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Autore: Selfdestruction    10/06/2013    0 recensioni
"Con la pioggia che lavava via la mia vecchia vita e mi inumidiva le ossa con questa nuova morte, mi trascinavo, come il più classico dei fantasmi che si porta ancora dietro le catene dei rancori e dei rimpianti. Ero morto, ma dovevo avere ancora un cuore, perché avevo iniziato a seguirlo".
Frank si sveglia, ritrovandosi su un marciapiede di chissà quale città. Non ricorda nulla, non sa neppure il suo nome, sa solo di essere morto, morto la notte di Halloween. Quando si accorge dell'unica casa in fondo alla strada che ha ancora una luce accesa nel cuore della notte vi si avvicina. In quella stanza al primo piano troverà l'unica cosa che cambierà per sempre la sua sua vi... morte. Ma cosa c'è realmente dietro tutto questo? Perché nessuno sembra accorgersi della sua assenza? Qual è il mistero che nascondono i flash continui che gli annebbiano la mente quando meno se lo aspetta? Frank è mai stato vivo sul serio?
ps. ho cambiato il nome della storia, di solito li metto alla fine i titoli, ma questa volta sono stata costretta.
Era ASLEEP OR DEAD, ora è THIS MUST BE AN EMPTY DREAM.
Genere: Malinconico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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2.
 
You can write it on your arm



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When the lights go out will you take me with you?
And carry all this broken bone, through six years down in crowded rooms
and highways I call home
is something I can’t know till now, till you picked me off the ground
with brick in hand, your lip gloss smile, your scraped up knees and..
 
If you stay I would even wait all night or until my heart explodes
How long? Until we find our way, in the dark and out of harm
you can run away with me anytime you want.
 
Terrified of what I’d be as a kid from what I’d see, 
every single day, when people try and put the pieces back together
just to smash them down.
Turn up my headphones real loud, I don’t think I need them now, 
cuz you stop the noise and..
 
If you stay I would even wait all night or until my heart explodes
How long? Until we find our way, in the dark and out of harm
you can run away with me anytime you want.
 
Don’t walk away,  cause if you stay I would even wait all night,
well or until my heart explodes, 
How long? Until we find our way, in the dark and out of harm
you can run away with me,
you can write it on your arm,
you can run away with me... anytime you want.
 
Ho visto di nuovo quel ragazzo, oggi, mentre ero ancora seduto sul mio marciapiede, la mia casa senza pareti. Non aveva dormito, glieli potevo ancora leggere nello sguardo i pensieri che non l’avevano lasciato respirare un attimo. L’ho guardato in quei suoi occhi incorniciati da solchi profondi e rossi, ancora, e qualcosa nello stomaco è salito e poi è sceso, devo essere stato proprio una checca isterica nella mia vita passata. 
Non riesco a smettere di osservarlo, solo che non mi vede. Forse è morto anche lui, in fondo. 
Ho la sensazione che se mai io sia stato realmente vivo, i ragazzi, le ragazze o quello che era, non mi guardassero lo stesso. Forse invisibile lo sono sempre stato. 
Passeggiava, sembrava non sapere nemmeno il perché fosse uscito di casa, quella mattina, come tutte le altre. Vagava, cercava qualcosa, forse sull’asfalto, dato che il suo sguardo non si schiodava un attimo da lì. Con le mani nelle tasche, il cappuccio della felpa sulla testa a coprire quei suoi capelli neri come la grafite e con quei suoi passi stanchi, andava non so dove alla ricerca di non so cosa. Quando mi è passato di fronte, mi sono sentito in imbarazzo, dovevo ancora abituarmi alla questione ‘sei morto, nessuno ti considera’.
Quando mi è passato accanto si è fermato, voltando dolcemente la testa verso il marciapiede, senza vedermi. 
Ho provato un senso di nostalgia indescrivibile guardando il suo viso pallido e senza alcuna speranza. Avrei voluto avvicinarmi e sfiorarlo con la punta delle dita, senza fare alcun rumore, per sentire se quella pelle era davvero fragile come sembrava, avrei voluto portargli via quella tristezza, strappargliela dagli occhi e dagli quella felicità che ancora non avevo, iniettargliela nel sangue con una siringa che non gli avesse potuto far male. Avrei voluto portarlo via, via da lì, via da quel mondo dove c’era tanta altra gente che ogni giorno faceva male agli altri e che meritava quella sofferenza. Ma lui no, lui non la meritava. E tutto ciò solo perché sembrava morto e solo al mondo come me, eravamo due anime sole che non potevano incontrarsi, non guardate da nessuno, invisibili agli occhi di chiunque.  
Ha tirato fuori una mano dalla tasca e se l’è passata tra i capelli in disordine, sorridendo. Poi ha alzato gli occhi al cielo, in cerca del sole e quel gesto ha fatto diventare la mia mente di nuovo bianca.
Era primavera, la scena era di nuovo offuscata e di nuovo vedevo bene solo i suoi occhi verdi, verdi come il paesaggio che ci circondava. Occhi che non avevano nessuna tristezza, non più, solo tanta dolcezza, solo tanti progetti per un futuro che sarebbe divenuto presto nero. Mi stava sorridendo, mi accarezzava con lo sguardo, poi ha alzato gli occhi verso il sole. - Potremo fare chissà quante cose io e te, Frankie. Ci pensi? Abbiamo l’eternità davanti. L’eternità
Ho visto le mie mani strappare qualche filo d’erba, per poi esaminarlo. - L’eternità? - la scena ruotava ancora e i suoni sembravano lontani nella mia testa. - Avrai l’eternità un giorno, Gee… ma senza di me. - Ho visto i miei occhi diventare grigi, come le nuvole prima di un temporale e ho sentito la mia voce diventare un sussurro, rompersi sulle ultime parole. - Sai che ci sono dentro fino al collo, ormai, e una volta dentro non ne puoi più uscire, perché fingere che io abbia ancora un futuro? Avrai il tuo di futuro e la tua felicità, te lo giuro, dovessi dare la mia anima, lo avrai. 
Ho visto il suo viso staccarsi dal sole per posarsi su di me, adagio, come foglie che si staccano con malinconia dai rami degli alberi, in autunno, per poi posarsi al suolo, lasciandosi portare non dal vento, ma dal tempo. E i suoi occhi, cieli imprigionati in sfere dello stesso colore delle foglie, sembravano essere stati portati sui miei, distanti e soli come asfalto bagnato, da mille piume. 
- Vorrei che tu ti ficcassi questa cosa che sto per dirti ben in testa, una volta per tutte, Frank - con gli occhi della mente ho visto il suo corpo mettersi seduto per guardarmi bene in viso. - Nemmeno Dio potrà impedirci di essere felici, ora. Né a te e né a me. Ci siamo raccolti a vicenda dai marciapiedi di questa città, ci siamo tirati fuori insieme dalla merda in cui eravamo immersi. Ce la faremo ad avere la vita che ci spetta, arriveremo anche a questo traguardo, ma non soli. Le persone sole si fanno del male, di continuo e io non voglio tornare a farmene. - Il suo tono era deciso e terribilmente lacerante. - Ti ricordi quando due anni fa ti ho chiesto se le tue gambe erano pronte a correre, Frank? Quando mi hai risposto di sì, nel momento in cui io ti ho insegnato a correre, Frankie, tu hai insegnato a me a volare e se le tue gambe si fermeranno, lo faranno anche le mie braccia.
- Forse le mie gambe non sono abbastanza forti.
- Forse non lo erano, ma lo sono diventate e lo saranno sicuramente più delle mie braccia.
- Puoi sempre smettere di volare e correre con me, Gee. Puoi correre via con me tutte le volte che vuoi. 
In quel piccolo flash che la mia mente mi stava concedendo, quel ragazzo mi aveva sorriso, nel modo più delicato che io possa ricordare. E in quell’attimo, sia nell’attimo passato che in quello presente, avevo capito cosa quel ragazzo dagli occhi tristi intendesse per eternità.   
- Frankie, io credo di…
La scena era diventata di nuovo bianca e in pochi secondi era sparita, lasciando bianchi anche i miei occhi. Non c’era più alcun dubbio, conoscevo quel ragazzo e se avevo deciso di correre via insieme a lui era perché lui era l‘unico in grado di poter stare al mio passo lento e a non correre lontano, lasciandomi indietro, ancora su un marciapiede a riprendere fiato. 
Quando sono tornato alla realtà il ragazzo dagli occhi tristi non c’era più, quel ragazzo che nei miei ricordi chiamavo Gee.
Un senso di vuoto ha riempito quegli attimi in cui, se possibile, mi sono sentito ancora più solo e morto che mai, abbandonato di nuovo sul bordo di un marciapiede insieme a una manciata di ricordi che ancora non riuscivo a mettere insieme. Solo, senza nessuno ad aspettarmi mentre cercavo di riprendere fiato. Ed io di fiato non ne avevo più. E chiunque, forse, doveva essermi stato accanto una volta in quella corsa, sentivo che era andato già troppo lontano, ormai, e che se si fosse fermato ad aspettarmi, non mi avrebbe visto comunque se lo avessi raggiunto, ansimando e stringendomi una mano sul petto, quasi a tenermi il cuore per non farlo rovesciare a terra. 
Gee, chiunque tu sia o sia stato, vorrei solo dirti che la morte, come la vita, è questa. È un continuo tenersi il cuore per paura di perderlo o lasciarlo indietro, nei propri ricordi. È continuare a cercare la propria anima per riprendersi la propria vita, è correre, ansimare, rincorrere qualcuno che nemmeno ricordiamo, volerlo raggiungere, ma ritrovarlo sulla sponda opposta di un fiume in piena. Caro Gee, devo averti voluto bene, una volta, e da quello che ricordo devi essere stato tu a tenermi in vita, tenendomi stretto tra le tue mani e nascosto sul fondo dei tuoi occhi, verdi come infinite primavere. Caro Gee, tu hai la vita, io la morte, e in mezzo c’è un confine che né tu né io possiamo superare. Solo i ricordi possono segnare quel confine e lasciarci un punto, un punto in comune per farci ritrovare ancora, perché se è vero che ci siamo persi, ci cercheremo di nuovo prima o poi e allora quel confine non ci dividerà più, ma ci permetterà di ritrovarci. 
Mi sono alzato dal marciapiede, sconfitto ancora una volta, cercando il suo volto triste in mezzo a tutte quelle tristi case vuote. Ho camminato fino alla fine del giorno, non avevo bisogno di mangiare, di bere, di dormire, eppure ero stanco. I morti si stancano? Hanno un cervello con cui torturarsi per secoli? 
- A quanto pare io sì - mi sono detto. - La morte è una merda. 
- Allora non te la stai spassando poi così bene come credevamo eh, piccolo Frank?
Mi sono voltato, con occhi sconvolti. Stava in piedi, di fronte a me, una figura alta dall’aria non proprio delicata come quella del ragazzo dagli occhi tristi. Gente, ve l’ho già detto di pensare a me quando crederete che la vostra vita è uno schifo e che non potrebbe andarvi peggio? Sì? Ve lo ridico lo stesso, pensate a me, il vostro ‘Frankie, il fantasma di quartiere’ che di casini ne combina anche da morto e la cui morte fa ancora più schifo della sua vecchia vita. 
Era alto e da come mi stava di fronte, doveva essere piuttosto sicuro di sé. Il suo viso era pallido e dai tratti rigidi e severi, incorniciato da lunghi e lisci capelli biondi che gli ricadevano spalle. Una lingua velenosa come quella di un serpente era sigillata in quelle sue labbra sanguigne. 
- Sul serio tu mi vedi? - ho detto, accigliandomi. Stavo morendo di paura, morendo un’altra volta e l’unica cosa che ero riuscito a chiedergli era stata se mi vedesse sul serio, come se fossi stato sollevato dal fatto che almeno per qualcuno non ero del tutto invisibile. Che fottutissimo morto idiota e imbecille che ero.
La sua risata stridula ha riempito l’aria. - Dici sul serio, Frank? Non mi riconosci? - e con un gesto teatrale ha aperto le braccia, attirando l’attenzione su se stesso, sorpreso dalla mia assenza di ricordi. 
- Sei un morto pure tu? -  gli ho chiesto, con ancora un'espressione perplessa stampata sul volto.  
Sospirando mi è venuto incontro e avvolgendomi le spalle con il suo braccio grande quanto una mia gamba, ha iniziato a portarmi indietro da dove ero venuto. - Andiamo a sederci, piccolo Frankie - ha detto, evidenziando le ultime due parole con un terribile pizzicotto sulla guancia e una voce così odiosa da ricordarmi zii che probabilmente non avevo nemmeno mai avuto. 
Abbiamo camminando a lungo e ho odiato così tanto la falsità con cui mi teneva stretto che avrei potuto morire una terza, una quarta e una quinta volta. 
- Non dovevamo sederci?
- Oh, sei morto, Frank! È questo il bello dell’essere fantasmi senz’anima. Tu non puoi stancarti, piccoletto. 
Ho alzato il suo braccio pesante dalla mia spalla con due mani e ho fatto qualche passo avanti, per evitare il contatto. - Vorrei chiarire un paio di cose, mio carissimo ‘Guardatequantosonofigo’ - ho detto, voltandomi per guardarlo. - Primo, sarai anche enorme - e l’ho squadrato per un attimo, ottenendo una triste conferma - ma non ti do il diritto di chiamarmi piccoletto. Secondo, sarò anche morto, ma io mi sento stanco morto lo stesso e terzo… chi ti dice che io non abbia un’anima? Il mio cuore batte e le mie ginocchia sanguinano - ho indicato lo strappo dei pantaloni sul ginocchio ancora macchiato di sangue per la vergognosa ’scalata’ della notte scorsa. - Devo avere un’anima, da qualche parte. 
- Sei sempre il solito sbruffone eh, piccolo Frank? Anche da morto! - e ha riso di nuovo, facendo sbattere quell’eco contro le mie tempie più volte. Appoggiando di nuovo il suo braccio sulle miei spalle, come se non avessi detto nulla. Poi, mi ha portato a sedere sul mio caro vecchio marciapiede. I vampiri avevano le loro bare in cui ritirarsi al tramonto, io avevo il mio fottuto marciapiede. 
- Primo, io resto un tuo superiore anche se sei morto. - il suo tono non sembrava più cordiale. - Secondo,  - ha continuato strattonandomi la spalle - sei stanco solo perché sei un cazzo di sfaticato anche ora che sei schiattato e terzo… tu una cazzo di anima non ce l’hai perché - e si è avvicinato al mio collo, mostrandomi la sua lingua aguzza - io quell’anima te l’ho fottutamente succhiata via.  

 
  
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