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Autore: Euachkatzl    10/06/2013    2 recensioni
“Black window of la porte? Ma non è quella…”
“Sì, Tico, è quella che tu non riesci a suonare neppure su Guitar Hero” gli rispose Richie, un po’ pentito di avermi preso in giro, ora che stavo suonando perfettamente una delle canzoni più difficili che avesse mai sentito.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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And I will love you, baby, always
And I’ll be there forever and a day, always
I’ll be there till the stars don’t shine
Till the heavens burst
And the words don’t rhyme
I know when I die, you’ll be on my mind
And I’ll love you, always

 
Due giorni dopo, appena sveglia, scelsi la scaletta per la serata. Mi avevano promesso 15 minuti di esibizione. 3 canzoni. Tre canzoni che avrebbe ascoltato anche Richie. Volevo suonarle bene, ma non volevo scegliere canzoni troppo facili. Impazzii per trovare quei benedetti brani ma alla fine ricorsi al mio metodo supercollaudato: aprii la playlist del mio ipod, chiusi gli occhi e toccai tre canzoni a caso. Forever, Interstate love song e Always. Tre delle canzoni più romantiche di sempre. Decisi di fidarmi del mio subconscio e cominciai a provarle, ricevendo qualche maledizione dai vicini che, alle 7 di mattina, non si aspettavano un concerto come sveglia.
 
Alle 20, in gigantesco ritardo, presi l’autobus numero 7, che mi portò in centro fino al Depandance, il locale dove avrei dovuto suonare. Suonavo lì da un po’ di mesi, tre o quattro volte a settimana, da quando il mio ex ragazzo mi aveva lasciata. Sinceramente non conosco ancora il motivo della nostra rottura: dopo una serata piacevole, una notte d’amore, lui mi disse che doveva andarsene e non lo rividi più. Nonostante questa delusione, non abbandonai l’amore, l’idea di una persona capace di rendermi felice; fu piuttosto l’amore ad abbandonare me: nessun uomo mi si era più avvicinato, nessuno mi aveva mai offerto un drink o proposto di conoscersi meglio. Nessuno fino a Richie.
 
“Ciao Juju” mi salutò una ragazza al bancone, appena entrai.
“Ehi, ciao” le risposi, dirigendomi il più velocemente possibile al mio camerino, visto il mio ritardo. Mi cambiai il più velocemente possibile, infilandomi un vestitino rosso molto sexy e un paio di sandali con una zeppa infinita. Ero pronta per uscire, quando vidi la maniglia della porta abbassarsi.
“Juju, posso entrare?” mi chiese la voce del proprietario del locale. Senza attendere una risposta, l’uomo entrò e si sedette sulla sedia di fronte al tavolo da trucco. “Non hai niente da offrirmi?” chiese, guardandosi intorno.
“Ho un flacone di levasmalto, se proprio vuoi bere qualcosa” gli risposi ironica. Ma in realtà ero molto preoccupata da quella presenza nel mio camerino. Non è mai bello quando il tuo datore di lavoro ti deve parlare.
L’uomo sorrise nervosamente e mi comunicò tutto d’un fiato, senza guardarmi: “Mi dispiace, ma non posso più lasciarti suonare qui”. Mi crollò il pavimento sotto ai piedi: le mance che ottenevo strimpellando qualcosa al Depandance erano le mie uniche entrate. “Cosa?! Perché!?” chiesi confusa.
“Non è importante” mi rispose, non molto convinto.
“Come non è importante? Mi stai buttando fuori, voglio almeno sapere il perché” dissi, senza accorgermi di urlare.
“Va bene, è importante, ma non te lo posso dire. Raccogli la tua roba e esci di qui” dichiarò, alzandosi e andandosene. Lo seguii fino alla porta del suo ufficio, continuando a chiedergli il motivo del mio licenziamento, senza ottenere risposta. Una risposta che non poteva darmi.
 
Me ne andai, arrabbiata, senza curarmi del fatto che indossavo ancora gli abiti di scena. Attraversai velocemente il locale, spalancai la porta con poca, pochissima grazia e uscii. Stavo aspettando l’autobus per tornare a casa, quando sentii due mani coprirmi gli occhi. “Ciao, indovina chi sono?” mi chiese l’ultima voce che mi sarei aspettata di sentire. “Richie” risposi dolcemente, voltandomi e trovandomi davanti a lui.
“Che ci fai qui? Non dovevi suonare stasera?” mi domandò, perplesso. “Stavo andando al Depandance”
“Lascia perdere, non mi vedrai mai più su quel palco”. Vedendo la sua faccia ancora più perplessa, gli spiegai velocemente la storia, che effettivamente era piuttosto breve: il mio ex padrone mi aveva sbattuto fuori senza degnarmi di una spiegazione.
“Bè, vorrà dire che troveremo qualcos’altro da fare” disse lui, sorridendo un po’ maliziosamente. “Dimmi, hai mai fatto il bagno di mezzanotte?”
“Richie, sono le 8 e mezza” gli feci notare, spegnendo il suo sorrisetto.
“Ok, ricomincio… hai mai fatto il bagno delle 8 e mezza?” mi propose. Vista la mia faccia poco convinta, mi prese per mano e mi accompagnò fino alla spiaggia. Mi tolsi i sandali, che mi stavano uccidendo, e sentii la sabbia sotto i piedi, i granellini che si intrufolavano tra le dita. Camminammo lungo il bagnasciuga fino a un pontile, dove ci sedemmo a guardare l’oceano.
“Casa mia è per di qua, sempre dritto” dissi, un po’ nostalgica.
“Ti manca la tua famiglia, eh?” mi chiese lui, cingendomi la vita con il braccio.
“La mia famiglia, i miei amici… soprattutto mi manca la Fefè” risposi, dando per scontato che Richie conoscesse tutta la mia storia.
“Fefè?” mi fece eco lui.
“I mei genitori sono morti quando avevo più o meno diciannove anni…” cominciai a raccontare, osservando i bellissimi colori del tramonto “stavano venendo a un mio concerto, l’ultimo dell’anno, ma qualche idiota che aveva bevuto chissà cosa è andato loro addosso… sono stata malissimo per mesi, ma la Fefè mi è sempre stata vicina… sono andata a vivere con lei, finchè un giorno le proposi di venire qui, a Perth Amboy, di cambiare aria e provare qualcosa di nuovo. Lei si rifiutò categoricamente, dicendo che non se la sentiva di affrontare un passo così grande. Io insistetti e lei mi sbattè in faccia tutti i sacrifici che aveva fatto per starmi vicina, mentre io godevo della situazione. Godevo! I miei genitori erano morti e secondo lei io stavo sfruttando il momento. Mi arrabbiai talmente tanto che presi il primo volo disponibile e me ne andai”
“E una volta arrivata qui?” mi chiese Richie, incuriosito dal mio racconto.
“Avevo contattato un vecchio amico di mio fratello, chiedendogli se potevo stare da lui finchè non mi sarei trovata una casa, e lui accettò. Col tempo ci innamorammo, ma un giorno mi disse di doversene andare e non lo rividi mai più. Mi lasciò la casa, dove vivo ancora adesso. Ma lui non tornò mai. Così ho cominciato a suonare al Depandance, per tirare su qualche soldo. Funzionava, almeno fino a stasera”
“Magari ti troverai qualche altra entrata. Magari anche più fruttuosa” disse Richie, alzandosi. Dal suo tono di voce si intuiva che non me la stava raccontando giusta, che mancava un pezzo del discorso. Mi alzai anch’io e lo seguii lungo il pontile.
“Richie, che intendi…” iniziai, ma inciampai in un buco nel legno cadendo a terra. “Chi cazzo è il genio che ha fatto un buco qui?” urlai, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime per il dolore alla caviglia. Tentai di rialzarmi, ma dovetti fermarmi a causa di una fortissima fitta al piede.
“Aspetta, non muoverti” disse Richie, avvolgendo le sue braccia intorno ai miei fianchi e prendendomi in braccio, senza alcuno sforzo. “Sei una piuma” osservò, un po’ perché era vero e un po’ per smorzare la tensione. Camminò fino alla prima sdraio e mi appoggiò lì. “Forse è bene se andiamo al pronto soccorso” mi fece notare, guardando la mia caviglia che stava assumendo un colorito violaceo e una forma abbastanza insolita.
“Mannò, tranquillo, non è niente… vedo se stanotte mi passa e poi casomai domani vado da un medico” lo rassicurai, mentre invece stavo morendo dal dolore.
“…non lo so, Juju, mi sembra davvero messa male” insistette Richie. Dopo il mio secondo rifiuto, si arrese. “D’accordo, ti porto a casa” mi disse, riprendendomi in braccio.
“Spero che tu sia allenato, se proprio vuoi portarmi a casa in braccio. Abito circa a 2 chilometri e mezzo da qui” lo informai, ironica.
“Vabbè, allora ti porto a casa mia” rispose lui, senza scomporsi.
“Io intendevo che dovevi chiamare un taxi” obiettai, spiazzata. Richie rispose con una risata, che mi fece intuire che ormai aveva deciso lui.  
 
Casa sua era davvero grande. Non gigantesca, ma il mio piccolo appartamento di periferia non avrebbe potuto competere con una casa del genere. La cosa davvero bella erano le decorazioni: la musica era davvero tutta la vita di Richie. La porta d’entrata dava su un piccolo atrio, dal quale si poteva vedere il salotto, caldo e accogliente. Lo attraversammo e salimmo le scale fino al piano superiore, dove quattro o cinque porte si affacciavano su un corridoio.
“Ti farei volentieri vedere tutta la casa, ma forse non sei nelle condizioni migliori” rise Richie, aprendo l’ultima porta a sinistra.
“Magari domani” gli sorrisi. Ero felice, nonostante tutto. La serata era cominciata davvero male, era proseguita peggio, ma ero felice. Non so perché, ci sono momenti in cui hai tutto e sei triste e ci sono momenti in cui hai tanta voglia di ridere anche se hai una caviglia rotta. “Bella stanza” dissi ironica, osservando i muri rosa, così come il cassettone, le coperte sopra il letto, la scrivania.
“Sì, era la stanza di Ava” mi rispose Richie, con un tono di voce dolcissimo, che mi fece sciogliere. Mi lasciò sul letto e mi disse di riposare, dopo una serataccia del genere.
“Grazie” gli dissi, mentre stava chiudendo la porta per andarsene. Lui non si voltò, ma il sorriso sul suo volto mi fece capire che in fondo anche lui, come me, era davvero felice.
 
Tentai varie volte di addormentarmi, ma proprio non ci riuscivo, un po’ per il dolore alla caviglia ancora forte e un po’ perchè l’idea di essere nella casa di Richie Sambora mi intrigava assai. Decisi di andare in bagno per darmi una rinfrescata, magari mi sarei rilassata un po’. Mi alzai dal letto e, saltellando per il corridoio, raggiunsi la porta bianca che dava alla sala da bagno. La aprii e cercai a tentoni l’interruttore. Accesi la luce e trovai Richie seduto sul letto, che mi fissava stralunato. Forse quella non era la porta del bagno.
“Scusa, ho sbagliato” dissi velocemente, in preda all’agitazione. La situazione non era certo delle migliori: ero coperta semplicemente da reggiseno e mutandine, con i capelli arruffati e gli occhi da panda a causa del trucco sfatto. Richie, senza parlare, si alzò. Non indossava la maglietta a letto, il suo petto abbronzato era nudo davanti a me. Si avvicinò, mi cinse la vita stringendomi a sé e mi guardò intensamente; i miei occhi grigi erano incollati ai suoi color nocciola. Una mano accarezzava la mia schiena nuda, l’altra giocherellava con le punte nere dei miei boccoli. “Non hai sbagliato nulla” mi sussurrò, prima di baciare le mie labbra, che si schiusero volentieri a quella bella sorpresa.    
 
Nota dell’autrice:
Awwww, Richie <3 Forse la situazione sta andando un po’ sullo smielato, ma non durerà per molto. Juju scoprirà presto il perché del suo licenziamento, ma non ci resterà così male.
Voglio ringraziare quelli che hanno letto la mia storia e soprattutto quelli che l’hanno messa tra le preferite ossia: barbara83 e London_Calling. Qualcuno recensisca: la storia può solo migliorare con qualche consiglio.
Love, Euachkatzl <3
  
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