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Autore: Midnight_whisper    10/06/2013    3 recensioni
Un uomo si contraddice, essendo più cose allo stesso tempo. Essendo più cose o forse non essendo niente. In questa continua lotta fra un debole se stesso ed un temporaneo alter ego di sé, non può far altro che restare sconfitto. E piangere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli abbonati del settore C del teatro erano ormai degli abitudinari. Avevano imparato a conoscere il teatro. Quell’enorme salone buio, dove pure i riflettori sembravano non voler spargere un po’ di luce, era diviso in tre settori da due serie di scalini neri, ricoperti da uno strano materiale plastificato che faceva sempre stridere le suole delle scarpe. Le sedie erano talmente esili, con quel loro scheletro rosso arrugginito, che più volte alcune erano state sfondate da spettatori poco aggraziati. Il palco era spoglio, nero, riempito solo dal sipario rosso quando veniva aperto. Alcune massicce colonne, che nessuno seppe mai se avessero una reale funzione di sostegno, occupavano molto spazio e rendevano dei posti a sedere impraticabili. La cosa più scialba, però, era senza dubbio il gabbiotto delle apparecchiature elettroniche, che sembravano non funzionare mai quando dovevano, dove una figura scura lavorava silenziosamente, criticando a mezza bocca la scarsa qualità dei prodotti con cui aveva a che fare.
Avevano imparato a conoscerne gli attori, il loro modo di recitare, ma anche i registi, i loro stili. Raramente si vedeva qualcosa di originale. Pochi attori dallo sguardo vacuo sembravano trovatisi per caso sul palcoscenico, tranne pochi esemplari colmi di ironica prosopopea. I registi sembravano venduti all’ingrosso, con quel paio di baffetti tagliato male, un cappello rosso, degli occhiali e quel lieve balbettio.
Insomma, di per sé quello era sempre stato un posto piuttosto mediocre per le rappresentazioni. Lo era sempre stato fino a due anni prima. Era il 26 novembre quando in scena si vide qualcuno di nuovo. A dirla tutta, capitava spesso che ci fossero attori “nuovi” nel senso stretto del termine. Attori, cioè, che non avevano mai recitato su quel palcoscenico. Ma lui era nuovo nel senso di “diverso”. Era nuovo perché non ricordava nessuno degli attori visti calcare quel palco fino a quel giorno.
La sua apparizione era stata paragonabile a quella di un fantasma. Nel settore C, tutti erano arrivati con mezz’ora d’anticipo prima dell’inizio dello spettacolo e, come al solito, avevano potuto vedere già tutti gli attori fare un po’ entra ed esci dalla scena. E lui invece no. Lui era sempre rimasto dietro le quinte. Ed è proprio a causa di questa sua inamovibilità dal retroscena che ci si era quasi dimenticati di lui. Quel nome mai sentito prima, scritto sulla locandina, non diceva nulla e non stimolava nulla.
E invece era lui, il protagonista. Fu il primo a comparire da dietro il sipario, dimostrando subito una disinvoltura e una tranquillità davvero notevoli. Ciò che subito catturò l’attenzione di tutti gli abbonati del settore C fu proprio quello. Gli attori visti, rivisti e sviscerati che tutti conoscevano e avevano visto recitare lì fino a quel momento avevano sempre avuto quel fare ridondante, costruito e, nel momento dell’ingresso in scena, nervoso. In altre parole erano delle persone che fingevano di essere delle altre persone. Fingevano. Recitavano. Non che ci si aspettasse altro da degli attori dopotutto.
Ma lui non fingeva. Non recitava. Quella sua figura magra e slanciata, quella chioma color biondo sporco, quel viso pallido, appena appuntito nel mento, non sembravano appartenere a nessuno.
Lo si capiva da come danzava sul palco, sfiorando appena il pavimento, che il suo corpo era in realtà vuoto. Lui non era un attore. Era solo un personaggio. Un effimero personaggio. Il suo corpo non era altro che il contenitore che permetteva al protagonista di manifestarsi, un involucro, privo di ogni essenza.
I suoi gesti incantavano e le sue parole scuotevano. Ogni sillaba che le sue labbra pronunciavano era vera, reale; sembrava di poterle afferrare quelle parole che volavano per l’aria. Non c’era niente di fittizio. Non c’era nessuna finzione. Nessun attore. Non c’era nessun uomo.
Lo osservavano tutti estasiati, dimenticatisi che quello fosse un attore, e sinceramente commossi e partecipi alle vicende personali di quel protagonista.
Il ritmo, la dizione, il pathos, la pronuncia, l’inflessione, gli accenti. Qualcosa non andava. Qualcosa era diverso in lui. Sembrava porgere il suo personaggio agli spettatori così come questi l’avevano sempre immaginato prima di vederlo in scena. Questo perché nessun attore faceva da intermediario. Questo perché poneva lo spettatore a diretto contatto con la sua stessa immaginazione, senza filtrarla, né viziarla. Questo perché non c’era nessun attore. Lui non c’era.
Nel momento in cui il sipario venne abbassato tutti si sentirono quasi scossi. Erano ormai profondamente convinti che quella finzione fosse reale. Come risvegliatisi da un bellissimo sogno, si osservarono un po’ stupefatti, ma nessuno ebbe il coraggio di parlare dell’instabile commediante. Tutti, segretamente, desideravano applaudirlo come non mai, ma nessuno aveva il coraggio di proferire ad alta voce un complimento, quasi spaventati del loro giudizio talmente positivo, euforico. Lo spettacolo era finito, era il tempo degli inchini. Ma non per il nuovo commediante. Nessuno lo vide. Non uscì da dietro il sipario rosso. Nessuno seppe niente di lui se non il suo nome, letto per caso su un volantino.
Quella sera, pur senza dirlo, ognuno si rese conto che gli applausi erano tutti per lui. Per nessun’altro. Erano tutti per lui. E lui non c’era.
 
E ancora è tornato su quel palco l’attore. E ancora tutti sono andati silenziosamente in visibilio per causa sua. E ancora la folla si è dovuta astenere dall’osannarlo al termine dell’opera.
C’è chi dice di averlo visto passeggiare per le piazze della nostra città a passo rapido e spedito. C’è chi dice averlo avvistato mentre evitava gli sguardi della gente pronti a riconoscerlo. C’è chi dice che abbia ricevuto proposte per recitare in grandi teatri di immense città, ma finora la sua presenza è rimasta stabile nel nostro paesino. C’è chi dice di averlo visto nascosto dietro un giornale, fare la fila dal dottore. C’è chi dice di essere sicuro di averne incrociato lo sfuggevole sguardo al supermercato. C’è chi dice di averlo visto entrare a teatro, svariate ore prima di uno spettacolo o di una prova. C’è chi dice che esista davvero.
C’è chi dice di averlo visto piangere, dietro al sipario. Piangere mentre gli applausi scroscianti suonavano solo per lui. Piangere per quella sua agorafobia che può superare solo quando smette di essere se stesso e presta il suo corpo a quello che non è altro che un semplice personaggio privo di vera vita. Piangere al suono di quegli applausi. Applausi che più di ogni altra cosa teme. Che più di ogni altra cosa desidera.
  
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