduti nel banco vuoto davanti al nostro, ed io annoiato, sarei stato disturbato dal cicaleccio dei miei genitori con loro. Magari avevano anche figli piccoli!

Non era successo. Gli Swan si erano dimostrate persone molto riservate. Tra di loro stava, appunto, solo una ragazza poco più che bambina, che mi aveva catturato per il candore che emanava.

Un piccolo fiore, così spaesato che, quando a fine cerimonia si era voltata, il suo sguardo di agnellino indifeso, mi aveva scatenato l’esigenza di proteggerla e di rincuorarla dalla tristezza che scorgevo nel suo volto.

L’avevo fissata ben oltre il tempo che le buone maniere stabilivano, ma i suoi caldi occhi nocciola, si erano incatenati ai miei e non riuscivo a staccarli. La sua pelle, seppur molto chiara, era illuminata da un velo dorato donatole dal sole, che le conferiva un aspetto esotico per questo posto dove l’astro del giorno non ci onorava mai della sua presenza. La sua bocca, piccola e rosa, era arricciata in un vezzoso musetto stupito.

 

Fuori sul sagrato, l’argomento maschile era lei. Anche mio fratello Emmett l’aveva notata.

«Hai visto la piccola Swan, Edward? E’ molto graziosa e timida. Pare che l’abbiano già adocchiata anche quei buzzurri di Newton e dei suoi amici. Io proverei a non lasciarmela scappare se fossi in te. Mi sembra di alto rango, quasi come la mia Rose».

«Emmett, ti prego, non fare il paraninfo. Sai che non mi piacciono le ragazze di campagna. Eppoi non sto cercando una fidanzata. Ho ancora due anni di studi e le donne ambiscono solo al matrimonio.»

«Perché, cos’hai contro il matrimonio?» Mi aveva chiesto meravigliato. «Prima o poi un uomo si deve fermare da qualche parte e deve avere una moglie che gli dia calore e senso di famiglia. »

«Io non sono pronto Emmett. Soprattutto non voglio fossilizzarmi qui. Io sogno di vivere a Boston, o a Philadelphia e quando riterrò di essere pronto, vorrò al mio fianco una donna sofisticata e di cultura.»

«Ah, fai come credi fratello». Ma secondo me ti lasci scappare un’occasione. Le donne di città hanno mille grilli per la testa, mentre quelle di paese si lasciano guidare meglio dall’uomo…»

«Oh, sì lo vedo, come ti fai valere con Rose, le corri dietro come un cagnolino!» Una punta di sarcasmo si insinua tra le mie parole.

«Ehi, bada a come parli Ed. La mia Rose è una ragazza unica!»

 

Ci eravamo diretti al nostro pic-nic ridendo. Avevo cercato di non pensare più ad Isabella Swan, anche se ogni tanto mi scoprivo a guardarla ed in quelle occasioni capitava di sorprenderla a fissarmi.

E mentre stavo a casa, durante la settimana, sperando di concedere un po’ di tregua al mio spirito inquieto, quella piccola peste di mia sorella, non faceva altro che parlare di lei.

Io non avrei mai voluto, ma mi ritrovavo, mio malgrado, ad ascoltare quei discorsi cercando di capire cosa ci fosse in quella testolina castana di così strabiliante da attrarre tutti, (me compreso).

Ed ero andato avanti così per settimane, nell’attesa che arrivasse la domenica per poter godere ancora della sua presenza.

Quindi, sinceramente, non vedevo l’ora che il mio calvario a Forks terminasse.

Le sere le passavo a bere ed a giocare a ramino con Emmett e Jasper. A volte si aggiungevano giovani villici ai quali, di recente, sentivo fare commenti piccanti sulla nuova arrivata. Era una cosa naturale per un gruppo di uomini, altre decine di volte li avevo sentiti accalorarsi per qualche gonnella della zona e non mi ero mai scandalizzato.

In questo caso, però, i loro apprezzamenti fuori luogo, mi bruciavano dentro come se la cosa mi riguardasse. Mi ero detto che era perché la ragazza era amica di mia sorella, ma nel profondo sentivo l’odore della menzogna.

 

****

 

Ed ora sono qui, questa domenica mattina, fermo davanti al cortile della chiesa, conscio di commettere la più grande sciocchezza della mia vita. Eppure non riesco a trattenermi.

Entro, e mi siedo per l’ultima volta, godendomi la visione del suo incantevole volto per poterlo custodire, nel profondo del mio cuore prima di andarmene.

 

 

(Bella)

 

Dopo la benedizione, attendo, in finto raccoglimento, quell’attimo che permette alla mia famiglia ed alla maggior parte delle persone di uscire. Volgo il capo, per carpire l’ultima immagine dell’uomo che ha catturato il mio cuore.

Mi scruta assorto, anche lui, ma al contrario delle altre volte, nei suoi occhi leggo una velata tristezza. Il cuore prende a galopparmi nel petto e mi sento mancare il respiro, certa che si tratti veramente di un addio. Arrossisco e mi volto di nuovo per celargli, non tanto il mio turbamento, quanto gli occhi gonfi di lacrime che sgorgano impazienti.

Lo sento, come solito spostarsi ed uscire, mentre il movimento dell’aria sulla mia schiena brucia come il fuoco. Il suo aroma mi avvolge ancora e chiudo gli occhi per imprimermi nella mente quella essenza che ormai lo contraddistingue.

Mi alzo e li vedo. Un paio di finissimi guanti di pelle nera stanno in bella mostra sul poggia mani dietro di me.

Li raccolgo stupita e sento la fragranza esplodere da loro. Li stringo al petto indecisa. La tentazione di tenerli in ricordo di lui è forte. Ma sarebbe sconveniente e nel caso che mia madre, o peggio mio padre, ne venisse a conoscenza, morirei di vergogna.

Estraggo quindi lesta, dalla tasca della mia crinolina, un fazzolettino di mussola bianca che strofino forte sulla pelle pregiata. Conserverà il profumo di Edward per le fredde notti del mio cuore.

Così li appaio, ordinati, per renderli ad Alice. Ma mentre li sistemo un piccolo rametto fiorito cade a terra. Lo raccolgo e lo guardo incredula.

Sull’esile stelo verde, stanno riunite alcune delicate corolle azzurre di “Nontiscordardimé”.

Lo ripongo nel fazzoletto già impregnato dell’amato aroma, confusa da questo gesto che vorrei interpretare come un dono di affetto da parte sua, ma che invece  risulta un poco incerto.

Esco col cuore in tumulto dalla chiesa.

Raggiungo Alice e le allungo i guanti con atteggiamento composto.

«Questi stavano abbandonati nel vostro banco, credo siano di tuo fratello» le comunico con voce roca. Li guarda e mi osserva pensierosa.

«Sì, mi sembrano i suoi, grazie».

 

****

 

Dopo quella domenica, le mie settimane sono trascorse monotone. Di lui mi resta solo una flebile fragranza nel prezioso quadratino di stoffa ed un rametto essiccato di cerulei fiorellini che accompagnano costanti, le pagine delle mie letture.

Non è tornato neppure per le feste di Natale.

Le notizie che manda a casa e che Alice non manca mai di riferirmi, sono buone ma impersonali.

Ed io galleggio nel mio grigio limbo, sconsolata per quel sentimento nato senza speranza.

“Cosa mi importa di una festa da ballo in cui ho ricevuto complimenti ed attenzioni, se non c’era l’unica persona da cui mi sarebbe piaciuto sentirli?...Se non riesco quasi più a ricordare i suoi adorati occhi nemmeno nei sogni?”

In quell’occasione ho risposto glissando con un sorriso alle premure dei buoni partiti del paese, ma ogni giorno che passa mi rendo conto che uno, più audace degli altri, prima o poi si farà avanti.

E a quel punto cosa dovrò rispondere? Che il mio cuore è già impegnato? Per chi, poi? Per quella persona che quand’anche dovesse tornare , poi ripartirebbe senza di me?

 

Ed allora, a quel punto, uno varrebbe l’altro! Che scelga mio padre. Per me sono  tutti uguali.

 

 

 

****

 

 

 

 

(Edward)

 

 

Le settimane a Boston trascorrono tranquille. Gli studi mi impegnano  molto e come accadeva anche negli anni passati, trascorro qualche serata con i compagni di corso nei postriboli per signori dabbene.

Mi astengo solo dal frequentare i salotti delle famiglie borghesi, atterrito dal pensiero che in qualche angolo di casa, si possa celare una fanciulla in età da marito. Non sono più così sicuro di voler frequentare donne di città. Ancora il mio pensiero corre al viso minuto e stupendo di Isabella.

 

“Chissà cosa aveva pensato del fiore che le avevo donato?”

“Chissà se avrebbe avuto la perspicacia ed il desiderio di aspettarmi?”

 

Il messaggio che le avevo lasciato era volutamente vago.

Non ero tornato apposta, per Natale. Faceva parte del piano “nessuna pressione al destino”che mi ero imposto.

Avevo addotto come scusa un impegnativo esame di anatomia da preparare a breve. Eppure sapevo che posta c’era in gioco.

Mia sorella mi aveva avvertito che avrebbe organizzato un ricevimento per il suo compleanno, che avrebbe combaciato con il debutto in società per l’amica Isabella. Da quel momento, perciò, ella sarebbe stata oggetto delle attenzioni del primo giovanotto che avesse avuto l’ardire di chiederne la mano.

Una lama conficcata nelle carni mi avrebbe fatto meno male di questo pensiero molesto.

 

 

Oggi è una splendida e assolata giornata di aprile. Ho finito le lezioni del mattino e sto seduto ad un tavolino fuori di un caffè, rigirandomi tra le mani una lettera di Alice.

Mentre sorseggio dalla mia tazza, la apro.

La svolazzante grafia di mia sorella scorre veloce sulla carta avorio.

 

Adorato Fratello,

 

qui a casa stiamo bene e speriamo sia così anche per Te.

Ti aspettavamo tutti per le vacanze di Natale, ma non hai voluto compiacerci della tua presenza.

Mamma e Papà ne sono rimasti dispiaciuti ed anche Emmett è stato triste per un po’.

Ci tenevo a comunicarti che finalmente mi sono fidanzata. Jasper Hale ha ufficialmente chiesto la mia mano a nostro Padre e spero che Tu nella lontana Boston ne sia contento. Alla stessa festa una certa signorina di nostra conoscenza ha brillato vestita di un candido abito bianco tra mille complimenti. E gli occhi di tutti erano puntati su di lei, che però sembrava persa, come se le mancasse qualcuno.

E sarebbe il caso che quel qualcuno, sapesse che c’è il figlio dei Newton, che sta aspettando di compiere i vent’anni per chiederla in moglie.

Ciò accadrà a maggio, quando sbocciano le rose…

Ma io credo che ci sia ancora tempo per dar voce ai sentimenti, se ce ne sono.

Rifletti bene, Edward, su chi è rimasto qui.

Chi hai lasciato ad attenderti, lo sta facendo, ma il tuo segnale non è stato sufficientemente chiaro.

Hai lanciato il sasso ed hai nascosto la mano…

Ora ti lascio perché ho mille preparativi da fare per le mie future nozze.

 

                                                     La tua affezionata, Alice.

 

 

La leggo e la rileggo.

Il messaggio è chiaro anche se non ha fatto nomi.

A questo punto mi interrogo nervoso sulle notizie che arrivano da Forks. Ripiego con cura la lettera e la infilo in tasca. Mi alzo incapace di calmare la frenesia che sento nelle gambe.

Non posso partire adesso.

Ma anche sapere che un garzone di negozio qualunque, metterà le sue luride mani sul mio fiore di cristallo, mi sembra inconcepibile.

“Come vorrei averla almeno baciata prima di partire!” Ora avrei una certezza in più su i suoi sentimenti per me.

Rientro nella mia stanza d’hotel, sicuro che le lezioni del pomeriggio, oggi, sarebbero solo parole lanciate nel vento.

Mi stendo vestito sul letto e mi addormento di un sonno inquieto, popolato da loschi figuri che circondano Isabella deturpandole l’abito candido.

 

Mi alzo di scatto dal letto.

 

Ho, finalmente, preso la mia decisione. Questo penultimo anno di studi è quasi terminato, e ciò mi permette di guardare con leggero ottimismo al futuro.

Dallo scrittoio estraggo un foglio di carta ed un pennino che intingo con cura nella boccetta di inchiostro indaco.

 

Onorato Padre,

Vi mando questa mia, per chiedervi un favore urgente…

 

Richiudo il foglio e mi dirigo lesto verso l’ufficio del telegrafo.

Una febbre improvvisa mi brucia dentro e non mi permette di aspettare i tempi biblici del servizio di posta tradizionale.

Lo trovo aperto, ma troppo affollato per i miei gusti. Aspetto, simulando una calma che non provo, il mio turno.

Allungo, finalmente il mio foglio all’impiegato, che lo riproduce con fare professionale col martelletto d’ottone.

Tic tic… tic-tic-tic… tic…

Ogni colpetto è un sassolino che cade alleggerendo mio spirito, ma è anche un’ombra che si aggiunge nella mia mente.

“ E se per caso fosse, comunque, troppo tardi?”

Nel messaggio avevo aggiunto una postilla:

 

… mi raccomando però, caro Padre, di accertarvi che il suo cuore non batta già per un altro…

****

(Bella)

 

 

E’ primavera. Finalmente il ghiaccio e la neve hanno lasciato il posto alla nuova stagione anche qui a Forks.

Ogni tanto il sole fa capolino tra le perenni nuvole grigie, regalandomi tiepide giornate serene.

Ormai il mio fazzoletto non profuma più, e quel mazzolino trasparente come carta velina, rischia di sbriciolarsi ad ogni spostamento. E’ rimasto, quindi, fermo nell’ultima pagina in cui l’ho messo. Trascorro le mie giornate quiete, leggendo e ricamando in compagnia di Angela e Jessica.

Alice, si è trasferita per qualche tempo a Seattle per preparare il corredo.

Pur sentendo la sua mancanza, non posso negare che la sua figura mi ricordasse troppo una persona alla quale non riesco a pensare, senza sentire un forte dolore al petto.

 

****

 

Oggi c’è un certo trambusto a casa mia. Mio padre è tornato presto dal lavoro e si è diretto da mia madre con uno strano sorriso sulle labbra.

E’ poi venuto, dopo qualche tempo, verso di me sedendosi al mio fianco sulla panchina della veranda.

«Isabella cara, oggi mi è stata chiesta la tua mano». 

 

Che prima o poi Mike Newton avrebbe fatto questa mossa l’ho capito da come mi guarda languido ogni volta che faccio acquisti nel suo negozio.

Che si sia deciso così in fretta mi lusinga e dispiace allo stesso tempo.

«Non mi chiedi neanche chi sia il giovane in questione?» Mi chiede incredulo.

In effetti non mi importa molto che sia lui o un altro, tanto l’unico che vorrei, non ha nessuna intenzione di farsi avanti…

«Oh, padre, a voi piace? Se pensate che sia adatto a me, io ne sono contenta. Mi fido del vostra decisione». Mi abbraccia leggero con un velo d’imbarazzo.

«Brava bambina, vedo che hai molto giudizio. Ma credo che non avrei potuto sperare di meglio per te. Un futuro medico… Ti chiede però, se puoi pazientare fino  all’estate, perché ora non riesce a tornare.

“Un medico?... ma allora…” Il mio cuore apatico riprende improvvisamente  vita e con un guizzo improvviso sembra voler uscirmi dal petto.

“…Se lo posso aspettare?!” «Certo Padre, non c’è nessuna premura…»

Mi alzo instabile sulle gambe e mi trascino fino in camera mia, dove posso finalmente dar sfogo con grosse lacrime a tutta la pena accumulata in questi mesi. Dal portagioie in cui lo avevo riposto, estraggo il cimelio candido che mi lega al mio amore. Lo annuso e finalmente riesco a cogliere un residuo di quel profumo maschile che davo per disperso.

 

“Mi chiedi se ti posso aspettare, Edward?”  Ora sì, anche tutta la vita…

 

 

Fine

La storia potrebbe essere finita così, ma come avete di sicuro notato è un finale aperto... fatemi sapere se vi interessa leggere del loro incontro.

T

 

  
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